Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
164 | ATTO SECONDO |
SCENA XIV1.
Pantalone e detto.
Ottavio. Riverisco il signor Pantalone.
Pantalone. Servitor devotissimo, sior Conte.
Ottavio. Ditemi in grazia, quant’è che non avete veduto il vostro amico, il signor don Florindo?
Pantalone. Da stamattina in qua.
Ottavio. Sapete che sia succeduto alcun disordine in casa sua?
Pantalone. Mi no so gnente.2 So che l’aveva destina de partir, e che l’averia fatto da omo a andar via; ma so che quella cara zoggia de so muggier la l’ha tornà a voltar, e la l’ha fatto restar a Palermo.
Ottavio. Io dubito che sua moglie voglia essere la sua rovina.
Pantalone. No la saria una gran maraveggia, perchè per el più le femmene le xe la rovina delle fameggie.
Ottavio. Giacchè voi siete amico di casa sua, voglio farvi una confidenza da uomo onesto. Sappiate che una dama si chiama offesa dalla signora Rosaura; questa sera si vedranno a una festa di ballo, e non vorrei le succedesse qualche disgrazia3.
Pantalone. Mi no so cossa dir. A sior don Florindo ghe voggio ben, e per elo faria de tutto; ma a casa soa son stà adesso, e nol ghe xe. Debotto xe notte, e mi no so dove andarlo a trovar; me sala dir chi sia la dama offesa?
Ottavio. Ve la dirò in confidenza, ma non mi fate autore. È la contessa Eleonora.
Pantalone. Stemo freschi. So che muschietto4 che la xe.
Ottavio. Lo so ancor io pur troppo.
Pantalone. La me perdona, se parlo con libertà. La sa de che umor stravagante che la xe, e la la serve con tanta attenzion?