Le Storie di Ammiano Marcellino (tradotte da Francesco Ambrosoli)/Libro Decimoquarto

Libro Decimoquarto

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Prefazione del traduttore Libro Decimoquinto
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LE STORIE

DI

AMMIANO MARCELLINO


LIBRO DECIMOQUARTO


SOMMARIO


I. Crudeltà di Gallo Cesare. — II. Incursioni degl’Isauri. — III. Impresa de’ Persiani mal riuscita. — IV. Irruzioni e costumi de’ Saraceni. – V. Supplizii de’ fautori di Magnenzio. — VI. Vizii del Senato e del Popolo romano. — VII. Barbarie di Gallo. — VIII. Descrizione delle province d’Oriente. — IX. Di Costanzo Gallo Cesare. — X. Pace data da Costanzo Augusto agli Alamanni. — XI. Costanzo Gallo Cesare è richiamato da Costanzo Augusto e fatto morire.


I. Dopo i narrati successi di quella insuperabile spedizione1, An.dell’E.V. 353 mentre languivano ancora gli animi d’ambe le parti, affievolite dalla varietà delle fatiche e dei pericoli; mentre non era per anco cessato il suonar delle trombe, nè s’eran condotti i soldati agli alloggiamenti d’inverno; la procellosa fortuna, infuriando, suscitò altre tempeste nella Repubblica, per le molte e crudeli scelleratezze di Gallo Cesare: il quale trovatosi [p. 20 modifica] An.dell’E.V. 353inopinatamente elevato, sul cominciare della sua gioventù, dall’ultimo squallore delle miserie2 alla principesca grandezza, trapassando i termini della commessagli potestà, ogni suo fatto bruttava con eccessiva ferocia. E lo facevan superbo la stirpe reale, e la comunanza del nome coll’Imperatore3; e ben si vedeva che se gli fosse bastata la forza sarebbesi ribellato all’autore della sua fortuna. Alla costui crudeltà poi s’era aggiunto lo stimolo della moglie, oltremodo superba dell’esser sorella d’Augusto, e sposata già prima da Costantino suo padre al re Annibaliano, figliuolo del proprio fratello4; mortal Megera, ed assidua instigatrice della crudeltà del marito, nè meno di lui bramosa del sangue umano. Amendue poi, fatti in successo di tempo più esperti nel nuocere altrui, raccogliendo notizie, false bensì ma conformi al lor desiderio, da spie clandestine e malvage (le quali avevano preso l’iniquo costume di aggravar sempre le cose lievemente esplorate) calunniavano gl’innocenti, incolpandoli di aspirare al regno o d’esercitare arti nefande. E fra le minori scelleratezze (poichè la potenza trapassò i termini dei mediocri delitti) fu notabile la repentina e nefanda morte di Clemazio, nobile alessandrino; la suocera del quale empiamente accesa di lui, poichè non aveva potuto, secondochè si diceva, recarlo alle tristi sue voglie, [p. 21 modifica] An.del’E.V. 353entrò per una porta segreta nel palazzo, e donando un prezioso monile alla Regina, impetrò da lei, che inviando ad Onorato (conte allora dell’Oriente) una sentenza di morte, l’innocente Clemazio, senza essergli pur conceduto aprir bocca, fosse subitamente ucciso. Dopo questa empietà, della quale ciascuno già cominciava a temere per sè, come se fosse sciolto il freno alla crudeltà, molti solo per una nebbia di sospetto giudicati colpevoli, si condannavano come rei: e parte erano uccisi, parte privati de’ beni e mandati in esilio; i quali, non essendo avanzato loro altro che le lagrime ed i lamenti, sostentavano limosinando la vita: E così, essendosi il giusto e civile imperio cambiato in una sanguinosa tirannia, molte ricche ed illustri case venivan serrate. Nè in tanta moltitudine di miserie cercavasi almeno un qualche falso accusatore, per commettere le iniquità sotto l’apparenza delle forme legali, siccome fecero molte volte alcuni principi iniqui; ma tutto quello che piaceva all’implacabile crudeltà di Cesare, subito era messo in esecuzione, come se fosse riconosciuto conforme alla giustizia e alla legge. Si pensò inoltre di mandare per tutti gli angoli d’Antiochia, certi uomini sconosciuti, e tali che per la loro stessa viltà nessuno se ne guardasse, affinchè raccogliessero e riferissero tutto quello che si diceva dai cittadini. Costoro frammettendosi come passeggeri e noncuranti nei circoli dei nobili, ed entrando nelle case de’ ricchi in abito di poveri, riferivano tutto quel che potevano o sentire o conoscere alla Corte, nella quale entravano ascosamente, e per segreti aditi; e in questo sempre accordavansi, di fingere molte cose, e quello che avevano udito far peggiore e più grave, celando le lodi di Cesare, le quali erano dette da molti pur contro [p. 22 modifica] An.dell’E.V. 353lor voglia, per paura de’ mali sempre imminenti. E così qualche volta avveniva che tutto quello che il marito aveva susurrato all’orecchio segretamente e senza testimoni alla moglie, il Principe lo risapeva nel giorno seguente, come se un Anfiarao od un Marcio, indovini già tempo chiarissimi, l’avessero rivelato: il perchè s’aveva paura per sino dei muri, soli consapevoli degli arcani del cuore. Il quale ostinato proposito d’investigare siffatti segreti, cresceva di giorno in giorno, dandovi esca la Regina; la quale sconsideratamente traeva in precipizio la fortuna del marito, mentre piuttosto con piacevolezza femminile avrebbe dovuto ridurlo alla via della clemenza e della verità, persuadendogli cose utili e oneste: siccome negli atti de’ Gordiani dicemmo aver fatto la moglie di Massimino, crudelissimo imperatore5. Finalmente poi Gallo stesso ebbe ardire di commettere con nuovo e pernicioso esempio ciò che, per quanto si dice, anche Galieno aveva altre volte tentato in Roma con sua grande vergogna; e questo fu, che pigliando seco alquanti segretamente armati, andava la notte per gli alberghi e per le strade domandando in linguaggio greco (il quale egli favellava ottimamente) che cosa ciascuno pensasse di Cesare; e questo faceva con gran fidanza nella città stessa, dove il chiarore de’ lumi accesi tutta la notte, uguagliava la luce del giorno. Ma essendo conosciuto più volte, e vedendo che non potrebbe più uscire senza essere scoperto, cominciò a non lasciarsi vedere se non di giorno, e per compiere quelle cose [p. 23 modifica]che reputava di maggiore importanza. E tutto ciò non An.dell’E.V. 353 si faceva senza profondo pianto di molti. Ma Talassio, a quel tempo Prefetto presente del pretorio6, e uomo anch’egli d’arrogante ingegno, quantunque vedesse che la violenza di Gallo accrescevasi sempre con danno di molti, invece di mitigarlo colla ragione e con saggi consigli (come spesse volte i grandi ministri addolcirono l’ire de’ principi), riprendendolo e contrariandogli, lo faceva quasi venire in rabbioso furore: e ne dava spessissime volte contezza, esagerando, ad Augusto, e cercava (non si sa con qual fine) che Gallo il sapesse. Laonde Cesare più incrudelito, spiegando quasi altamente il vessillo della sua superbia, a guisa d’un rapido torrente, senza aver rispetto nè alla propria nè all’altrui salute, con non resistibil impeto si gittava a rovesciare quanto venivagli opposto.

II. Nè questo male soltanto affliggeva l’Oriente: perchè gli Isauri ancora, i quali sogliono spesso far pace, e spesso con improvvise escursioni confondere ogni cosa, dagli occulti e rari ladronecci (essendo l’audacia loro alimentata e fatta peggiore dall’impunità) proruppero a guerra grave ed aperta; e dopo avere lungamente aizzati i ribellanti loro animi con irrequieti movimenti, recavano in mezzo questa cagione del guerreggiare; che essendo stati presi alcuni dei loro, s’erano contro l’usato esposti alle belve nello spettacolo dell’anfiteatro in Iconio7, città della Pisidia. Laonde, come le fiere (secondo che dice Tullio) tornano spesso a quel [p. 24 modifica]luogo dove una volta si sono pasciute, così costoro a somiglianza di turbine An.dell’E.V. 353 da monti altissimi e dirupati discesero in vicinanza del mare; dove nascondendosi in certe valli, la notte (perchè la luna era tuttora cornuta e non risplendeva gran fatto) spiavano i naviganti; e quando li vedevano abbandonati al sonno, arrampicandosi con piedi e con mani per le corde delle ancore, e gittandosi dentro le navi, gli uccidevano all’improvviso. E come il desiderio del rubare accendeva in essi la crudeltà, non perdonavano ad alcuno; ma ammazzandoli tutti ne tornavano senza contrasto di sorta carichi di prede ricchissime ed a loro mal note. Ma queste cose non durarono lungo tempo: perchè avendo i naviganti conosciuta la morte dei depredati ed uccisi loro compagni, nessuno più approdava a quei luoghi, ma fuggendoli come i mortali dirupi di Scirone8, navigavano a’ porti vicini a Cipro, i quali erano dirimpetto agli scogli d’Isauria. Laonde in successo di tempo, vedendo costoro che in quel luogo non v’era più da far preda, lasciando il mare, se ne vennero nella Licaonia, paese congiunto alla Isauria; ed avendo intercette in parecchi luoghi le strade, vivevano alle spese de’ paesani e de’ viandanti. Questa cosa svegliò i soldati che stavano a guardia per le castella e per le città confinanti: ma sebbene si sforzasse ciascuno di respingere quanto poteva questi assassini che si venivano sempre più dilatando, ora in bande adunati ed ora alla spezzata, n’erano superati dalla grande moltitudine; oltrecchè questi uomini nati e cresciuti fra gli alti e ricurvi sentieri de’ monti, vi camminano non altrimenti [p. 25 modifica]che per pianissime vie, con saette e con gridi grandissimi An.dell’E.V. 353 ferendo dall’alto e spaventando coloro coi quali s’incontrano. E spesse volte i nostri fanti per seguitarli furon necessitati di salire alti gioghi: ma quand’anche sdrucciolando, e attenendosi con le mani agli arboscelli od ai dumi pervenissero alla cima, non potendo in quelle strette vie e sconosciute, nè mettersi in ordinanza, nè sicuramente fermare il piede, erano il più delle volte uccisi, correndo il nemico al di sopra, e facendo precipitar giù massi grandissimi che dirompevano dalle rupi, per modo che non era sicuro neppure il fuggire alla china; o trovandosi costretti dall’ultima necessità a combattere, erano oppressi dalla gravezza delle rovine. Laonde fu poi proceduto con grandissima cautela; e quando que’ predatori occupavano le alture dei monti, i nostri soldati per lo svantaggio del luogo si ritraevano; e quando invece veniva fatto di coglierli al piano (il che di frequente accadeva) li trucidavano a guisa di pecore inerti, senza dar loro tempo nè di menare le mani, nè di vibrare quei due o tre dardi che portavano seco. Temendo adunque cotesti ladri di stare nella Licaonia, per essere quella in gran parte pianura, e conoscendo per molte esperienze che il combatter coi nostri a campo aperto non tornava loro sicuro, se n’andarono per obliqui sentieri nella Panfilia; la quale benchè da gran tempo non fosse stata assalita, nondimeno per la paura delle ruberie e delle uccisioni, era però ben guardata in ogni parte da grossi presidii. Affrettandosi adunque costoro, per prevenire colla celerità del viaggio la fama del lor movimento, mentre fidandosi troppo nella forza e leggerezza del corpo, si metton per sinuosi sentieri, pervennero alle cime de’ monti [p. 26 modifica]più tardi che non avrebber voluto. E giunti, dopo aver superate molte gravi difficoltà, An. dell’E.V. 353 alle sponde del Melas, il quale aggirandosi profondo e vorticoso, protegge in vece di muro gli abitanti vicini, poichè la notte già tarda addoppiava il terrore, si posarono alquanto aspettando la luce. E speravano che, passando senza impedimento alcuno al di là del fiume, potrebbero mandare a sacco ciò che vi avesser trovato; ma s’affaticarono e sostennero gravissimi pericoli in vano. Perchè quando il sole fu sorto, quel fiume angusto bensì ma profondo, impedì loro il passaggio; e mentre andavan cercando navicelle da pescatori, o s’apparecchiavano di tragittare su zattere, certe legioni di soldati che allora svernavano in vicinanza di Siden, con grandissimo impeto vennero loro incontro, e spiegando le bandiere appresso alla riva del fiume, per venire alle mani, ordinaronsi con grande perizia sotto una densa testuggine di scudi, e ne uccisero molti, temerariamente passati di cheto oltre il fiume o nuotando o su tronchi di alberi incavati. Laonde costoro avendo fatto l’estremo del loro potere, e vedendo che tutto era vano, cacciati dalla forza e dalla paura, nè sapendo ove meglio potessero andare, vennero presso la città di Laranda9. Quivi essendosi ricreati di cibo e di riposo, poichè fu cessato il timore, assalirono gli opulenti castelli vicini, i quali coll’aiuto di certa cavalleria che a caso appressavasi li ributtarono; e così per forza partiti, tornando indietro, chiamarono tutto il fiore della gioventù lasciata nel proprio paese. E perchè erano [p. 27 modifica]afflitti da una gran carestia, vennero ad un certo luogo An.dell’E.V. 353 chiamato Paléas che dominava il mare, ed era munito da forti muraglie, dove anche a’ dì nostri si ripongono le vettovaglie, use a distribuirsi ai soldati che difendono tutti i confini dell’Isauria. Stettero adunque tre giorni e tre notti intorno a quella Terra, e non potendo, nè assalirla senza mortale pericolo per la declività del terreno, nè giovarsi di mine o d’altro che far si soglia ne’ casi di assedio, se ne ritrassero dolorosi, deliberati di tentare un’impresa maggiore delle lor forze, secondo che li persuadeva la necessità. Per la qual cosa pieni di crudelissima rabbia, accesa dalla disperazione e dalla fame, avendo accresciute le loro forze, si mossero alla distruzione della capitale Seleucia, allora guardata dal conte Castrizio e da tre legioni indurate alle fatiche guerresche. Ed avendo i capitani per certe fidate spie intesa la loro venuta, trassero fuori subitamente tutti i loro soldati; e passando con prestezza il ponte del fiume Calicadno, il quale cogli alti suoi flutti bagna le torri delle mura, li collocarono in ordinanza da venire alle mani. Ma a nessuno però fu permesso di uscir delle schiere nè di combattere; perchè si temeva quella turba accesa di pazza rabbia, superiore di numero, e pronta a precipitarsi perdutamente fra l’armi. I ladroni adunque, veduto l’esercito da lontano, ed udito il suonare degli stromenti da guerra, rattenendo il passo, si fermarono alquanto, e dopo avere sguainate minacciosi le spade, cominciarono a muoversi più lentamente. Contro ai quali, apparecchiandosi animosamente i nostri di andare, e percotendo coll’asta lo scudo (la quale usanza suol concitare lo sdegno e il furore dei combattenți) spaventavano pur di quel gesto i nemici [p. 28 modifica]che più si trovavan da presso. Ma i capitani richiamarono que’ coraggiosi, An. dell’E.V. 353 stimando cosa imprudente il pericolarsi in quella dubbiosa battaglia, mentre non eran lungi le mura, sotto la cui tutela potevasi porre la sicurezza di tutti. E fermatisi in questo proposito, ritornandosene dentro alle mura, e chiuse tutte l’entrate della città, se ne stavano in su i bastioni e in sui merli, avendovi portate saette e sassi, acciocchè se alcuno avesse voluto accostarsi, fosse ucciso dalla moltitudine delle pietre e dei dardi. Eran per altro grandemente afflitti quelli di dentro, perchè gl’Isauri avendo prese le navi che portavan la vettovaglia pel fiume, abbondavano di alimenti, ed essi invece consumando quello che avevano, cominciavano a paventar le miserie della fame che già si appressava. Ma spargendosi questa novella, ed essendo Gallo commosso dagli avvisi che continuamente glie n’erano dati, fu ingiunto a Nebridio conte d’Oriente (perchè il maestro de’ cavalli trovavasi allora molto discosto), che radunando da ogni parte i soldati, affrettasse al soccorso di quella città ampia non meno che utile. Il che udendo i ladroni si partirono, e senza fare mai più opera alcuna degna di ricordanza, se n’andaron dispersi, com’è loro costume, ad abitare ne’ monti.

III. Condotte le cose della Isauria a questo termine, mentre il re della Persia era occupato nello scacciare dai suoi confini alcune ferocissime genti, le quali come poco stabili, ora gli fanno guerra, ora gli porgono aiuto se muovesi contro di noi, un certo Noodare del numero degli ottimati, avendo incombenza di gettarsi nella Mesopotamia tosto come ne avesse comodità, stava molto avvertito nello spiare le cose nostre, se potesse mai trovar luogo d’onde far impeto per entrarvi. Ma [p. 29 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/29 [p. 30 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/30 [p. 31 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/31 [p. 32 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/32 [p. 33 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/33 [p. 34 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/34 [p. 35 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/35 [p. 36 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/36 [p. 37 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/37 [p. 38 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/38 [p. 39 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/39 [p. 40 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/40 [p. 41 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/41 [p. 42 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/42 [p. 43 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/43 [p. 44 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/44 [p. 45 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/45 [p. 46 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/46 [p. 47 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/47 [p. 48 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/48 [p. 49 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/49 [p. 50 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/50 [p. 51 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/51 [p. 52 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/52 [p. 53 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/53 [p. 54 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/54 [p. 55 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/55 [p. 56 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/56 [p. 57 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/57 [p. 58 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/58 [p. 59 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/59 [p. 60 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/60 [p. 61 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/61 [p. 62 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/62 [p. 63 modifica]Pagina:Le-Storie-Di-Ammiano-Marcellino-Tradotte-Da-Francesco-Ambrosoli-Con-Note- vol-1.djvu/63 [p. 64 modifica]acciocchè non s’ignori ch’essa, per tutti gli elementi scorrendo, An.dell’E.V. 354 governa ogni cosa. Di tal maniera pertanto uscì Gallo di vita, nojoso quasi a sè stesso, nell’anno ventesimonono dell’età sua, e dopo avere per quattro anni imperato. Nacque appo i Toschi in Massa Veterneuse10: a padre ebbe Costanzo fratello dell’imperator Costantino: sua madre fu Galla sorella di Rufino e di Cereale, nobilitati già dalle insegne consolari e dalle prefetture. Fu poi ragguardevole per la beltà dell’aspetto, per la conveniente struttura del corpo, e la giusta armonia delle membra: avea biondi e morbidi i capegli, la barba, quantunque spuntassegli appena come tenera lanugine, era tale però, che gli dava una precoce autorità; tanto diverso dai temperati costumi del fratello Giuliano, quanto differiron tra loro Domiziano e Tito, figliuoli di Vespasiano. Sollevato poi a nobilissima altezza di fortuna, fece sperienza della mutabilità di lei che si fa giuoco degli uomini, ora sospingendone alcuni alle stelle, ed ora cacciandoli in fondo a Cocito: di che poichè sono innumerevoli gli esempli, d’alcuni soltanto ed alla sfuggita voglio toccare. Questa fortuna mutabile ed incostante fece, di vasajo re Agatocle siciliano; e maestro di scuola in Corinto Dionigi poc’anzi terror delle genti. Costei sollevò al nome di pseudo-Filippo Andrisco Adramiteno, nato da un purgatore di lana; e insegnò al legittimo figliuolo di Peiseo l’arte del fabbro per vivere. Costei consegnò ai Numantini Mancino già comandante, e Vetusio all’atrocità dei Sanniti, e Claudio ai Corsi, e Regolo sottomise alla [p. 65 modifica]ferocia cartaginese. Per iniquità di costei Pompeo, dopoAn.dell’E.V. 354 avere acquistato colla grandezza delle imprese il soprannome di Magno, fu trucidato in Egitto a capriccio di alcuni spadoni; mentre per lo contrario Euno servo diventò condottiero di fuggitivi in Sicilia. E quanti ragguardevoli personaggi, pel volere di questa padrona delle cose, abbracciarono le ginocchia di Viriato e di Spartaco! E quante teste, già terrore alle genti, furono dal funesto carnefice troncate! Quale è gettato in catene, quale è levato ad impensata possanza, quale precipitato dal sommo della dignità! I quali casi chi volesse sapere come sono varii e continui somiglierebbe a colui che, impazzando, volesse conoscere o il numero delle arene o i pesi dei monti.

fine del libro decimoquarto

  1. Contro Magnenzio.
  2. È noto che Gallo e Giuliano furon tenuti da Costanzo, mentr’erano giovanetti, in una prigionia da schiavi. Gallo poi avea venticinque anni quando fu sollevato al grado di Cesare.
  3. Fu detto Costanzo Gallo.
  4. Flavio Claudio Annibaliano, figliuolo di Dalmazio Annibaliano, fratello di Costantino M., quando sposò Costantina (congiuntasi poi in seconde nozze con Gallo) n’ebbe in dote il regno del Ponto, della Cappadocia e dell’Armenia.
  5. Ammiano cita qui una parte della sua opera a noi non pervenuta. Alcune medaglie inducono a credere che la moglie di Massimino si nominasse Diva Paullina.
  6. Prefetto presente dicevasi quello che stava dove il Principe faceva la sua residenza.
  7. Konia o Cogni città della Turchia Asiatica nella Caramania.
  8. Scogli situati fra Corinto e Megara. Scirone poi fu un famoso corsaro.
  9. Questa città secondo Strabone era situata nell’Isauria, secondo Tolomeo e Stefano nella Licaonia: oggidì s’incontra nella Caramania un paese detto Larende.
  10. Forse lo stesso che la città di Massa nella provincia di Siena. Il Wagner però traduce la parola Massa con (Landsgut) villa, luogo da villeggiare; perché (dice) presso gli ultimi Latini ebbe anche questo significato.