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LIBRO DECIMOQUARTO | 5 |
che reputava di maggiore importanza. E tutto ciò non[An.dell’E.V. 353] si faceva senza profondo pianto di molti. Ma Talassio, a quel tempo Prefetto presente del pretorio1, e uomo anch’egli d’arrogante ingegno, quantunque vedesse che la violenza di Gallo accrescevasi sempre con danno di molti, invece di mitigarlo colla ragione e con saggi consigli (come spesse volte i grandi ministri addolcirono l’ire de’ principi), riprendendolo e contrariandogli, lo faceva quasi venire in rabbioso furore: e ne dava spessissime volte contezza, esagerando, ad Augusto, e cercava (non si sa con qual fine) che Gallo il sapesse. Laonde Cesare più incrudelito, spiegando quasi altamente il vessillo della sua superbia, a guisa d’un rapido torrente, senza aver rispetto nè alla propria nè all’altrui salute, con non resistibil impeto si gittava a rovesciare quanto venivagli opposto.
II. Nè questo male soltanto affliggeva l’Oriente: perchè gli Isauri ancora, i quali sogliono spesso far pace, e spesso con improvvise escursioni confondere ogni cosa, dagli occulti e rari ladronecci (essendo l’audacia loro alimentata e fatta peggiore dall’impunità) proruppero a guerra grave ed aperta; e dopo avere lungamente aizzati i ribellanti loro animi con irrequieti movimenti, recavano in mezzo questa cagione del guerreggiare; che essendo stati presi alcuni dei loro, s’erano contro l’usato esposti alle belve nello spettacolo dell’anfiteatro in Iconio2, città della Pisidia. Laonde, come le fiere (secondo che dice Tullio) tornano spesso a quel