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LIBRO DECIMOQUARTO 9

afflitti da una gran carestia, vennero ad un certo luogo[An.dell’E.V. 353] chiamato Paléas che dominava il mare, ed era munito da forti muraglie, dove anche a’ dì nostri si ripongono le vettovaglie, use a distribuirsi ai soldati che difendono tutti i confini dell’Isauria. Stettero adunque tre giorni e tre notti intorno a quella Terra, e non potendo, nè assalirla senza mortale pericolo per la declività del terreno, nè giovarsi di mine o d’altro che far si soglia ne’ casi di assedio, se ne ritrassero dolorosi, deliberati di tentare un’impresa maggiore delle lor forze, secondo che li persuadeva la necessità. Per la qual cosa pieni di crudelissima rabbia, accesa dalla disperazione e dalla fame, avendo accresciute le loro forze, si mossero alla distruzione della capitale Seleucia, allora guardata dal conte Castrizio e da tre legioni indurate alle fatiche guerresche. Ed avendo i capitani per certe fidate spie intesa la loro venuta, trassero fuori subitamente tutti i loro soldati; e passando con prestezza il ponte del fiume Calicadno, il quale cogli alti suoi flutti bagna le torri delle mura, li collocarono in ordinanza da venire alle mani. Ma a nessuno però fu permesso di uscir delle schiere nè di combattere; perchè si temeva quella turba accesa di pazza rabbia, superiore di numero, e pronta a precipitarsi perdutamente fra l’armi. I ladroni adunque, veduto l’esercito da lontano, ed udito il suonare degli stromenti da guerra, rattenendo il passo, si fermarono alquanto, e dopo avere sguainate minacciosi le spade, cominciarono a muoversi più lentamente. Contro ai quali, apparecchiandosi animosamente i nostri di andare, e percotendo coll’asta lo scudo (la quale usanza suol concitare lo sdegno e il furore dei combattenți) spaventavano pur di quel gesto i nemici