Le Mille ed una Notti/Continuazione della storia di Camaralzaman
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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NOTTE CCXVI
CONTINUAZIONE
DELLA STORIA DI CAMARALZAMAN.
— Sire,» disse, «il principe Camaralzaman, svegliandosi alla mattina, si guardò a fianco per assicurarsi se la dama da lui nella medesima notte veduta, vi fosse tuttora; e quando s’accorse che più non v’era: — L’aveva ben pensato,» disse tra sè, «che era una sorpresa, cui il re mio padre voleva farmi: mi congratulo meco stesso d’essermene avveduto.» Svegliò lo schiavo che dormiva ancora, e lo sollecitò a venirlo a vestire, senza parlargli di nulla. Lo schiavo gli portò il bacino e l’acqua; egli si lavò, e fatta la sua preghiera, prese un libro, e lesse per qualche tempo.
«Dopo i suoi ordinari esercizi, Camaralzaman chiamò lo schiavo. — Vien qua,» gli disse, «e non mentire. Dimmi in qual modo è venuta la dama, che ha dormito questa notte con me, e chi l’ha condotta.
«— Principe,» rispose lo schiavo con altissima maraviglia, «di qual dama intendete parlare? — Di quella, ti dico,» ripigliò il principe, «ch’è venuta, e fu condotta qui questa notte, ed ha dormito con me. — Principe,» tornò a dire lo schiavo, «vi giuro che non so niente. Da qual parte potrebbe mai essere entrata questa donna, se io dormo alla porta?
«— Sei un mentitore, mariuolo,» replicò il principe, «e sei d’accordo per affliggermi vie più farmi arrabbiare.» Si dicendo, gli diè uno schiaffo che lo gettò per terra; e dopo averlo a lungo calpestato, lo legò sotto le ascelle colla corda del pozzo, ve lo calò dentro, e lo immerse più volte nell’acqua fin sopra la testa. — Ti farò annegare,» gridava, «se non mi dici subito chi è la donna e chi l’ha condotta. —
«Lo schiavo, oltremodo imbarazzato, mezzo nell’acqua e mezzo fuori, disse fra sè: — Senza dubbio, il principe ha perduto pel dolore il cervello, ed io non mi posso salvare se non con una menzogna... Principe,» gridò dunque in supplichevole accento, «fatemi grazia della vita, ve ne scongiuro, e vi prometto di dirvi come sta la cosa. —
«Il giovane ritirò lo schiavo, e lo sollecitò a parlare. Quando l’altro fu fuori del pozzo: — Principe,» gli disse tremando, «voi ben vedete ch’io non posso soddisfarvi nello stato in cui mi trovo; datemi prima tempo d’andare a cangiar d’abito. — Te lo concedo,» ripigliò Camaralzaman, «ma fa presto, e bada bene di non nascondermi la verità. —
«Lo schiavo uscì; e chiusa la porta della torre, corse, nello stato in cui si trovava, al palazzo. Stava il re conversando col suo primo visir, lagnandosi con lui della cattiva notte passata a motivo della disobbedienza e del colpevole trasporto del principe suo figliuolo, nell’opporsi alla sua volontà.
«Procurava quel ministro di consolarlo, e fargli comprendere che il principe stesso gli aveva dato motivo di punirlo. — Sire,» gli diceva, «non deve vostra maestà pentirsi d’averlo fatto arrestare. Purchè abbia la pazienza di lasciarlo qualche tempo nel suo carcere, deve persuadersi ch’egli perderà quella foga giovenile, e si sottoporrà infine a tutto ciò che si esigerà da lui. —
«Terminava il visir queste parole; quando lo schiavo si presentò al re Schahzaman. — Sire,» gli disse, «sono dolentissimo di venir ad annunciare a vostra maestà una notizia che non può udire se non con gran dispiacere: quanto il principe vostro figliuolo dice d’una donna che ha dormito stanotte con lui, e lo stato in cui m’ha ridotto, come vostra maestà può vedere, fanno pur troppo conoscere aver egli smarrito il senno.» Fece poscia il racconto di tutto ciò che il principe Camaralzaman aveva detto, e del modo in cui avealo trattato, in termini che gli conciliarono fede.
«Il re, il quale non aspettavasi cotal nuovo argomento d’afflizione: — Ecco,» disse al primo ministro, «un incidente assai doloroso, ben diverso dalla speranza che testè mi davate. Andate, senza perder tempo, a veder voi medesimo com’è la cosa, e venite a riferirmelo. —
«Obbedì il gran visir sul momento, ed entrando nella camera del principe, lo trovò seduto e tranquillissimo, con un libro in mano, cui stava leggendo. Lo salutò, e sedutogli vicino: — Sono assai sdegnato col vostro schiavo,» gli disse, «per essere venuto a spaventare il re vostro padre colla notizia che gli ha recata.
«— Qual è codesta notizia,» rispose il principe, «che può avergli dato tanto spavento? Io ho un motivo ben maggiore di lagnarmi del mio schiavo.
«— Principe,» ripigliò il visir, «Dio non voglia che quanto egli ha riferito di voi sia vero! Il buono stato in cui vi veggo, e nel quale prego che Dio vi conservi, mi fa conoscere non esservi nulla di verace. — Forse,» replicò il principe, «ch’ei non abbia saputo farsi ben intendere. Giacchè siete venuto voi, mi permetterò di chiedere ad una persona pari vostra, che dovete saperne qualche cosa, dov’è la dama che stanotte ha dormito con me. —
«Rimase il gran visir stupito da tale domanda, e:
— Principe,» gli rispose, «non vi sorprende la meraviglia che dimostro per quello che mi chiedete. Sarebbe mai possibile che, non dico una donna, ma nessun uomo al mondo sia penetrato di notte in questo luogo, ove non si può entrare se non per la porta, e passando sul corpo del vostro schiavo? Di grazia, richiamate ben bene la memoria, e troverete di aver fatto un sogno che vi lasciò questa forte impressione.
«— Io non m’arrendo al vostro discorso,» ripigliò il principe con voce più alta; «voglio assolutamente sapere cosa è stato di quella dama; e qui sono in un luogo dove saprò farmi obbedire. —
«A tali ferme parole, il gran visir si trovò in un imbarazzo da non potersi esprimere, e pensò ai mezzi di cavarsela alla meglio. Prese il principe colle buone, e gli chiese in termini più sommessi e civili, se avesse egli medesimo veduta questa donna.
«— Sì, sì,» ripigliò il principe, «l’ho veduta io, e ben m’avvidi che voi l’avete introdotta a bella posta per tentarmi. Essa ha fatto assai bene la parte, che voi gli avete prescritta, di non dir una parola, di fare l’addormentata, e d’andarsene quand’io avessi di nuovo preso sonno. Voi lo sapete di certo, ed essa non avrà mancato di riferirvelo.
«— Principe,» replicò il gran visir, «vi giuro non esservi nulla di vero in quanto ora intendo dalla vostra bocca, e che nè il re vostro padre, nè io abbiamo mandata la donna della quale parlate: non ce ne venne nemmeno in testa il pensiero. Permettetemi di dirvi ancora una volta, che non avete veduto questa dama se non in sogno.
«— Venite dunque anche voi per burlarvi di me,» tornò a dire il principe sdegnato, «e per asserirmi in faccia che quanto vi dico è un sogno?» Allora, afferratolo per la barba, si mise a pencuoterlo finchè glielo permisero le forze.
«Il povero gran visir sopportò pazientemente tutta la collera del principe Camaralzaman per rispetto. — Eccomi,» disse fra sè, «nella stessa condizione dello schiavo: troppo felice ancora se posso, come lui, sfuggire da tanto periglio!» In mezzo alle busse che il giovane continuava a dargli: — Principe,» gridò, «vi supplico di concedermi un momento d’attenzione.» L’altro, stanco di batterlo, lo lasciò parlare.
«— Vi confesso, o principe,» disse allora il gran visir dissimulando, «esservi qualche cosa di vero in ciò che credete. Ma voi non ignorate la necessità in cui trovasi un ministro di eseguire gli ordini del re suo padrone. Se avete la bontà di permettermelo, son pronto ad andargli a dire da parte vostra quello che mi comandarete. — Ve lo permetto,» rispose il principe; «andate, e ditegli che voglio sposare la dama ch’egli mi ha mandata o condotta, e che dormi questa notte con me. Fate presto, e portatemi la risposta.» Il gran visir fece una profonda riverenza lasciandolo, e non se ne credè liberato se non quando fu fuori della torre, e n’ebbe chiusa la porta sul principe.
«Il gran visir si presentò al re Schahzaman in una tristezza che molto lo afflisse. — Ebbene,» gli domandò il monarca, «in quale stato trovaste mio figlio? — Sire,» rispose il ministro, «ciò che lo schiavo ha riportato a vostra maestà è pur troppo vero.» Gli fece quindi il racconto del colloquio avuto con Camaralzaman, dello sdegno del principe quand’egli ebbe intrapreso di mostrargli non esser possibile che la donna; della quale parlava, avesse dormito con lui, del cattivo trattamento ricevuto, e dell’astuzia, ond’erasi servito per isfuggirgli dalle mani.
«Schahzaman, molto più mortificato perchè amava sempre il principe con tenerezza, volle da sè stesso chiarirsi della verità; andò dunque a trovarlo nella torre, e seco condusse il gran visir.....
— Ma, sire,» disse qui Scheherazade, interrompemdosi, «m’avveggo che il giorno comincia ad apparire;» e tacque. La notte seguente, ripigliando il suo racconto, disse al sultano delle Indie:
NOTTE CCXVII
— Sire, il principe Camaralzaman accolse il re suo padre nella torre, ov’era prigione, col massimo rispetto. Il re si assise, e fattosi sedere vicino il principe,» gli volse parecchie domande, alle quali rispose con molto criterio; e tratto tratto guardava il gran visir, come per dirgli non accorgersi che il principe suo figliuolo avesse perduto il cervello, com’egli ne lo aveva assicurato, e che bisognava dire avesselo perduto egli medesimo.
«Il re finalmente parlò della dama al principe. — Figliuolo,» gli disse, «vi prego di dirmi che cos’è questa dama la quale, a quanto asserite, ha dormito con voi stanotte.
«— Sire,» rispose Camaralzaman, «supplico vostra maestà di non accrescere il cordoglio che mi fu già dato a tal proposito: fatemi piuttosto la grazia di concedermela in matrimonio. Qualunque sia l’avversione che finora dimostrai per le donne, questa giovine beltà mi ha talmente affascinato, che non provo difficoltà veruna a confessarvi la mia debolezza. Son pronto a riceverla dalle vostre mani con estrema gratitudine. —
«Il re Schahzaman rimase interdetto alla risposta del principe, tanto lontana, secondo pareva, dal buon senso precedentemente dimostrato. — Figliuolo,» ripigllò egli, «voi mi tenete un discorso che m’immerge in uno sbalordimento, dal quale non so rinvenire. Vi giuro, per la corona che dopo di me deve passare sul vostro capo, ch’io non so la minima cosa della dama, di cui mi parlate. Io non c’entro affatto, se qui n’è venuta qualcuna. Ma come avrebbe ella potuto penetrare in questa torre senza il mio consenso? Poichè, checchè abbia potuto dirvene il mio gran visir, egli non l’ha fatto se non per acchetarvi. Sarà certamente un sogno: pensateci bene, ve ne prego, e richiamate la vostra ragione.
«— Sire,» ripigliò il principe, «sarei per sempre indegno delle bontà della maestà vostra, se non prestassi fede all’assicurazione ch’ella mi dà. Ma la supplico a voler avere la pazienza d’ascoltarmi, e giudicare se quanto avrò l’onore di dirle, sia un sogno. —
«Camaralzaman raccontò allora al re suo padre in qual maniera si fosse svegliato. Gli esagerò la bellezza e le attrattive della dama ch’erasi trovata vicino, l’amore che ne aveva in un attimo concepito, e gl’inutili suoi sforzi per destarla. Nè gli nascose neppure ciò che obbligato l’aveva a svegliarsi e tornarsi ad addormentare, dopo ch’ebbe fatto il cambio del suo anello con quello della dama. Terminando infine, e presentandogli l’anello medesimo, cui si trasse dal dito: — Sire,» soggiunse, «il mio non vi è ignoto; voi l’avete veduto più volte. Dopo ciò spero vi convincerete ch’io non ho perduto altrimenti il senno, come vi fu dato ad intendere. —
«Conobbe il re Schahzaman tanto chiaramente la verità dell’avventura narratagli dal principe suo figlio, che non seppe più cosa rispondere. Anzi, fu colto da tale stupore, che rimase alcun tempo senza proferir parola.
«Il principe approfittò di questo momento. — Sire,» continuò a dirgli, «la passione che provo per quest’amabile persona, della quale conservo la preziosa immagine nel cuore, è ormai così violenta, che non mi sento forza bastante di resistervi. Vi supplico di aver compassione di me, e procurarmi la felicità di possederla.
«— Dopo ciò che ho udito, o figlio, e per quanto veggo da questo anello,» ripigliò il re Schahzaman, «non posso dubitare che reale non sia la vostra passione, e non abbiate veduta in fatti la dama che la fece nascere. Volesse Iddio, che la conoscessi questa dama! i vostri voti sarebbero tosto da oggi esauditi, ed io mi stimerei il principe più fortunato del mondo. Ma dove cercarla? Come, e d’onde è dessa entrata qui, senza che io ne abbia saputo nulla, e senza il mio consenso? Perchè vi è entrata soltanto per dormire con voi, per farvi ammirare la sua beltà, infiammarvi di amore mentr’ella dormiva; e sparire mentre voi dormivate? Io non comprendo nulla in quest’avventura, figliuol mio; e se il cielo non ci è propizio, ci spingerà entrambi alla tomba.» Terminando queste parole, e prendendo il principe per mano: — Venite,» soggiunse, «andiamo a dolerci insieme, voi di amare senza speranza, ed io di vedervi afflitto, e non poter rimediare al vostro male. —
«Il re Schahzaman trasse il principe fuor della torre, e lo accompagnò al palazzo, dove il giovine, disperato d’amare con tutta l’anima una donna sconosciuta, si mise subito a letto. Il re si chiuse nelle sue stanze, e pianse parecchi giorni con lui, senza voler prendere parte alcuna negli affari del regno.
«Il suo primo ministro, ch’era il solo al quale avesse lasciato libero l’ingresso, venne un giorno a riferirgli che tutta la sua corte ed i popoli eziandio cominciavano a mormorare per non vederlo, e perchè più non facesse ogni giorno giustizia, secondo il solito, e ch’egli non rispondeva del disordine che potevane derivare. — Prego vostra maestà,» soggiunse, «a farvi attenzione. Non dubito che la sua presenza allevii il dolore del principe, e che la presenza del principe sollevi reciprocamente il vostro; ma deve pensare a non trascurar tutto. Mi permetta adunque ch’io le proponga di recarsi col principe al castello dell’isoletta poco lontana dal porto, e dare udienza due sole volte alla settimana. Mentre questa occupazione l’obbliglierà ad allontanarsi dal principe, la bellezza incantevole del luogo, l’aria salubre, e la vista meravigliosa che vi si gode, faranno che il principe stesso sopporti la vostra lontananza, d’altronde di poca durata, con maggior pazienza. —
«Il re Schahzaman approvò il consiglio, e subitochè il castello, dove non era stato da molto tempo, fu in istato di riceverlo, vi si recò col principe, non abbandonandolo se non per dare precisamente le due udienze. Il resto del tempo lo passava al capezzale del suo letto, ed ora procurava di consolarlo, ora con lui affliggevasi.
«Mentre tali cose accadevano nella capitale del re Schahzaman, i due geni Danhasch e Caschcasch avevano riportata la principessa della China nel palazzo ov’era stata rinchiusa dal re suo padre, e ripostala in letto.
«L’indomani mattina, allo svegliarsi, la principessa della China si guardò a destra ed a sinistra; e non vedendosi più vicino il principe Camaralzaman, chiamò le sue donne con una voce che le fece accorrere velocemente. La sua nutrice, presentatasi al capezzale, le domandò che desiderasse, e se le fosse accaduto qualche cosa.
«— Ditemi,» soggiunse la principessa, «che mai avvenne del giovane, ch’io amo di tutto cuore, e che ha dormito stanotte con me? — Principessa,» rispose la nutrice, «non intendiamo nulla alle vostre parole, se non vi spiegate meglio. —
«— Dico,» ripigliò di nuovo la principessa, «che un giovine, il più bello ed amabile che si possa immaginare, dormiva vicino a me questa notte; e che io l’accarezzai per molto tempo, facendo ogni sforzo per risvegliarlo, senza potervi riuscire: vi domando dov’è.
«— Principessa,» ripigliò la nutrice, «senza dubbio lo fate per divertirvi di noi. Vorreste alzarvi? — Parlo da senno,» tornò a dire la fanciulla, «e voglio sapere dov’è. — Ma, principessa,» insistette la nutrice, «voi eravate sola quando vi mettemmo a letto ier sera, e nessuno è certo entrato a dormire con voi, per quanto sappiamo, le vostre donne ed io. —
«La principessa della China perdette la pazienza; prese la nutrice pel collo, e dandole schiaffi e pugni: — Me lo dirai una volta, vecchia strega?» sclamò; «o ti accoppo. —
«Fece la nutrice grandi sforzi per isfuggirle di mano, e riuscitavi finalmente, andò sul momento a trovare la regina della China, madre della principessa, presentandosele colle lagrime agli occhi e tutto livido il volto, con maraviglia della regina, la quale le chiese chi l’avesse ridotta in quello stato.
«— Madama,» disse la nutrice, «voi vedete il trattamento che m’ha fatto la principessa; e mi avrebbe ammazzata, se non le fossi fuggita di mano.» Le narrò poscia il motivo della sua collera e del suo trasporto, onde la regina non fu meno afflitta che maravigliata. — Voi vedete, o signora,» aggiunse ella terminando, «che la principessa ha proprio smarrito il cervello. Ne giudicherete da per voi, se vi prenderete l’incomodo di venirla a vedere. —
«Troppo interessata era la tenerezza della regina della China in ciò che aveva udito: laonde, fattasi seguire dalla nutrice, sul momento a trovare la sua figliuola…»
La sultana Scheherazade voleva continuare; ma avvedendosi che il giorno già cominciava a spuntare, tacque; e ripigliando la novella la notte appresso, disse a Schahriar:
NOTTE CCXVIII
— Sire, la regina della China, appena giunta nell’appartamento in cui stava rinchiusa la principessa sua figliuola, le sedè vicino; ed informatasi dello stato di sua salute, le chiese qual motivo di malcontento spinta l’avesse a maltrattare in quel modo la nutrice. — Figliuola,» le disse, «ciò non istà bene, ed una grande principessa come voi non deve mai lasciarsi trasportare a tali eccessi.
«— Signora,» rispose la fanciulla, «ben veggo che vostra maestà viene anch’essa per burlarsi di me; ma vi dichiaro che non avrò quiete se non isposerò l’amabile cavaliere che ha dormito con me stanotte. Voi dovete sapere dov’è; vi supplico di farlo tornare.
«— Figlia,» ripreso la regina, «voi mi sorprendete, e nulla comprendo del vostro discorso.» L’impaziente principessa le perdè allora il rispetto. — Signora,» replicò, «il re mio padre e voi mi avete perseguitata per costringermi a maritarmi quando non ne aveva voglia; adesso questa voglia m’è venuta, e bramo assolutamente aver per marito il cavaliere che ho detto, altrimenti m’ucciderò. —
«Procurò la regina di calmare la principessa colle buone. — Figliuola,» le disse, «sapete bene voi medesima, che siete sola nel vostro appartamento, e che nessun uomo può entrarvi.» Ma invece di porgerle orecchio, la giovine la interruppe, e fece stravaganze tali, che obbligarono la regina a ritirarsi estremamente afflitta, ed andar ad informare di tutto il marito.
«Volle il re della China chiarirsi della faccenda in persona; e venuto all’appartamento della principessa sua figliuola, le chiese se vero fosse quanto aveva udito. — Sire,» rispose quella, «non parliamone più; fatemi solo la grazia di restituirmi lo sposo, che ha dormito questa notte con me.
«— Come, figliuola!» ripigliò il re; «qualcuno ha dormito questa notte con voi? — E che, o sire,» soggiunse la principessa, senza lasciargli tempo di continuare, «voi mi domandate se qualcuno ha dormito con me? Vostra maestà non lo ignora. È il più leggiadro cavaliere che sia mai comparso sotto la luce del sole. Torno a chiedervelo, e non me le negate, ve ne supplico. Affinchè vostra maestà più non dubiti,» proseguì poi, «ch’io non abbia veduto il cavaliere, ch’egli non abbia dormito con me, e ch’io non lo abbia accarezzato, e fatto inutili sforzi per risvegliarlo senza riuscirvi, guardate, di grazia, questo anello.» Stese la mano, ed il re della China restò di sasso vedendo ch’era l’anello d’un uomo. Ma siccome nulla poteva comprendere a tutto ciò ch’essa gli diceva, ed avevala rinchiusa come pazza, la stimò ancor più folle di prima. Laonde, senza parlarle più oltre, nel timore non s’abbandonasse a qualche violenza contro la sua persona, o centro quelli che le si avvicinassero, la fece incatenare e rinchiudere più strettamente, non concedendole che la sola nutrice per servirla, con una buona guardia alla porta.
«Il re della China, inconsolabile della disgrazia accaduta alla principessa sua figliuola d’aver perduto il senno, a quanto credeva, pensò ai mezzi di procurarne la guarigione. Raccolse pertanto il suo consiglio, ed esposto lo stato in cui trovavasi: — Se v’ha alcuno fra voi,» soggiunse, «bastantemente capace per intraprendere di guarirla e vi riesca, gliela darò in isposa; e lo farò erede de’ miei stati e della corona, dopo la mia morte. —
«Il desiderio di possedere una vaga principessa e la speranza di governare un giorno un regno possente quanto quello della China, fecero grande effetto sullo spirito d’un emiro, già maturo d’anni, il quale trovavasi presente al consiglio; siccome costui era molto versato nella magia, si lusingò di riuscirvi, ed offerì i suoi servigi al re. — Vi acconsento,» questi rispose; «ma voglio prima avvertirvi, che ciò è a condizione di farvi tagliar la testa se non riuscite: non sarebbe giusto che meritaste una sì grande ricompensa senza arrischiar nulla del vostro. Quello che or vi dico servirà per tutti gli altri che dopo di voi si presentassero, nel caso non accettaste la condizione, o che non riusciate. —
«Accettò l’emiro la condizione, ed il re lo condusse egli medesimo dalla principessa. Si coperse questa il viso appena vide comparire l’emiro, e: — Sire,» gli disse, «vostra maestà mi sorprende conducendomi un uomo, che non conosco, ed al quale la religione mi vieta di farmi vedere. — Figliuola,» rispose il re, «la sua presenza non vi deve scandalizzare; è uno de’ miei emiri che vi domanda in matrimonio: — Sire,» ripigliò la principessa, «egli non è quello che m’avete già dato, e del quale ricevetti la fede coll’anello che porto: non vi dispiaccia ch’io non ne accetti alcun altro. —
«L’emiro erasi aspettato che la principessa facesse e dicesse stravaganze; rimase dunque assai maravigliato vedendola sì tranquilla, e sentendola parlare con tanto buon senso; e conobbe perfettamente che essa non aveva altra follia fuorchè un violentissimo amore, il quale doveva essere ben fondato. Non ardì però prendersi la libertà di spiegarsene col re: questi non avrebbe potuto soffrire che la principessa avesse così dato il cuore ad un altro fuor di quello ch’egli stesso voleva darle di propria mano. Ma, prosternandosi a’ suoi piedi: — Sire,» gli disse, «dopo quanto ho udito, sarebbe inutile, ch’io intraprendessi di guarire la principessa; non ho rimedi adatti al suo male, e la mia vita è a disposizione di vostra maestà.» Il re, irritato dell’incapacità dell’emiro, e dell’incomodo recatogli, gli fece mozzar la testa.
«Alcuni giorni dopo, onde non dar luogo a rimproverarsi d’aver nulla trascurato per procurare la guarigione della principessa, quel monarca fece bandire nella sua capitale, che se esistesse qualche medico, astrologo o mago, esperimentato abbastanza per ridonarle la ragione, non aveva che a presentarsi, sotto condizione di perdere la testa se non la guariva; e mandò a divulgare la cosa medesima nelle principali città de’ suoi stati o nelle corti de’ principi suoi vicini.
«Il primo che si arrischiò fu un astrologo e negromante, che il re fece condurre alla prigione della principessa da un eunuco. Trasse l’astrologo da un sacco, che portava sotto il braccio, un astrolabio, una piccola sfera, un braciere, parecchie specie di droghe, atte alle fumigazioni, un vaso di rame, con varie altre cose, e chiese un po’ di fuoco.
«La principessa della China domandò cosa significasse tutto quell’apparato. — Principessa,» rispose l’eunuco, «è per iscongiurare lo spirito maligno che vi possiede, rinchiuderlo nel vaso che qui vedete, e gettarlo in fondo al mare.
«— Maledetto astrologo,» gridò allora la principessa, «sappi che non ho bisogno di tutti questi preparativi, che ho il mio buon giudizio, e che tu stesso sei l’insensato. Se il tuo potere è tale, conducimi soltanto, l’uomo che amo; e il miglior servigio che tu mi possa rendere. — Principessa,» riprese l’astrologo, «se la cosa è così, non è da me, ma dal re vostro padre unicamente che dovete attenderlo.» Ciò detto, rimise nel sacco tutti gli oggetti che ne avea cavati, assai dolente d’essersi così facilmente impegnato a guarire una malattia immaginaria.
«Quando l’eunuco lo ebbe ricondotto davanti al re della China, non aspettò l’astrologo che quello parlasse al re, ma gli favellò subito egli medesimo. — Sire,» gli disse con ardire, «secondo quello che vostra maestà ha fatto pubblicare, e ch’ebbe la bontà di confermarmi in persona, io ho creduto che la principessa fosse pazza, ed era sicuro di guarirla mediante i segreti che posseggo; ma non mi fu d’uopo molto tempo per conoscere non aver essa altra malattia fuor di quella d’amare, e l’arte mia non si estende fino a rimediare al mal d’amore. Vostra maestà potrà rimediarvi meglio d’ogni altro, quando vorrà darle il marito che domanda. —
«Il re trattò quell’astrologo da insolente, e gli fece tagliare la testa. Per non annoiare vostra maestà con inutili ripetizioni, tra astrologhi, medici e negromanti, se ne presentarono centocinquanta, i quali subirono tutti la medesima sorte, e le teste loro furono esposte su ciascuna porta della città.