Le Mille ed una Notti/Storia di Marzavan col seguito di quella di Camaralzaman

Storia di Marzavan col seguito di quella di Camaralzaman

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Storia di Marzavan col seguito di quella di Camaralzaman
Continuazione della storia di Camaralzaman Viglietto del principe Camaralzaman alla principessa della China
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STORIA DI MARZAVAN

COL SEGUITO DI QUELLA DI CAMARALZAMAN.


«La nutrice della principessa della China aveva un figliuolo chiamato Marzavan, fratello di latte della principessa, che aveva nutrito ed allevato con lei. L’amicizia loro era stata sì grande durante la fanciullezza per tutto il tempo che vissero insieme, che [p. 296 modifica]trattavansi come fratello e sorella, anche dopo che la loro alquanto avanzata età n’ebbe necessitata la separazione.

Fra le varie scienze, onde aveva Marzavan coltivato l’intelletto fin dalla più tenera giovinezza, la sua inclinazione avevalo portato specialmente allo studio dell’astrologia giudiziaria, della geomanzia (1) ed altre scienze occulte, e vi si era reso abilissimo. Non contento delle cose imparate da’ suoi maestri, erasi messo a viaggiare appena si sentì la forza di poterne sopportare le fatiche. Non esisteva uomo celebre in veruna scienza od in verun’arte, ch’ei non fosse andato a visitare nelle città più remote, e cui non avesse frequentato tempo bastante per far tesoro di tutte le cognizioni che gli convenivano.

«Dopo un’assenza di parecchi anni, tornò in fine Marzavan alla capitale della China; e le teste tagliate e disposte in ordine che vide sulla porta per cui entrò, lo sorpresero all’estremo; appena entrato in casa sua, domandò per qual motivo vi fossero; e sopr’ogni altra cosa informossi della principessa, sua sorella di latte, che non aveva dimenticata. Siccome non si potè soddisfarlo sulla prima domanda senza comprendervi la seconda, seppe, con molto dolore, parte di quanto desiderava, aspettando che sua madre, nutrice della principessa, glie ne dicesse di più....»

Scheherazade mise in questo luogo fine al discorso per quella notte. E la seguente ripigliò in codesti sensi: [p. 297 modifica]


NOTTE CCXIX


— Sire, benchè la nutrice, madre di Marzavan, fosse assai occupata presso la principessa della China, non ebbe però tosto saputo che il suo caro figliuolo era di ritorno, che trovò il tempo d’uscire, di correre ad abbracciarlo, e conversar qualche momento con lui. Quand’essa gli ebbe raccontato, colle lagrime agli occhi, lo stato compassionevole in cui trovavasi la giovane, ed il motivo pel quale il re della China la trattava in quel modo, Marzavan le chiese, se non potesse procurargli il mezzo di vederla in segreto, senza che il re lo sapesse. Pensato che v’ebbe la donna alcun poco: — Figliuolo,» gli disse, «non posso al presente dirvi nulla su tal proposito; ma aspettatemi domani alla medesima ora, che vi darò la risposta. —

«Siccome, oltre la madre di Marzavan, niuno poteva avvicinarsi alla principessa se non col permesso dell’eunuco che comandava alla guardia della porta, la nutrice, la quale sapeva com’ei fosse da poco entrato nel servizio, ed ignorasse ciò ch’era per lo innanzi accaduto alla corte del re della China, si diresse a lui. — Voi sapete,» gli disse, «ch’io ho allattata la principessa nostra padrona; ma non sapete forse però che l’ho allevata insieme ad una figlia della medesima età, che aveva allora, e che ho maritata da poco tempo. La principessa, che le fa l’onore d’amarla sempre, vorrebbe vederla; ma desidera che ciò avvenga senza che alcuno la vegga entrare, nè uscire. —

«Voleva la nutrice continuar a parlare; ma l’eunuco la interruppe. — Basta così,» le disse; «farò sempre con piacere tutto ciò che sarà in poter mio per [p. 298 modifica]soddisfare la principessa: fate venire, oppure andate a prendere in persona vostra figlia sul far della notte, e conducetela quando il re si sarà ritirato: la porta le verrà aperta. —

«Giunta la notte, andò la nutrice a trovare suo figlio Marzavan. Lo travestì essa medesima da donna, in modo che niuno avrebbe potuto accorgersi essere un uomo, e lo condusse con lei. L’eunuco, il quale non dubitava che l’altra non fosse sua figliuola, aprì loro la porta, e le lasciò entrare insieme.

«Prima di presentare Marzavan, la nutrice si avvicinò alla principessa, e: — Signora,» le disse, «quella che vedete non è una donna: è mio figlio Marzavan, arrivato, non ha guari, da’ suoi viaggi, che ho trovato il mezzo di far entrare mediante questo travestimento. Spero che vorrete permettergli d’aver l’onore di presentarvi i suoi rispetti. —

«Al nome di Marzavan, la principessa esternò molto giubilo. — Accostatevi, fratello,» disse subito Marzavan, «e levatevi quel velo: non è vietato a due germani di vedersi a viso scoperto. —

«Marzavan la salutò con profondo rispetto; ma senza dargli tempo di parlare: — Son lieta,» continuò la principessa, «di rivedervi in ottima salute, dopo tanti anni di lontananza, senza avere scritta una sola parola di vostre nuove neppure alla vostra buona madre.»

«— Principessa,» rispose Marzavan, «vi sono infinitamente grato della vostra bontà. Io mi attendeva di udirne, al mio arrivo, delle vostre assei migliori di quelle onde fui informato, e di cui son testimonio con tutto l’immaginabile dolore. Tuttavia, sono ben contento d’essere giunto abbastanza in tempo per recarvi, dopo tanti altri che non vi sono riusciti, la guarigione della quale avete bisogno. Quando non ricavassi da’ miei viaggi altro frutto fuor di questo, [p. 299 modifica]non lascerei dallo stimarmene ricompensato a sufficienza. —

«Terminando queste parole, Marzavan cavò fuori un libro ed altre cose delle quali si era munite, e che aveva credute necessarie, dietro il rapporto, fattogli dalla madre sulla malattia della principessa. Questa, vedendo tutto quell’apparato: — Come! fratello,» sclamò, «siete dunque anche voi di quelli che s’immaginano ch’io sia pazza? Disingannatevi, e datemi ascolto. —

«La principessa raccontò quindi a Marzavan tutta la sua storia, senza dimenticare le minime circostanze, e fin l’anello cangiato col suo, che gli fece vedere. — Io non v’ho nulla travisato,» soggiunse, «intuito ciò che udiste. È vero che ci trovo qualche cosa cui non giungo a comprendere, e la quale fa credere ch’io non sia nel mio buon senso, ma non si bada al resto, che sta tal quale lo dico. —

«Quando la principessa ebbe finito di parlare, Marzavan, pieno d’ammirazione e di stupore, stette alcun tempo cogli occhi bassi senza dir motto. Infine, alzò la testa, e pigliando la parola: — Principessa,» disse, «se ciò che mi raccontaste è vero, come ne son persuaso, io non dispero di procurarvi la soddisfazione che desiderate. Vi supplico soltanto di pazientare per qualche tempo ancora, finchè abbia percorso alcuni regni, a’ quali non mi sono peranco avvicinato; e quando avrete saputo il mio ritorno, assicuratevi che quegli pel quale sospirate con tanta passione, non sarà da voi lontano.» Ciò detto, prese congedo dalla principessa, e partì subito il giorno dopo.

«Viaggiò Marzavan di città in città, di provincia in provincia; e d’isola in isola; ed in ciascun luogo ove arrivava, non sentiva parlare se non della principessa Badura (così chiamavasi la principessa della China) e della sua storia.

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«In capo a quattro mesi, il nostro viaggiatore arrivò a Torf, città marittima, grande e popolata, dove non udì più parlare della principessa Badura, ma bensì del principe Camaralzaman, che dicevasi ammalato, e del quale raccontavasi la storia simile all’incirca a quella della principessa Badura. Marzavan ne provò una gioia da non potersi esprimere; informatosi in qual luogo del mondo fosse quel principe, gli fu questo insegnato.

«Eranvi due strade per recarvisi, una per terra e per mare; l’altra per mare soltanto, ch’era la più breve; scelta questa, Marzavan s’imbarcò sur un legno mercantile che fece felice viaggio fino alla vista della capitale del regno di Schahzaman. Ma prima di entrare in porto, il vascello urto sgraziatamente contro uno scoglio per l’incapacità del pilota; e sfasciatosi, si affondò in vista e poco lontano dal castello dove stava il principe Camaralzaman, ed in cui il re suo padre, Schahzaman, trovavasi allora col suo gran visir.

«Marzavan sapeva nuotare ottimamente; non esitò a gettarsi in mare, e andò ad approdare appiè del castello del re Schahzaman, dove fu ricevuto e soccorso per ordine del gran visir, secondo l’intenzione del re. Gli si diede un abito per cangiarsi, fu trattato bene, e quando s’ebbe riposato, venne condotto dal gran visir, che aveva chiesto di vederlo.

«Siccome Marzavan era un giovane di leggiadre forme e di bell’aspetto, gli fece quel ministro, ricevendolo, buona accoglienza, e concepì grandissima stima della di lui persona per le sue risposte pronte e piene di spirito a tutte le domande che gli andava facendo; inoltre si avvide insensibilmente che possedeva mille belle cognizioni. Tale scoperta lo spinse a dirgli:

«— All’udirvi, comprendo che non siete un uomo comune. Volesse Iddio che ne’ vostri viaggi aveste [p. 301 modifica]imparato qualche segreto capace di guarire un infermo, che da molto tempo tiene questa corte in grande afflizione! —

«Marzavan rispose, che ove fossegli nota la malattia della quale era attaccata quella persona, forse vi troverebbe rimedio. Allora il gran visir gli raccontò lo stato in cui trovavasi il principe Camaralzaman, prendendo le cose fin dall’origine; non gli nascose nulla della sua nascita tanto bramata, dell’educazione sua, del desiderio del re Schahzaman d’indurlo per tempo al matrimonio, della resistenza del principe, e della sua straordinaria avversione per quel nodo; della disobbedienza sua in pieno consiglio, della sua prigionia, delle sue pretese stravaganze in prigione, ch’eransi cangiate in una passione violenta per una dama sconosciuta, che non aveva altro fondamento fuor d’un anello cui il principe pretendeva esser quello di codesta dama, la quale forse non esisteva nemmeno.

«Non è a dire se Marzavan, a quel discorso del gran visir, si rallegrasse infinitamente perchè, nella disgrazia del suo naufragio, fosse così felicemente arrivato nel luogo in cui esisteva l’uomo che da tanto tempo cercava. Conobbe, da non poterne dubitare, che il principe Camaralzaman era quello del quale la principessa della China ardeva d’amore, e che questa era l’oggetto de’ fervidi voti del giovane. Non se ne esternò peraltro col gran visir; e gli disse soltanto che, se vedesse il principe, giudicherebbe meglio del soccorso che potevagli recare. — Seguitemi,» gli disse il gran visir; «troverete presso di lui il re, il quale mi ha già accennato di volervi vedere. —

«La prima cosa da cui fu colpito Marzavan entrando nella camera del principe, fu di vederlo in letto, languente e cogli occhi chiusi. Benchè fosse in quello stato, senza aver riguardo al re [p. 302 modifica]Schahzaman, padre del principe, che gli stava seduto vicino, nè al principe, cui tanta libertà poteva incomodare, non potè trattenersi dallo sclamare: — Oh cielo! non v’ha al mondo nulla di più rassomigliante!» Voleva dire che lo trovava somigliantissimo alla principessa della China; ed infatti avevano fra loro molta somiglianza nei lineamenti.

«Tali parole del giovine naufrago posero in curiosità il principe Camaralzaman, il quale aperse gli occhi e lo guardò. Marzavan, che possedeva moltissimo spirito, approfittò dell’istante, e gli diresse i suoi complimenti in versi improvvisati, sebbene in maniera velata, a cui nè il re, nè il gran visir nulla compresero. Gli dipinse tanto bene ciò ch’eragii accaduto colla principessa della China, che non gli diè campo a dubitare ch’ei non la conoscesse, e non potesse dargliene notizia. Ne provò alla prima tal giubilo, che lo lasciò trasparire con più segni negli occhi e sul volto.....»

La sultana Scheherazade non ebbe tempo di dir altro per quella notte; il sultano però le diede il permesso di riprendere alla mattina seguente la sua narrazione, in questo modo:


NOTTE CCXX


— Sire, quando Marzavan ebbe finito il suo complimento in versi, che sorprese sì piacevolmente il principe Camaralzaman, si prese questi la libertà di far cenno colla mano al re suo padre che volesse levarsi dal suo posto, e permettere vi si collocasse invece lo straniero.

«Il re, lieto al vedere nel principe suo figliuolo un cangiamento che gli dava buona speranza, si alzò, [p. 303 modifica]prese Marzavan per mano, e costrinselo a sedere nel luogo stesso da cui erasi egli medesimo levato. Chiestogli poi chi fosse e d’onde venisse dopo che lo straniero gli ebbe risposto d’essere suddito del re della China, e di venire da quegli stati: — Dio voglia,» disse, «che possiate guarire mio figlio dalla sua melanconia; ve ne sarò infinitamente obbligato, ed i contrassegni della mia gratitudine useranno tanto luminosi, che tutta la terra conoscerà non esservi stato: mai servigio meglio ricompensato.» Così detto, lasciò il principe suo figliuolo in libertà d’intertenersi con Marzavan, mentre egli rallegravasi col suo gran visir d’un sì felice incontro.

«Si accostò il giovane naufrago all’orecchio di Camaralzaman, e parlandogli sotto voce: — Principe,» gli disse, «è ormai tempo che cessiate dall’affliggervi sì crudelmente. Nota mi è la dama per la quale tanto soffrite: è la principessa Badura, figlia del re della China che si chiama Gaiur. Posso assicurarvelo per quanto mi ha ella medesima detto della sua avventura, e da ciò che intesi della vostra: la principessa non soffre meno per amor vostro, di quello che voi soffriate per suo amore.» Gli fece quindi il racconto di tutto ciò che sapeva della storia della principessa dopo la fatal notte, in cui si erano in modo tanto incredibile veduti; nè dimenticò il trattamento che il re della China faceva a chi intraprendesse indarno di guarire la principessa Badura dalla sua pretesa follia. — Voi siete il solo,» conchiuse, «che possiate guarirla perfettamente, e presentarvi perciò senza timore. Ma prima d’intraprendere sì lungo viaggio, bisogna che vi ristabiliate bene, ed allora prenderemo le necessarie misure. Pensate dunque senza ritardo al ristabilimento della vostra salute. —

«Potentissimo fu l’effetto del discorso di Marzavan; il principe Camaralzaman ne fu talmente [p. 304 modifica]sollevato per la speranza concepita, che si sentì bastante forza per alzarsi, e pregò il re suo padre di permettergli di vestirsi, con una cert’aria che gli cagionò inesprimihile contento.

«Il re si strinse al cuore Marzavan per ringraziarlo, senza informarsi del mezzo, ond’erasi servito per produrre sì maraviglioso effetto, ed uscì tosto dalla camera del principe col suo gran visir per pubblicare la grata novella. Ordinò feste per più giorni; fece largizioni ai suoi ufficiali ed al popolo, limosine ai poveri, e porre in libertà tutti i carcerati. Tutto risuonava in fine di gioia e d’allegrezza nella capitale, e tra poco in tutti gli stati del re Schahzaman.

«Il principe Camaralzaman, estremamente estenuato dalle veglie continue, e per lunga astinenza da quasi ogni sorta d’alimenti, ebbe in breve ricuperata la primiera salute, e sentendosi in forza sufficiente di sopportare le fatiche d’un viaggio, prese il suo salvatore in disparte, e gli disse: — Caro Marzavan, è tempo di eseguire la promessa che mi faceste. Nell’impazienza, in cui sono, di vedere l’amabile principessa, por termine ai singolari tormenti che soffre per amor mio, sento che ricadrei nel medesimo stato, in cui mi vedeste, se non partissimo incontanente. Una cosa m’affligge, e me ne fa temere il ritardo; è questa la tenerezza importuna del re mio padre, che non potrà mai risolversi ad accordarmi il permesso d’allontanarmi da lui. Ciò sarà per me una desolazione, se non trovate il mezzo di rimediarvi: voi pure vedete ch’egli non mi perde quasi mai di vista.» Non potè il principe, terminando queste parole, frenare le lagrime.

«— Principe,» ripigliò Marzavan, «ho già preveduto il grave ostacolo del quale mi parlate; ma sta in me a far in modo che desso non ci trattenga. Il primo scopo del mio viaggio fu di procurare alla [p. 305 modifica]principessa della China la liberazione dai suoi mali, e ciò per tutte le ragioni della reciproca amicizia, colla quale ci amiamo fin quasi dalla nascita, dello zelo e dell’affetto che d’altronde le debbo. Mancherei al mio dovere se non ne approfittassi per sua consolazione e nel medesimo tempo per la vostra, e se non vi adoperassi tutta la destrezza della quale son capace. Ecco pertanto che cosa ho immaginato per togliere la difficoltà di ottenere il permesso del re vostro padre, come entrambi lo desideriamo. Dacchè io sono arrivato, voi non siete ancora uscito di casa; esternato il desiderio di prender aria, e domandategli licenza di fare una partita di caccia di due o tre giorni con me: non v’ha apparenza alcuna che voglia ricusarvela. Quando ve l’avrà accordata, darete ordine di tenerci pronti un paio di buoni cavalli per cadauno, uno da montare, l’altro per ricambio; e circa al resto lasciate fare a me. —

«Il giorno dopo, il principe Camaralzaman, colto l’opportuno momento, espose al re suo padre il gran desiderio che aveva di prendere un po’ d’aria, e lo pregò di permettergli che andasse a caccia qualche giorno con Marzavan. — Ve l’accordo,» gli disse il re, «ma a condizione però che non dormirete fuori più d’una notte. Troppa fatica sul principio potrebbe nuocervi, ed un’assenza più lunga assai mi spiacerebbe.» Comandò quindi il re che gli fossero scelti i migliori cavalli, e volle in persona assistere ai preparativi di partenza, acciò nulla gli mancasse. Quando tutto fu pronto, lo abbracciò, e raccomandato a Marzavan di prenderne tutte le cure, lo lasciò partire.

«Il principe Camaralzaman e Marzavan entrarono in campagna; e per divertire i due palafrenieri che conducevano i cavalli di ricambio, finsero di cacciare, e si allontanarono dalla città per quanto fu loro possibile. Sull’imbrunire, fermaronsi in un [p. 306 modifica]caravanserraglio, dove cenarono, e dormirono fin verso mezzanotte. Allora Marzavan, svegliatosi pel primo, destò pure il principe, lasciando quieti i servitori, e lo pregò di dargli il suo abito e prenderne un altro, che un palafreniere aveva portato. Montarono ambedue sui destrieri di ricambio che vennero loro condotti; e quando Marzavan ebbe preso un cavallo dei palafrenieri per la briglia, si posero in viaggio, correndo a spronbattuto.

«Allo spuntare del giorno, due cavalieri trovaronsi in una selva, in un sito ove la strada dividevasi in quattro. Quivi Marzavan pregò il principe di aspettarlo un momento; ed entrato nella foresta, vi scannò il cavallo del palafreniere, lacerò l’abito che il principe aveva spogliato, lo tinse di sangue, e raggiunto il giovine, lo gettò in mezzo alla strada là dove si divideva.

«Il principe Camaralzaman chiese a Marzavan quale fosse il suo pensiero, e questi rispose: — Principe, appena il re vostro padre vedrà stasera che voi non tornate, oppure avrà udito dai palafrenieri che noi siamo partiti senza di loro mentre dormivano, non mancherà di mandar emissari ad inseguirci. Quelli che verranno da questa parte, trovando quest’abito insanguinato, non dubiteranno che qualche fiera non vi abbia divorato, e ch’io non sia fuggito per timore della sua collera. Il re, che non vi crederà più al mondo, dietro il loro rapporto, cesserà necessariamente da ogni ricerca, e ci lascerà tempo di continuare il nostro viaggio senza tema d’essere inquietati. La precauzione in vero è un po’ violenta, dando così d’improvviso la crudel nuova della morte del figlio ad un padre che l’ama con tal passione; ma la gioia del re vostro padre sarà tanto più maggiore quando vi saprà vivo e contento. — Bravo Marzavan,» ripigliò Camaralzaman, «non posso se [p. 307 modifica]non approvare uno strattagemma sì ingegnoso, ed io vi debbo così una nuova obbligazione. —

«Il principe e Marzavan, muniti di buone gioie per le spese, continuarono il viaggio per terra e per mare, ed altro ostacolo non trovarono fuor di quello della lunghezza del tempo, che fu d’uopo impiegare. Giunsero finalmente alla capitale della China, dove Marzavan, invece di condurre il principe in casa propria, lo fece smontare ad un pubblico alloggio di forestieri, nel quale si fermarono tre giorni per rimettersi dalle fatiche del viaggio; Marzavan, in questo intervallo, fece fare un abito di astrologo per travestire Cameralzaman. Passati i tre giorni, andarono insieme al bagno, ove Marzavan disse al principe di vestirsi dell’abbigliamento d’astrologo, ed uscendo di là, lo condusse fino in vista del palazzo del re della China, ed ivi lasciollo per andar ad avvertire sua madre, nutrice della principessa Badura, del proprio arrivo, affinchè ne avvisasse quest’ultima…»

Stava la sultana Scheherazade profferendo queste ultime parole, quando vide che il giorno cominciava ad apparire; allora cessò ella subito dal racconto; ma proseguendo la notte seguente, disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCXXI


— Sire, il principe Camaralzaman, istruito da Marzavan di ciò che doveva fare, e munito di quanto conveniva ad un astrologo, col suo vestiario, si avanzò fino alla porta del palazzo del re della China; e colà fermatosi, gridò ad alta voce, alla presenza delle guardie e dei custodi: — Io sono astrologo, e vengo ad apportar la guarigione alla rispettabile [p. 308 modifica]principessa Badura, figlia dell’alto e potente monarca Gaiur, re della China, alle condizioni da sua maestà proposte, di spostarla se riesco, o perdere, nel caso contrario, la vita. —

«Oltre alle guardie ed ai custodi del re, fece la novità adunare in un istante molta gente intorno al principe Camaralzaman; in fatti da gran tempo non erasi più presentato nè medico, nè astrologo, nè mago, dopo tanti tragici esempi di quelli, i quali avevano fallito nella loro intrapresa. Credevasi che non ne esistessero più al mondo, o almeno che più non se ne trovassero di tanto insensati per tentarla.

«Al vedere il bell’aspetto del principe, l’aria sua nobile, e la grande gioventù che traspariva dal suo volto, non vi fu chi non ne avesse compassione. — A che mai pensate, signore?» gli dissero quelli che gli si trovavano più vicini. «Qual è il vostro furore di esporre di tal guisa a certa morte una vita che dà si belle speranze? Le teste troncate che vedeste sulle porte non vi destarono orrore? In nome di Dio, abbandonate questa disperata idea, e ritiratevi. —

«A tali rimostranze, il principe Cameralzaman rimase fermo; e invece di ascoltare gli arringatori, vedendo che niuno veniva ad introdurlo, ripetè il medesimo grido con una sicurezza che li fece fremer tutti; ed ognuno allora sclamò: — Egli è risoluto di morire; Dio abbia pietà della sua gioventù e dell’anima sua.» Gridò per la terza volta, e finalmente il gran visir venne a prenderlo in persona per parte del re della China.

«Questo ministro condusse Camaralzaman davanti al re; non l’ebbe il principe appena veduto sul trono, che si prosternò e baciò a lui davanti la terra. Il re, il quale, fra tutti coloro cui una smisurata presunzione aveva eccitati a portare le proprie teste ai suoi piedi, non aveane ancor visto alcuno [p. 309 modifica]degno di fermarvi sopra gli occhi, sentì una vera compassione per Camaralzaman, riguardo al pericolo al quale si esponeva. Gli fece quindi maggior onore, e volle che si avvicinasse, e sedessegli accanto. — Giovane,» gli disse, «non posso credere che alla vostra età abbiate acquistata sperienza bastante per osar d’intraprendere la guarigione di mia figlia. Vorrei vi poteste riuscire; chè allora ve la darei in matrimonio senza ripugnanza non solo, ma benanco colla maggior gioia, invece che con molto cordoglio data io l’avrei a qualcuno degli altri venuti prima di voi. Ma vi dichiaro, con molto dolore, che, se fallite, la vostra gioventù; e l’aria vostra di nobiltà, non m’impediranno di farvi tagliare il capo.

«— Sire,» rispose Camaralzaman, «rendo grazie infinite alla maestà vostra dell’onore che mi fa, e della molta bontà che dimostra per uno sconosciuto. Io non sono venuto da un paese sì lontano, il cui solo nome non è forse neppur noto nei vostri stati, per non eseguire il disegno, che qui m’ha tratto. Cosa direbbesi della mia leggerezza, se abbandonassi una sì generosa impresa dopo tanti stenti e pericoli incontrati? Vostra maestà stessa non perderebbe ella la stima già concepita della mia persona? Se dovrò morire, o sire, morrò colla soddisfazione di non aver perduto questa stima dopo averla meritata. Vi supplico adunque di non lasciarmi più a lungo nell’impazienza di far conoscere la certezza dell’arte mia colla prova che m’accingo a darne. —

«Il re della China, ordinò dunque all’eunuco, custode della principessa Badura, che era presente, di condurre il principe Camaralzaman dalla principessa sua figliuola; ma prima di lasciarlo partire, gli disse, esser ancora in tempo d’abbandonare l’impresa. Non ascoltollo il principe, e seguì l’eunuco con ferma risoluzione, e piuttosto con sorprendente ardore.

[p. 310 modifica]«L’eunuco servì di guida a Camaralzaman, e quando furono in una lunga galleria, in capo alla quale stava l’appartamento della principessa, il giovine, il quale si vide tanto vicino all’oggetto che avevagli fatto versare infinite lagrime, e per cui cessato non aveva di sospirare da sì lungo tempo, affrettò il passo, oltrepassando l’eunuco.

«Affrettò anche questi il suo, ed ebbe fatica a raggiungerlo. — Dove andate dunque con lauta smania?» gli disse, fermandolo pel braccio. «Non potete entrare senza di me. Bisogna che abbiate gran voglia di morire per correre sì veloce incontro alla morte. Neppur uno de’ molti astrologhi da me veduti e condotti là dove non arriverete che troppo presto, ha dimostrata questa premura....

«— Amico,» rispose il principe Camaralzaman, guardando l’eunuco e regolando i propri passi su’ suoi, «egli è perchè tutti gli astrologhi de’ quali tu parli, non erano sicuri della scienza loro, com’io lo sono della mia. Sentivano la certezza di perdere la vita se non riuscissero, e non avevano alcuna speme di riuscita. Ecco perchè avevano ragione di tremare nell’avvicinarsi al luogo ov’io corro, e dove son certo di trovare la mia felicità.» Mentre diceva queste parole, giunsero alla porta. L’apri l’eunuco, ed introdusse il principe in un’ampia sala, per cui entravasi nella stanza della principessa, la quale era chiusa da una sola portiera.

«Prima di entrare, Camaralzaman si fermò, e prendendo un accento molto più basso di prima; pel timore d’essere udito dalla camera della principessa: — Per convincerti,» disse all’eunuco, «che non v’ha presunzione; nè capriccio, nè foga di gioventù nella mia intrapresa, lascio una di queste due cose alla tua scelta: preferisci tu ch’io guarisca la principessa in tua presenza, oppure da questo sito, senza andar più innanzi, nè vederla? —

[p. 311 modifica]«Rimase l’eunuco estremamente sorpreso della sicurezza, colla quale il principe gli parlava; cessò dallo schernirlo, e parlandogli seriamente: — Non importa,» gli disse, «che ciò avvenga qui o là. In qualunque maniera accada, acquisterete gloria immortale, in questa corte non solo, ma ben anco per tutta la terra abitata.

«— È dunque meglio,» ripigliò il principe, «che la guarisca senza vederla, affinchè tu renda testimonianza della mia abilità. Per quanto grande sia l’impazienza mia di vedere una principessa di sì alto lignaggio, che dev’essere mia sposa, nondimeno, in considerazione tua, voglio privarmi alcuni momenti di tal diletto.» Trovandosi munito di quanto serviva a distinguere un astrologo, cavò fuori carta e calamaio, e scrisse alla principessa della China il seguente viglietto:


Note

  1. È l’arte d’indovinare per via di punti a caso e con regole vane segnate in terra e sopra la carta, coi quali punti si descrivono certe linee, dal cui numero si traggono poi le desiderate conseguenze.