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— Ma, sire,» disse qui Scheherazade, interrompemdosi, «m’avveggo che il giorno comincia ad apparire;» e tacque. La notte seguente, ripigliando il suo racconto, disse al sultano delle Indie:
NOTTE CCXVII
— Sire, il principe Camaralzaman accolse il re suo padre nella torre, ov’era prigione, col massimo rispetto. Il re si assise, e fattosi sedere vicino il principe,» gli volse parecchie domande, alle quali rispose con molto criterio; e tratto tratto guardava il gran visir, come per dirgli non accorgersi che il principe suo figliuolo avesse perduto il cervello, com’egli ne lo aveva assicurato, e che bisognava dire avesselo perduto egli medesimo.
«Il re finalmente parlò della dama al principe. — Figliuolo,» gli disse, «vi prego di dirmi che cos’è questa dama la quale, a quanto asserite, ha dormito con voi stanotte.
«— Sire,» rispose Camaralzaman, «supplico vostra maestà di non accrescere il cordoglio che mi fu già dato a tal proposito: fatemi piuttosto la grazia di concedermela in matrimonio. Qualunque sia l’avversione che finora dimostrai per le donne, questa giovine beltà mi ha talmente affascinato, che non provo difficoltà veruna a confessarvi la mia debolezza. Son pronto a riceverla dalle vostre mani con estrema gratitudine. —
«Il re Schahzaman rimase interdetto alla risposta del principe, tanto lontana, secondo pareva, dal buon senso precedentemente dimostrato. — Figliuolo,» ripigllò egli, «voi mi tenete un discorso che m’immerge in uno sbalordimento, dal quale non so rin-