Le Allegre Femmine di Windsor/Atto quarto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO QUARTO
SCENA I.
La strada.
Entrano mistress Page, mistress Quickly e Guglielmo fanciullo.
Mis. Page. Credete voi ch’ei sia già da madonna Ford?
Quick. Certo che v’è, sebbene si mostrasse sdegnato assai del suo immollamento. Mistress Ford desidera che andiate tosto da lei.
Mis. Page. Fra poco vi andrò; volevo prima condurre il mio fanciullo a scuola: ma ecco appunto il suo maestro. (entra sir Ugo Evans) Ebbene, sir Ugo, è forse giorno di feria?
Ev. Si; messer Slender vuole che questo giorno si consacri ai giuochi.
Quick. Sia egli benedetto.
Mis. Page. Sir Ugo mio marito, dice che mio figlio non profitta nulla dei libri; vi prego di chiedergli qualche cosa.
Ev. Avvicinatevi, Guglielmo; tenete dritta la testa, avvicinatevi.
Mis. Page. Andate, andate; dritta la testa; rispondete al vostro maestro, non abbiate timore.
Ev. Guglielmo, quanti numeri vi sono nei nomi?
Gugl. Due.
Quick. Solo! credevo ve ne fossero almeno tre, perchè si suol dire...
Ev. Tacete, ciarliera. Come si dice bello, Guglielmo?
Gugl. Pulcher.
Quick. Poulcats!1 In verità, vi sono cose più belle dei Poulcats.
Ev. Siete una sciocca, e vi prego di tacere. Che cosa vuol dir lapis, Guglielmo?
Gugl. Pietra.
Ev. E che cosa è una pietra, Guglielmo?
Gugl. Un sasso.
Ev. No; è un lapis; vi prego di rammentarlo.
Gugl. Lapis.
Ev. Così va bene. Chi è che presta l’articolo?
Gugl. Il pronome che si declina in qnesto modo: singulariter nominativo hic, hæc, hoc.
Ev. Nominativo, hic, hæc, hoc; vi prego di osservare: genitivo hujus; or qual è l’accusativo?
Gugl. L’accnsativo hinc.
Ev. Abbiate maggior memoria, ve ne supplico, fanciullo, accusativo hinc, hanc, hoc.
Quick. Hang hog è latino da pizzicagnoli, ve ne fo fede2.
Ev. Lasciate le vostre ciancie, donna. Come fa il vocativo, Guglielmo?
Gugl. O... vocativo o.
Ev. Ricordatevi bene, Guglielmo, che il vocativo è caret3.
Quick. Ottima radice.
Ev. Tacete, sciocca.
Mis. Page. Tacete.
Ev. Qual è il genitivo plurale, Guglielmo?
Gugl. Genitive, case?
Ev. Sì.
Gugl. Genitive... horum, harum, horum.
Quick. Onta alla casa di Gentì, vergogna alla sua donna! Non la nominate mai più, fanciullo, se è una meretrice4.
Ev. Vergogna, vergogna, Quickly.
Quick. Fate male ad insegnare ai fanciulli tali parole Whorewhore'; orrore, orrore!
Ev. Impazzisci, donna? Non hai tu nessun intendimento pei casi e i numeri dei generi? Tu sei la più sciocca femmina che uomo possa immaginare.
Mis. Page. Te ne prego, taci.
Ev. Dimmi ora, Guglielmo, qualche declinazione dei pronomi.
Gugl. In verità, le ho dimenticate.
Ev. Sono qui, quæ, quod; se dimenticate i quis, i quies e i quods non diverrete mai gran latinista. Andate.
Mis. Page. È miglior scolaro che non credevo.
Ev. È dotato di assai buona memoria. Addio, mistress Page.
Mis. Page. Addio, buon sir Ugo. — Andiamo a casa, fanciullo. Indugiammo anche troppo. (escono)
SCENA II.
Una stanza nella casa di Ford.
Entrano Falstaff e mistress Ford.
Fal. Mìstrees Ford, il vostro dolore ha cancellata la memoria d’ogni mio patimento. Teneramente mi amate, lo veggo, ed io fo voto di ricambiarvi d’eguale affetto. Ma siete voi ora sicura di vostro marito?
Mis. Ford. Egli è a caccia, dolce sir Giovanni.
Mis. Page. (dal di dentro) Olà, comare Ford! olà!
Mis. Ford. Entrate in quella stanza, buon cavaliere. (Fal. esce; entra mistress Page)
Mis. Page Come state, amica? chi è qui in casa con voi?
Mis. Ford. Nessuno, tranne i miei domestici.
Mis. Page. Veramente?
Mis. Ford. Sì certo. — Parlate più forte. (a parte)
Mis. Page Ne son lieta; godo che nessuno sia qui.
Mis. Ford. Perchè?
Mis. Page. Perchè vostro marito è in uno dei suoi impeti; ei sta col mio sposo e schernisce tutti gli uomini ammogliati: maledica tutte le figlie d’Eva quali che siano; si tocca la fronte, gridando: ahi quali escrescenze! è in tale stato infine che ogni frenetico veduto da me, non sarebbe in suo paragone che un nomo mite e paziente: ho piacere che il pingue cavaliere non sia qui.
Mis. Ford. Parla forse mio marito di lui?
Mis. Page Di niuno, fuorchè di lui: e giura che l’altra volta venne trafugato entro un cesto; protesta che adesso è qui; ed ha chiamato di nuovo la sua brigata per venirlo ad avverare; onde godo che il cavaliere non vi sia; così egli conoscerà la propria stoltezza.
Mis. Ford. A qual distanza è mio marito, mistress Page?
Mis. Page. Vicino, vicino; all’angolo della via; sarà qui a momenti.
Mis. Ford. Oh me perduta!... Il cavaliere è qui.
Mis. Page. Voi dunque siete disonorata ed egli morto. Qual donna siete voi?... Via, via, ch’ei fugga; meglio, il disonore che la morte.
Mis. Ford. Per qual via dovrebbe andare? come lo nasconderò? Lo farò entrar di nuovo nel cesto? (entra Falstaff)
Fal. No, non andrò più nel cesto: non posso io uscire, anzichè ei venga?
Mis. Page. Oimè! tre dei fratelli di messer Ford, armati dì pistole, stan di guardia alle porte; senza di ciò avreste potuto fuggire prima ch’ei giungesse. Ma che fate voi qui?
Fal. Che potrei io fare? M’arrampicherò sul caminetto.
Mis. Ford. È là che sogliono scaricare i loro archibusi quando tornano da caccia. Appiattatevi piuttosto nel forno.
Fal. Dov’è?
Mis. Ford. No, egli vi troverebbe anche ivi; non v’è in casa volta, baule, armadio, pozzo, luogo di ritiro ch’egli non conosca, e non visiti allorchè ha qualche sospetto. È impossibile nascondervi in casa.
Fal. Dunque andrò fuori.
Mis. Page. Se escite sotto le vostre sembianze, morirete, sir Giovanni. Travestitevi...
Mis. Page. Come potremo noi travestirlo?
Mis. Page. Oimè! nol so, non v’è veste da donna abbastanza larga per lui; altrimenti ei potrebbe fuggire sotto abbigliamento muliebre.
Fal. Buoni cuori, imaginate qualche cosa; ogni estremità piuttosto che un omicidio.
Mis. Ford. La zia della mia fante, la pingue femmina di Brentford, lasciò una veste di sopra.
Mis. Page. Sulla mia parola, gli servirà; la è adiposa come lui, e v’è di più il suo cappello e la sua pezzuola. — Correte su, sir Giovanni.
Mis. Ford. Ite, ite, amabile sir Giovanni: mistress Page ed io troveremo qualche adornamento per la vostra testa.
Mis. Page. Presto, presto; vi acconcieremo in un volger d’occhi: mettete i intanto la veste. (Fal. esce)
Mis. Ford. Vorrei che mio marito lo incontrasse così trasfigurato; ei non può patire quella vecchia di Brentford; giura ch’è una strega, e le ha inibita la mia casa, minacciando di batterla.
Mis. Page. Il Cielo lo guidi sotto la verga di tuo marito, e il diavolo poscia amministri i colpi.
Mis. Ford. Ma vien egli davvero?
Mis. Page. Sì, in verità; e parla anche del cesto, quantunque ignori come l’abbia saputo.
Mis. Ford. Lo scopriremo; intanto vuo’ farlo portar di nuovo ond’ei lo incontri alla porta come l’ultima volta.
Mis. Page. Ma sarà qui in un istante corriamo a vestire Falstaff come la strega di Brentford.
Mis. Ford. Prima vuo’ dar gli ordini a’ miei domestici rispetto al cesto. Salite, verrò da voi fra poco. (esce)
Mis. Page. Sia appeso l’infame; di lui non potremo mai divertirci troppo. Daremo prova con quello che stiamo per fare, che le donne possono essere in pari tempo allegre e virtuose. Noi non facciam sempre quello che ne suole piacere; ed è vecchio, ma vero quel proverbio che dice: l’acqua che dorme è la più pericolosa. (esce; rientra mistress Ford con due domestici)
Mis. Ford. Ite, amici, prendete di nuovo il cesto in spalla; il vostro padrone è alla porta; s’ei vi comanda di deporlo, obbeditegli: presto, presto. (esce)
1° Dom. Vieni, vieni, alza.
2° Dom. Prego il Cielo che non sia pieno anche questa volta di cavalieri.
1° Dom. Spero di no; porterei più volentieri una mole di piombo.
(entrano Ford, Page, Shallow, Cajus e sir Ugo Evans).
Ford. Si, ma se la prova è vera, messer Page, potrete voi togliermi la nota di pazzo che mi deste?... deponete quel cesto, scellerati. — Si chiami mia moglie. — Voi che vi ascondete qua entro, escite! — Oh mezzani infami, tramaste una lega, una cospirazione contro di me: ma il diavolo solo ne avrà la vergogna. Che! Moglie, dico! Esci, esci; mira quali oneste lenzuola tu mandi all’imbiancatrice.
Pag. Ciò passa i limiti, messer Ford. Non convien che andiate più oltre; sarete beffato.
Ev. Costui è pazzo! frenetico come un cane idrofobo.
Shall. In verità, messer Ford, questo non istà bene. (entra mistress Ford)
Ford. Così dico anch’io, signore. — Avvicinatevi, mistress Ford. donna onesta; modesta moglie, virtuosa creatura che ha un pazzo geloso per marito! Io sospetto senza ragione, non è vero, mistress?
Mis. Ford. Il Cielo mi è testimonio che è così, se pur mi sospettate di qualche cosa disonesta.
Ford. Ben detto, fronte di bronzo; mantieni se lo puoi questo tuono. — (apre il cesto, e strappa con impeto le biancherie) Esci, scellerato.
Pag. Ciò va troppo oltre.
Mis. Ford. Non arrossite? Prorompete in tali escandescenze?
Ford. Vi rivedrò frappoco.
Ev. Tal cosa è irragionevole! Volete calpestare le biancherie di vostra moglie? Via, via.
Ford. Vuotate il cesto, dico.
Mis. Ford. Perchè, perchè?
Ford. Messer Page, quant’è vero che sono un uomo, un cavaliere fu trasportato ieri fuori di mia casa entro questo cesto. Perchè non potrebbe esservi di nuovO? Io sono sicuro che è in mia casa: la mia intelligenza è infallibile; giusta la mia gelosia: cacciate fuori tutti questi cenci.
Mis. Ford. Se qui fosse stato un uomo egli sarebbe morto della morte delle mosche.
Page. Non v’è alcuno.
Shall. Per la mia fedeltà, ciò non è bene, messer Ford; tal cosa vi fa vergogna.
Ev. Messer Ford, dovreste pagare senza seguir altro le imaginazioni del vostro cervello: codeste son gelosie.
Ford. Bene, se non è qui lo troverò altrove.
Pag. Ei non esiste fuorchè nel vostro cervello.
Ford. Aiutatemi a visitar la casa anche questa sola volta; se non rinvengo quello che cerco, non alleviate i miei torti; fate di me soggetto eterno di risa; lasciate che si dica volgarmente geloso come Ford, che spaccò una noce per vedere se l’amante di sua mogìie vi si nascondeva dentro; compiacetemi anche questa volta; anche per questa volta cercate con me.
Mis. Ford. (chiamando) Mistress Page! Venite giù colla vecchia, mio marito vuol visitare le stanze.
Ford. La vecchia! Qual vecchia?
Mis. Ford. Ah! è la zia della mia fantesca di Brentford.
Ford. La strega, la megera immonda, la maledetta strega! Non le ho io tolto l’accesso in mia casa? Ella venne con qualche messaggio, non è vero? Poveri mariti! come semplici siamo! Noi non sappiamo tutto quello che accade, grazie alla professione di coteste zingane. Costei co’ suoi filtri e prestigii ne accieca, onde nulla ne conosciamo. — Discendi, strega infernale; discendi, infame strega! Infame strega, dico.
Mis. Ford. No, buon marito, fermatevi.. Onesti signori, impeditegli di percuotere la povera vecchia. (entra Falstaff vestito da vecchia e condotto da mistress Page)
Mis. Page. Venite, madre Prat, venite, datemi la vostra mano.
Ford. Io l’acconcierò: esci dalla mia porta, infame ( battendola), esci, vecchio serpe, carcame immondo, oggetto d’orrore! Fuori, fuori, io ti esorcizio così. (Fal. esce)
Mis. Page. Non arrossite? Credo che abbiate ucciso quella povera donna.
Mis. Ford. Io pure lo credo: oh! ciò vi farà onore.
Ford. Sia appiccata la strega!
Ev. In verità, io anche penso che colei sia davvero una strega: non mi piace che le donne abbiano una gran barba; e vidi che essa ne aveva una lunghissima sotto il cappello.
Ford. Mi volete seguire, gentiluomini? Vi supplico di seguirmi; vedete solo l’esito della mia gelosia: se riesce vana ogni perlustrazione, non abbiate mai più fede in me.
Pag. Compiaciamo anche per una volta il suo umore. Venite, signori. (esce con Ford, Shall., e Evans)
Mis. Page. Credetemi, ei lo battè con molta carità.
Mis. Ford. No, per la messa! ciò non fece; mi parre che lo battesse spietatamente.
Mis. Page. Vuo’ avere quel bastone santo per sospenderlo agli altari; esso ha fatto un’opera pia.
Mis. Ford. Che ne pensate ora voi? Possiamo, coi riguardi dovuti al nostro sesso, e senza ledere la coscienza, meditare altra vendetta contro Falstaff?
Mis. Page. Lo spirito di libertinaggio deve certamente essergli escito di corpo: e a meno che il diavolo non lo infiammi coi suoi mantici, credo che non vorrà più attentare al nostro onore.
Mis. Ford. Diremo ai nostri mariti in qual guisa l’abbiamo conciato?
Mis. Page. Certo, non fosse per altro che per distruggere i sospetti che il vostro ha concepiti. Se essi crederanno che il povero cavaliere non sia stato ancora punito abbastanza, continueremo ad essere le ministre dei loro rancori.
Mis. Ford. Sicuro, vorranno ch’ei sia pubblicamente svergognato: e a me pure sembra che la sua follia non avrà fine finchè a tutti non si renda manifesta.
Mis. Page. Andiamo ad inventare adunque qualch’altra cosa: non lasciamo raffreddare il ferro, finchè è caldo. (escono)
SCENA III.
Una stanza nell’albergo della Giarrettiera.
Entrano l’Oste e Bardolfo.
Bard. I Tedeschi desiderano tre de’ vostri cavalli: il duca stesso verrà dimani a Corte, ed essi vanno ad incontrarlo.
Ost. Che duca è questo che viaggia con tanta segretezza? Non udii parlare di lui: vuo’ intendere questi gentiluomini; conoscono l’inglese?
Bard. Sì, corro a chiamarla.
Ost. Avranno i miei cavalli, ma li pagheran bene: è una settimana che mi empiono la casa; e per essi non ho potuto dar incetto ad altri ospiti: il computo sarà glorioso. Vieni con me. (escono)
SCENA IV.
Una stanza nella casa di Ford.
Entrano Page, Ford, mistress Page, mistress Ford, e sir Ugo Evans.
Ev. È una delle migliori donne ch’io abbia mai conosciuto.
Pag. E vi mandò in pari tempo questa lettera ad entrambe?
Mis. Page. Nel medesimo quarto d’ora.
Ford. Perdona, mia sposa: di qui innanzi voglio piuttosto sospettare il sole di freddezza, che te d’infedeltà: ora la certezza del tuo onore è fatta in me sì salda, che lo saprei difendere fino alla morte.
Pag. Sta bene, sta bene; non più. Non siate ora così eccedente in proteste quanto lo eravate in offese. Pensiamo alla nostra trama. Le nostre mogli propongono d’invitare il vecchio pazzo a un ultimo colloquio. Se egli è tanto stolto da arrendervisi, in qual guisa faremo pubblica la sua pazza audacia?
Ford. Non v’è miglior via di quella da loro stesse imaginata.
Pag. Come! mandargli a dire di venir nel parco a mezzanotte? Oh! ei non verrà.
Ev. Voi dite che è stato gettato in una fossa, e poi battuto come una vecchia: mi pare che ciò debba averlo atterrito abbastanza per non venire, e che la sua carne sia stata abbastanza punita per non sentir più desiderii.
Pag. Così pure io credo.
Mis. Ford. Pensate piuttosto a quello che faremo di lui, allorchè sarà giunto, e sarà nostra la cura di farlo venire.
Mis. Page. Vi è una vecchia leggenda, la quale dice che Herne, il cacciatore, fu lungo tempo guardaboschi in Windsor, che la sua ombra nell’ora della mezzanotte ritorna tutti gl’inverni, e che la si vede con corna in fronte errare intorno ad una quercia che porta il suo nome. Con tali scorrerie essa inaridisce gli alberi, spande la peste fra gli armenti, cambia il puro latte delle vacche in nero sangue, e ciò fa, scuotendo con orribile fragore una catena. Molti di voi hanno udito parlare di tale apparizione, a cui voi sapete che i nostri buoni padri creduli e superstiziosi prestavano fede, e come cosa vera trasmetterano alla nostra età.
Pag. Sonvi ancora molti che non oserebbero di notte avvicinarsi alla quercia di Herrne; ma che perciò?
Mis. Ford. Eccotì il nostro trovato; è necessario che Falstaff venga ad incontrarne a’ piè di quella quercia, travestito come Herne, con grandi corna in fronte.
Pag. Supponendo ch’ei venga, cosa ne risulterà?
Mis. Page. Ve lo chiarisco. Anna mia figlia, in uno col figlio mio, e tre quattro garzoni della città saran travestiti come silfi, e folletti bianchi e verdi, con torcie scintillanti in testa, e campelle in mano. Essi staranno nascosti in qualche fossa vicina, da cui, al momento in cui Falstaff mi si farà incontro, esciranno mandando grida selvaggie, atte ad agghiacciare il cuore. Al loro giungere noi due fuggiremo come prese da terrore; essi circonderanno il fantasima, simulando di presentire coll’arte delle Fate l’incontinenza del profano, e uno gli chiederà con voce roca e terribile, com’egli ardisca, sotto tal forma, turbare i luoghi e l’ora dei loro soprannaturali convegni.
Mis. Ford. Poi, fino a che ei non dica il vero, i nostri spiriti lo pungeranno e abbrucieranno colle torcie.
Mis. Page. Confessato che lo abbia, noi tutti ci presenteremo, lo scorneremo, e lo condurremo con beffe a Windsor.
Ford. Bisogna che i fanciulli siano ben istrutti della loro parte, o a nulla riescirà ogni cosa.
Ev. Tal cura spetta a me, ed io stesso, vestito da spirito, vuo’ ardere il cavaliere.
Ford. Ciò sarà eccellente. Vado a comprar le maschere.
Mis. Page. La mia Anna sarà regina della brigata, e vestirà splendidamente un bell’abito bianco.
Pag. Corro a comprargliene... (a parte) e a dire a Slender di rapirla durante il tumulto per andarla a sposare a Eton. — Su dunque, mandate ad avvertire Falstaff.
Ford. Io ritorno da lui col mio nome di Brook: ei mi rivelerà tutti i suoi disegni, e verrà certo.
'Mis. Page. Non ne dubitate: ite intanto a provvederci i nostri abiti da Fate.
Ev. Poniamoci all’opera: è un’ammirabile beffa ed anche molto onesta. (esce con Page e Ford)
Mis. Page. Andate, mistress Ford, mandate tosto da sir Giovanni per conoscere le sue disposizioni. (esce mis. Ford) Io me ne andrò dal dottore: egli ha il mio assenso e niuno fuori che lui deve sposar Anna. Quello Slender, sebbene ricco, non è che un idiota; nondimeno mio marito lo predilige. Il dottore ha denaro, e amici potenti in Corte; egli, niun altro che egli avrà mia figlia, quand’anche ventimila partiti più degni me la chiedessero. (esce)
SCENA V.
Una stanza nell’albergo della Giarrettiera.
Entrano l’Oste e Simple.
Ost. Che vuoi, furfante? Che cerchi? Parla presto, sollecito; via, di’, esponi.
Sim. In verità, messere, vengo a parlare con sir Giovanni Falstaff, per parte del signor Slender.
Ost. Quella è la sua camera, la sua casa, il suo castello, il suo letto, il suo tutto; sulla muraglia vi è dipinta la storia del figliuol prodigo. Va, batti e chiama; ei risponderà come un antropofago: va, batti, dico..
Sim. Una donna vecchia e pingue è andata in quella stanza; io avrò l’arditezza, signore, di star qui finchè ella discenda: veramente è a lei che debbo favellare.
Ost. Una donna pingue! il cavaliere potrebbe essere derubato: corro a chiamarlo. — Ardito cavaliere! ardito sir Giovanni, parla dal profondo de’ tuoi bellici polmoni; sei tu costà? È il tuo oste, il tuo Efesiano, che ti appella.
Fal. (dal disopra) Che vuoi, oste?
Ost. V’è un Boemo-Tartaro che aspetta la discesa della tua vecchia: fa che venga, o fiore de’ prodi; le mie stanze sono onorate: vergogna al monopolio. (entra Falstaff)
Fal. Eravi, mio oste, una vecchia dianzi con me; ma è ita.
Sim. Pregovi, signore, non era la zingana di Brentford?
Fal. Sì, guscio di conchiglia: che vuoi da lei?
Sim. Il mio padrone, signore, il mio padrone Slender mandommi ad essa, vedendola traversare le strade, per sapere se un certo Nim, che gli rubò una catena, ha la catena o no.
Fal. Parlai di ciò colla vecchia.
Sim. E che diss’ella, ve ne prego?
Fal. Disse che lo stesso uomo che ingannò messer Slender per la sua catena, fu quello appunto che gliene derubò.
Sim. Vorrei aver parlato colla vecchia in persona; avevo altre cose da chiederle per parte di lui.
Fal. Quali sono? Dille.
Ost. Sì, presto.
Sim. Non posso nasconderle, signore.
Fal. Nascondile, o muori.
Sim. Perchè, signore, esse non concernono che miss Anna Page; e si vorrebbe sapere se toccherà o no al mio padrone.
Fal. È la sua fortuna.
Sim. Quale, signore?
Fal. L’ottenerla o il non ottenerla. Va, di’ che la vecchia così mi disse.
Sim. Posso io essere tanto ardito da ridir ciò, signore?
Fal. Certo; puoi giungere a tanto.
Sim. Ringrazio vossignoria: rallegrerò il mio padrone con queste novelle. (esce)
Ost. Sei astuto, sei astuto, sir Giovanni: entrò davvero una vecchia da te?
Fal. Sì, sì, mio oste; una vecchia che mi comunicò più spirito che mai non ne avessi in mia vita; e non pagai nulla per acquistarlo, che anzi ne fui pagato5. (entra Bardolfo)
Bard. Oimè, signore! Furto! puro furto!
Ost. Dove sono i miei cavalli? Rendimi buon conto d’essi, garzone.
Bard. I ladri se li portano via: poichè appena avevamo passato Eton che l’uno di essi, nella groppa di cui mi stava, mi gettò in un padule; e poscia si diedero a correre disperatamente, come tre diavoli tedeschi, tre dottori Fausti.
Ost. Saranno iti incontro al loro duca, scellerato: non dir che sian fuggiti; i Tedeschi son uomini onesti. (entra sir Ugo Evans)
Ev. Dov’è il mio oste?
Ost. Che volete, signore? Ev. Tenete l’occhio aperto: un mio amico arrivato testè, mi ha detto che lì sono tre Tedeschi che hanno ingannati tutti gli osti di Readings, di Maidenheat, di Colebrook, rubando loro cavalli e denari. Ve lo dico per bene vostro, badate; ma già siete savio e pieno di astuzia. A voi niuno ruberà; addio. (esce: entra il dottor Cajus)
Caj. Dov’è il mio oste della Giarrettiera?
Ost. Qui, dottore, in gran perplessità, in dubbioso dilemma.
Caj. Non v’intendo: ma mi fu narrato che fate grandi apparecchi per un duca di Germania: in verità non vi son duchi, di cui si sappia l’arrivo in Corte: ve lo dico per bene vostro; addio. (esce)
Ost. Alla galera, alla galera, scellerato: — assistimi, cavaliere; son ito: va, fuggi, corri, e grida, malandrino! son ito! son ito! (esce con Bard.)
Fal. Vorrei che tutto il mondo fosse schernito, perchè lo fui io, ed anche ne ebbi percosse. Se alla Corte si sapesse a qnal metamorfosi andai soggetto, e come passassi fra le verghe e gli immollamenti, tutti quegli amabili signori distillerebbero la mia quintessenza a goccia a goccia, traendone infinita materia di risa; no, non avrei più pace finchè non mi fossi fatto tisico. — Ah! se avessi lena bastante per dire le mie orazioni, vorrei far penitenza. — (entra mistress Quickly) Ancora! Di dove venite?
Quick. Da entrambe le parti, signore.
Fal. Il diavolo prenda l’una, e la sua donna l’altra, onde sieno tutt’e due ben provvedute! Ho sofferto più per loro cagione che la debole e miserabile costituzione dell’uomo non possa soffrire.
Quick. E che non hanno esse pure sofferto? Tutte e due han patito, ve ne assicuro. L’una di esse sopratutto, mistress Ford, non ha parte del corpo che non sia livida di battiture.
Fal. Che mi cianci tu di livido? Io sì fui battuto tanto da passare per tutti i colori dell’iride, e stetti per essere braciato come una strega di Brentford; ma la mia ammirabile sagacità, il mio spirito e la mia arte nel simulare la vecchia, mi salvarono dai ceppi, a cui certo il dannato contestabile mi avrebbe mandato nella mia qualità di fattucchiera.
Quick. Signore, lasciate che vi parli nella vostra stanza: udrete come procedono le bisogne, e vuo’ credere che rimarrete contento. Eccovi una lettera che dirà più che non imaginate. Teneri cuori, quanta fatica mi costa l’unirvi! Certo l’uno di voi serve bene il Cielo, perocchè siete cosi travagliati.
Fal. Salite dunque nella mia stanza. (escono)
SCENA VI.
Altra camera dell’albergo.
Entrano Fenton e l’Oste.
Ost. Messer Fenton, non me ne parlate; sono così afflitto che manderei in rovina ogni cosa.
Fen. Almeno ascoltatemi: assistetemi nei miei disegni, e quant’è vero che sono gentiluomo, vi darò in oro cento lire di più di quelle che avete perduto.
Ost. Vi udirò, messer Fenton; e manterrò il vostro segreto.
Fen. Di tempo in tempo vi ho istruito del caro amore ch’io porto alla vaga Anna Page, che ha corrisposto alla mia affezione fin dove la modestia glielo consentiva. Ecco una lettera di lei, in cui il suo cuore si manifesta in tutta la sua innocenza. Ma le confessioni che cagionano la mia gioia vi son talmente mischiate coll’esposizione delle circostanze nelle quali versiamo, che non posso dichiarar le une, senza prima manifestar le altre. Il pingue Falstaff è vincolato in un’avventura che troppo lungo sarebbe il descrivere: ti narrerò tutta la storia, porgi orecchio, mio caro oste. — Devi sapere che la mia dolce amante andrà a mezzanotte alla quercia di Herne, per rappresentarvi la regina delle fate. Lo scopo è qui notato; ed è ch’ella fugga, durante il suo travestimento, con Slender nel momento in cui tutti attenderanno a Falstaff, per ire a Eton onde esservi maritata. Ella ha finto di acconsentire: ma nel medesimo tempo sua madre, contraria a tale imeneo, e fedele al suo protetto Cajus, ha censigliato al dottore di rapire la giovine nel tumulto. Le sue cautele sono giunte a pagare un ecclesiastico che li deve attendere a poca distanza per maritarli, ed Anna, in apparenza rassegnata, ha pure data la sua promessa al dottore. Odi ora il resto. Il padre crede fermamente che sua figlia sarà vestita tutta di bianco, è a ciò che Slender deve riconoscerla, e prendendola per mano, deve dirle con voce sommessa di seguitarlo. La madre invece, che verrà nel bosco trasfigurata come gli altri, ha imposto a sua figlia di comparirvi in abito verde. Una veste ondeggiante, capelli sparsi, fettuccie sciolte, debbono servir di segnale a Cajuaper avvicinarsi, per impadronirsi della sua amata, che ha promesso di far tutto.
Ost. Chi intende ella di deludere? Il padre, o la madre?
Fen. Entrambi, mio buon oste, onde darsi a me. Essa li deluderà tutti e due, se indurrai il vicario ad aspettarmi in chiesa dopo la mezzanotte per unirvi due poveri onori coi vincoli d’un felice e legittimo matrimonio.
Ost. Seconderò i vostri disegni; corro dal vicario: guidate la fanciulla, e l’ecclesiastico non mancherà.
Fen. La mia riconoscenza sarà eterna; e fin d’ora te ne do un pugno. (escono)