Le Allegre Femmine di Windsor/Atto quinto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO QUINTO
SCENA I.
Una stanza nell’albergo.
Entrano Falstaff, e mistress Quickly.
Fal. Te ne prego, non più ciande; va. — Verrò: è la terza volta; spero buona fortuna dal numero tre. Vìa, va; dicono vi sia qualche cosa di divino nei numeri dispari, si tratti di nascite, di fortune o di morti. — Va.
Quick. Vi provvederò una catena; e farò quanto posso perchè abbiate le corna.
Fal. Via, dico; si sperde il tempo; tenete alta la testa, e andate. (esce mis. Quickly; entra Ford) Ah eccovi, messer Brook? messer Brook, le cose finiranno stanotte o mai più. Siate nel parco a mezzanotte, alla quercia di Herne, e vedrete cose mirabili.
Ford. Non andaste voi ieri, signore, come mi diceste, al ritrovo?
Fal. Andai, messer Brook, come mi vedete, da povero vecchio, e ne ritornai da povera vecchia; quel dannato Ford, suo marito, è governato dal più feroce demone di gelosìa che mai infiammasse un mortale. Vi dirò ch’ei mi battè aspramente sotto la mia forma muliebre; perchè quando son uomo, messer Brook, non temerei Golia se pure non avessi in mano che un ago da sartore. Io so troppo ben che la vita non è che una bolla di salone. Ho fretta; venite con me; vi dirò tutto, messer Brook. Dappoichè imparai a pelare un’oca, a condur vita da vagabondo e da libertino, non mai seppi fino ad ora che cosa fosse l’essere battuto. Seguitemi: vi narrerò strane cose di quel dannato Ford, di cui questa notte vuo’ vendicarmi, consegnandovene poscia la moglie. — Andiamo; strani eventi si apparecchiano, messer Brook! Seguitemi. (escono)
SCENA II.
Il parco di Windsor.
Entrano Page, Shallow e Slender.
Pag. Venite, venite; ci asconderemo nelle fosse, finchè vediamo i lumi delle nostre fate. — Ricordatevi, Slender, di mia figlia.
Slen. Sì, in verità; ho discorso con lei, e abbiamo una parola di convenzione per riconoscerci. Io andrò da lei vestito di bianco, e griderò mum1; ella risponderà: ricchezza; e con ciò ci conosceremo.
Shalì. Va bene: ma che bisogno c’era di tal parola? Il bianco bastava a tutto. — Son suonate le dieci.
Pag. È notte scura; i lumi e gli spiriti ci figureranno a meraviglia. Benedica il Cielo il nostro sollazzo! Niuno pensa a male fuorchè il diavolo che ben conosceremo da!le coma. Andiamo; seguitemi. (escono)
SCENA III.
La strada di Windsor.
Entrano mistress Page, mistress Ford e il dottor Cajus.
Mis. Page. Signor dottore, mia figlia è vestita di verde: allor che ne avrete opportunità, prendetela per mano, e conducetela sollecitamente alla chiesa. Andate innanzi nel parco; noi due verremo insieme.
Caj. So quello che ho da fare; addio.
Mis. Page. Addio, signore. (Caj. esce) Mio marito non si allegrerà tanto alla beffa di Falstaff quanto si sdegnerà pel matrimonio di mia figlia: ma non vale; meglio un po’ di sdegno che un lungo crepacuore.
Mis. Ford. Dov’è ora Anna co’ suoi silfi? Dove il diavolo gallese Ugo?
Mis. Page. Appiattati tutti nella fossa della foresta coi lumi spenti, che scintilleranno al momento del nostro incontro con Falstaff.
Mis. Ford. Ciò lo farà ben stupire.
Mis. Page. Se non rimarrà stupito, rimarrà schernito; se non rimarrà meravigliato, rimarrà beffato.
Mis. Ford. L’inganno è bello.
Mis. Page. Punire siffatti ribaldi non è dellitto, il tradirli è virtù!
Mis. Ford. L’ora si avvicina; alla quercia, alla quercia!(escono)
SCENA IV.
Il parco di Windsor.
Entra sir Ugo Evans alla testa degli spiriti folletti.
Ev. Saltellate, saltellate, bei silfi: venite, e ricordatevi le vostre parti. Siate arditi sopratutto, ve ne prego; seguitemi alla fossa; e quando darò il segnale fate compio comando. Animo, animo, saltellate, saltellate. (escono)
SCENA V.
Un'altra parte del parco.
Entra Falstaff, vestito da fantasima con due gran corna in testa.
Fal. La campana di Windsor ha suonato le dodici, e i minuti corrono. — Dèi dal lascivo sangue, assistetemi ora. — Rimembra, Giove, che tu ti trasformasti in toro per la tua Europa; l’amore si assise fra le tue corna. — Oh potentissimo amore! che d’una bestia fai spesso un uomo; spesso d’un uomo una bestia. — E tale tu anche divenisti, o Giove, per vaghezza di Leda. Onnipossente amere! Quanto il Dio si avvicinò allora alla natura delle oche! Un primo fallo, un bestial fallo, o Olimpio, ti fe’ in principio divenire un quadrupede; un altro fallo ti cambiò in uccello; pensa a ciò, o Altitonante, pensa a tali colpe. — Allorchè gli Dei son sì libidinosi, che far potrebbero i poveri mortali? Per me son un cervo di Windsor, nè queste selve ne viddero mai di più pingui, io penso: raffredda il mio sangue, o Giove; o non biasimarmi se mi dò a tali opere. Chi viene? La mia damma? (entrano mistress Ford e mistress Page) Mis. Ford. Sir Giovanni? sei tu qui, mio cervo? mio bel cervo?
Fal. Sei tu, mia damma? Ora, o Cielo, spargi patate; tuona coi tuoi cento cannoni; spandi confetti e canditi; imperversa con una feroce tempesta, io avrò qui un ricovero. (abbracciandola)
Mis. Ford. Mistress Page è venuta con me, mio amore.
Fal. Dividetemi come un favo, e ognuna di voi abbia di me un’anca, io terrò soltanto per me le costole; le spalle darò al guardaboschi, le corna lascio ai vostri mariti. Son io uomo di selve? Parlo come Herme il cacciatore? Cupido è un fanciullo probo; ei restituisce quello che toglie. Quanto è vero che sono uno spirito leale, contate sopra una buona accoglienza! (romore al di dentro)
Mis. Page. Oimè! che romore è questo?
Mis. Ford. Il Cielo ci perdoni i nostri peccati.
Fal. Che sarà?
Mis. Page. | Via, via. (corrono via) |
Mis. Ford. |
Fal. Credo che il diavolo non vuol vedermi dannato, per tema che il grasso che è in me non dia fuoco all’inferno; altrimenti ei non si interporrebbe sempre così.
(entra sir Ugo Evans vestito da satiro: mistress Quickly e Pistol; Anna Page in abito da regina delle fate seguita da suo frallllo, e da altri trasfigurati tutti come silfi con torcie ecc.).
Quick. Spiriti rossi, grigi, verdi e bianchi, che danzate al lume di luna, e fra le ombre della notte; voi, orfani e figli adottivi dell’eterno destino, cominciate il vostro ufficio, e seguite il folletto che descrive il suo magico circolo.
Pist. Silfi, ascoltate i vostri nomi; tacetevi, aeree essenze. Cricket, tu andrai a Windsor, e dove vedrai fuochi ancora accesi, gente che veglia ancora, ivi pungerai col solleticante tuo artiglio donne, fanciulli, uomini e vecchi: la nostra raggiante regina odia le gozzoviglie.
Fal. Sono spiriti; chiunque loro parla muore: riterrò l’alito e adagierommi: umano occhio non può vedere le loro tregende. (si adagia sul terreno)
Ev. Dov’è Pede? Andate; e dove rinverrete una fanciulll che prima di addormentarsi ha detto tre volte le sue preghiere, profumatele il cervello onde abbia sogni dorati; ma quelli che dormono senza pensare alle loro colpe, quelli pungete, affliggete, cruciate.
Quick. Via, viti al castello di Windsor correte, spiriti, e frugate da per tutto: spandete le fortune in quel sacro asilo onde possa durar finchè dura il mondo, e la regina di regni lungamente onorata. Le stanze tutte di quel venerando ostello imbalsamate con essenze preziose, e fiori celesti: in esse si respiri un’aura sovrumana che attesti ai profani, che quello è seggio di una divinità! E di notte sui prati, danzando in circolo, descrivete il glorioso ordine della giarrettiera su di cui si possa leggere eternamente Honny soit qui mal y pense2. Poscia intuonate cantici gloriosi, e propiziate il trono d’Inghilterra. — Ma prima dell’alba non dimentichiamo la nostra danza intorno alla quercia di Herme il cacciatore.
Ev. Corriamo, corriamo a schierare intorno a quella quercia cento lucidi vermi che la facciano risplendere. Danziamo giulivi intorno a quel bell’albero... ma fermatovi... sento qui fra noi una creatura della terra.
Fal. Cielo, difendimi da questo folletto gallese! onde non mi trasformi in un brano di formaggio!
Pist. Vile verme, tu fosti maledetto fin dalla nascita.
Quick. Spiriti, ognuno lo punga, e lo abbruci col fuoco delle faci; se è casto la fiamma nol lederà, ma se è corrotto manderà guaiti.
Pist. Alla prova, alla prova.
Ev. S’accenderà tal bosco? (bruciando Falstaff colle torcie)
Fal. Oh! oh! oh!
Quick. Corrotto, corrotto, contaminato dai desiderii, correte intorno a lui, fate; e pungetelo, pungetelo ai canti del suo disonore.
Ev. È giusto; infatti egli è pieno di pecche e di iniquità.
Canzone
. «Onta ai rei desiderii! Onta alle voglie lascive! La libidine non è che un fuoco di sangue acceso da impure brame, che alimenta il cuore, le di cui vampe ascendono al cervello, e lo lordano. Pungetelo, fate, pungetelo altamente; pungetelo per le sue scelleratezze; pungetelo, e abbraciatelo finchè scintillino le stelle in Cielo, e i nostri fari sulla terra».
(durante questa canzone i silfi pungono Falstaff. Il dottor Cajus vien da una parte, e rapisce una fata vestita di verde, Slender sopraggiunte da un’altra, e ne ruba una abbigliata di bianco; Fenton a sua volta s’avanza è porta via miss Anna Page. S’ode poi un gran romore di caccia. Tutti gli spiriti corrono via; Falstaff si strappa le corna e si alza; entrano Page, Ford, mistress Page e mistress Ford, e attorniano Falstaff.)
Pag. No, non fuggire: credo che ti abbiamo bene spiato; non puoi tu fare altra parte che quella di Herme il cacciatore?
Mis. Page. Ve ne prego, venite; non spingiamo più oltre la beffa; ora, buon sir Giovanni, come amate voi le donne di Windsor? E voi mariti che vedete quegli emblemi (additando, le corna) non concedete che essi si addicono più alle foreste che alle città?
Ford. Ebbene, signore, chi è ora di noi lo stolto? messer Brook, Falstaff è un marìuolo, un disonorato mariuolo? queste sono le sua corna, messer Brook: e, messer Falstaff, non ho goduto di Ford altro che il suo bastone, il suo cesto, e venti lire, che debbono essere pagate a messer Brook, essendosi diggià fatta cattura sui cavalli.
Mis. Ford. Sir Giovanni, fummo sfortunati non potendo mai vederci in libertà: io non vi prenderò più per mio amante, ma vi avrò sempre in conto di mio cervo.
Fal. Comincio ad avvedermi che sono un ciuco.
Ford. Sì, ed anche un bue; le prove ne sono parventi.
Fal. E queste sono le fate? tre o quattro volte mi venne il pensiero che fate non fossero: e nondimeno la reità della mia mente, la subitanea sorpresa mi acciecarono così da farmi credere che fate fossero. Vedete ora come lo spirito può divenire materia allorchè è male adoperato.
Ev. Sir Giovanni Falstaff, servite Iddio, abbandonate i vostri desiderii, e le fate non vi pungeranno più.
Ford. Ben detto, folletto Ugo.
Ev. E voi anche lasciate le vostre gelosie, ve ne prego.
Ford. Non mai diffiderò di mia moglie finchè non oda voi stesso ad amoreggiarla in buon inglese.
Fal. II sole mi ha adunque abbruciato il cervello tanto da non frangere laccio sì grossolano? Una capra gallese sarà dunque fatta mia precettrice? Dovrò io coprirmi col berretto del pazzo? Sarebbe tempo che mi si soffocasse con un peso di ricotta.
Ev. La ricotta non è buona col burro, e il vostro ventre è tutto di burro.
Fal. Ventre e burro! Così sono abbastanza vissuto per servir di sollazzo ad un uomo che balbetta! Ciò è sufficiente per perdere di riputazione nel regno il nostro mestiere di vagabondi.
Mis. Page. E credete voi, sir Giovanni, che quand’anche avessimo voluto bandire dai nostri cuori ogni virtù, e dar l’anima nostra al diavolo, che avremmo scelto per fare all’amore un uomo quale siete voi?
Ford. Un uomo che sembra una balena, o una balla di canapa?
Mis. Page. Un uomo di crema?
Pag. Vecchio assiderato, appassito, e di sterminate budella?
Ford. Malèdico come satana?
Pag. Povero come Giobbe?
Ford. Malvagio come la moglie di quello?
Ev. E dedito alle fornicazioni, alle taverne, al vino, alla crapula e ai liquori, bevente e bestemmiante sempre nelle bische e nei caffè?
Fal. Molto bene; m’avveggo che son divenuto tema delle vostre celie: voi avete il vantaggio sopra di me; sono confuso: non posso neppur rispondere alla bestia Gallese; l’ignoranza stessa è divenuta più dotta che non sono io: trattatemi come volete.
Ford. In verità, signore, noi vi condurremo a Windsor, da messer Brook, a cui avete rapito un po’ di denaro, e di cui avevate consentito di divenire il mezzano infame. Dopo tutto ciò che avete patito, credo che il restituire quel denaro sarà per voi la maggior pena.
Mis. Ford. No, marito, lasciagli quel denaro per risarcirlo di quello che ha sofferto, e ritorniamo tutti amici.
Ford. Ebbene, ecco la mia mano; ogni cosa è perdonata.
Pag. Consolati, cavaliere, tu cenerai questa sera da me, e riderai a spese di mia moglie come ella ora ride di te. Dille che messer Slender ha sposata sua figlia.
Mis. Page. (a parte) Il dottore dubita di ciò: se è vero che Anna sia mia figlia, è altresì vero che ella è sposa di Cajus. (entra Slender)
Slen. Oh! oh! oh! padre Page!
Pag. Figlio! ebbene? Che v’è, figlio? È tutto fatto?
Slen. Fatto?... sfido il più abile uomo della contea di Glocester a saperne nulla; vorrei essere appeso se fosse altrimenti.
Pag. Che fu, figlio?
Slen. Andai ad Eton per sposare miss Anna, e invece di essa aveva meco un membruto garzone: se non fosse stato in chiesa l’avrei sferzato, o egli avrebbe sferzato me. Avevo creduto di rapir Anna, e rapii un piccolo postiglione.
Pag. Sulla mia vita! la colpa fu vostra.
Slen. Che bisogno v’è mel diciate? Credei io pure così allorchè presi un garzone per una giovinetta: se lo avessi sposato lo ripudierei, fede di onest’uomo.
Pag. Fu la vostra sciocchezza. Non vi dissi io qual era il vestito di mia figlia?
Slen. M’indirizzai a quella che era abbigliata di bianco, e gridai mum, ella rispose ricchezza, come eravamo convenuti con Anna, e nondimeno non era Anna, ma un postiglione.
Ev. Gesù! messer Slender, non avete voi gli occhi per isposare così i maschi?
Pag. Oh io ne sono crudelmente addolorato! Che farò ora?
Mis. Page. Buon Giorgio, non andate in collera: sapevo il vostro disegno, e feci vestir mia figlia di verde: ora essa è con Cajus diggià sua moglie. (entra Cajus)
Caj. Dov’è miss Page? Pel Cielo! fui schernito; ho sposato un paysan un ragazzo, pel Cielo! uno scapezzacollo; non fu Anna pel Cielo! fui beffato.
Mis. Page. Ma non prendeste voi quella che era vestita di verde?
Caj. Sì, pel Cielo! ma era un ragazzo; pel Cielo! Solleverò tutta Windsor.
Ford. Ciò è strano. Chi dunque prese la vera Anna?
Pag. Il mio cuore presagisce male... viene messer Fenton. (entrano Fenton ed Anna) Che volete, messer Fenton?
Ann. Perdono, buon padre! Ottima madre, perdono!
Pag. Che vuol dire miss? Perchè non siete con messer Slender?
Mis. Page. Perchè non andaste col dottore, fanciulla?
Fen. Voi l’affliggete: ascoltatemi, e saprete il vero. Ognuno di voi la maritava di proprio senno senza soddisfare il di lei cuore. Noi che da lungo ci amavamo siamo fatti ora marito e moglie. Il fallo ch’essa commise, fu virtù; tal frode innocente non deve esser riputata nè una soperchieria, nè una disobbedienza, nè una mancanza di rispetto, poichè mercè di essa vostra figlia si sottrae a’ giorni di sciagura e di lutto che avrebbe passati accoppiandosi così contro sua voglia.
Ford. Non vi sdegnate: non v’è alcun riparo: nell’amore è il Cielo che conduce le anime: la pecunia compra le terre, ma il fato solo vende le donne.
Fal.. Son contento nel vedere che una parte dei dardi che vibraste in me si ritorce sopra dì voi.
Pag. Bene; qual rimedio? Fenton, il Cielo ti faccia lieto! Ciò che non può evitarsi conviene sia accettato.
Fal. Quando i cani notturni corrono, tutti i cervi son presi.
Ev. Vuo’ danzare, e mangiar prugne alle vostre nozze.
Mis. Page. Io pure mi arrendo. Messer Fenton, il Cielo vi conceda molti giorni felici! Buon marito, rientriam tutti in casa e andiamo a rallegrarci di tante avventure davanti ad un buon fuoco. Sìr Giovanni sarà dei nostri.
Ford. Così sìa. — Cavaliere Falstaff, voi avete mantenuta la vostra parola a messer Brook, che giacerà questa notte con madonna Ford. (escono)
FINE DEL DRAMMA.