La umanità del figliuolo di Dio/Libro primo

Libro primo

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Ai valorosi campioni di Cristo e del Padolirone abitatori Libro secondo

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LIBRO PRIMO

1
De l’alma e sempiterna Trinitade
l’alto profondo e incomprensibil senso
dica chi dicer vuole! In me non cade
se non folle pensier qualor vi penso.
Ma per un mar tranquillo d’umiltade
l’aura di Tal mi regga e l’atto immenso,
che a sé fu privo, a noi pien di mercede,
che morir volse e a noi la vita diede !
2
Dirò di te, Signor, ch’egual eterno
Figliuol col Padre se’ principio d’ogni
somma cagione e rompi a noi l’inferno
d’importune ombre e d’intricati sogni.
Per l’amar suco ch’ai voler paterno
beesti intento ed agli uman bisogni,
mira, ti prego, se di tanta impresa
l’ incarco a le mie spalle troppo pesa!
3
Molt’è il desio c’ho di gradire i dolci
tuoi sguardi, o sol d’amor ferma dolcezza:
tu l’ira del tuo Padre alleggi e molci,
si che ’l suo braccio armato non ci spezza.
Se m’alzi dunque si, se si mi folci
ch’io di Giovanni poggi ne l’altezza,
dubbio non ha che a molti andrò su l’ale,
se non di stile, almen d’amor eguale.

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4
Ver è eh’ un dolor grave ognor m’elice
vento del petto e pioggia fuor de gli occhi
d’aver seguito in van l’adulatrice
mia voglia e quella piú d’alcuni sciocchi.
Scrissi giá sotto nome, onde l’ultrice
fiamma del ciel par sempre in me trabocchi:
nome di leggerezza! Or me ne spoglio
e quel che sona amor di Dio ritoglio.
5
Di sogni errai gran tempo e di chimere
per travagliato e cieco laberinto,
che popol infinito a schiere a schiere
consuma ogni ora, tien prigione e vinto.
Ma, di miei falli accorto: — «Misererei» —
gridai a Te, fin ch’ebbimi fuor spinto.
Ed ora il caso mio eh’ in fronte porto
sia quel ch’arretri altrui dal cammin torto!
6
Sia, dico, il caso mio quel vivo esempio
che ’n gli occhi al mondo scorra ciascun clima.
Forse che ’n qualche piazza o porto o tempio
sará chi’l pinga o ’ntaglia o pur l’imprima;
ché chi vedrá di me si duro scempio
lacrimar poscia e riconoscer prima
se abbia d’ambe le vie di nostra vita
tenersi o a la discesa o a la salita.
7
Un losinghevol mar ch’a’ naviganti
nel primo sguardo appar tutto suave,
pien di fugaci risi e brievi canti,
alfin si ruppe con tempesta grave
e mi sospinse ove fra doglie e pianti
si ritrovò mia travagliata nave,
che, aperto il fondo, il petto e le due sponde,
in preda mi lasciò de’ pesci a Tonde.

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8
Qui l’Ignoranzia d’ogni ben nemica,
ratto che ’n grembo a sé calar mi vide,
come colei che d’ombre altrui nudrica
e poi del nostro vaneggiar sen ride,
mi ricondusse lá dove s’intrica
nostr’ intelletto, mentre vi s’asside
fra le sirene ad ascoltar lor carmi,
si che dal sonno mal puotei ritrarmi.
9
Bello m’apparve si l’aspetto loro,
ch’esser froda in bellezza non pensai:
ma ciò che splende giá non è sempr’oro,
cosa che mio malgrado allor provai.
Un d’angeliche voci eletto coro
entrato esser credetti e poi mirai
che, ov’elle si cangiáro in sozze larve,
nacquevi il pianto e l’armonia disparve.
10
Or mille grazie dunque, or mille lodi,
Iesú, ti rende l’alma mia che sgombra
e sciolta va de la pregion, de’ nodi
che la tenean com’ insensibil ombra;
e se ’n le piaghe de la lancia e chiodi
vive la fé che ogni dubbiar mi sgombra
e s’io ti vo fedele e parteggiano,
drizza l’ingegno mio, scorgi la mano!
11
Quando del verno estremo il breve giorno
raddoppia l’ore a la stagione acerba,
la fredda serpe, che del Tauro il corno
riscaldar sente, muovesi superba
e del gelato suo terren soggiorno
esce non pur strisciando a errar per l’erba,
ma trova o ceppo o sasso o dove a forza
sottentrando depon l’antica scorza.

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12
Odono appresso l’ importune rane
l’alto Asciar de la nemica loro;
fuggon quanto fuggir si può lontane,
dimesso il lor nugace consistono :
scende l’altiera a le fangose tane,
tutta d’argento in fuor che gli ocelli d’oro,
fa di lor strazio e gran presaglia tranne,
rempiendo il gozzo e le bramose canne.
13
Non meno il Re di gloria che per l’angue
fu figurato dal presago Mòse,
allor ch’a sanitá del volgo, esangue
per gli attoscati morsi, in gli occhi espose
squarciato il suo bel velo e sparso il sangue,
fattone bagno a macchie dispettose,
pon giú le spoglie, adornane la croce,
corre a l’inferno e favvi udir sua voce.
14
La voce che tonò da l’alto legno
consunto esser del Padre ornai l’ incarco,
fu orribil tanto al doloroso regno
che, giunto a pena de l’abisso al varco
e fattovi d’aprir le porte segno
per trarne la gran preda e uscirne carco,
cosi fiaccollo al suon di sue parole,
che far di mura il terremoto suole.
15
Fan gli atri spirti al nigro re concorso
ne l’apparir del fiammeggiante drago
ovver di quel gigante lieto al corso,
il qual, di rubar Palme a strada vago,
da morte morso a morte die’ di morso,
anzi l’uccise di vendetta pago,
e de’ ben vissi l’onorate squadre
trionfando condusse al sommo Padre.

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16
Giá l’alma del buon ladro, a cui promessa
del ciel la gloria fu senz ’altra pena,
tutta soletta errava e giá, dov’essa
fida speranza lei richiama e mena
per lunga via d’orme seguaci impressa,
va brancolando e sé vedendo a pena;
ché il giorno annotta piú, piú che disgrada
dal cerchio al centro la diritta strada.
17
La qual con ripe a’ fianchi è si patente,
che gir ben cento carra eguai vi ponno:
fosso non ha né sasso alcun pendente,
ma vassi piano al sempiterno sonno.
Vedevi andar con molta e varia gente
chi re chi duca od altro simil donno:
vi si procede sol né mai si riede
come stampar la rena il piè si vede.
18
Alfin d’ardenti rai mirò novella
luce spuntar come di nebbie Apollo;
le perdute alme al rischiarar di quella
scampan con l’ungie al viso e l’occhio mollo.
D’odiare il lume ed ogni cosa bella
destin lor è, si come Dio fermollo,
e quinci avvien che i foghi da’ lor occhi
cosi veduti gli ardon come tocchi.
19
Balze pendenti, ronchi alpestri e coti
porge la via dissopra e da le sponde.
Que’ spirti allor, per gir dal sol rimoti,
cercan fessure, buchi e ciò che asconde
si come al lampeggiar de l’alba i noti
lor antri e tane cercano l’ immonde
nottole, gufi, vespertilli e quanti
notturni augei attristan con lor canti.

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20
L’alma eh’ è cittadina del ciel fatta
verso l’amata luce andar s’appresta;
ed ecco a lei si scopre lunga tratta
d’una infinita gente. Onde s’arresta;
anzi, per veder meglio, s’è ritratta
d’ un’alta pietra in cima de la testa,
ove d’umane voci e piú stromenti
ode alternar suavi e bei concenti.
21
Vien uno agli altri primo, e a man a mano
con lui chi di sue coste donna uscio:
hanno ambo duoi quel fatai pomo in mano
donde si paga in si lunghi anni il fio.
Queste le piante son del ceppo umano,
cui par non dolga il primo lor desio,
poi ch’uscir ne dovea cagion si forte
d’unirsi a l’uomo Dio, d’ancider Morte.
22
Va loro a tergo il giovenetto figlio
che fu primo pastor ch’aitar primo erse;
né pur di sangue d’agno il fe’ vermiglio,
ma ’l suo per man del rio fratello offerse.
Viengli quel Set a par, pel cui consiglio
ne la fucina di Tubai giá férse
le due colonne ov’ intagliato e scritto
l’esempio fu d’ogni arte ch’ebbe Egitto.
23
Segue chi giusto entrò l’audace impresa
di porre al mar superbo il fren di legno,
ma si ricalcitrò, che Teti offesa
sopra le cime alzò de Tonde il regno.
L’arca, ch’imago avea de l’alma Chiesa,
a ogni animai serbò da Tacque il pegno;
di tutte l’altre cose assai, non poche,
cibi fúr fatti d’orche, ceti e foche.

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24
E Sem, ch’ancor nel volto arroscia, viene
piú che lapetto lungo al padre e crebro,
cui ricopri le nude parti oscene,
sendo di sonno e vin pieno il cerèbro
mercé la vite sua ch’empi le vene
a lui di mosto si che ne giacque ebro,
schernito da quel Cam ch’or con Nembrotto
stassi del re de l’ombre a’ piè dissotto.
25
Succede il fedel santo e pio vecchione
con gli occhi sempre al ciel, barbuto e bianco,
ch’adorò un Dio vedendo tre persone
né si fidò de le promesse unquanco:
poi l’unico figliuol, per guiderdone
che Dio gli ’l die’ cent’anni avendo, a fianco
volse immolar giá posto il ferro al collo;
ma, pago Dio di tanta fé, vietollo.
26
Non perde Isacco il tempo ir fra lo stolo
con Sara, Agar, Rebecca ed Ismaelle;
poi viengli appresso il semplice figliolo
che l’ingannò, volgendosi la pelle
al collo e a’ man del chiesto capriolo,
per fingersi colui che, versipelle
quantunque fosse e scaltro, allora ed anzi
perdeo del primogenito gli avanzi.
27
Séguita lunga e mescolata schiera
d’uomini e donne giustamente visse;
ma sopra gli altri avvampa la lumiera
di castitá Ioseppe, il qual s’affisse
d’esser via piú creduto quel non era,
ch’offender Dio cedendo a chi gli disse:
— Dormi con meco ! — e in man lasciarli il manto,*
e ’n career gir, che perdere un don tanto.

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l6 LA UMANITÀ DEL FIGLIUOLO DI DIO
28
Cosi far suole il candido armelino
d’ogni animai piú vago di nettezza,
che del suo nido uscendo in sul mattino
si mira intorno aver di loto fezza:
per non bruttarsi torna il parvolino,
ma il duro cacciator gli ha con prestezza
tolto la porta ed ei, ch’assai piú aborre
il fango che la morte, a morte corre.
29
Con grave passo e signoril sembiante
Aron e Mòse ragionando vanno,
e Fineès con loro, le cui sante
man di giustizia eterno grido danno,
e losué ch’ardito e d’adamante
mai sempre fu nel bellicoso affanno.
Mill ’altri appresso vengon chiusi e stretti:
gioveni, vecchi, madri e parvoletti.
30
Viene Samuel con l’onorata madre,
che averlo solo d’orazione e pianto
concetto ancor si crede, non di padre,
che diesse a Tonto re corona e manto.
Non vi è Saúl che cadde in tante squadre,
da quel ch’esso odiava amato e pianto;
ed Adonia meno vi appare e quello
che ’l mal consiglio amò d’ Architofello.
31
Mal ubbedito ed onorato peggio
fu da sua prole il buon figliol di lesse.
Non meglio in Salomon che ’n gli altri veggio,
che pien di tante grazie a lui successe;
anzi, di quelle ingrato, il nobil seggio
bruttò di cose infami e non concesse,
come ’ntraviene ad uom che, poi le rade
divine grazie, in atto lordo cade.

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32
Però David vien solo e di gran lunga
fra pochi re succede il gentil Assa.
Vien David solo e ancor par si compunga
del proprio error ch’ogni altro error trapassa;
ma del ciel la clemenza è larga e lunga,
ché oltre ogni spazio, oltr’ogni altezza passa:
di che, sicuro e lieto, va cantando
gli accenti che giá disse lacrimando.
33
Poscia compare (o Dio, che maiestade!)
di cento e piú vecchioni bella copia,
quegli che in sé non ebbero, fra rade
virtuti lor, di giusto ardir inopia,
riprendendo signori e l’impietade,
brutto lor vizio e pestilenzia propia:
donde molt’odio e corporali danni
se n’acquistáro ed ira de’ tiranni.
34
Evvi Eliseo di santitá si chiaro,
per cui piú morti non pur, sendo vivo,
ma Possa d’un defunto s’avviváro,
toccando il corpo suo di vita privo.
Evvi Michea si poco al suo re caro,
dal quale udire il ver fu sempre schivo.
Evvi pur anco Zacaria, che l’empio
tiranno uccise fra l’altare e il tempio.
35
Evvi l’ardente spirto d’Esaia
via piú de gli altri chiaro, via piú dotto,
per li cui merti e i prieghi d’Ezechia
fu da diece ore ad una il sol ridotto.
Evvi Abacucco e ’l martir Ieremia,
da’ sassi, per dir vero, guasto e rotto;
Amòs, Ioello, Giona e gli altri tutti
predicitori o d’allegrezze o lutti.
T. Folengo, Opere italiane -11.

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36
Fioriscon l’erbe ovunque il lido preme
quel gran caldeo di tolleranzia speglio:
i’ dico Iob che ’n doglie tanto estreme
benedicendo andò di bene in meglio.
Poi Mardocheo col bel fraterno seme
accorta Ester; poi quel baston del veglio
suo genitor, Tobia, con lui, con Anna
sua genitrice e Iudith e Susanna:
37
quella Susanna in cui le gran nemiche,
bellezza ed onestá, cosi s’ amaro,
cosi giunser lor baci e furo amiche,
che bello esempio andò fra donne raro.
Però voi, donne, che di donne antiche
o dire o sentir dire avete a caro,
lasciate un poco quelle vostre tanto
lodate sempre e non le date vanto.
38
Dico: le tanto celebrate vostre
Lucrezie, Tucce, Ersilie ed altre caste
stian in disparte alquanto; e queste nostre,
le cui scole non forse ancor entraste,
leggete acciò che ’n voi non si dimostre
segno di fede inferma o voglie guaste,
perché forte argomento è di cor vano
il proprio abbandonar, seguir lo strano.
39
Or non sapete voi ciascun costume
od atto qual si sia, greco o romano,
esser (dacché del santo volto il lume
signato è sopra noi) giá fatto estrano
Qual dotto piú, qual util piú volume
versar può notte e di la vostra mano
di quel de le divine carte, donde
de Palme grazie ogni vigor s’infonde?

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40
Fu ne gli antichi giorni (allor che sotto
Nabuccodonosor l’Ebreo languia)
un prode cavallier di legge dotto,
pien di ricchezza e piú di cortesia,
con tanta autoritá eh ’ad un sol motto
il popol saviamente a fren tenia,
di nome Gioachin, di sangue regio,
di vita onesto, di costumi egregio.
41
Il Re del ciel, che mira sempre c ’nvita
noi d’alto e ne fa grazia o pur vendetta
secondo il provocamo e de la vita
de’ buoni amabilmente si diletta,
ebbe la foggia di quell’uom gradita,
e, come ad or’ provato perla eletta,
congiunge ad esso in matrimon la buona
e bella piú che fosse in Babilona.
42
Or qui non vovvi ornar costei di stelle,
perle, topazi, oro, diamanti ed ostro,
materia di colui che ’n rime belle
bel fatto avria parer qualunque mostro.
Felici noi, beato lui se quelle
sue tante carte e quel suo tanto inchiostro
in sé di croce avesser l’alto obietto,
come d’una Loretta ciò ch’è detto!
43
La leggiadria d’un stile tanto grave
tal esca dolce a l’alme fora stato,
che quanto sia Iesú d’amor suave,
invagite di lui, l’avrian gustato:
donde, ritrose a far le cose prave,
starian sempre nel ciel col cor levato,
e que’, gittati a l’aura inchiostri e pianti,
andrian con piú profitto al Padre avanti.

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44
La ben fiorita etá, li di sereni,
de gli occhi il nero e del bel viso il bianco
di questa donna, i detti e gli atti pieni
di leggiadria (né ta’ veduti unquanco!),
avean ne’ giovenili e vecchi seni
piú d’un cor arso e piú d’un petto stanco.
Non ch’ella, come l’altre, a studio fosse
carnefice de’ cuori o fuoco d’osse;
45
ma cosi come al suo fedele sposo
don fatto avea de le stimate poco
da sé bellezze vive, né a ritroso
affetto d’onestá giammai die’ luoco,
sollevò l’alma, come al sol riposo
di tutti affanni, al dolce eterno fuoco.
Ivi lieta vivea, se non in quanto
le fu noioso il qua giú viver tanto.
4 6
Or piacque a Dio di questo gentil fiore
sol conosciuto ai bei colori esterni
sparger non meno il ben spirante odore,
che vivo esempio in mente altrui s’interni.
Ma del frumento il grano se non muore,
non frutta mai; né de li beni eterni
l’Altissimo degnò se non coloro
che.’l forte suo martel tramuta in oro.
47
Stavasi un di Susanna con due ancelle
in un suo bel giardino a diportarsi,
solinga si eh’ in fuor da balte stelle
lá dentro da niun potea mirarsi.
Or, per non so che tór, mandate quelle
avea, restando sola per lavarsi:
non che di donne segua la van’arte,
ma si di legge l’osservate carte.

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48
Tutta soletta in luogo a ciò far atto
tratti s’avea da dosso i primi panni,
quando sopra si vede giunti a un tratto
duoi gravi sacerdoti e carchi d’anni.
Turbò l’onesta donna il nuovo fatto;
poi, quasi come oraeoi piú che inganni
esser credendo, lieta e timorosa
chinossi a lor come a divina cosa.
49
Pur conosciuti al fin, stupisce come
duoi primi del concilio ed estimati
dal popol giusti e d’onorato nome
a lei si occultamente sian entrati.
Il primo allor c’ ha le canute chiome,
crespato il volto e gli occhi al vetro usati,
incomenciò: — Madonna, il vostro viso
degna di noi v’ha fatto a l’improvviso;
50
di noi che s’abbassammo (i’ dico noi,
giudici chiari illustri e poderosi)
al grato vostro amor, vedendo voi
stamane errar per questi mirti ombrosi.
Al voler dunque occulto d’ambo duoi
giungete ancora il vostro, e ’n gli amorosi
or nostri abbracciamenti v’acchinate,
mentre son l’ore al fatto accomodate.
51
Ma se alterezza in voi, che con beltade
move a star sempre, a questo non si piega
(non giá per vano zel di castitade,
ché casta è sol colei ch’altri non prega,
ma perché amate piú la fresca etade
forse d’alcuno al quale amor vi lega),
giá non cosi virtude in noi s’ammorza
che, ove ’l priego non possa, manchi forza.

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52
Uomini siamo, e duoi, e assai robusti:
femina siete, ed una, e dilicata;
e se, vostro malgrado, ardita fusti
gridando far che accorra qua brigata,
noi, sendo in pregio e riputati giusti,
diremo con un giovene trovata
sul fatto avervi, e quel, di noi piú forte,
uscito esser ignoto de le porte. —
53
Pallida oliva, che del mar su un sasso
l’onde si vede a piè turbate e grosse
come da venti combattuta, e lasso
il tronco ha giá de l’austro a le percosse;
l’accorto zappator, che ’l gran fracasso
visto lontan, per lei servar si mosse,
sommette d’olmo un ramo, il qual, forcuto,
l’arbor gentile abbraccia e dálie aiuto:
cosi la santa donna, fra le oneste
lucido sol, non mai pensier lascivo
credendo uscir di si canute teste,
ha di morto color piú che di vivo
le note sul bel volto manifeste,
di stupor carco e di vergogna schivo;
stretta si vede ansar tra l’uscio e ’l muro,
né il porto è piú del mare a lei sicuro.
55
— Pensieri miei — dicea — chi mi consiglia
di voi, ché angustie intorno aver mi veggio?
Se al voler di costoro il mio s’appiglia,
morrò: dubbio non è ch’io morir deggio:
s’io noi vo’ fare e chiamo la famiglia,
da’ mani lor non camperò: ma peggio
mi fora nondimen salire a Dio,
che patir scorno mai d’error non mio ! —

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56
Allor quei fanciulletti di cent’anni,
veduta tal fermezza in una donna
(simil a quella ch’or di sé su’ vanni
adorna il cielo, Vittoria Colonna),
le dán di piglio al collo e a’ bianchi panni,
ché tratta ella s’avea la bianca gonna.
Forte chiamò, spingendo lor con sdegno:
— Deh, Dio, conserva in me di fede il pegno! —
57
Al suon del cui lamento anch’essi alzáro
piú voci con rumor qual d’ira nasce.
Ivi l’un dopo l’altro s’avventáro
quanti di Giovachin la mensa pasce:
veggon la lor madonna, ch’un sol chiaro
fra l’altre d’onestá fu da le fasce,
or starsi quasi nuda e ’n foggia tale
che sospicar di lei puotean gran male.
58
Qui la faconda lingua di que’ brutti
libidinosi vecchi tanto valse,
che de la terra i primi corser tutti,
donando fede a lor parole false.
Strepito allor di pianti e tristi lutti
de la pietosa gente ad alto salse,
perché di duol comune a ciascun duole
esser di pudicizia or spento il sole.
59
Scorre per tutto fama che la moglie
di Giovachin non unque assai lodata
fu con l’adulter sola e senza spoglie
da duo piú savi giudici trovata,
e che da legge il popol non si toglie,
per tal beltá, che non sia lapidata;
ché a la cittá men danno è d ’esser priva
di lei, che sporco esempio in lei piú viva.

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24 LA. UMANITÀ DEL FIGLIUOLO DI DIO
60
Frattanto i malfattori (quei ch’udire
devrian lor colpe innanzi al tribunale!)
sul tribunal s’assidon per punire
ne l’innocente il lor commesso male.
O vendetta del ciel, quanto a ferire
noi troppo indugi col fulmineo strale,
noi che, occupando l’onorato seggio,
punimo altrui del nostro mal e peggio !
61
Stanno quei sacerdoti (assai ribaldi
piú che l’ufficio lor mai non fu giusto),
stanno di Mòse in l’alto trono saldi
e, con un viso indomito e robusto,
di zel si mostran, non giá d’ira, caldi
per lo negato a sé venereo gusto.
Alzan le mani e, postele sopr’esso
capo di lei, comencian tal processo.
62
— Per noi, che stretti esecutori semo
de l’onoranda legge, si condanna
che sia da pietre morta e ’n quel medemo
luogo sepulta questa ria Susanna,
la qual (si come aggiunta noi l’avemo)
in braccio altrui le sacre tede inganna.
E tu, popol di Dio, se zelo hai mica,
leva da gli occhi tuoi quest’ impudica! —
63
Cosi parlando i baldanzosi vecchi,
credette a loro il credul volgo e pazzo.
Fu con rampogne amare da parecchi
spinta la donna fuora del palazzo,
la quale, alzando i suo be’ chiari specchi
donde piovea di calde perle un guazzo,
mirò nel ciel e con fondata speme
porse al Signor queste parole estreme:

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64
— Padre, conoscitor de gli pensieri
quai che si sian in petto d’uomo ignoti,
tu vedi pur se i miei ti fúr sinceri
e se mal netti quei de’ sacerdoti !
Giudica dunque tu, ché i bianchi e neri,
quai fior di prato al sol, ti sono noti;
e se morir pur deggio, deh, Signore,
muoia si il corpo, e vivo sia l’onore! —
65
Furon in quello istante a le divine
orecchie porti quegli ardenti prieghi ;
però che al travagliato per le spine
di questo mondo è di mistier che pieghi
sua speme in Dio, d’ogni tempesta fine,
acciò ch’indi lo scioglia e a sé lo leghi,
il qual, se d’erbe armenti e augei tien cura
via pili serbar nostr’alme egli procura.
66
Entra nel cor d’un giovene fiorito
tra le virtú, che Daniel vien detto,
il qual con grande ardir s’alzò spedito,
forte chiamando: — Io mondo vado e netto
del sangue di costei ; che se punito
sará da voi, grand’ira vi prometto,
ché i malfattor son quegli che dat’ hanno
in lei giudicio falso e pien d’ inganno.
67
Or dunque l’un da l’altro sian divisi,
ché vovvi aprir vostr’occhi e pensier orbi.
Mirate, prego, in quei lor crespi risi
come son fatti al mal di dentro torbi !
Voi, padri e sacerdoti; voi, gli assisi
ne’ primi scanni, ad esser dentro corbi,
di fuor columbe? e sotto nomi egregi
celare incesti, furti e sacrilegi?

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68
O legge, o santi altari, o divin tempio,
o mitre, o capi rasi, o barbe, o chiavi,
quant’alme il centro assorbe per l’esempio
de gli atti vostri portentosi e pravi !
qual buon altrui costume, che ’l vostr’empio
non malo il faccia e tutto lo depravi?
Ma peggio avvien, che l’abito non sente
piú sferza in voi né stimulo né dente.
69
Oimè che ’l manto ner del mio pastore,
la tunica, il cappel mutati s’hanno
in sarge bianche, ma i pensier del core
vasi d’inchiostro e carbon spenti vanno;
e quanto meglio sotto a brun colore
tanti bei spirti e candidi si stanno !
Ahi scorno d’ Israel, ché i vermi grassi
nuotan nel puzzo dentro a bianchi sassi!
70
Dimmi tu dunque, o rancio ed invecchiato
nei giorni rei, che nel costei bel volto
troppo lassivamente t’hai specchiato,
di qual arbor sott’ombra avete accolto
la donna con l’amante in quel peccato,
ch’ora ne’ sassi vuoi che stia sepolto? —
Cosi parlò il profeta al primo d’essi,
che ’n fronte i segni avea di colpa impressi.
71
Si vede il miser dal compagno smosso
con cui s’accordi a subita risposta:
vena non ha da capo a piè, non osso
senza tremor, ché morte gli si accosta.
Quella trist’alma è giunta in ripa al fosso,
anzi par tra ’l martello e incude posta;
ma, perché ’l vulgo dubbia ornai e stride,
disse che sotto un schin parlar ’i vide.

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72
— Ahi — disse Dániel — disonor del mondo,
ché drittamente in capo tuo ne menti!
Ecco: l’angel del giusto Dio, secondo
l’opre malvage tue, gli atti impudenti,
mezzo ti squarcerá con l’iracondo
brando del ciel fra le dannate genti! —
E, detto ciò, dagli occhi sei rimove,
chiamando a sé quell’altro ch’era altrove.
73
— Vien qua, di Canaan impuro seme,
non giá di Giuda, no, ché altrui vaghezza
sol t’ha ingannato e ’n le beltadi estreme
arse tua carne a laidi stupri avvezza! —
Tace quel disleal, che pavé e teme
non men di ladro giunto a la cavezza:
mira ch’ognun ha l’una e l’altra spanna
e ’l grembo ancor pien d’altro che di manna.
74
Or similmente interrogato sotto
qual pianta lor comprese nel giardino,
come fra ’l sasso e sacro ricondotto,
disse veduto averli a piè d’un pino.
Corse con pietre allor senz’altro motto
di corno o tromba il grande e parvolino,
e, via piú tosto d’un alzar di vista,
fu imposto a loro il monte di Balista.
75
Cosi de l’onestade il bel candore
quella gentil columba si mantenne:
la pazienzia, i caldi prieghi, amore
che ’n Dio sempre ebbe furono le penne
donde l’amato e prezioso onore
sul volo a tutto suo poter si tenne.
Or vassi ornai sicura innanzi al Duca
fin ch’esso al regno suo la riconduca.

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76
Segue la forte Maccabea co’ figli,
de cui tal strazio vide qual di pollo
grifalco fa col becco e con gli artigli
in fin che ’l gozzo e ventre sia satollo;
e nondimeno a fuoghi ed a roncigli
non ebbe mai cor, non occhio mollo,
ché assai piú calse a lei di legge il pegno
che veder di sua carne un barbar pregno.
77
Con loro in squadra e Giuda ed i fratelli,
che, a quanto in arme si può far, mostráro
la fronte agli nemici ed i rubelli
di Mòse ed idolatri ad un scannáro.
Poi mille fanciulletti arditi e snelli
vengon cantando ed hanno di lor caro
sangue d’agnel le bianche stole asperse,
che circonciso in lor salute offerse.
78
Va loro appresso il forte Simeone
che, ancor per quei molt’anni a sé concessi
acciò Iesu vedesse, col bastone
par che i membri sostegna ornai defessi.
Alfin vi arrivan mille e piú persone
c’ han del battesino in fronte i segni impressi.
Poi di gran lunga dietro a loro appare
un sol di santitá, di fede un mare:
79
i’ dico il principal de Palme giuste,
frutto di legge e seme di Vangelo,
che del Giordano in su le sponde anguste,
fra orrendi boschi e sotto irsuto pelo,
visse di mel selvaggio e di locuste,
anzi visse di fé, d’amor, di zelo;
ché questi sono e’ cibi donde ognuno,
vivente in Dio, si pasce di digiuno.

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80
Sol va costui de l’alto Re scorgendo
i gravi, altieri e ben fondati passi,
quel Re che ’n mille e mille rai seguendo
fa lampeggiar di Stige i cavi sassi.
Non antro è nigro si, non speco orrendo
che ’n loro il vivo sol non entri e passi.
Tra Fede e Caritá vien esso e mena
Legge pei crini e Pluto a la catena.
81
Egli, che primogenito de’ morti,
scandal d’ebrei, stoltizia fu di gente,
tolse le pene in sé d’immani torti,
tutto che d’ogni mal fusse innocente;
rott’ha le mura, i valli e gli argin forti
del cieco abisso e datogli di dente
porta gran preda, e il corpo, ravvivato
che sia dal Padre, andrá sedergli a lato.
82
Poscia diversa turba ed infinita
de l’uno e l’altro sesso vien da lunge,
tacita, pensorosa e a brun vestita,
che stran desio d’andar col Duca punge.
Precede a tutti Plato, né duo’ dita
da lui l’altier discepolo si sgiunge,
ché col dir sol: — Cagion d’ogni cagione,
misere re di me ! — fu con Platone.
83
Seguon molt’altri in lettre chiari ed arme,
ch’un Dio, ma ciecamente, confessáro,
i quai dover qui luogo aver non parme,
ché altri, di me piú dotti, ’i celebráro:
e pur da troppo ardir non posso aitarme;
ché mi vi fa nomarne almen un paro,
cui le sfrenate voglie aver sommesse
a legge di natura Dio concesse.

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84
Omero è l’uno, l’altro il mantoano
che andargli fianco a fianco non è lento;
e se vivea, forse che ’l suo troiano
col petto equato avria d’Achille il mento.
Parla, in andando, al suo maestro, e ’nvano
di nostre muse or poggia l’argomento:
— Ecco materia eterna, ecco suggetto,
che sol puotea stancar nostr’intelletto !
85
Ecco, vedilo lá Chi tien eguale
non pur di Provvidenzia il Padre eterno,
ma chi del padre l’innamora, a tale
ch’un Dio di tre persone è sempiterno!
Questi sol chiude, schiude, scende e sale,
serena il cielo e fulmina l’inferno;
quinci dolce, benigno e grazioso,
quindi duro, aspro, giusto e spaventoso.
86
Lasso, ch’aver da questo vivo Giove
tenuta grazia d’alto stilo ed arte,
riconoscemo al tardi, ché altre prove
s’avrian fatto per noi veder in carte:
gittate carte, insani accenti, dove
cantasi a’ sordi e l’ore invan fúr sparte!
Frattanto il ciel s’adira e l’aria freme,
ove s’innalza il falso e ’l ver si preme.
87
O voi, beati spirti, o avventurati,
ch’oggi pur nati ovvero a nascer siete,
cosi, se ’l priego nostro vai, sian dati
di noi gl’ingegni al gran desio ch’avrete,
acciò vadan con alto suon cantati
quai versi in grazia di costui direte;
versi ch’almen saranno ad util vostro,
dand’esso il sangue, dando voi l’inchiostro!

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88
Verranno i quattro miei seguaci, donde
le costui prove in numer fien cantate:
il Folgo, Sannazzaro e chi le fronde
sfronda del moro a’ suoi bombici date;
Scipio Capeccio del Giordano a Tonde
(poich’ivi avrá le muse a sé chiamate)
canterá del Battista e ’n mezzo a loro
torrá la palma e sprezzerá l’alloro.
89
Io veggo un altro Tullio impor gran luce
ad ogni monte non che ad un Cassino:
parlo del mio Cortese, onde riluce
non meno il greco tuo che ’1 mio latino.
Veggo Valerian che guida e duce
andar potrá per qual si sia divino
o uman sentier, né Lateran ha indegno
d’un si limato e universal ingegno.
90
Veggo Alovigi di tre lingue adorno,
lingue non d’oro no, ma di dottrina
che ’n guisa d’un altier grifalco intorno
e sopra il ciel volando non dechina.
Poi veggo il Seripando far soggiorno
ne l’arte naturai, ne la divina.
Napoli mia gentil, Vinegia vaga,
che di si belle piante il ciel v’appaga!
91
Non ti sovviene, o mastro mio, quell’ora
che Giambattista fe’ si gran discorso
(di Giambattista parlo, il qual è aurora
di questo eterno Apollo innanzi al corso),
quando sott’uno abete a la frese ’óra
orò quattro ore, fattovi concorso
di tutte Palme dotte? Oh che non disse,
che non parlò di quanto Dio prefisse ?

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92
Ben mi rammenta poi ch’a mille a mille
narrò di questo re l’opre soprane,
discese a ragionar d’altro che Achille,
d’altro che Enea, nostre fatiche insane;
ché, se con lingue quante in mar son stille
e stelle in ciel parlammo, tutte vane
fóran in puoter dire l’alte imprese
d’un Pavol, ch’or nove anni ha manco un mese.
93
Costui la Grecia tua, l’Italia mia
trarrá, con dir celeste, d’ombra a luce.
Oh c’ne sonora tromba, oh che armonia,
oh vaso eletto, oh infaticabil duce !
Parmi vederlo giá che qual si sia
spirto rubello a cor pentito induce,
scuotendo i petti or questo or quello d’ogni
nebbia di mente, d’ombre false e insogni.
94
Esso con Pietro, Andrea, Filippo, Toma
ed altri cavallier del Re celeste,
tolta di croce l’onorata soma
e da si lungo oblio giá Palme deste,
del mondo i rai, Cartago, Atene e Roma
di mani adornerá, di piè, di teste;
ché, ove di pietra i dèi son oggi alzati,
gli ossi de’ santi eroi fien onorati.
95
A questi altieri e forti capitani
hanno a succeder P infinite squadre
di quanti al mondo riputati insani
saggi saranno in gli occhi al sommo Padre.
Fame, sete, calor, gel, tori e cani,
ceppi, catene, fuoghi e prigion adre
non sprezzaranno men che sprezzar gli orsi
soglion di pulci e mosche i lievi morsi.

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96
Oh quanti Policarpi, Urbani e Sisti
che, accorti e pronti rubatori d’alme,
per antri e grotte ascosi e rado visti,
aggravaranno il ciel di ricche salme !
Oh quanti Celsi, Agapiti e Calisti
e chi con lor vittoriose palme
introdurranno ai ben del paradiso
il popol di Iesú per fede ucciso !
97
Fundata che sia poi su’ nervi ed ossa
de’ martiri la Sposa del Tonante,
fia da’ perversi eretici percossa
con morsi d’angue e stocchi d’adamante;
ma d’Adamanzio greco la gran possa
quegli porrá di lei sotto a le piante,
e lascerá tal arme a’ successori
che ’ncontro a lor fien sempre vincitori.
98
Verrá quel vecchio ma robusto toro,
Girolamo, ch’ai passo fonda il piede.
Oh ch’arca di dottrina, oh che tesoro
l’idea di lui nel ricco ciel possedei
Felice il greco ancor, Giovan, che «d’oro
Bocca» fia detto, e quel rigor di fede
schietto Atanasio, e l’un e l’altro umano,
Gregorio Nazanzeno e Cipriano.
99
Ma poi che sia renduto a quella tanta
madre l’onor da suoi medesmi figli
e svelta ogni maligna e trista pianta
dagli onorati e floridi concigli,
succederá la plebe onesta e santa,
tolta del mondo e d’infernali artigli
da Basilio, Bernardo e dal diletto
e caro al cielo e al mondo Benedetto.
T. Folengo, Opere italiane - il.

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100
A piè di Grotta in quel vago giardino
dove ’l mio busto un picciol marmo cuopre,
come tra vaghi aranci l’alto pino
verdeggiar vidi a quegli tutto sopre,
cosi quel chiaro e nobile norsino,
verde, fiorito e adorno di buon’opre,
spargerá d’esse grato e degno odore
che ’l tolga in ciel sopr’ogni confessore.
101
Parmi vederlo tra’ piú lieti e gai
seder con Augustin nel piú alto cielo
e ’n quella eterna pace unir lor rai
colmi d’egual dolcezza, amor e zelo.
Cosi lor figli s’ameran; ma guai
a chi parteggerá contra il Vangelo,
come se Benedetto ed Augustino
l’un fosse il ghelfo e l’altro il gibilino!
102
L’apportator di lor salute insegna
dovere il suo seguace ne’ conviti
porsi l’ultimo a tutti, acciò che tegna
il primo scanno poi fra’ piú graditi.
Essi con mente altiera e d’odio pregna
e da non so qual lor pietá scherniti
vorran preporsi l’una a l’altra setta.
Ma fugge, aimè, da noi la squadra eletta! —
103
Cosi favoleggiava il gran poeta,
e l’alma ch’attendea dal sasso il fine
di quel trionfo, non piú lorda e vieta
di ladronezzi, crudeltá, rapine,
scende con l’ altre in schiera e canta lieta:
— Lode a la croce, a sferze, a chiodi, a spine,
per cui Legge va serva e Fé signora,
morta la Morte, e noi de’ lacci fuora! —

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104
Ruppesi un monte allora, il piú petroso
ch’abbia nel cielo il capo, i piè nel mare.
Quind’esce il grande esercito, ch’ascoso
stava nel centro i giorni a noverare,
pende nel chiar sereno, e quel formoso
signor, ritolto il corpo in cui traspare
si come sol nel vetro e rifermato,
Pietro con gli altri al ciel volò beato.
105
Smossa la luce ed annottato il centro,
Plato va brancolando e l’altra scola,
fin che, al soggiorno lor tornati dentro,
l’un l’altro invan sperando si consola,
e se pur speran dritto a dir: — Non entro —
(ché in Dio s’occulta ciò che ’l tempo invola),
verranno i di, che senza nebbia e velo
tutto vedrò nel regnator del cielo.

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