Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/17

8
Qui l’Ignoranzia d’ogni ben nemica,
ratto che ’n grembo a sé calar mi vide,
come colei che d’ombre altrui nudrica
e poi del nostro vaneggiar sen ride,
mi ricondusse lá dove s’intrica
nostr’ intelletto, mentre vi s’asside
fra le sirene ad ascoltar lor carmi,
si che dal sonno mal puotei ritrarmi.
9
Bello m’apparve si l’aspetto loro,
ch’esser froda in bellezza non pensai:
ma ciò che splende giá non è sempr’oro,
cosa che mio malgrado allor provai.
Un d’angeliche voci eletto coro
entrato esser credetti e poi mirai
che, ov’elle si cangiáro in sozze larve,
nacquevi il pianto e l’armonia disparve.
10
Or mille grazie dunque, or mille lodi,
Iesú, ti rende l’alma mia che sgombra
e sciolta va de la pregion, de’ nodi
che la tenean com’ insensibil ombra;
e se ’n le piaghe de la lancia e chiodi
vive la fé che ogni dubbiar mi sgombra
e s’io ti vo fedele e parteggiano,
drizza l’ingegno mio, scorgi la mano!
11
Quando del verno estremo il breve giorno
raddoppia l’ore a la stagione acerba,
la fredda serpe, che del Tauro il corno
riscaldar sente, muovesi superba
e del gelato suo terren soggiorno
esce non pur strisciando a errar per l’erba,
ma trova o ceppo o sasso o dove a forza
sottentrando depon l’antica scorza.