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Sol va costui de l’alto Re scorgendo
i gravi, altieri e ben fondati passi,
quel Re che ’n mille e mille rai seguendo
fa lampeggiar di Stige i cavi sassi.
Non antro è nigro si, non speco orrendo
che ’n loro il vivo sol non entri e passi.
Tra Fede e Caritá vien esso e mena
Legge pei crini e Pluto a la catena.
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Egli, che primogenito de’ morti,
scandal d’ebrei, stoltizia fu di gente,
tolse le pene in sé d’immani torti,
tutto che d’ogni mal fusse innocente;
rott’ha le mura, i valli e gli argin forti
del cieco abisso e datogli di dente
porta gran preda, e il corpo, ravvivato
che sia dal Padre, andrá sedergli a lato.
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Poscia diversa turba ed infinita
de l’uno e l’altro sesso vien da lunge,
tacita, pensorosa e a brun vestita,
che stran desio d’andar col Duca punge.
Precede a tutti Plato, né duo’ dita
da lui l’altier discepolo si sgiunge,
ché col dir sol: — Cagion d’ogni cagione,
misere re di me ! — fu con Platone.
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Seguon molt’altri in lettre chiari ed arme,
ch’un Dio, ma ciecamente, confessáro,
i quai dover qui luogo aver non parme,
ché altri, di me piú dotti, ’i celebráro:
e pur da troppo ardir non posso aitarme;
ché mi vi fa nomarne almen un paro,
cui le sfrenate voglie aver sommesse
a legge di natura Dio concesse.