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24 LA. UMANITÀ DEL FIGLIUOLO DI DIO
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Frattanto i malfattori (quei ch’udire
devrian lor colpe innanzi al tribunale!)
sul tribunal s’assidon per punire
ne l’innocente il lor commesso male.
O vendetta del ciel, quanto a ferire
noi troppo indugi col fulmineo strale,
noi che, occupando l’onorato seggio,
punimo altrui del nostro mal e peggio !
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Stanno quei sacerdoti (assai ribaldi
piú che l’ufficio lor mai non fu giusto),
stanno di Mòse in l’alto trono saldi
e, con un viso indomito e robusto,
di zel si mostran, non giá d’ira, caldi
per lo negato a sé venereo gusto.
Alzan le mani e, postele sopr’esso
capo di lei, comencian tal processo.
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— Per noi, che stretti esecutori semo
de l’onoranda legge, si condanna
che sia da pietre morta e ’n quel medemo
luogo sepulta questa ria Susanna,
la qual (si come aggiunta noi l’avemo)
in braccio altrui le sacre tede inganna.
E tu, popol di Dio, se zelo hai mica,
leva da gli occhi tuoi quest’ impudica! —
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Cosi parlando i baldanzosi vecchi,
credette a loro il credul volgo e pazzo.
Fu con rampogne amare da parecchi
spinta la donna fuora del palazzo,
la quale, alzando i suo be’ chiari specchi
donde piovea di calde perle un guazzo,
mirò nel ciel e con fondata speme
porse al Signor queste parole estreme: