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Ver è eh’ un dolor grave ognor m’elice
vento del petto e pioggia fuor de gli occhi
d’aver seguito in van l’adulatrice
mia voglia e quella piú d’alcuni sciocchi.
Scrissi giá sotto nome, onde l’ultrice
fiamma del ciel par sempre in me trabocchi:
nome di leggerezza! Or me ne spoglio
e quel che sona amor di Dio ritoglio.
5
Di sogni errai gran tempo e di chimere
per travagliato e cieco laberinto,
che popol infinito a schiere a schiere
consuma ogni ora, tien prigione e vinto.
Ma, di miei falli accorto: — «Misererei» —
gridai a Te, fin ch’ebbimi fuor spinto.
Ed ora il caso mio eh’ in fronte porto
sia quel ch’arretri altrui dal cammin torto!
6
Sia, dico, il caso mio quel vivo esempio
che ’n gli occhi al mondo scorra ciascun clima.
Forse che ’n qualche piazza o porto o tempio
sará chi’l pinga o ’ntaglia o pur l’imprima;
ché chi vedrá di me si duro scempio
lacrimar poscia e riconoscer prima
se abbia d’ambe le vie di nostra vita
tenersi o a la discesa o a la salita.
7
Un losinghevol mar ch’a’ naviganti
nel primo sguardo appar tutto suave,
pien di fugaci risi e brievi canti,
alfin si ruppe con tempesta grave
e mi sospinse ove fra doglie e pianti
si ritrovò mia travagliata nave,
che, aperto il fondo, il petto e le due sponde,
in preda mi lasciò de’ pesci a Tonde.