La umanità del figliuolo di Dio/Libro secondo
Questo testo è incompleto. |
◄ | Libro primo | Libro terzo | ► |
LIBRO SECONDO
1
Spirti celesti e voi, alme beate,
s’ogn’altro ragionar fuor che d’amore
(dico d’amor che ’n ciel v’infiamma) odiate,
o se pensier mai rio non v’entra in core,
prego, per quel desio donde bramate
d’aver voi vosco in quel divin splendore,
impetrate da Dio ch’almen piú buono
servo gli sia che mal scrittor gli sono !
2
Veggo tra’ miei consorti piú d’un petto
voglioso di saper chi sia quel duce
ch’or dissi avere il gran popol eletto
tratto del centro fuor con tanta luce;
veggo lor caldo ed amoroso affetto
che, come fiamma in vetro, mi traluce.
Ed io, per sodisfargli, dal prim’ovo
col vostro aiuto a poetar mi movo.
3
Dal primo giorno ch’ebbe il Padre eterno
degli elementi il fosco grembo rotto,
donde usci ’l ciel, la terra, il mal, l’inferno
e quanto è lá dissopra e qua dissotto,
eran voltati (come il ver discerno)
cinque mill’anni cento e novantotto,
quando sotto sua legge Ottaviano
soggiugò ’l mondo e chiuse il tempio a lano,
4
dove ’l furor de Tarme, incatenato
a l’aurea etá, die’ luogo a l’aurea pace.
Febo nel bianco toro in ciascun lato
del mondo imparte il bel raggio vivace;
donde rinverde il bosco, il monte, il prato,
né il dolce suon degli augelletti tace;
l’aura suave Occidental spirando
riporta i fiori e ’l ghiaccio mette in bando.
5
Sovenne a l’alto Padre onnipotente
compiuti esser giá gli anni che ’l suo Figlio
fatt’uom dé’ sciórre la perduta gente,
come di sciòrla fu tra lor consiglio
dal tempo che d’Adam l’ingordo dente
morse ’l vietato pomo, che ’n essiglio
cacciollo di miseria in questa valle;
cui dietro andavam tutti per un calle.
6
Stando di tre persone dunque un solo
eterno Dio sopremo ed infinito,
parla in se stesso e dice: — Va’, Figliolo,
va’ slegar l’uomo nostro dal Cocito:
piú assai che di soverchio il nigro stolo
de le brutt’ombre tienlo sepelito.
Ch’ei sia ricoverato al tutto intendo
col sangue tuo eh ’amaramente ispendo! —
7
E, vólto a Gabriel pien di fiamelle,
gl’impon, quant’ha che far sul punto faccia.
Quando comincian piú del sol le stelle
vagar nel ciel che le bilance caccia,
l’angel c’ha l’uso di portar novelle
al dato tempo impennasi le braccia
di be’ colori e d’una bianca stola
fregiata d’ór s’accinge e ’n terra vola.
\
8
Vola qua giuso a noi l’augel divino
e da l’ottava stella e fermamento
descende agli pianeti e a lor vicino
fiammato cerchio; e la cagion del vento
passa veloce a la cita di Nino,
ove de la superbia l’argomento
vede la torre e temeraria massa;
la qual sdegnando, agli omeri si lassa.
9
Viene al petroso ed arido deserto,
radendo a man sinistra il mar sanguigno,
quel dove l’ indurato re coverto
da Tonde fu col popol suo maligno;
vede fonte Marath che, amar’ offerto,
ratto addolci nel porvi dentro il ligno;
ed Israel, cui Tesser tolto increbbe
di servitú, mormorator ne bebbe.
10
Poi giunge ove posáro le lor salme
quei degni di morir non anco nati
perfidi ebrei, fra le settanta palme,
da duodeci fontane dissetati ;
passa Talpestro Sina, ove tant’alme
di legge nude, ove tanti affamati
di pane corpi Dio satolli fece
di carne, manna e di ch’oprar lor lece.
1 1
Qual vago cigno e piú di neve bianco,
ch’abbia sul volo assai per l’aria corso,
ferma le penne e dagli artigli franco
vien giú calando per dar fine al corso
(non che del del sia schivo, non che stanco,
ma da Tamor d’un chiaro fonte morso),
presto, vedendo lui colá, si pone
cantando dolce al luogo e a la stagione;
12
cosi giá ’l nunzio, sceso ove sott’empio
crudo tirán Ierusalem languia,
stette lungo a l’altar del santo tempio,
dove a vicenda il vecchio Zacaria,
di vita e bei costumi raro essempio,
mentre l’incenso al vero Giove offria,
teneva il popol fuor del tempio escluso,
come s’avea di Scenofe giá l’uso.
13
Tosto che mira il non terrestre viso
essersi posto al lato suo, non puote
non scolorar nel volto a l’improviso
e tralasciar le preci sue divote.
L’angel, accorto ch’egli era conquiso
da vii stupore a le smarrite gote,
sorrise a studio acciò ’l perduto core
tornasse al petto e al viso il bel colore.
14
Poi gli soggiunse queste parolette:
— Non hai che dubitar di me, profeta;
ch’io vengoti da Palme benedette,
nunzio di Chi produsse ogni pianeta,
per accertarti come furo accette
le tue preghere a lui; né piú ti vieta
ch’abbia del ventre infruttuoso ed arto
d’ Isabetta tua moglie un degno parto.
15
Ecco di lei, quantunque carca d’anni,
tu parimente carco d’anni un figlio
se’ per aver, che nomerai Giovanni,
come nomarlo è di divin consiglio:
di che non hai cagion perché t’affanni,
ma ben perché t’allegri al futur giglio,
il qual d’ogn ’altro fior piú redolente
trarassi a l’odor suo di molta gente.
16
Dal grembo di sua madre a l’ultim’ore
né sicera né vin d’alcuna foggia
berá giá mai, succiando quel liquore
ch’ebro fa l’uom e tutto a Dio l’appoggia.
Questi fia scelto ad esser precursore
di chi qua giú vi manda sol e pioggia;
fia, dico, scelto ad esser del Messia
fedele annunzio in spirito d’Elia. —
>7
Risponde il vecchio: — Deh, come fia inai
che noi cosi decrepiti possiamo
adempier cotal cosa? e tu ben sai
frutto non nascer mai di secco ramo ! —
E Gabriel a lui : — Perciò non hai
onde sperar non debbia, se d’Àbramo,
maggiore a te di tempo, avessi fede,
il qual sopra credette a quel si vede.
18
Dove per questa debil tua credenza
tu se’ dal sommo giudice dannato
di star di lingua o di parole senza,
in fin che, circonciso non che nato,
ti sia lo infante. Io son quel che ’n presenza
mi sto del trino ed unico Senato,
e vengo e vado spesso ambasciatore
a voi mortali che gli siete a core. —
19
Finito ch’ebbe il fiammeggiante uccello,
per ritornarsi al cielo aperse l’ale:
ma solo qui rimase il vecchierello,
via piú del ben futur che men del male
presente lieto, né di quel flagello
di non poter parlare assai gli cale.
Fra tanto il volgo sta del tempio fuora
né sa dond’egli tanto a uscir dimora.
20
Pur si scoperse alfin ne gli occhi d’essi
rempiendo lor d’estrema meraviglia,
ché, mentre il circondavan folti e spessi,
sol con le man parlava e con le ciglia;
si che stan muti e fuora di se stessi
pel gran stupore ch’entro a lor si piglia,
ma non eh ’alcun non facciavi giudiccio
esser tal cosa d’alto effetto indiccio.
21
Or quinci parte e vassi al proprio tetto
in compagnia di fede assai piu ferma
che, anzi, non fu di Gabriele al detto:
e la sua donna, eh’ è canuta e inferma,
di gravidezza gli mostrò l’effetto
si come fuor potevasi veder. Ma,
tantosto ch’ella entrò nel sesto mese,
mosser nel cielo assai maggiori imprese.
22
Ché l’increato, eterno, onnipotente,
incommutabil Dio che mai non erra,
il qual d’un punto, anzi pur di niente,
di stelle il ciel, di piante ornò la terra,
sedea ne l’alto trono; ed ecco un dente
(chi crederallo?) un dente si disserra
fuor d’un vel nero in l’alta sua presenza,
per ch’esso n’ebbe tosto conoscenza.
23
Un grido allor di mille voci e mille
sali fuor di que’ ardenti spirti, e disse:
— O tu, che a noi concedi le tranquille
tue stanze ov’alto senno ne prescrisse,
tu sai che ’l primier uomo allor smarrille
che troppo saper volle, e se n’afflisse,
e svelsesi quel dente acciò l’avesse
negli occhi sempre e sempre ne piagnesse
24
piagnesse del fallir suo tanto grande,
per cui non pur sputò di bocca il dente,
ma Morte insieme, ch’ora sovraspande
a l’uman seme un’ombra pestilente,
acciò non guardi al cielo, acciò non mande
né suoi desiri a te né cor né mente;
ma tanti ella nel fondo tien sepolti,
che belli sono i pochi, e brutti i molti.
25
Vedi, Signor, vedi gli empirei seggi
come stan polverosi e d’alme vóti !
Tu che sopr’ogni forza signoreggi,
Tu che se’ presto agli umili e devoti,
Tu che fra l’uomo e l’angel non parteggi,
ma egual ci salvi, e perché lo percuoti,
benigno Padre? e perché in tanti guai
penar lo vedi, e aita non gli dai?
26
Ahi quanto de l’inferno è la via larga,
e da gran turba calpestata e trita!
Non è chi faccia ben, non è chi sparga
suoi prieghi a Te dator d’eterna vita:
ma Tu ch’a te ridurli hai zel, deh slarga,
Signor, la tua clemenzia eh’ è ’nfinita;
e queste mansioni e alberghi, privi
di spirti che morirò, empiam di vivi! —
27
A quel richiamo e priego universale
degli santi ministri a noi si fidi
fu Gabriel veduto spander l’ale
per gire in un momento a’ bassi lidi;
ché la persona del Figliuolo eguale
a l’altre due, sentendo i pianti e stridi
che da gli abissi vannogli lá suso,
il manda annunziar che verrá giuso.
28
Non che ne faccia motto a suon di tromba,
non ad orror de tuoni e terremoti,
non che sbucano allora d’ogni tomba
gli morti, o sian vicini o sian rimoti :
non come astor vorace, ma colomba
descender vuole il temprator de’ moti;
non vien monarca no né ’mperadore,
ma frate nostro, amico e servitore.
29
Or una donzelletta, a l’altre pari
di fresca etá, maggior di santimonia,
stava nel tempio ad adornar gli altari ;
la cui simplicitá, la castimonia,
la fede ed i costumi onesti e rari
fór spavento e terror de le demonia,
perché temetter lei che donna fusse,
donde patir dovean d’acerbe busse.
30
Giá non oblia l’introduttor del vizio
la fatta a sé promessa minacciosa;
ch’avendo egli mandato in precipizio
la prima donna per si lieve cosa,
dissegli Dio: — N’arrai degno supplizio
da la seconda che, vittoriosa
contra gli assalti tuoi, spirto di morte,
ti fiaccherá la testa col piè forte! —
31
Quel rubo che ’n Egitto il gran pastore
sfavillar vide in fuoco e illeso starne,
quella verga d’Aròn che dopo il fiore
produsse il frutto ancor senz’umor trarne,
fór di costei figura, ché ’l Fattore
suo partorrebbe non vi oprando carne,
il qual discese in lei con quella foggia
che sopra yello suol descender pioggia.
32
Sola costei fra tante nacque e tante
del Sommo Bene ad esser domiciglio.
Non ch’essa (pregio, d’umiltá piú avante!)
qual fosse sopra sé divin consiglio
punto sapesse, avendo pur costante
proponimento di campare il giglio
di pudicizia intiero (e sempre in Dio
tenea con prieghi caldi un tal desio).
33
Ma l’inscrutabil mente, ch’una sola
impresa molte volte a piú piú effetti
sa dispensar, né come il tempo vola,
ma stassi ferma in gli alti suoi concetti,
volse che tanta ed unica figliuola
fosse congiunta ad uno de’ piú stretti
cognati suoi nel maritai soggiorno,
affin che l’angel rio n’avesse scorno.
34
Ioseppe, ch’era sposo e non ancora
le avea slegato il cingol virginale
(né mai slegollo), al borgo suo dimora,
succinto a l’apparecchio maritale:
Maria, ch’ascolta il tutto, si scolora
e pensa come possa maggior male
cader in lei che ritrovarsi indegna,
cui sua virginitá Dio le mantegna.
35
— Cor mio — dicea — ben hai ragion s’un’fiume
mandi di pianto amar’ per gli occhi fuore:
presto verrá chi svella, chi consume,
chi sfrondi e strugga il nostro si bel fiore !
Se questo avien di legge per costume,
conviensi ubedir lei con quel timore,
con quel servile onor, che a men benigna
patrona si conviene, anzi matrigna.
36
Giustizia vuol che dato a li nostr’empi
continoi falli un tal flagello sia:
ma voi, o chiari e graziosi tempi,
quando verrete ornai, che d’Esaia,
che d’altri ancor l’oracolo s’adempi?
eh ’alfine il ben promesso a noi si dia,
quel sommo ben, quell ’aspettato duono,
e che segua l’effetto al grido, al suono?
37
Il grido, il suon de l’onorate carte
si spande, ch’una santa verginella
conciperá fuor di natura ed arte
Colui che l’aureo secol rinovella.
Beata lei, che la piú degna parte
di sé rimarrá intiera e d’ogni stella
l’autor partorirá dopo ’l concetto,
e degna fia nudrirlo del suo petto!
38
Allor quest’aspra e baldanzosa legge
fia men da noi temuta e men stimata;
ch’una figlia del Re che ’l tutto regge
verrá con l’ altre in bianco vel ornata,
disposta e ferma che non signoregge
piú oltre a figli cari questa ingrata
e spiacevol tiranna, e ’n l’aurea sede
lo scettro essa terrá, dico la Fede. —
39
Cosi parlando quella, ecco l’alato
corrier, disceso al picciol Nazaretto,
pervenne a lei, quantunque ratturato
sia l’uscio del castissimo suo letto.
Fiammeggia la celletta in ogni lato
a l’apparir del messaggero eletto,
di tante stelle rutilanti adorno,
che il sol men luce ardendo al mezo giorno.
40
E con suavi accenti ed armonia,
con riverir leggiadro le disse: — Ave,
ave del ciel reina, ave Maria,
c’hai de le grazie e di vertú la chiave,
l’alto valor divin con teco sia,
da cui tu se’ per quella onesta e grave
fra tutte l’altre donne donna eletta,
col frutto del tuo ventre benedetta ! —
41
A quel gran lume, a quel maggior sugge tto
d’alte parole impallidí la diva,
parendo al bel disio contrario effetto,
e cosa in ver che d’ogni ben la priva.
Ma Gabriel si oppone a quel sospetto,
ché vede lei si ritrosetta e schiva
di non voler pur perder il tesoro
piú di gemma a lei caro, piú de l’oro.
42
Benché s’avisi de l’odiate tede
instar giá ’l tempo ed importar gran danno,
dovendo esser rimossa da la sede
ove i pensieri casti chiusi stanno,
pur vive ancor la pertinace fede
che i frequentati prieghi non potranno
se non giovar, mentre ’l Conoscitore
de’ sensi uman le va per entro ’l core.
. 43
Risponde il bianco genio: — A tal paura
non ti dar, donna, quando che per opra
di Dio fia ’l parto tuo, non di natura,
come fu destinato al ciel dissopra:
partorirai, o degna creatura,
il Creator del mondo, ove s’adopra
quell ’almo spirto, il qual fará te sola
vergine madre e del Figliuol figliola:
44
del Figlio figlia e madre intemerata,
che nomerai lesú ch’è «Salvatore».
Ed ecco eh’ Isabetta tua cognata,
per ch’abbia spento il naturai calore,
portasi un figlio in ventre, ornai entrata
nel sesto mese, quando ch’ai valore
celeste sia possibil ogni verbo
contra forza mortale e debil nerbo. —
45
Allor la virginetta vereconda
davanti al core i bei pensieri accoglie:
armasi tutta d’umiltá profonda,
spezza l’orgoglio e portasi le spoglie;
move dal cor la voce che circonda
la lingua e d’un fren d’oro la discioglie,
cantando: — Ecco l’ancilla del Signore:
fia in me del sommo Verbo il gran valore
4 ó
Non fór queste sopreme parolette
uscite ancor di quella pura bocca,
si senti dentro a le sue benedette
interne vie da dolce fiamma tócca.
Stan piú che mai le porte chiuse e strette
de la sua forte inespugnabil ròcca,
fattovi castellano il Paracleto
che de le Grazie v’introdusse il ceto;
47
le quali ebber un sacro e santo ostello
d’ incorrottibil carne fabricato,
ove l’eterno Figlio a noi fratello,
per ubedire al Padre, s’è corcato,
ed ha con esso un’alma in quel castello,
che poi fia degna stargli al destro lato,
cui piegherassi alfine ogni ginocchio,
quando del ciel non girerá piú l’occhio.
48
Con qual silenzio grata pioggia cade
sul molle dorso di lanosa greggia,
cosi quella soprema Maiestade,
che ’l mondo fa tremar qualor dardeggia
folgori e tuoni a queste rie contrade,
vien cheto cheto e punto non motteggia,
come disse ’l profeta «che ’l Signore
occulto sen verria qual rubatore».
49
Mai l’uman seme non campato fora
de l’intricato e cieco laberinto,
se l’incolpevol Dio, per trarlo fuora,
di nostra pece non si fosse tinto. *
Pur sempre egual al Padre in ciel dimora,
con Lui d’amore e maiestade avinto:
lá move il tutto e sopra tutti regna,
qua sotto porsi tutto a tutti degna.
5 °
Ma dopo alcuni giorni essa Madonna,
che gli angelici detti nel cor have,
come di Zacaria l’antica donna
era d’un figlio di sei mesi grave:
presta si leva in poveretta gonna,
non giá come colei che poi la chiave
del ciel posseder debbia, ma si come
sposa d’un fabro, e d’assai basso nome.
51
Va quanto può ver’ Galilea nascosa
soletta a piedi, over da Lui portata,
che porta in ventre come in stelo rosa,
insin che lieta giunse a la cognata,
che, surta in piede debilmente, annosa,
fu da la santa diva salutata;
del cui saluto mosse tal dolcezza,
che i figli lor dièr segno d’allegrezza.
T. Folengo, Opere italiane - 11.
4
5 *
Onde Isabetta con tremor non poco,
rapita da lo spirto ed infiammata,
con suono di parole non giá roco
qual esser suol di femina attempata,
levò la voce de l’empireo fuoco;
e poi ch’ebbe Maria risalutata,
incomenciò: — Dal cielo benedetta
sopra tutte le donne, donna eletta!
53
Oh benedetto il frutto del tuo ventre !
qual mia virtú, qual grazia, qual mio merto,
ch’a me tu madre del mio Signor entre,
a me eh ’esserti serva pur non merto?
Ecco, o d’ogni grazia piena, mentre
tu salutasti noi, quel ch’io coverto
ne le viscere tengo, il fantolino,
al tuo si rallegrò, devoto e chino.
54
Ed oh beata te, che per la viva
fermissima tua fede che prestasti
a l’angelico messo, la nativa
virginitade, i tuoi pensieri casti
verranno a porto ed a bramata riva,
e non ti fien contaminati e guasti !
Tu vergine, tu madre, tu figliola
di Dio sarai perfettamente, e sola! —
55
A tanto dir basso Madonna il parco
lume degli occhi e l’alma voce insieme,
dicendo: — Poi ch’oltrapassato è ’l varco
ed adombrato il fior senza uman seme,
poi c’ ho qui meco un si gravoso incarco
(gravoso al mondo per sue forze estreme,
a me suave e leggiadretta salma),
lo spirto mio s’allegra e gode l’alma.
56
Ed io ringrazio il Re del celso regno,
che de l’ancilla sua Turnil desio
ha risguardato si, eh’ esso fu degno
di sollevarmi sopra il sesso mio.
Ecco, di cotal duono in fede e segno,
da molte e molte nazion son io
per esser cosi detta: Alma beata,
ché ’l ciel di tante grazie l’ebbe ornata!
57
Gran cose fatte m’ha Quel eh’ è possente,
Quel, dico, il qual sol porta il santo nome,
ch’agli umil sempre fu signor clemente,
ma col forte suo braccio atterra, e dome
tien le superbe teste, e fa sovente
folgorando sentire il quando e ’l come
dal seggio suo depon l’altiera fronte,
e vuol che chi s’umilia vi sormonte.
58
Felice tu, Israel, c’hai ricevuto
quel tuo promesso giá tant’anni Infante,
che fu da nostri padri antiveduto;
parlandone giá tante volte e tante
a loro il mio signor, che risoluto
ne fu l’eletto Abramo agli altri avante,
odendo che di lui tal n’uscirebbe
cui simil di vertu giá mai non s’ebbe. —
59
Parlò cosi Madonna e, come quella
ch’ardea sempre nel ciel di caritade,
mosse a servir qual riverente ancella
colei cui rende onor canuta etade.
Ma fra quel tempo il fanciullin saltella,
dico Giovanni, che fatt’ ha ’mistade
col suo Signore e vedel si presente
se ’n vetro fosse od altro trasparente.
60
Giá su nel del piú spazioso e terso
dove l’ immensa gioia sempre dura,
fansi atterrar dal re de l’universo
intorno a sua cita le grosse mura;
ché vuole il racquetato Padre verso
il prodigo figliuol qualsia struttura
d’argini e torri ornai non sia d’impaccio
a l’anime ch’a lui verranno in braccio.
61
Cosi del ciel al regno pareggiarsi
quell’uomo può ch’abbia duo’ figli soli,
quando ’l minor (parendogli che scarsi
alcuni troppo sian ver’ lor figliuoli)
si disse al padre: — Mal può contentarsi
la voglia mia se ’n ciò non mi consoli,
che mi dia parte di quel c’ hai testato,
quando che teco star non m’è piú grato. —
62
Tacque l’accorto padre e poscia il prega
ch’a brame si sfrenate metta freno:
ma quel non l’ode né s’arretra o piega
dal destinato calle d’error pieno:
i cinque sensi co’ piacer fan lega,
ove lo sconcio e giovenetto osseno
tanto le mani oprò, gli piedi ed occhi,
ch’andò prigion di fame e di pedocchi.
63
Putte, giochi, taverne, pompe e balli
a pascersi co’ porci l’han condotto;
e quel che ber solea ne’ bei cristalli
del loro fango a bersi s’è ridotto.
Pentesi alfin, riconosciuti i falli,
gittasi a terra e, un lacrimar dirotto
incominciando, ripensava il bene
ch’avea col padre e ’l mal ch’allor sostiene.
64
— Lasso! — dicea — quanti’ oggi mercenari
mio padre agiatamente nutre e pasce!
ed io morrò di fame? ahi giorni amari
ch’io ben dovea morirmi ne le fasce!
Vostra mercé, miei fidi secretari,
che mi guidaste lá dove ’l mal nasce,
i’ dico a voi, mie voglie, tanto accorte
che fosti nel condurmi a si empia sorte!
65
Or, dite; che faremo? e con che fronte
andremo noi dinanzi al nostro padre?
Questo pur a voi tocca, a voi che pronte
ministre siete al torto e si leggiadre;
ma troppo l’opre vostre mi son cónte!
Non mi fido piú no, rubalde e ladre
che fosti di quel ben, che va né riede:
or senza voi m’andrò gridar mercede!
66
— Padre — dirò — (se pur di cotal nome
nomarti fui mai degno), or conosco io
non esser piú, donde figliuol mi nome:
si vissi contra te malvagio e rio !
Ecco, peccai: giá non ti nego come
di tanto è ricaduto Tesser mio,
che (quando a te non spiaccia) mi fia caro
esserti non figliuol, ma mercenaro! —
67
Cosi fermo pensier fra sé tenendo,
prese lungo viaggio infin che venne
lá dove ’l padre suo, noi conoscendo,
com’augel mal satollo e senza penne,
stette a mirarlo pria; ma poi correndo
l’accolse ne le braccia, né sostenne
ch’ei si recasse il suo fallire a noia:
tant’era in su quel punto pien di gioia!
68
Corre a mirarlo la famiglia, e a quello,
che ’nsieme d’allegrezza piagne e ride,
in dito han messo il consueto anello,
la stola indosso, ed un vitel s’uccide
(ch’a gran turba saria poco un agnello);
e ’n capo del convivio egli s’asside,
ov’a piú suo diporto tuttavia
danzasi a vario suon di melodia.
6q
Ecco fra tanto il suo fratei maggiore
d’un poder lor s’abbatte far ritorno;
sente che ’n casa è insolito rumore
e vedevi adunar tutto ’l contorno.
Domanda la cagion pien di stupore;
la qual intesa, parvegli gran scorno:
muore d’invidia e come un ceppo stassi,
col core amaro e gli occhi a terra bassi.
7 °
Il padre, che tardar su l’uscio il mira
cosi turbato in vista e dispettoso,
presto s’avede ch’egli è colmo d’ira
ed a pietá ver’ suo fratei ritroso.
Pur scende ad introdurlo, e mentre ’l tira
per mano leggermente, quel, sdegnoso,
con atti e con parole gli dichiara
esser la grazia tra fratelli rara.
7 1
Per che superbamente si gli oppone,
improverando ch’abbia in grazia preso
quel, strazio de le cose lor piú buone,
prodigo suo figliuolo, il qual, ripreso
da lui e dagli amici e da ragione,
sempr’ebbe ogni consiglio vilipeso,
ed ora ornato sia d’anella ed oro,
quinci con l’armonia, quindi col coro;
72
e ch’antiposto gli abbia un ingrassato
ed integro vitel fra gli altri eletto,
e che concesso a lui non mai sia stato
per apporlo agli amici un sol capretto,
avegna ch’abbia sempre avuto grato
stargli sopposto infin da parvoletto
e che, di quanto diffalcò queU’altro,
esso accresciuto avea fedele e scaltro.
73
Rispose l’uman padre: — Non. figliuolo,
non t’adirar cosi contra ’l dovere:
tu sempre meco se’ né un capriuolo
ma ’l poder nostro è tutto in tuo potere.
Dimmi, non dèi gradir s’i’ mi consolo
di qualche onesto corporal piacere?
Or maggiormente noi gioir dobbiamo
che ’l perduto fratei trovato abbiamo. —
74
Cosi l’alto celeste Padre eterno
risponde al primo suo figliuol giudeo:
che non però gli è tolto il ben paterno,
se campar vuole il figlio non ebreo,
lo qual stava co’ porci de l’inferno,
si del ben privo come del mal reo;
anzi sen goda, ché ’n salute d’elio
ucciso fu l’empireo suo vitello.
75
Passati eran giá i mesi, ch’Isabetta
non va dal parto suo lontana molto.
Maria sen torna a l’umile casetta
ove ’l consorte suo d’aver giá sciolto
con lei del matrimonio il groppo aspetta;
ma tosto il cor gli cadde non che ’l volto,
perché, anzi ’l dato anello si feconde,
s’accorge esser lei piena, né sa donde.
76
Ecco di gelosia l’atroce vermo
tutto lo spolpa e fanne crudo strazio;
ma pur com’uom giustissimo, per schermo
de l’onor d’ambo duoi, si tolse spazio
di forse ritrovare occulto e fermo
adito di lasciarla; e poi che sazio
fu di pensar la notte e rispensare,
alfin s’assonna, e Gabriel gli appare.
77
Apparegli di notte, ch’era solo,
anzi compagne avea l’acerbe doglie.
— Ioseppe — disse — di David figliolo,
a che rifiuti l’innocente moglie?
Non vien di stupro o d’altro simil dolo
tal gravidezza, no; ma Dio le spoglie
de l’uman corpo in quella si è vestito,
e l’almo Spirto sol le fu marito.
78
Sposo se’ giunto a lei per molti effetti;
duo de li quai fór, l’uno per servare
tal donna dal giudicio e da’ sospetti
che i puri nomi soglion ammacchiare;
l’altro, ch’a gli demòn sian intercetti
questi mistier d’amor si singolare. —
Cosi l’angelo disse, e lei Ioseppe
onorò poi quant’onorar mai seppe.
79
Né dianzi al parto altissimo né dopo
esso fu degno, né altri, di tal donna;
ché, non dirò da l’Indo ed Etiòpo
a l’una e l’altra Occidental colonna,
ma dal piú ardente angelico piropo
fin dove ammanta il ciel stellata gonna,
non fu, non è, non fia spirto si degno,
che giunga ov’ella giunse al primo segno.
80
Fra questi giorni a Zacaria, secondo
l’angelica impromessa, il figlio nacque;
ove ’l popol concorre assai giocondo,
eh’ un tanto duon celeste a ciascun piacque.
Poi, giunto il tempo che ’l fanciullo immondo
si circoncida, il padre non piú tacque,
ma con lingua parlò spedita e sciolta,
la qual fin su quel punto gli fu tolta.
81
Dico, poi ch’a la moglie, giá concorde,
che ’l figlio avesse nome Giovan scrisse,
la bocca muta con l’orecchie sorde
aprendo, al sommo Padre benedisse,
cantò con voce a le sonore corde
l’alta canzon, che da quell’ora visse
e vivrá sempre scritta lá su d’oro,
qua giú d’inchiostro in questo ed in quel coro.
82
Era quella stagion fiammata ed arsa
che ’l sol verso Leon va tardo e pegro:
taccion i venti, ed ha di polver sparsa
la vesta il viandante asciutto e negro;
stride la cicaletta e l’ombra scarsa
copre ’l pastor a pena, afflitto ed egro,
il qual co’ bòi si lagna di quel mese
ch’arse gli fonti e le moli’ erbe accese:
83
quando de le sacr’onde l’inventore
Giovanni nacque a porger larghe vene,
ch’empiano arsicci petti di liquore
e faccian ravivar le morte arene,
acciò che ’l succedente Salvatore
ritrovi d’erbe e fiori Palme piene,
ove d’alto spargendo sue parole
esso sia lor la pioggia, esso sia ’l sole.
84
Giá gli sei mesi che fòr dianzi espressi,
tra l’uno e l’altro parto se ne vanno.
Augusto che non pur d’ Italia féssi,
ma de’ regni del mondo gran tiranno,
manda un editto a quanti sottomessi
popoli a sé nel grembo del mar stanno,
che portate gli sian discritte in carte
tutte le nazion di parte in parte.
s 5
E mentre che ’n Giudea sotto Cirino
trattasi questo e s’opra tuttavia,
chi va, chi vien per questo e quel camino;
fra’ quali anch’è Ioseppe con Maria.
Stassi con loro il grande Parvolino,
che giace in ventre e ’n ciel nostr’alme cria.
Van dar sé in scritto, e tutti quei che sono
de la lor tribú, a l’arrogante trono.
86
Che ’l Re del ciel suppongasi al terreno,
ridesi l’uman savio né si ’l crede:
ma chi rompe d’Àbramo ed entra il seno
e chi nel terzo ciel ripone il piede,
quel sa che Dio, per spegner il veleno
de la superbia nostra, d’alta sede
in questo basso albergo se ne venne,
ove necato esser per noi sostenne.
87
Di questo e gli profeti e le sibille
rimpiute han molte carte in verso, in prosa;
e del mar Tonde e del ciel le faville
fér di stupor gran segni a tanta cosa:
ma chi d’arena i grani, e chi le stille
di sottil pioggia, e chi di selva ombrosa
le frondi, e d’erbe i fior sa in numer dire,
non meno a intender ciò potrá salire.
88
Chiama di Paolo rinfiammato senso
(né vien se non da rari spirti inteso),
chiama che ’l divin stato è troppo immenso
e de l’ umane forze maggior peso:
chiunque il cor ha vago e molto intenso
di pervenir nel raggio a sé conteso,
sol per divin giudiccio intende manco,
piú ch’ai saper si tien spedito e franco.
8 9
— Uomo, chi sei? perché superbo vai,
quando ch’ir ne derresti umile e piano?
non sai che men prevedi (e meno assai)
d’ogni animale il tempo e stato umano?
Qui taccio mille essempi, ch’un sol n’hai
vilissimo degli altri, che né mano
né guancia la moschetta mai ti punge
che ’l ciel non piova e ’l sol non fugga lunge.
90
Che dicer vo’ de’ naturali indici,
via piú ch’ai nostro ingegno, al lor concessi,
se gli altri stati, o turbidi o felici,
antiveggon porgendo segni espressi
e (piú dirò!) gli scogli e le pendici,
manche di senso, fan che di noi stessi
vergognamo talor, ch’ebbon previsto
e nato e morto e suscitato Cristo?
91
Però che, ’n quella sacrosanta notte
quando la Vergin madre in uno istante
da l’ interne sue stanze ed incorrotte
posato aver si vide il santo Infante,
cadder in molti luoghi sparse e rotte
le statue de’ demòn, ch’a l’uomo innante,
quantunque accorto e savio, eran dricciate
da lui nel tempio ad esser adorate.
92
Ma qui mi si dirá eh’ Ottaviano
pose lo scettro allora, e fe’ pur segno
quel convenir a piú possente mano
di tal che ’1 mondo averlo non fu degno.
Ma noi sospinse a questo il senso umano,
ch’un spirto (non so qual) gli disse: — Ahi, pregno
di vermini vasello, ecco la Parca
ti rompe a mezzo, e Caron giá t’imbarca!
93
Non t’ingannar perché tu solo il vizio,
solo tieni l’error di legge a freno,
tu solo il tribunal, solo ’l giudizio,
e leghi e sleghi, d’alterezza pieno!
Chi sollevotti, ancora in precipizio
ti manderá, perch’ogni carne è fieno:
giá la secure a l’arbore s’accosta,
piú di tagliar, piú ch’alto vai, disposta.
94
Questo manto reai, questa corona
depon, ché tua non è ma di fortuna;
fortuna i ben fugaci usurpa e dona
e toglie a suo piacer, or chiara or bruna
depon la verga; ché chi d’alto tona,
chi gli agni quinci e gli edi quindi aduna,
sol è qua sotto re, sol re lá sopra
e rende il guiderdon secondo l’opra.
95
Dimmi di tua domestica ventura
e chi ti bea se pensi a tante ambasce?
non desti a’ figli acerba sepoltura,
piú degna a le figliole? quelle in fasce
spegner dovei, se mai fu studio e cura
in uom di ciò che con onor si lasce:
donde se fortunato alcun ti dice,
anch’io dirò ch’un misero è felice! —
96
Cosi non so che genio l’ inducea
dovere a sé raccór gli sparti sensi
e rammentar che morte l’attendea
e che morir o ben o mal conviensi,
eh’ un atto di modestia via piú bea
che Roma sua, che suoi tesor immensi.
Ma nulla fa, ch’inferma conscienza
gode nel mal, né starsene vuol senza.
97
Venuta l’ora poi di snodar l’alma
(s’alma simil si dé’ dir «alma» od «ombra»),
l’ombra snodar di sua corporea salma,
oh mordace dolor che ’l cor gl’ ingombra!
Ogni sua gloria, ogni trionfo e palma,
ogn’altro ben caduco fugge e sgombra:
sol vi riman de l’opre il premio certo,
dico la morte con l’inferno aperto.
98
Non fia di lui memoria piú, ch’e’ morti
sepolto han lo suo morto a’ campi elisi,
ove quei fonti loro, ove quegli orti,
quegli uccelletti e quei lor canti e risi
spenti son oggidí, nel centro assorti,
arsi li fiumi e i be’ giardin recisi.
Ma torno a l’umil tetto, al vii presepe,
ché ’l Regnator del ciel vi giace e repe.
99
Alto silenzio e racquetata pace
tenean degli anima’ le cure spente;
ogni borgo e cita sicura tace
né augel garrir né bue muggiar si sente:
sol il pastor, non molto dal sagace
suo can discosto, svegliasi sovente,
ché ’l ladro e ’l lupo daneggiarlo ponno
sol quando il pegoraro è ’n preda al sonno.
100
Stavano alcuni sotto angoste ed arte
lor capanelle, chi con puro gioco
chi con dir versi, a trastullarsi ad arte
sol per molto vegghiar, per dormir poco:
ed ecco lor appar di fiamme sparte
gran copia intorno, ch’allumar quel luoco,
e ’n mezo d’esse un bel garzone alato,
di drappi d’òr da capo a piedi ornato.
101
Questi con alta voce, eh’ è di quelle
sol fatte per dir lode al sommo trono,
parlò cosi : — Pastor, le vostre agnelle
rassicurate ornai dal lupo sono:
venuto è ’l veltro che squarciar la pelle
lor dé’ col grave morso, e farne duono
trionfando a Colui che si la lascia
per scioglier noi di cura e voi d’ambascia.
102
Scacciatevi da’ petti ogni timore
ch’apportovi novelle d’allegrezza.
Oggi vi è nato Cristo il Salvatore
per schermo del suo popol e franchezza:
itene a lui devoti a fargli onore,
ché ’l trovarete d’infinita altezza
disceso in cosi bassa vai di pianto,
togliendo a sé di vostra carne il manto. —
103
Cosi diceva, e ’n quella un suon vivace
incomenciò d’angelica armonia:
— Gloria nel ciel a Dio, e ’n terra pace
agli uomini di buon voler si sia ! —
Ode ciascun pastor, sta queto e tace,
rapito lá d’onde ’l cantar venia:
né questo a lor bastò, ma piú oltre andáro
per udir meglio, ed il fanciul trováro.
104
Trovar eh ’una piú bella e piú gentile
donna che mai natura col sopreino
sforzo de l’arte sua, col raro stile
potesse addur ne Tesser che noi semo,
avea deposto in un presepio vile,
trovatasi al bisogno troppo estremo,
sul fien un suo figliuolo, e ’n poco velo
ravviluppato il fondator del cielo.
105
Un chiaro e fuor d’uso mortai sembiante
ed una piú che angelica figura
del nato allora leggiadretto Infante
toglie de la lor vista ogni misura;
ché s’al visibil sol non è costante,
a 1 ’ invisibil che è nostra natura?
Benché sia in carne ascoso, pur non puote
Dio non mostrar di fuor de le sue note.
106
Stavan col cor compunto e guance molle
chinati a terra infin che la gran donna
raccolse il figlio e al petto si sei tolle
copertolo nel lembo di sua gonna;
e mentre il latte gli porgea, non volle
da loro esser veduta, e poi l’assonna
ed assonnato in su lo strame il torna,
strame che ’1 letto d’un Re tanto adorna.
107
Ma non si tosto giú posato Thave
ch’un dei corrieri alati in vesta bruna
s’appresentò con ponderosa trave
di croce in spalla e presso un altro d’una
colonna carco marmorina e grave;
poi lunga tratta d’essi augei s’aduna
lungo al Fanciullo, ed han ciascun in mano
qualche mistier ch’allor fu novo e strano.
108
Questi di spini una corona, quello
l’asta pungente onde mori la Morte,
chi gli aspri duo flagelli, chi ’1 martello,
chi le tanaglie e chiodi e le ritorte,
la spongia in canna, il fele in un vasello,
i dadi e ’l manto per spartirlo a sorte:
evvi la scala, il gallo ed i danari,
prezzo di sangue ed idolo d’avari.
109
Madonna che ciò mira s’erge in piede,
chinando a quegli vergognosa, e tace.
Essi, ch’avean a lei la prima sede
giá fabricata ne l’eterna pace,
l’onoran come lei che piú alta siede
lá d’ogni idea, piú che qua bassa giace.
Poi de le chiare lor celesti forme
feron ghirlanda al Fanciullin che dorme.
HO
Ei dorme in atto da baciarlo mille
e mille volte né esserne satollo:
par che nettar, ambrosia e manna stille
da quella santa bocca, mento e collo !
Eran cosi le cose allor tranquille
che non s’udia quantunque picciol crollo,
come se ’n quella notte l’universo
stesse col suo Fattor nel sonno immerso.
111
Ma dopo alcuno indugio il Parvolino
(perché non so, sall’esso!) si conturba,
schiudesi gli occhi e vedesi vicino
sparsa d’ intorno la celeste turba.
Gode l’obbietto in sé alto e divino
a quelle orribil arme; poi si turba
tutto l’umano, e ’n segno di spavento
le membra fan quel che le foglie al vento.
112
Giá non fu sasso in quella grotta (pensi
chi ha tener cor quel far dovea la madre!)
che non se ’ntenerisse ai forte intensi
sospir del Figlio ubediente al Padre.
Felici voi, pastor, eh’ e’ cuori accensi
d’amor sentiste, quando le leggiadre
celesti facce empièr quell ’umil tetto
ch’a Chi non cape al mondo die’ ricetto,
113
diede ricetto al gran Motor del cielo,
a le primizie de l’uman salute!
Oh degna grotta, ove di carne il velo
mostrocci aver l’altissima virtute !
grotta beata in cui fiori lo stelo
di pudicizia, e nacque fra le acute
mondane spine il fior tant’anni occulto
senza che mai v’oprasse mortai culto!
114
Ma quel divino Infante poi ch’alfine
gli fur sciugati gli occhi lagrimosi,
l’angel maggior ch’aveva d’oro il crine,
d’avorio il viso e gli atti generosi,
l’ale conteste d’oro e perle fine,
levasi ritto e, vólto a quei paurosi
buon pegorari, estende la man destra
ed alto il legno tien con la sinestra.
— Uom — disse — che pur se’ consorte nostro,
degli anima’ pur se’ quel non mortale,
pon’ mente al tuo peccato, orribil mostro,
per cui del ciel fiaccaronsi le scale;
donde le porte del tartareo chiostro
stan sempre aperte al carro trionfale,
nel qual sommesso e grave di catene
Pluto t’avinse, ove prigion ti tiene!
T. Folengo, Opere italiane - 11.
5
116
Non die per sé quell’ infernal tiranno
fosse a bastanza moverti dal dritto;
ma del peccato tuo le forze t’ hanno
levate l’arme e preso nel conflitto.
Di che, per ristorarti d’un tal danno
e sciòrre i lacci e la prigion d’ Egitto,
fu si che ’l Re del ciel discese in terra
per dare a te la pace, a sé la guerra.
117
Eccolo, armato d’umiltá profonda,
comincia ad armeggiar nel campo umano;
largo tesoro di sue grazie abonda;
ei spargerallo a chi gli è parteggiano;
vuol che cotesta croce corrisponda
a l’arbor primo cui l’incauta mano
porgesti, tuo mal grado, per cavarne
frutto di mortai peste a chi è di carne.
118
Quindi sconfitta fu la tua guerrera
fida ragion, però che i tuoi scelesti
pensier chináro a la contraria schiera
lasciando in preda lei come volesti :
e se il disio ti tolse la bandiera,
fu ben ragion che la ragion perdesti
e i traditori sensi t’ebber dato
di tua viltá vii servo e del peccato.
119
Per vincer dunque in prima il tuo nemico
e poi supporre a te le voglie tue,
che cosi nudo ti lasciár, che ’l fico
ti si fe’ velo de le frondi sue,
portate ho l’arme al tuo fedel amico
ch’or vedi qui fra l’asinelio e bue.
Fia questa croce il gran suo confalone,
ch’entri l’inferno e a forza ti sprigione!
120
Vedi la forte lancia, cui non dura
né scudo di demonio né corazza;
vedi la scala, u* salirá le mura
di Babilonia e prenderá la piazza;
vedi che chiodi ancor di tempra dura:
sprone fia l’uno, i duoi fian stocco e mazza!
Vedi la spongia donde la bellezza
ricevon l’armi appresso a la finezza!
1 21
Vedi quella fermissima colonna
che del suo padaglion sostiene il carco;
vedi la ricca ed inconsutil gonna
che il copre armato e mai non ne va scarco;
ma vedi sovra tutto che per donna
si è qua ridotto di vittoria al varco
come per donna venne il primo padre
lá dove de’ morta’ perdeo le squadre.
122
Vedi l’angel crestato, ch’a l’ insidie
de l’aversario si l’avisa e desta;
vedi la fiamma ancor, che le perfidie
(s’alcune son fra’ suoi) gli manifesta;
vedi che ’l fele amaro de l’ invidie
mille cagion di tolerar gli presta;
vedi che gli è tessuta la corona
ch’ai servator del citadin si dona.
123
Tu se’ citadin nostro perché t’abbia
fatto de’ suoi la parte de’ rubelli;
sol di regnar l’ambiziosa rabbia
lor spinse eternalmente ad esser felli :
t’han persuaso alfin che non di gabbia,
ma che di bosco sia fra gli altri augelli,
come se ’l non sapere il bene e ’l male
fosse chi ’l volo t’occupasse a l’ale.
124
Or poscia c’ hai pur visto tal notizia
esser non libertá ma servitute,
e caggionar de’ canti la perizia
sol ne le gabbie agli uccellin salute,
e se per lor sciocchezza o per malizia
fuggon tornando a’ boschi, ne l’argute
trame d’uccellatori andar presaglia,
dòlti d’aver perduta la battaglia.
125
Quanto però felice è la presura
ove traviene un Redentor si degno !
Ecco di Dio s’è liberal natura,
che si se stesso ti si dona in pegno !
Per te sua sposa non che creatura
venderá ’l sangue, e del suo ricco regno
con essonoi faratti eterno erede:
tant’è l’amor che sua bontá possedei, —
I2Ó
Dapoi che de la luce l’angel santo
finito ebbe di dire, a voi si leva
e primo agli altri con l’usato canto
va ritrovar chi ’n gloria lo solleva.
Ma noi, ch’ancor solcamo il mar del pianto
dove ne batte la tempesta d’ Èva,
speramo pur eh ’a porto ci rappelle
Maria, sommo splendor de l’alte stelle.