III.

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II Note
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III.


Perdonate, o Signori, se vinto dall’attraenza del tema, io non so ancora arrestarmi e finire, abusando troppo a lungo della tolleranza e cortesia vostra.

Non vogliate nemmeno sospettarmi di soverchio entusiasmo per la cifra. — Se mi è ancora concesso di avere degli entusiasmi, li serbo a tutt’altre cose.

Ma anche sotto il freddo involucro delle cifre, fra quelle schiere, in apparenza tanto impassibili, di numeri, che formano l’ordito de’ documenti statistici, palpita pur sempre la vita, e possono ascondersi i più formidabili problemi dell’umanità. — Est in numero ipso quoddam magnum collatumque consilium, dovremmo ripetere, qui più che mai, con Plinio.

Tollerate che, presso al termine di questo mio discorso, io abbia a toccarvi un tratto di uno almeno di cotesti problemi, il più grave al certo di tutti, siccome quello che, si attiene alla libertà morale dell’uomo, alla libertà, come si usa dire, dell’arbitrio; e sarà per voi un esempio particolare di quelle fallacie che sono da temersi nell’uso e nella interpretazione dei dati statistici, e per me un’occasione di meglio addimostrarvi quale abbia ad essere l’indirizzo ed il carattere proprio del mio insegnamento, e un pegno di quell’assoluta imparzialità scientifica, cui intendo onninamente servire.

Eccovi di che si tratta. Vi sono dei fatti di ordine morale, dipendenti cioè dalla volontà umana, e che tuttavia, considerati per grandi gruppi, ne’ loro risultati e medi o d’insieme, appalesano una costanza relativa, una regolarità, veramente meravigliosa, e che talvolta è superiore a quella che si riscontra in certi fenomeni di ordine puramente fisico.

Pigliate, per esempio, la proporzione annuale dei matrimoni per una popolazione alquanto numerosa; e, se non [p. 32 modifica]intervengono cause straordinarie di perturbazione, troverete che tale proporzione, per un certo periodo, varia meno di quella delle nascite e delle morti, e meno altresì, in qualche caso, della temperatura media dell’anno, o della quantità media della pioggia nel periodo corrispondente.

Ricercate i vari elementi connessi col fatto generale, ad esempio, l’età media a cui i matrimoni si contraggono per l’uno o per l’altro sesso, oppure lo stato civile anteriore dei coniugi; e (salvo non grandi oscillazioni) avrete dappertutto l’eguale costanza, l'eguale uniformità.

Passate da periodo a periodo; e il dato potrà mutare, ma manterrà pur sempre, anche nel suo movimento, una certa regolarità.

Studiate la criminalità in tutti i suoi molteplici aspetti, per grandi gruppi; e, con vostro stupore, sarete forse tratti a ripetere la frase famosa di Quetelet (il primo che abbia richiamato l'attenzione su questi risultati e sulla loro interpretazione), che esiste un bilancio del delitto, il quale si paga d’anno in anno con una puntualità anche maggiore di quello dell'imposta.

Oppure, seguite le analisi statistiche di Adolfo Wagner sullo stesso soggetto della criminalità, e più specialmente su quello del suicidio; e tremerete forse al modo con cui l’autore vi formola la sua conclusione: cioè, che una legge, la quale intimasse anticipatamente d’anno in anno quale abbia ad essere il numero delle azioni libere di ogni specie, anche delittuose, che devono compiersi, sarebbe fra tutte le leggi positive una delle meglio osservate, per sola forza spontanea, ineluttabile delle cose.

Tal è il risultato generale dei fatti; le conseguenze, che altri ha creduto poterne dedurre, sono di un ordine anche più grave.

È sembrato che davanti alla regolarità, per così dire, fatale del risultato, ogni libertà individuale [p. 33 modifica]rimanga compiutamente abolita. Quei fatti, che noi giudichiamo liberi perchè guardati isolatamente, apparirebbero come necessari, determinati da cause d’invincibile efficacia, sottratte alla balìa dell’individuo, ove si guardino nel loro insieme. La libertà individuale non sarebbe che un accidente, una causa di variazioni puramente fortuite, soggette alle leggi generali del caso e di quelle che diconsi cause puramente contingenti.

Da ciò una nuova dottrina storica, crudamente formolata dal Buckle; da ciò, per qualche altro, una nuova teorica della responsabilità, divenuta questa, non più individuale e personale, ma esclusivamente sociale, cioè di nessuno: — la società che prepara il delitto, come alcuno ha detto, e l’individuo il quale non fa che eseguirlo in modo irresistibile, e per ciò stesso irresponsabile; insomma tutta una nuova filosofia, sia storica, sia morale; e voi ben comprendete ciò ch’essa importi, o Signori, senza che io abbia più partitamente ad insistervi.

Il problema, da quarant’anni che è stato primamente proposto, conta già un’ampia letteratura1; ed io credo non essere fuor del vero asserendo (alcun poco anche per mia personale esperienza) che molti intelletti, al primo affacciarvisi, abbiano dovuto provarne una specie di sbalordimento, e, quasi direi, di vertigine.

Io spero che avrò l’occasione di trattarne, quando che sia, innanzi a voi, con tutta l’ampiezza che si addice alla sua importanza, e al travaglio con cui tanti vi si sono affaticati d’attorno, e che io credo aver seguito, non troppo da lunge, con bastante attenzione; ma intanto che pensarne, o Signori, almeno in via di concetto sommario? E qual’è la parte legittima della scienza nostra in siffatta questione, quale il valore che le spetta in ordine a quelle conclusioni sì gravi, delle quali, or ora vi accennava?

Ebbene, a parlarvi colla più intera indipendenza scientifica, e sciolto, quale mi sento, da ogni [p. 34 modifica]preconcetta opinione, io credo che anche in questo caso non siasi bene usato della Statistica; e precisamente, per non avere anche qui tenuto conto dell’indole de’ suoi metodi, e della naturale competenza delle sue deduzioni.

In realtà, quel risultato, a primo aspetto, così sorprendente, non ha nulla a che fare nè colla libertà individuale, nè con un determinato sistema filosofico, quale esso pur sia, che intendasi adottare rispetto alla medesima. E appunto, perchè il risultato riguarda la massa, l’insieme, e non l’individuo direttamente.

Trattasi di medie astratte, di adequati, ovvero, in generale, di termini di complesso; e (matematicamente parlando) una media può rimanere costante per una combinazione infinitamente diversa dei singoli elementi da cui risulta. Data una serie numerica, voi potete variare a piacimento per infinite guise, sia il numero, sia il valore de’ suoi termini, senza bisogno di alterarne la media, oppure senza variare la loro somma algebrica, se così vi talenta. Del pari, data una risultante, voi potete modificare a volontà il numero e il valore delle singole componenti, pur mantenendo la risultante stessa invariata. Ovvero, dato uno stato di equilibrio, vi è lecito lasciarlo sussistere, disponendo per infinite maniere delle singole forze da cui esso dipende. Per un altro esempio, l’essere una popolazione stazionaria nel numero non vuol già esprimere che nessuno più vi nasca e vi muoia, nè il rimanervi la vita media inalterata significa punto che i singoli viventi vi conservino indefinitamente la medesima età.

Vale a dire, che in tutti questi casi la costanza del risultato non decide ancor nulla assolutamente riguardo al numero, al valore, alla posizione dei singoli termini elementari da cui esso dipende. Il risultato può rimanere costante, invariato, a tutto rigore di parola, e i termini componenti aver variato, ciò nonostante, senza alcun limite, avere goduto (come direbbesi) della più sconfinata [p. 35 modifica]libertà d’azione. Una sola condizione è veramente necessaria e sufficiente, cioè le variazioni in un senso riescano a compensarsi con quelle che accadono in senso contrario.

È questo, diceva, il caso matematico, ed esso risponde per filo anche al caso della Statistica; e non soltanto per quello speciale che veniamo considerando, ma per ogni altro in generale, come già vi ho fatto ripetutamente sentire. Dappertutto voi v’incontrate in risultati che tengono per l’insieme, e che invece vengon meno se vogliansi applicare agli individui: appunto (si notava allora) perchè l’individuo versa in una sfera tutta sua propria, e tale che varia in modo singolare, al pari di lui medesimo.

E aggiungete che poco altresì rileva, dal punto di vista puramente statistico, quale sia il modo o la ragione propria di agire dell’individuo. Sia questo ragionevole o no, si lasci determinare da certi motivi, a suo discernimento, o agisca interamente a capriccio, senza motivo alcuno (per quanto è concepibile), al modo, per esempio, delle palle estratte a sorte da un’urna; ciò potrà bensì influire nell’essenza e nella forma concreta del risultato, oltrechè nella sua significazione morale od altra; ma quanto alla semplice circostanza generica che il risultato abbia a presentare una certa uniformità, una certa costanza relativa (nè qui si tratta di altro), questa è il prodotto necessario, matematico, dell’ipotesi che voi fate, ovvero delle condizioni sotto cui vi collocate di volta in volta: cioè che nell’intervallo non abbia variato per alcuna causa la composizione di quel tale sistema di elementi; e che si operi sopra un numero grande di casi consimili; tanto grande addirittura, che tutte le variazioni praticamente possibili, e di ordine puramente individuale, vengano fra loro a compensarsi.

È questa, dico, l’ipotesi fondamentale e la condizione pratica di tutto; tanto è vero che ogni costanza [p. 36 modifica]scompare non appena si supponga mutato comechessia il modo di essere di quel tal gruppo, o sistema, oppure si operi sopra gruppi, i quali non sieno abbastanza grandi, avuto riguardo alla natura dei diversi elementi che li compongono, e al numero e qualità delle variazioni individuali che possono verificarvisi.

Provatevi soltanto a calcolare sopra una popolazione alquanto scarsa, ovvero per un tempo alquanto breve; oppure, invece di guardare, per esempio, la criminalità in tutto il suo insieme, guardatela distintamente nelle varie sue specie, per singoli reati, considerando que’ reati che sono meno frequenti; e voi avrete finito di parlare di risultati uniformi e costanti. Accostatevi di più in più all’individuo, scendete fino ad esso; e ogni criterio statistico vi verrà meno assolutamente.

Perchè la costanza del risultato generale avesse un valore anche pegli individui singolarmente, converrebbe dimostrare, per esempio, che a quel risultato concorra ciascun individuo senza eccezione, e giusta una proporzione, o con una legge, essa pure costante: cioè che ciascuno abbia, in modo fisso, una propria partecipazione nella criminalità. Sarebbe questo, dico, il punto da dimostrarsi; ma ciò affatto non è.

E del resto, nulla di più naturale che, supposta la costanza di certe cause, di qualunque ordine esse pur sieno, se ne abbiano costanti anche gli effetti; è questa anzi la condizione, il postulato fondamentale di ogni deduzione teoretica, come di ogni pratica applicazione. Mi permettete pure un esempio, e de’ più evidenti e curiosi, per quanto me ne pare? — Ebbene, fate un’ipotesi estrema riguardo ai matrimoni; supponete che vi si vada alla ventura, senza motivo assegnabile, interamente a capriccio. Gittate in un’urna i nomi di tutti i maritandi maschi, e in un’altra quelli di tutte le femmine, ed estraete a sorte le coppie. Voi avrete nei singoli casi tutte le possibili combinazioni di età; ma ritenete voi [p. 37 modifica]forse che anche in questa supposizione, e per adequato, non riescirete a nulla di costante? Indagate, per esempio, quale sarà per essere in tale ipotesi l’età media a cui i matrimoni si contraggono per l’uno e per l’altro sesso; e, a patto che abbiate operato sopra un numero abbastanza grande, vi risulterà che essa coincide senz’altro coll’età media generale dei maritandi, tenuto conto per quest’ultima della varia forza numerica delle singole età, da cui essa si deduce.

Supponete che la proporzione numerica delle singole età rimanga invariata per l’uno e per l’altro sesso; e, ripetendo la prova, voi continuerete ad ottener sempre il medesimo risultato; il quale è così fatto che poteva anche indovinarsi a priori. Variate invece quella proporzione; e il risultato alla sua volta vi riprodurrà fedelmente la variazione essa medesima, in quella forma qualunque, con cui vi sarà piaciuto introdurla. Gl’individui, sarà come avessero agito a capriccio, senza motivo, commettendosi interamente alla sorte (giacchè non altro significa agire senza motivo), e il risultato sarà rimasto i ciò nondimeno costante.

Oppure, mutate ipotesi, se così vi piace, supponete che si agisca per certi motivi, anzichè del tutto a capriccio, e che fra questi motivi vi sia alcunchè di costante, e tutto il resto variabile, indefinitamente variabile, fra certi limiti. Ebbene, voi potrete ancora leggere nel risultato il tenore dell’ipotesi che avrete fatta. Il risultato avrà mutato da quello che era, ma, nella nuova sua espressione, esso accuserà, colla propria costanza relativa, quella stessa del dato che vi sarà piaciuto introdurre.

Badate altresì, a questo proposito, ad un’osservazione che è capitale. La più esatta costanza o regolarità del risultato si ottiene precisamente allora, che è più perfetta la compensazione fra le possibili variazioni individuali; e queste alla lor volta presuppongono, se non il capriccio od il caso fortuito, certo l’indipendenza e la libertà di [p. 38 modifica]posizione e movimento degli individui. Si direbbe, a primo aspetto, un paradosso, e nondimeno, in siffatte combinazioni, la maggiore costanza del risultato può invece essere una prova che l’individuo ha goduto di una maggiore libertà.

Certi fenomeni morali presentano (fra certi limiti, s’intende bene, ed in via media) una regolarità maggiore di alcuni fenomeni fisici, appunto perchè gli elementi individuali sono più mobili ed indipendenti nell’un caso che non nell’altro. Lo aveva già avvertito, molti anni or sono, il Cournot2.

Se la media annuale dei matrimoni varia meno in certi casi di quella della temperatura o della pioggia, gli è perchè i singoli individui si decidono al matrimonio per ragioni indipendenti gli uni dagli altri, e quindi anche le differenze sono più facilmente compensate; laddove lo stato meteorico dei singoli giorni, donde poi si deriva la media annuale, e ordinariamente dominato da cause continue, le quali rendono più o meno dipendente lo stato di un giorno da quello dei giorni che lo precedono, e gli danno un’efficacia sui giorni successivi, producendo dei cicli variabili a più o men lungo periodo.

Per questo riguardo adunque, il risultato statistico avrebbe, se mai, una significazione contraria a quella che se n’è voluto dedurre; o almeno esso può prestarsi indifferentemente anche ad essa.

E dipende altresì dalla stessa ragione quel fatto, che a tale proposito si riferisce, cioè che le variazioni individuali mostrino seguire, rispetto alla media, l’ordine e la legge generale delle variazioni che dipendono da cause puramente accidentali. Ciò torna a dire, semplicemente, che tali variazioni avvengono in ogni senso, e con tutte le compensazioni possibili; e non si vede ancora come siavi in ciò nulla che debba ripugnare all’idea di libertà.

Un’ultima osservazione, un raccostamento storico, e sarò al termine. Vi è nella storia scientifica dei metodi [p. 39 modifica] matematici della Statistica un altro momento di stupore e di dubbio, che fa un curioso riscontro a quello di cui stiamo parlando. Ed è al primo enunciarsi che anche il caso fortuito, cotesta apparente negazione di ogni regola e di ogni causalità, mostrasse avere le sue proprie leggi, quelle di recente scoperte del calcolo delle Probabilità. Nulla di più sorprendente allora, ed anche dappoi, nel mondo scientifico, cioè fra’ matematici, filosofi e teologi, di cosiffatta idea; e Giacomo Bernouilli chiedeva, quasi a propria giustificazione, se l’esistenza di tali leggi non fosse per avventura una condizione necessaria, perchè possa esercitarsi anche in quest’ordine di fatti la prescienza divina.

Ora, il motto dall’enigma è facile a ritrovarsi. Nè il concetto del caso fortuito ha nulla in sè stesso che ripugni a causalità; nè le sue leggi sono tal fatto che si debba averne alcuna meraviglia.

Il caso fortuito di cui trattano i geometri, non è nè il caso fortuito del volgo, o quello dell’antica filosofia, nè tampoco l’equivalente della nostra ignoranza, come lo qualificava Laplace; esso esprime soltanto una coincidenza di fatti, le cui cause, o serie causali, possono tra loro considerarsi come indipendenti. Si dice casuale, o fortuita, l’estrazione di una palla da un’urna, non già perchè il fatto si ravvisi come sottratto ad ogni condizione, o legge di causa in generale, ma perchè si ritengono come fra loro indipendenti le cause che determinano, per una parte, la posizione di quella tal palla entro l’urna, e per l’altra, l’atto della mano che muove ad estrarla. E casuale parimenti, e al contrario di quella che sarebbe stata l’opinione astrologica ad altri tempi, si giudica essere stata, per esempio, la coincidenza tra il fenomeno astronomico del passaggio di Venere sul disco del sole nel 1769, e la nascita in quello stesso anno di una stupenda pleiade di grandi uomini, Napoleone e Wellington, Cuvier ed Alessandro Humboldt; e fortuito per la stessa ragione (se an[p. 40 modifica]che, ad ammetterlo tale, costasse alcun poco al sentimento nostro) dobbiamo ritenere l’incontro de’ fatti, per cui quello stesso pianeta, vicino alla sua maggiore elongazione occidentale, e nel massimo di suo splendore, tornasse visibile in pien meriggio sull’orizzonte di Roma il giorno 27 novembre dello scorso anno, quasi ad auspicarvi il primo Parlamento della nazione tutta riunita.

Alla lor volta, le leggi del caso (come le si vollero dire) sono una semplice applicazione dell’analisi combinatoria; ovvero (notate bene) esse rispondono a quel tanto di termini costanti che si presumono, ovvero di volta in volta si effettuano, nella combinazione che si considera.

Gittate in un’urna un certo numero di palle bianche e di palle nere, mescolate per bene, poi estraete una palla, e, registratone il colore, rimettetela nell’urna, continuando via via ad estrarre; e vi troverete innanzi una serie, formata da una certa proporzione di palle bianche e di palle nere: proporzione, la quale si accosta di più in più, e secondo una legge generale ben nota, a quella che esiste entro l’urna.

È questo appunto il celebre teorema che porta il nome di Giacomo Bernouilli, e che è il fondamento di tutta la teorica delle così dette probabilità a posteriori, e delle applicazioni di ogni specie che ne dipendono. E nulla in tutto ciò, nulla, dico, che debba farci maravigliare. Si riesce a scoprire nè più nè meno di quello che si era messo da noi medesimi dentro l’urna: cioè la proporzione delle palle, il solo termine costante introdotto; tutto il resto essendosi fatto variabile e compensabile indefinitamente. La legge generale di approssimazione essa pure non fa che rispondere alle possibili combinazioni e probabilità di estrazione delle singole palle.

E similmente in riguardo alla Statistica. — Nella grande urna dei fatti umani vi è sempre e inevitabilmente alcunchè di costante, o di lentamente variabile a breve periodo.

[p. 41 modifica]L’uomo non può a meno di agire secondo la sua propria essenziale natura: ed eccovi un primo termine fisso.

Esso non può parimenti non risentire l’efficacia dell’ambiente fisico: altro termine fisso, o, se variabile, di certo con molta lentezza.

E coll’efficacia dell’ambiente fisico, va, e conta ancor più, quella che potremmo chiamare dell’ambiente sociale, e di tutte le cause ed azioni che vi si connettono: termine, che esso pure non può variare che a rilento, per la ragione che figura un capitale immenso, accumulato via via per azione di secoli.

Tutto ciò costituisce un modo, una condizione, ovvero un limite, posto comecchessia alla libertà di azione dell’uomo, senza che tale libertà possa dirsi per ciò solo annientata; e qual meraviglia, o Signori, del risultato a cui si giunge, se perfino i metodi che si applicano sono stati essi medesimi escogitati a questo intento, cioè per di mettere in evidenza il costante per mezzo dell’eliminazione del variabile?

Tal è, anche questa volta (se io non prendo abbaglio), la soluzione ben semplice dell’enigma; e se per me alcun poco ci tengo, egli è unicamente perchè essa si accorda coll’essenza stessa dei metodi, e la naturale competenza della Statistica, di cui vi ho poc’anzi discorso. E per ciò pure, seguitando il riscontro, parmi essere autorizzato a conchiudere che nell’anzidetta questione la Statistica ha tanto che fare con certi sistemi di recente o rinnovata metafisica, quanto ne aveva un tempo il calcolo delle Probabilità colla teologia.

Con ciò intendo soltanto che la soluzione rimane intatta, e riservata ad altre discipline. La cosa del resto è sì vera, che ove ne fosse questa l’occasione, o il tempo ormai non ci venisse meno, io mi assumerei di darvene una prova anche all’inverso, rovesciando sull’istante i termini del problema, e facendovi assistere allo spettacolo di fenomeni indubbiamente retti da leggi [p. 42 modifica]invariabili, perchè essenzialmente d’ordine fisico, e che nondimeno possono presentarsi così mobili e diversi nel loro insieme, da eludere ogni sforzo che tenda a scoprirvi per entro quella costanza e regolarità statistica, che pur si manifesta nei fenomeni dipendenti dalla libertà. Basta solo che voi spingiate più oltre quello che pur dianzi vi accennava di qualche fenomeno meteorico; o che in generale vi figuriate de’ fenomeni dominati da un complesso di cause progressive, così varie e intrecciate fra loro, che la media, presa di periodo in periodo, non presenti alcuna fissità, e perda perciò ogni valor fisico, o tipico, risolvendosi in un semplice adequato aritmetico; e nel tempo stesso ne rimanga mascherata anche la legge propria del movimento.

Laonde, statisticamente, voi potete avere, secondo le circostanze, la più perfetta regolarità, congiunta col caso fortuito, nel senso che si è indicato; o, viceversa, essere nell’impossibilità pratica di scoprire una regolarità qualsiasi in elementi che pur soggiacciono indubbiamente a leggi fisse, ineluttabili. Ed è questa una osservazione, che altri avea già fatto al Poisson, appuntando il suo celebre teorema dei grandi numeri.

Ed ora ho finito. — Che se io sono giunto a persuadervi con questo mio discorso, già troppo a lungo prodotto, ciò che sia veramente la Statistica, e quale il suo ufficio e il suo valore di scienza e di pratica in tutto il campo delle discipline e delle applicazioni sociali, ed anzi come metodo, di universale applicazione per certo ordine d’indagini scientifiche, vorrete, spero, convenire pur meco, in ultima conclusione, che è giusto e necessario che essa ottenga un posto condegno, non solo nell’insegnamento speciale tecnico, come saggiamente si è già fatto, ma altresì, e in generale, nell’insegnamento superiore.

Eliminarla da esso, come noi facciamo, pressochè del tutto, o non riguardarla che come una meschina appendice della geografia laddove, per esempio, la Germania [p. 43 modifica]le ha sempre accordato, fino dalle origini, una posizione sì cospicua alle sue Università ed a’ suoi Politecnici, la introduce ne’ Seminari per le scienze di Stato, e ne crea anzi alcuno di speciale per essa3, egli è disconoscerne l’importanza, o falsarne completamente il concetto scientifico, ovvero non comprendere che l’alto insegnamento, assai meglio che una gretta scuola professionale, dovrebb’essere considerato come l’enciclopedia in atto della nazione.

Ne’ trattati scientifici di Astronomia vi è sempre, o si presume avervi ad essere, una prima parte, nella quale, si dà la teorica degli stromenti, e quella degli errori di osservazione. La Statistica (spero avervelo dimostrato) è uno stromento essenziale di osservazione per le scienze sociali; e la Filosofia della Statistica è la teoria di tale stromento. Seguiamo l’esempio della scienza modello per eccellenza; non dimentichiamo, ciò che pur vi diceva, che la più grande di tutte le possibili scoperte della scienza è stata quella del suo metodo. Importa di perfezionarlo cotesto metodo; importa sopratutto che lo stromento scientifico da applicarsi divenga il più possibile, e per quanto comporta la sua propria natura, uno stromento di precisione.


Note

  1. [p. 44 modifica]Bellamente esposto e discusso dal Lampertico, Loc. cit. Veggasi pure la riferita Relazione critica sull’opera del Guerry.
  2. [p. 44 modifica]Cournot, Exposition de la théorie des chances et des probilités, 1843, § 118. In generale, fra gli scrittori matematici di cosiffatte materie, il Cournot è di quelli che ne hanno in maggior grado il senso filosofico.
  3. [p. 44 modifica]Presso la Direzione generale della Statistica a Berlino; e sappiamo che ci si pensa anche fra noi.