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III.
Perdonate, o Signori, se vinto dall’attraenza del tema, io non so ancora arrestarmi e finire, abusando troppo a lungo della tolleranza e cortesia vostra.
Non vogliate nemmeno sospettarmi di soverchio entusiasmo per la cifra. — Se mi è ancora concesso di avere degli entusiasmi, li serbo a tutt’altre cose.
Ma anche sotto il freddo involucro delle cifre, fra quelle schiere, in apparenza tanto impassibili, di numeri, che formano l’ordito de’ documenti statistici, palpita pur sempre la vita, e possono ascondersi i più formidabili problemi dell’umanità. — Est in numero ipso quoddam magnum collatumque consilium, dovremmo ripetere, qui più che mai, con Plinio.
Tollerate che, presso al termine di questo mio discorso, io abbia a toccarvi un tratto di uno almeno di cotesti problemi, il più grave al certo di tutti, siccome quello che, si attiene alla libertà morale dell’uomo, alla libertà, come si usa dire, dell’arbitrio; e sarà per voi un esempio particolare di quelle fallacie che sono da temersi nell’uso e nella interpretazione dei dati statistici, e per me un’occasione di meglio addimostrarvi quale abbia ad essere l’indirizzo ed il carattere proprio del mio insegnamento, e un pegno di quell’assoluta imparzialità scientifica, cui intendo onninamente servire.
Eccovi di che si tratta. Vi sono dei fatti di ordine morale, dipendenti cioè dalla volontà umana, e che tuttavia, considerati per grandi gruppi, ne’ loro risultati e medi o d’insieme, appalesano una costanza relativa, una regolarità, veramente meravigliosa, e che talvolta è superiore a quella che si riscontra in certi fenomeni di ordine puramente fisico.
Pigliate, per esempio, la proporzione annuale dei matrimoni per una popolazione alquanto numerosa; e, se non