La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione I/Capitolo II

Sezione I - Capitolo secondo - Corollari d’intorno agli aspetti principali di questa scienza

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Sezione I - Capitolo secondo - Corollari d’intorno agli aspetti principali di questa scienza
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[p. 221 modifica][CAPITOLO SECONDO] COROLLARI D’INTORNO AGLI ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA

[Il complesso delle idee, che giunse per la via irregolare della scoperta a formare la vasta innovazione della SN, viene in questo capo con una veduta ordinatrice partito in sette aspetti, i quali danno: — !») Una teologia civile della Provvidenza la quale minutamente guidava ogni progresso storico nel DU e veniva innalzata a principio fondamentale della scienza in SN^ (II, ce. 1 e 2) — 2") Una filosofia dell’autorità, prima di Giove sui giganti atterriti, poi propria della volontà dell’uomo, finalmente attuata nel Diritto naturale. L’autorità storica nel Z)f/ comincia nell’uomo isolato, si prolunga nella famiglia, nei famoli, nei senati regnanti sulle plebi, e si dissipa nella razionale, riacquistata da tutti nell’umanità (§ 89 sgg.).— 3°) Una storia delle idee, prima accessoriamente accennata nelZ>C/, poi piìi chiaramente avvertita nella 6’iVi per la necessità di dedurre la storia dalla mente umana. — 4») Una critica filosofica sugli autori delle nazioni, già formalmente stabilita in SN^ (I, e. 90). — 5°) Una storia ideale eterna comune a tutte le nazioni, anch’essa già enuuziata nella.S’ivi (jj^ g 9) _6o) un sistema del diritto naturale delle genti, già proposto in opposizione a Grozio nel DU; poi nella SA^^ esteso con una critica più vasta di Grozio, Seldeno e Puffendorf (I, e. 5-13).— T») I principii di una storia universale, di cui avvertivasi la mancanza nel DU {CI’^, e. 1), che ivi supplivasi a forza d’induzioni, e che sistematicamente supplivasi con la storia ideale nella ÒW (I, e. 7; lì, e. 8; IV, passim’, V, e. 1; Conclusione)].

(a) Dal detto fino qui si raccoglie che la Provvedenza divina, appresa per quel senso umano che potevano sentire uomini crudi,

(a) [La redazione che il V. dette a questo capitolo in SN^ sembra, a prima vista, completamente diversa da quella già data in SN^. Ma confrontando luna con l’altra, si scorge che, più che di altro, si trattd di spostamenti. — E invero in SN^ il cap. si diinde in tredici paragrafi, riguardanti: I. nuove orìgini della poesia; — II. nuovo aspetto della sapienza antichissima dei p)oeti; — III. dimostrazione che la Provvidenza è ordinatrice del mondo delle nazioni;— IV. la teologia civile della Frovvidenza; — Y. le prime rozze origini delle scienze; — YI. la storia delle idee; — YII. la teologia naturale; — Vili, la filosofia delV autorità;— IX. [p. 222 modifica]222

LIBRO SECONDO - SEZIONE PRIMA

CAPITOLO SECONDO

selvaggi e fieri, che ne’ disperati soccorsi della natura anco essi disiderano una cosa alla natura superiore che gli salvasse (ch’è ’1 primo principio sopra di cui noi sopra stabilimmo il metodo di questa Scienza) i, permise loro d’entrar nell’inganno di temere la falsa divinità di Giove, perchè poteva fulminargli; e si, dentro i nembi di quelle prime tempeste e al barlume di que’ lampi, videro (a) questa gran verità: che la Piovvedenza divina sovrain Vorigine provvidenziale del diritto della fol’za; — X. V origine provvidenziale dei regni;— XI. V origine delle genti;— XII. la scoperta della prima eia del mondo; — XIII. i principii della storia universale; — paragrafi i quali in CMA^ divennero quindici, avendone il V. aggiunto uno tra l’XI e il XII, e un altro dopo il XIII.— Ora, in SN^, i paragrafi I e II di SN2 vennero anticipati nel cap. precedente («E per tutte le finora... che per Vetà»; — «Per la quale discoverta... che fondarono il gener umano ■»). Gli altri paragrafi furono combinati e sposiati giusta la seguente tabella:

sm

§ in (sfrondato di molte citaz. erudite; e § IV

§§ Vili e XI, con giunte che si trovano in parte in CMA^

Principio del § VI e § V, con una giunta che si trova in parte in CMA^

Kesto del § VI e § VII

§ XIIIIjìs (aggiunto, come s’è detto, in CMA^) § Xlbis (agg. in CMA^) SS XII e XIU

SX3

§1

§n

§ ni

§ IV

§ V

§ VI § VII

Bestarono fuori, dunque, solamente i paragrafi IX e X di SN^].

(a) questo gran raggio di verità, che la Provvedenza divina sia l’ordinatrice del mondo delle nazioni [qui il V. ricorda ancora una volta il detto di Lattanzio, da lui attribuito a Eusebio, di cui a p. 219, n. 2. E cosi egli si è dimostrato quello che da noi si è» Si veda p. 184. [p. 223 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA " 223

tenda alla salvezza di tutto il gener umano. Talché quindi questa Scienza incomincia per tal principale aspetto ad essere una teo preso per primo principio di questa Scienza. Con tal principio dell’idolatria si è dimostrato altresì il principio della divinazione (che nacquero al mondo ad un parto); a’ quali due principii va di séguito quello de’ sacrifici ch’essi facevano per proccurare o sia ben intender gli augurii. Da’ quali principii dovevano cominciare i loro libri: Cicerone, De natura deortim; Apollodoro, De origine deorum; Giraldo, De diis genthim ^; Daniel Clessenio, De theologia civili’^’, e ’1 Vosslo, nella sua maggior opera De theologia gentilium 3; e Cicerone, gli altri De divinatione; Edone Nebusio, la sua Divinazione sacra e profaìia*; Antonio Borremanzio, De poètis et prophetis^; gli autori De diis fatidicis^ e De oraculis sibyllinis ’^; e Ve^ndalè, i suoi De

^ Eistoria de deis gentium XVII syntagmatibus distiiicta, in LiLii GiiEGORii GYEAt,Di ferrariensis Opera omnia, I (Lugduni Batavor., Ap. Hackium, Boutesteyn, Vivie, Vander Aa et Luchtmans, MDCXCVII), coli. 1-554.

- Propriamente: Danielis Clasenii Theologia gentil i s, seu Demonstratio qua probatur gentilium Theologiam (ceu tenebras) deos, sacrificia et alia ex fonte Scripturce (ceu luce) originem traxisse, In tres partes divisa et indicibus exornata (Fi-ancof. et Lipsise, Ap. Frider. Lttderwald bibl., a. 1684).

3 Si veda p. 97, n. 1.

  • Lascio «Nebusio», come ha l’ediz. orig., perchè non saprei dire se questo cognome

fu storpiato dal V. (cosa abbastanza probabile) o dal suo tipografo. Ma si tratta dell’olandese Edon van Neuhaus {Neuhusius: 1581-1638), di cui ho innanzi l’opera: Fatidica sacra sive de divina futurorum prcenunciatione, opus insigne et quasi speculum revolutoe hucusque monarchiarum historice (Amstelodami, Apud Ioannem lanssonium, Ann. M.DO.XXXV.-XXXVIII, 3 voli.); la quale in una seconda edizione assunse il titolo con cui la cita il V.: Divinatio sacra et profana sive Fatidicorum libri tres cum indicibus rerum, Ex nova recensione Reinerii Neuhdsii [figlio di Edone] Gymnas.Alcmar. Rect. (Amstelodami, Ap. Ioan. lanssonium, MDCLVIII 3 voli.). Sulle ragioni che consigliarono questo mutamento di titolo, cfr. in princ. del primo voi. la breve avvertenza ad lectorem.

5 Antonii Borremansii Dialogus literarius de poetis et prophetis, In quo de nonnullis, quce tum ad sacras, tum ad profanas literas pertinent, disputatur (Amstelodami, Ap. Henricum et Theod. Boom, MDCLXXVIII).» Probabilmente, anzi quasi certamente, il V. allude all’opera di P. Mussardo: Historia deorum fatidicorum, vaium, sibyllarum, phcebadum, apud priscos illustriuni, cum eorum iconibus. Prceposita est dissertatio de divinatione et oraculis (Genevae, Suniptibus Petri Chouet, M.DG.LXXV).

’ Con così vaga indicazione non è possibile precisare a quale opera, fra le tante di letteratura sibillina pubblicate nel XVI e XVII secolo, il V. si volesse riferire. Ma forse egli alludeva a Servatius GALL^trs, Dissertatio nes de sybillis earumque oraculis cum figuris oeneis (Amstelodami, 1688), che tra i libri del genere doveva es [p. 224 modifica]224 LIBRO PECOXDO — SEZIONE PRIJIA — CAPITOLO SECONDO

logia civile ragionata della Provvedenza, la quale cominciò dalla sapienza volgare de’ legislatori che fondarono le nazioni con contemplare Dio per l’attributo di provvedente (a), e si compiè con la sapienza riposta de’ filosofi che ’l dimostrano con ragioni nella loro Teologia naturale.

Quindi incomincia ancora una filosofia dell’autorità, ch’è altro principal aspetto e’ ha questa Scienza, prendendo la voce «autorità» nel primo suo significato di «propietà», nel qaal senso sempre è usata questa voce dalla Legge delle XII Tavole i; onde restaron «autori» detti in civil ragione romana coloro da’ quali abbiamo cagion di dominio, che tanto certamente viene da «aùxóg», «proprius» «suus ipsius», che (b) molti eruditi scrivono «autor»

devinatione 2 e De oraculis ^; e finalmente Stuchio, De sacrificiis gentium •*.

(a) onde da diviuari, «indovinare», ebbe nome la divinità; e si compiè dalla sapienza riposta de’ filosofi più riputati, quali sono i platonici, che la dimostrano, ecc.

(ò) Tommaso Gatachero ^ scrive «autor», ecc.

sere a Napoli il più diffuso, a giudicarne dal non piccolo numero di esemplari che ne ho visto in biblioteche pubbliche e private napoletane.

1 III, 7: <: AdVERSUS HOSTEM 2ETEENA AUCT0RITAS[EST0]».

2 Antoxii van Dale, Poliatri H&Tlemensis, Dissertationes de origine ac progressu idololatrice et superstitionum, De vera ac falsa prophetia, UH et de divinationibua idololatricis iudceorum (Amstelodarai, Ap. Henr. et viduam Theod. Boom, MDCXCVI).

3 AxTON’ii VAN Dale, M. D., De oraculis ethnicorum, Dissei-tationes duce, Quorum prior de ipsoruni duratione ac defectu, posierior de eorundem atictorihus. Accedit et Schediasma de consecrationibus etìmicis (Amstel., Ap. Henr. et vid. Theod. Boom, A. MDCLXXXIII)

  • Sacrorum sacrificiorumque gentilium brevis et accurata descriptio, universce

siiperstilionis Etìrnicm riius cerimoniasque coniplectens: Ad sacros et profanos scriptores probe intelUgendos explicandosque peraccommodata, E.r antiqtiissimis probatissimisque auctoribus deprompta et nane prhnum luci cottimissa a Io. Gl’ilielmo Stuckio figurino. Accesserunt his non pauca et ea quidem non parvi momenti qua eiusdem auctoris Antiquitatum convicalium libris, recens edilis, quasi qutedam Appendix non incommode videntur addi posse, Cum indice rerum et verborum copiosissimo (Tiguri, Ap. Io. Wolphiiim, T.vp. Frosch., A. MDXCVIII).

’ Nell’op. cit. più oltre, p. 247, n. 1, in cui ve n’è per l’appunto un esempio. [p. 225 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 225

e «autoritas» non aspirati. E l’autorità incominciò primieramente divina, con la quale la divinità appropiò a sé i pochi giganti ch’abbiamo detti, con propiamente atterrargli nel fondo e ne’ nascondigli delle grotte per sotto i monti; che sono l’anella di ferro con le quali restarono i giganti, per lo spavento del cielo e di Giove, incatenati alle terre dov’essi, al punto del primo fulminare del cielo, dispersi per sopra i monti, si ritruovavano. Quali furono Tizio e Prometeo, incatenati a,d un’alta rupe, a’ quali divorava il cuore un’aquila, cioè la religione degli auspici! di Giove; siccome «gli resi immobili per lo spavento» restarono con frase eroica detti a’ Latini «terrore defixi», come appunto i pittori gli dipingono di mani e piedi incatenati con tali anella sotto de’ monti. Dalle quali anella si formò la gran catena, nella quale Dionigi Longino ammira la maggiore sublimità di tutte le favole omeriche ^; la qual catena Giove, per appi uov are ch’esso è ’1 re degli uomini e degli dèi, propone che se da una parte vi si attenessero tutti gli dèi e tutti gli uomini 2, esso solo dall’altra parte opposta gli strascinerebbesi tutti dietro. La qual catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il mondo 3, vedano ch’essi non vi restino avvolti, perchè lo strascinamento degli uomini e degli dèi con si fatta catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato. Si fatta autorità divina portò di séguito l’autorità umana, con tutta la sua eleganza filosofica di propietà d’umana natura, che non può essere tolta all’aomo nemmen da Dio senza distruggerlo; siccome in tal significato Terenzio ^ disse: «Voluptates proprias deoruni» (a), che la felicità di Dio non dipende da altri; ed

(a) e Vii’gilio 5 la moglie solenne «propriam uxoreni» ed Orazio, ecc.

1 II V. vuole alludere a Hom., //., 0, vv. 18-27; al qual passo, per altro, nessuno accenno è nel trattato di Longino.

2 Non già «tutti gli dèi e tutti gli uomini», sì bene: «Tiavxsg.... Osoì Tcàaai xs Géaivoci», dice Omero nel luogo citato.

3 Hekacliti Alleg. Hom., ediz. Mehler, e. 37, p. 73 sg.: cfr. Zeller, Die Phil. d. Gr., Ili, 1^ p. 335. Si veda più sopra, p. 187 sg.

  • Andr., V, 5, vv. 3-4, in cui Panfilo dice: «Ego deorum vitam propterea setnpiternam

esse arbitrar, Quod voluptates eoruni proprioe sunt». ^ Nei parecchi iìidices rerum virgiliani che ho consultati non trovo, né alla pa 15 [p. 226 modifica]226 LIBRO SECONDO — SEZIONE PRIMA CAPITOLO SECONDO

Orazio disse: «in’Oiìriam virtutis laurum» i, che ’l trionfo della virtù non può togliersi dall’invidia; e Cesare disse «propriam victoriam» ^, che con eiTore Dionigi Petavio nota non esser detto latino 3, perchè, pur con troppa latina eleganza, significa «una vit rola «proprius j> né all’altra «uxor», alcun limando alla frase indicata dal V. Forse si tratta d’una svista; ragione per cui in SN^ egli soppresse il riferimento.

1 Carni., II, 2, vv. 21-4: «[VirtiLs] regnurn et diadema tutuni Deferens uni propriamque laurum, Quisquis ingentes ocitlo irretorto Spectat acervos».

2 Non già in B. G., come erroneamente cita il V. in ÓW, ma in B. C, III, 70: «I^unitiones enim, a castris ad f lumen perducfce, expugnatis iam, casiris Pompeiipropriani et expeditam Ccesaris victoriam interpellaverunt». Cfr. anche Q Hirt., De bello afr., 32 e 82. Si veda la nota seguente.

3 Dopo che l’esame di parecchie bibliografie cesariane, nonché della minuta bibliografia delle opere del padre Dionigi Petau data dal SomiERVOGEL, op. cit., ad noni., m’ebbe assicurato che non esisteva del P. nessun cemento a Cesare, non restava altro a fare, per compiere l’indagine, che percorrere le varie edizioni annotate di Cesare anteriori al 1730, con la speranza che in qualcuna di esse il V. avesse potuto trovare qualche passo simile a quello da lui attribuito al P. E infatti nelle C. I. C^saris Quce extant omnia cum aniììiadversioinbus integris DiON. Vossii, I. Davisii, Coli. Regin. Cantab. sodi, aliorumque variis notis (Lugduni Batavorum, Apud vid. C. Boutensteyn et S. Luchtmans; Delphis, Apud Beman, MDCCXIII), p. 568, n. 3, relativa per l’appunto al passo cesariano cui il V. si riferisce, è detto: «Jm Petav.: i. propriam expeditam». Mihi illud «propriam» aures offendit. Scio quidem dicere HiRTiUM, De bello alex.: <s^ victoriam sibi propriam a diis iinmortalibus portendi ^, et Debello afric: «victoriam propriam se eis brevi daturum polìicetur». Sed alia ibi res est. Ego hic multo malim legere: «victoriatn prope iarn expeditam». Certe si propria iam erat Victoria, nihil opus addere «expedita»; si expedita tantum, nondum propria. Sed iudicium aliorum esto. — Idem». — Ora la consueta fretta fece cadeie il V., neUa lettura di questa nota, in parecchi errori, a) Non pose mente all’< Idem» ch’è in fine, il quale vuol dire che la nota appartiene al medesimo postillatore da cui è firmata la nota precedente, e cioè a Dionigi Vossio. b) Interpetrò quel «Petav.» abbreviato per «Petavio», anzi a dirittura per «Dionysio Petavio». e) Attribuì a costui la critica alla lezione «propriam victoriam», laddove dal testo appare chiarissimo che, se mai, colui che proponeva siffatta lezione era per l’appunto il supposto Petavio.— Ma «Petav.» sta nel brano citato per tutt’altro che per «Petavio», e tanto meno quindi pel p. Dionigi Petau. L’abbreviazione invece va sciolta in «Petaviano»; con che si viene a parlare del famoso codice di Cesare, appartenuto già al Petrarca; trasmigrato in Francia nel XV secolo; acquistato verso la fine del decimosesta da Paolo Petau (1568-1614), antenato di Dionigi (donde il nome di «petaviano»); sfruttato per la prima volta nell’ediz. dello Jungermann (Francof., Apud CI. Marnium, 1606); da Alessandro Petau, figlio di Paolo, venduto nel 1645 a Cristina di Svezia; e da costei infine donato, insieme con gli altri suoi mss., alla Vaticana, ove tuttora si conserva {Fondo reginense, n. 904). Cfr. Fabricius, Bibl. lat. (ediz. di Venezia 1728), I, p. 173; Paulin Paris, Les mss. frangois de la bibliothèque da roi (Paris, 1841), p. 51 sgg.; LéOpold Delisle, Les mss. de la bibl. imiìériale (Paris, 1868), pp. 287-8; Marco Vattasso, 7 codd. pelrarcheschi della bibl. vaticana (Roma, 1908), p. 101.

I [p. 227 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 227

toria che ’1 nimico non poteva togliergli dalle mani». Cotal autorità è il libero uso della volontà, essendo l’intelletto una potenza passiva (a) soggetta alla verità. Perchè gli uomini da questo primo punto di tutte le cose umane incominciaron a celebrare la libertà dell’umano arbitrio: di tener in freno i moti de’ corpi, per o quetargli affatto dar loro migliore direzione (ch’è ’1 conato propio degli agenti liberi, come abbiam detto sopra nel Metodo i); onde que’ giganti si ristettero dal vezzo bestiale d’andar vagando per la gran selva della Terra e s’avvezzarono ad un costume tutto contrario, di stare nascosti e fermi lunga età dentro le loro grotte. A si fatta autorità di natura umana segui l’autorità di diritto naturale, che, con l’occupare e stare lungo tempo fermi nelle terre dove si erano nel tempo de’ primi fulmini per fortuna truovati, ne divennero signori per l’occupazione, con una lunga possessione, ch’è ’1 fonte di tutti i dominii del mondo. Onde questi sono que’

pauci quos cequus amavit Inpiter 2,

che poi i filosofi trasportarono a coloro e’ han sortito da Dio indoli buone per le scienze e per le virtù (&). Ma il senso isto (f() ed in certo modo’ soggetta ad altrui; ijerchè, ecc.

(b) IX. Quivi per alto consiglio della Provvedenza ebbe il suo principio il diritto della forza, con la quale Giove legittima il suo regno [CMA 3] sopra gli dèi e gli uomini con la gran catena d’Omero che noi qui sopra abbiamo spiegato (il qual diritto [SN^ si celebrò per tutto il tempo divino ed eroico, ond’Achille ripone la sua ragione nell’asta), acciocché gli uomini, fin quando non intendessero ragione, estimassero la ragion della forza, ma infrenata da alcun timore di religione (la qual sola, come abbiam nelle Degnità 3 veduto, poteva infrenar i violenti di Obbes); siccome per la religione i giganti s’assoggettirono alla forza di Giove.

X. Si scuoprono quindi ancor i principii ond’ebbero incominciamento tutti i primi regni, che furono la forza e la froda; ma non

1 Si veda p. 185.

2 Verg., ^n., VI, 129-30. 8 Degn. XXXI. [p. 228 modifica]228 LIBRO SKCOKDO SKZIONE PRIMA CAPITOLO SECONDO

r i c di tal motto è che tra que’ nascondigli, in que’ fondi essi divennero i principi delle genti dette «maggiori», delle quali Giove si novera il primo Dio, come si è nelle Degaità i divisato; le quali, come si mostrerà appresso, furono case nobili antiche, diramate in molte famiglie, delle quali si composero i primi regni e le prime città. Di che restarono quelle bellissime frasi eroiche a’ Latini: «condere gentes», «conclere regna», «condere urhes»; «fundare gentes», «fundare regna», «fundare urhes».

Questa filosofia dell’autorità va di séguito alla Teologia civile ragionata della Provvedenza; perchè, per le pruove teologiche di quella, questa, con le sue filosofiche, xnschiara e distingue le filologiche (le quali tre spezie di pruove si sono tutte noverate nel Metodo 2 ), e d’intorno alle cose dell’oscurissima antichità delle nazioni riduce a certezza l’umano arbitrio, ch’è di sua natura incertissimo, come nelle Degnità ^ si è avvisato; ch’è tanto dire quanto riduce la Filologia in forma di scienza *.

Ili

Terzo principal aspetto è una storia d’umane idee, che, come testé si è veduto, incominciarono da idee divine con la contemplazione del cielo fatta con gli occhi del corpo (siccome nella scienza augurale si disse da’ Romani «contemplari» l’osservare le parti del cielo donde venissero gli augurii si osservassero gli auspicii, le quali regioni, descritte dagli auguri co’ loro litui, si dicevano «tempia cceli», onde dovettero venir a’ Greci i primi Gewpì^iJ.a-ca e [lae-^p-axa, «divine sublimi cose

già, quali hanno finora stimato i cattivi politici ^, fatte da uomini ad altri uomini, ma che fecero gli uomini a sé medesimi; e si, furono forza e froda dalla divina Provvidenza permesse a bene del genere umano.

1 Dcgn. ovili.

2 Si veda p. 187 sgg. 8 Degn. XI.

  • Degn. X.

" Allusione all’Hobbes, al Machiavelli e a Epicuro: cfr. Croce, op. cit., p. 101. [p. 229 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 229

da contemplarsi», che terminarono nelle cose astratte metafisiche e mattematiche); ch’è la storia civile di quel motto:

A love princìjnunt Musce i

(siccome da’ fulmini di Giove testé abbiam veduto incominciare la prima Musa, che Omero ci diffini «scienza del bene e del male» 2j, dove poi venne troppo agiato a’ filosofi d’intrudervi quel placito: che «’1 principio della sapienza sia la pietà» ^. Talché la prima Musa. dovett’esser Urania, contemplatrice del cielo affin di prender gli augurii, che poi passò a significare l’Astronomia, come si vedrà appresso ■*. E come sopra & si é partita la Metafisica poetica in tutte le scienze subalterne, dalla stessa natura della lor madre, poetiche; cosi questa storia d’idee ne darà le rozze origini così delle scienze pratiche che costuman le nazioni, come delle scienze specolative le quali, ora colte, son celebrate da’ dotti.

IV

Quarto aspetto é una (a) Critica filosofica, la qual nasce dalla istoria dell’idee anzi detta; e tal critica giudicherà il vero sopra gli autori delle.nazioni medesime, nelle quali dee correre da assai più di mille anni per potervi provenir gli scrittori, che sono il subbietto di questa critica filologica 6. Tal critica filosofica, quindi incominciando da Giove, ne darà una Teogonia naturale, o sia generazione degli dèi fatta naturalmente nelle menti degli autori della gentilità, che furono per natura poeti teo (a) arte critica dei fatti e delle lingue sopra gli autori, ecc.

1 Verg., Bue, III, 60. È l’epigrafe della SNK

2 Si veda più sopra, p. 199.

3 ’i Initium sapientice timor Domini» {Psalm., CX, 10; Proverò-, I, 7; IX, 10; Eccles., I, 17).

  • Si veda più oltre sez. VII.

5 Si veda meglio più oltre pp. 238-11.

«Degn. XII. [p. 230 modifica]230 LIBRO SECONDO — SEZIONE PRIMA CAPITOLO SECONDO

logi (a). E i dodici dèi delle genti dette «maggiori», l’idee de’ quali da costoro si fantasticarono di tempo in tempo a certe loro umane necessità o utilità, si stabiliscono per dodici minute epoche, alle quali si ridurranno i tempi ne’ quali nacquero le favole; onde tal Teogonia naturale ne darà una cronologia ragionata della storia poetica almeno un novecento anni innanzi (b) di avere, dopo il tempo eroico, i suoi primi incominciamenti la storia volgare.

Il quinto as])etto è una Storia ideal eterna sopra la quale corrano in tempo le storie di tutte le nazioni, ch’ovunque da tempi selvaggi, feroci e fieri cominciano gli uomini ad addimesticarsi con le religioni, esse cominciano, procedono e finiscono con quelli gradi meditati in questo libro secondo, rincontrati nel libro quarto ove tratteremo del corso che fanno le nazioni, e col ricorso delle cose umane, nel libro quinto (e).

VI

Il sesto è im Sistema del diritto naturai delle genti, dal quale col cominciar delle genti, dalle quali ne incomincia la materia, per una delle Degnità sopraposta i dovevano cominciar la dottrina ch’essi trattano gli tre suoi principi: Ugone Grozio, Giovanni Seldeno e Samuello Pufendorfio. I quali in ciò tutti e tre errarono di concerto: incominciandola dalla metà in giìi, cioè dagli ultimi tempi delle nazioni ingentilite (e quindi degli uomini illuminati dalla ragion naturale tutta spiegata), dalle quali son usciti i filosofi che s’alzarono a meditare una perfetta

[a) sulla quale doveva Esiodo formare la sua e Giovanni Boccaccio descrivere la sua Genealogia degli dèi; la qual Teogonia ne darà, ecc.

(b) di venire l’anno astronomico, dal qual finora ha cominciata la dottrina de’ tempi.

(e) ch.e sarà di questa Scienza l’aspetto principalissimo.» Degn. evi. [p. 231 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI Q0ESTA SCIENZA 231

idea di giustizia. Primieramente Grozio, il quale, per lo stesso grand’affetto che porta alla verità, prescinde dalla Provvedeuza divina e professa che ’1 suo sistema regga, precisa anco ogni cognizione di Dio 1; onde tutte le riprensioni ch’in un gran numero di materie fa contro i giureconsulti romani 2 loro non appartengono punto, siccome a quelli i quali, avendone posto per principio la Provvedenza divina, intesero ragionare del diritto naturai delle genti, non già di quello de’ filosofi e de’ morali teologi 3. Dipoi il Seldeno la suppone *, senza punto avvertire all’inospitalità de’ primi

’ De iure bel. et pàc, Proleg., § 11: «Hcbc quidem quce iam diximus locum aliquem haberent etiamsi darenius.... non esse Deum, aut non curari ab eo negotìa humanay. I puntini sospensivi nel brano ora trascritto si riferiscono a un inciso, che ne muta completamente l’interpetrazione ateistica datane dal V., e cioè: ^quod sine summo scelere dari nequìt». Circa le ragioni che indussero il V. (anima troppo candida da saper citare in mala fede) a non tener conto di siffatto inciso, e anzi a scordarsi, o meglio a non dare alcuna importanza al fatto che il Grozio includa «esplicitamente fra i suoi tre principii fondamentali, accanto alla religione e alla socialità, la volontà divina», cfr. Croce, op. cit., pp. 93-4.

2 II V. allude specialmente al § 55 dei Proleg. in cui il Grozio, pieno per altro di defei-enza verso gli antichi giureconsulti romani, osserva: a) che essi talora confondono ius naturale e ius gentium; b) che tal altra chiamano ius gentium quel diritto che invece d’essere comune a tutti i popoli e fondato su d’una specie di tacita convenzione tra le nazioni, è particolare ad alcune o per reciproca imitazione o perchè ricevuto a caso; e) che trattando di materie appartenenti al ius gentium, vi mescolano disposizioni di puro diritto romano, come, p. e., nel caso del ius postliminii (cfr. anche lih. Ili, e. 9). — Con parole molto più severe, in SN^, I, 5, il V. aveva detto: 1 1n tutto ciò di che Grozio pensa riprendere i romani giureconsulti in tante minute spezie o capi di cotal diritto, che egli, più di quel che convenga a filosofo che ragiona di principii di cose, propone in uno sformato numero, i di lui colpi vanno a cadere a vuoto». Cfr. anche più sopra, p. 190.

s «Oltra a ciò — continuava il V. in SN^, 1. e. — come sociniano che egli era, pone il primo uomo buono perchè non cattivo, con queste qualità: di solo, debole e bisognoso di tutto, e che fatto accorto da’ mali della bestiai solitudine, sia egli venuto alla società; e ’n conseguenza, che ’1 primo genere umano sia stato di semplicioni solitari, venuti poi alla vita socievole dettata loro dall’utilità: che è in fatti l’ipotesi d’Epicuro».

  • Selden, De iure nat. et gent. iuxta disc. Ebraeor. (ediz. cit. più sopra a p. 96,

u. 4), p. 68: «Naturalis [iurié]» vocabulum in titulo id tantum indicat quod ex Ebrceorum, seu ecclesice aut reipublicce veteris ebraica, placitis, sententiis mori. busque tam in foro quam in scholis receptis avitìsque prò iure mundi, seu omniuìn hominum omnimodarumque tuni gentium tum celati communi, etiam ab ipao rerum conditu est habitum, ut scilicet a totius naturce creatce autore seu numine sanctissimo humano generi simulatque creatum est, indicatuìn, infusum imperatumque». — P. 69: «Gentium autem ius in titulo accipitur prò eo quod sive ex singulari numinis imperio, sive ex pacto seu consuetudine interveniente, Ebrceis aliis [p. 232 modifica]232 LIBRO SECONDO SEZIONE PRIMA — CAPITOLO SKCONDO

popoli (a); né alla divisione che ’1 popolo di Dio faceva di tutto

(o) [CMA 3] anche come néìV Annotazioni alla tavola cronologica’^ l’avvertimmo, di quelli Egizi che vaneggiavano d’esser stati essi i primi a disseminare l’umanità per le nazioni; e molto più che degli Egizi, nelle stesse Annotazioni^ l’osservammo de’ medesimi Ebrei, [CJi^^] e ’1 confermammo con un luogo d’oro di Giuseffo, assistito da una grave riflessione di Lattanzio; [CMA 3] e ’n conseguenza si dee perdere nello spiegare la guisa come gli Ebrei il poteron insegnar a’ gentili, quando al suo medesimo jjopolo, perchè l’aveva non poco perduto di vista nella schiavitù dell’Egitto, dovette esso Dio riordinarlo nella Legge la quale diede a Mosè sopra il Sinai. [CMA ■*] Tanto gli tre figliuoli di Noè, dopo rinuiegata la loro religione del vero Dio, poterono trammandare nelle loro razze il diritto naturai degli Ebrei ^ E finalmente Pufendorfio, ecc.

que gentibus, sive vicinis sive aliis (nec interim universis nec semper) commune habebatur».— Sulle dottrine del S. cfr. Ad. Franck, Reformateurs et publicistes de l’Europe— Dix-septième siede (Paris, Calmaiin Lóvy, 1881), p. 100 sgg. E sul peculiare significato che nel sistema vichiano ha la critica al trattatista inglese, cfr. Croce, op. e Ice. cit.

1 Si veda p. 57 sgg.

«Si veda pp. 94-5.

3 Perchè si possa intendere tutta l’ironia di quest’ultimo periodo, e utile ricordare che uno dei capisaldi del sistema del Selden (cfr. op. cit, lib. l, passim; e Fraxck, op. cit, p. 103) era che alla legge mosaica. la quale fu da Dio limitata al popolo eletto, precedettero due altre leggi, parimente rivelate da Dio, ma comuni a tutti gli uomini. Della prima, data ad Adamo, non resterebbe naturalmente alcun documento dell’altra, rivelata ai figli di Noè dopo il Diluvio e che sarebbe una delle principali fonti del diritto naturale comune a tutte le nazioni, si conserverebbero alcune tracce nel Pentateuco e specialmente nel libro di Giob, oltreché ce ne sarebbero stati trasmessi i sette precetti che la componevano nei Shéba mi^woth bene Noach del Talmud (il cemento al quali forma la maggior parte dell’opera seldeuiana).— Posto ciò, appar chiaro dal passo del V. cui ci riferiamo, che egli a codesta seconda rivelazione postdiluviana e premosaica non credesse né punto né poco; il che se è (anzi perchè è) in perfetta connessione logica con V ultima fase del pensiero di lui circa la caduta nello stato ferino di tutte tre le razze dei figli di Noè, rende ancora più ingarbugliata la questione posta a p. 209, n. 2, e fa sorgere un’altra contradizione insanabile. — Gli Ebrei — dice infatti il V.— avevano non poco perduto di vista, durante la schiavitù d’Egitto, il diritto rivelato da Dio; tanto che, ecc. ecc.— Perduto di vista? Dunque (conforme d’altronde alla tradizione biblica, a cui il V. credeva sinceramente) lo possedevano anche prima della legge mosaica: dunque a quella del Sina era dovuta precedere un’altra rivelazione. Quale e quando? Il V. non dice. — Si noti che in SN^ (nella quale, come s’è avvertito, p.209, n. 2, si escludeva ancora la razza semitica dall’imbcstiamento), il V., pur confutando la teoria del S., ne aveva accettata una parte, non senza, per altro, profondi ritocchi: vale a dire, la razza di [p. 233 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 233

il mondo alior delle nazioni, tra Ebrei e genti; né a quello: che, perchè gli Ebrei avevano perduto di vista il loro diritto naturale nella schiavitù dell’Egitto, dovett’esso Dio riordinarlo loro con la Legge la qual diede a Mosè sopra il Sina; né a quell’altro: che Iddio nella sua Legge vieta anco i pensieri meno che giusti, de’ quali niuno de’ legislatori mortali mai s’impacciò; oltre all’origini bestiali, che qui si ragionano, di tutte le nazioni gentili. E se pretende d’averlo gli Ebrei a’ gentili insegnato appresso i, gli riesce impossibile a poterlo pruovare, per la confessione magnanima di Giuseffo, assistita dalla grave riflessione di Lattanzio sopra arrecata, e dalla nimistà che pur sopra osservammo 2 aver avuto gli Ebrei con le genti, la qual ancor ora conservano dissipati tra tutte le nazioni. E finalmente Pufendorfio, che l’incomincia con un’ipotesi epicurea, che pone l’uomo gittate in questo mondo senza niun aiuto e cura di Dio ^; di che essendone stato

Sem, senza aver bisogno di una nuova rivelazione, avrebbe conservato il primitivo diritto dato da Dio ad Adamo e lo avrebbe trasmesso ai soli Ebrei, i quali ne avrebbero fatto un loro monopolio.— «Venne appresso Seldeno — egli dice, 1. e, e non è inutile riferire le sue testuali parole, — il quale per lo troppo affetto che porta all’erudizione ebrea, della quale egli era dottissimo, fa principii del suo [sistema] i pochi precetti che Iddio diede a’ figliuoli di Noè: da uno de’ quali, Semo (per non riferire qui le difficultà che gliene fa contro il Pufendorfio), il quale solo perseverò nella vera religione del Dio d’Adamo, anziché un diritto comune con le genti provenute da Cam e Giafet, derivò un diritto tanto propio che ne restò quella celebre distinzione di Ebrei e genti, la quale durò infino agli ultimi tempi loro, ne’ quali Cornelio Tacito appella gli Ebrei < uomini insocievoli» e distrutti da’ Romani, tuttavia con raro esempio vivono dissipati tia le nazioni senza farvi nessuna parte».

^ Cioè dopo la legge mosaica, mercè i tanti immaginari rapporti che il Sclden si sforza di provare esservi stati tra gli Ebrei i filosofi e legislatori delle altre nazioni; in guisa che Aristotele sarebbe stato iniziato alla vera sapienza dall’ebreo Simone il giusto; Pitagora sarebbe stato discepolo diEzechielc; Numa Pompilio avrebbe avuta diretta conoscenza dei libri santi; Platone, oltre alla conoscenza indiretta della sapienza ebraica avuta per mezzo del suo maestro, il pitagorico Filolao, avrebbe direttamente studiate le sacre carte viaggiando in Palestina; Cicerone, perchè studioso di filosofia stoica, la quale prende origine da Platone e Aristotele, avrebbe indirettamente attimo anche lui a fonti ebraiche; e via discorrendo. Cfr. libro I, j}assim e Fbanck, 1. e.

2 Si veda p. 96.

3 De iure nat. et gent., II, 2 {De stalu hominum naturali), § 2: «Ut igitur statua naturalis faciem animo concipere queamus, qualis is citra ulta subsidia et inventa humana, aut divinìtus homini suggesta futurus fuerat, fingendus nobis est homo undecunque in huncce mundum proiectus, ac sibi soli piane relicfus citra omne subsidium humanuni post nalivitatem ipsi accidens, et quidem ut non amplioribus animi corporisque dotibus sit instructus, quam nunc nulla prcevia cultura depre [p. 234 modifica]234 LIBRO SECONDO — SEZIONE SECONDA CAPITOLO PRIMO

ripreso, quantunque con una particolar dissertazione i se ne giustificlii, però senza il primo principio della Provvedenza non può affatto aprir bocca a ragionare di diritto, come l’udimmo 2 da Cicerone dirsi ad Attico, il qual era epicureo, dove gli ragionò Delle leggi. Per tutto ciò, noi da questo primo antichissimo punto di tutti i tempi incominciamo a ragionare di diritto, detto da’ Latini «ius», contratto dell’antico «lous» (a): dal momento che nacque in mente a’ principi delle genti l’idea di Giove 3 Nello

{a) [CMA 3], ch’è ’1 retto del genitivo, che ci è rimasto, «lovis» dal punto che nacque.

henduntur, neque eundem peculiari Numinis cura foveri. Huius conditio non potest non miserrima concipi^, ecc. — Il P., dopo avere in questo stesso capitolo confutato, almeno a parole, l’Hobbes e lo Spinoza (clie sia confutazione a parole mostra di credere il V. quando in «SW^, 1. e, definisce l’ipotesi del P. «affatto epicurea obbesiana, che in ciò è una cosa stessa»), come già nel lib. I, e. 2, § C aveva confutato il Grozio (anche questa il V. reputava in SN^, 1. e, mera logomachia, facendo convenire t i semplicioni di Grozio» e «i destituii di Pufendorfio.... coi licenziosi violenti di Tommaso Obbes-;); soggiunge (§ 4): «Fatemur tamen universum genus humanum nunquam siinul et semel in mero statu naturali extìtisse, neque etiam existere potuisse, ideo quod divinarum auctoritate literarum persuasi, ex uno pari coniugum quicquid est mortalium originem ducere credamus». Ma qui, come già pel Grozio e per le medesime ragioni (cfr. Croce, 1. e), il V. non dà importanza a queste dichiarazioni.

^ Sam. Pdffendorfii, Apologia prò se et suo libro adversus Auctorem [il dr. losua Schwartz] libelli famosi cui titulus: «Itidex quarundam Novitatum, quas Dn. Sam. Puf. libro suo «De iure nat. et geni.» edidit conira Orthodoxa fundamenta [Lundini, 1672]», § 12, in Eris Scandica. qua udversus libros De iure noi. et genf: objecta diluuntur (Francof. a. M., Sumpt. Prider. Knochii, MDCLXXXVl), p. 22 sg.: «Postquam... ostenderam statum hominis alicuius solitarii in niundo inculto destituii fore miserrimum., inde ulterius infero; si aliquis saa-arum literarum cognitione carens et solo naturali lumine subnixus consideraverit mortalium primcevam indigentiaìn et itnbecillitatem, quani debiles sint, quam indigi omnium rerum ubi nascuntur; cum is utique rationis duetti colligere possit, aliquando genus humanum inititim cepisse: non aliier sibi persuadere potest quam peculiarem ctiram Numinis circa primam hominum stirpem intervenisse, quousque ipsi usu et meditatione, ac coniunctis inter se operis necessitaiibus suis prospicere didicissent».

2 Si veda p. 178, n. 1.

’ Un accenno a questa derivazione etimologica, a cui il V. tanto teneva, si trova già nel Grozio, il quale (Proleg, § 12) dopo aver ricordato clie Crisippo [in PluTARCH., De stoicorum repugnantiis, p. 4035 e] e gli altri stoici dicevano che non bisognava cercare l’origine del diritto se non in Giove, soggiunge: «.4 quo «lovis t> nomine <! ius ^ Latinis dictuìn probabiliter d/ci 7)o/es<». — Sulle varie etimologie di «ius» cfr. Giulio Capone, Di alcune jjarole indo-europee significanti «diritto», «legge», «giustizia» (Milano, 1893); il quale, p. 27, cita anche il V.

4 [p. 235 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 235

che a maraviglia co’ Latini convengono i Greci, i quali per bella nostra ventura osserva Platone nel Cratilo i che dapprima il gius dissero «Staio v», che tanto suona quanto [a) «discurrens» «lìermanens» (la qual origine filosofica vi è intrusa dallo stesso Platone, il quale con mitologia erudita prende «Giove» per «l’etere» che penetra e scorre tutto 2; ma l’origine istorica viene da esso Giove, che pur da’ Greci fu detto «Aióg», onde vennero a’ Latini «suh dio •» egualmente e «sub love» per dir «a ciel aperto»), e che poi per leggiadria di favella 3, avessero pi’oiferito «dc’/,at,ov». Laonde incominciamo a ragionare del diritto, che prima nacque divino, con la propietà con cui ne parlò la divinazione, sia scienza degli auspicii di Giove, che furono le cose divine con le quali le genti regolavano tutte le cose umane, ch’entrambe conpiono alla giurisprudenza il di lei adeguato subbietto. E sì, incominciamo a ragionare del diritto naturale dall’idea di essa Provvedenza divina, con la quale nacque congenita l’idea di diritto; il quale, come dianzi se n’è meditata la guisa, si cominciò naturalmente ad osservare da’ principi delle genti propiamente dette e della spezie più antiche, le quali si appellarono «genti maggiori», delle quali Giove fu il primo dio.

VII

Il settimo ed ultimo de’ principali aspetti e’ ha questa Hcieuza è di Principii della storia universale; la quale da questo primo momento di tutte le cose umane della gentilità incomincia con la prima età del mondo che dicevano gli Egizi scorsa loro dinanzi, che fu l’età degli dèi, nella quale comincia il cielo a regnar in terra e far agli uomini de’ grandi benefizi, come si

(«) [CiltfJ.*] «codeste» o «divinimi» da Giove che loro fu detto, ecc.

1 Crat., p. 412 d-e.

2 Qui il V. raccosta Cra^., p. 410 è, dove Platone spiega l’etere come «àeiGsVjp» («ciò che corre sempre»: àsi Osa), con Crat., p. 413 o, dove Platone accenna a un’etimologia che avvicina «Aia» (Giove) a «§ia’tóv», nel senso di giusto.

3 Cfr. Plat., 1. e: «eùaxo|iCag svsxa». [p. 236 modifica]236 LIBRO SECONDO SEZIONE PRIMA — CAPITOLO SECONDO

ha nelle (a) Degnità i; comincia l’età dell’oro de’ Greci, nella quale gli dèi praticavano in terra con gli uomini, come qui abbiam veduto aver incominciato a fare Giove. Cosi i greci poeti, da questa tal prima età del mondo ci hanno nelle loro favole fedelmente narrato l’universale Diluvio e i giganti essere stati in natura; e sì, ci hanno con verità narrato i principii della storia universale profana (h). Ma non potendo poscia i vegnenti entrare nelle fantasie de’ primi uomini che fondarono il gentilesimo, per le quali sembrava loro di vedere gli dèi; e non intesasi la propietà di tal voce «atterrare», ch’era «mandar sotterra»; e perchè i giganti, i quali vivevano nascosti nelle grotte sotto de’ monti, per le tradizioni appresso di genti sommamente credule furono alterati all’eccesso ed appresi ch’imponessero Olimpo, Pelio ed Ossa, gli uni sopra degli altri, per cacciare gli dèi (che i primi giganti empi non già combatterono, ma non avevano appreso finché Giove non fulminasse) dal cielo, innalzato appresso dalle menti greche vieppiù spiegate ad una sformata altezza, il quale a’ primi giganti fu la cima de’ monti, come appresso dimostreremo (la qual favola dovette fingersi dopo Omero (e) e da altri esser stata nell’Odissea ^ appiccata ad Omero, al cui tempo bastava che crollasse l’Ohmpo solo, per farne cadere gli

(a) greche tradizioni; comincia il secol dell’oro a’ Greci e quel di Saturno a’ Latini, ne’ quali gli dèi praticavan in terra cogli uomini, la quale fu la prima età del mondo gentilesco. [CMA *] La qual prima età qui, come da una sua prima epoca, conforme si è nelle Degnità ^ divisato, incomincia da Giove e dalla religione degli auspici! ne’ di lui fulmini, da cui debbo incominciare tutta la storia universale. Di che i Latini ci serbarono un certo avviso in queste tre voci: «auspicari», «migurari» (per «incominciare >) ed «ììiitia» (per dire «consegrazioni >» e «incomiuciameuti» o «principii»).

(b) e la di lei perpetuità con la sagra. Ma perchè i giganti, ecc. (e) autore dell’J/iade (come vedremo del vero Omero nel libro

terzo) al cui tempo, ecc.

  • Propriamente nelle Annotaz. alla Tav. cron., X.

2 A, 313 sgg. 8 Degn. XLII. [p. 237 modifica]ASPETTI PRINCIPALI DI QUESTA SCIENZA 237

dèi, che Omero neWlUade sempre narra allogati sulla cima del monte Olimpo): per tutte queste cagioni ha finora mancato il principio e, per avere finor mancato la cronologia ragionata della storia poetica, ha mancato ancora la perpetuità della storia universale profana.