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226 LIBRO SECONDO — SEZIONE PRIMA CAPITOLO SECONDO

Orazio disse: «in’Oiìriam virtutis laurum» i, che ’l trionfo della virtù non può togliersi dall’invidia; e Cesare disse «propriam victoriam» ^, che con eiTore Dionigi Petavio nota non esser detto latino 3, perchè, pur con troppa latina eleganza, significa «una vit rola «proprius j> né all’altra «uxor», alcun limando alla frase indicata dal V. Forse si tratta d’una svista; ragione per cui in SN^ egli soppresse il riferimento.

1 Carni., II, 2, vv. 21-4: «[VirtiLs] regnurn et diadema tutuni Deferens uni propriamque laurum, Quisquis ingentes ocitlo irretorto Spectat acervos».

2 Non già in B. G., come erroneamente cita il V. in ÓW, ma in B. C, III, 70: «I^unitiones enim, a castris ad f lumen perducfce, expugnatis iam, casiris Pompeiipropriani et expeditam Ccesaris victoriam interpellaverunt». Cfr. anche Q Hirt., De bello afr., 32 e 82. Si veda la nota seguente.

3 Dopo che l’esame di parecchie bibliografie cesariane, nonché della minuta bibliografia delle opere del padre Dionigi Petau data dal SomiERVOGEL, op. cit., ad noni., m’ebbe assicurato che non esisteva del P. nessun cemento a Cesare, non restava altro a fare, per compiere l’indagine, che percorrere le varie edizioni annotate di Cesare anteriori al 1730, con la speranza che in qualcuna di esse il V. avesse potuto trovare qualche passo simile a quello da lui attribuito al P. E infatti nelle C. I. C^saris Quce extant omnia cum aniììiadversioinbus integris DiON. Vossii, I. Davisii, Coli. Regin. Cantab. sodi, aliorumque variis notis (Lugduni Batavorum, Apud vid. C. Boutensteyn et S. Luchtmans; Delphis, Apud Beman, MDCCXIII), p. 568, n. 3, relativa per l’appunto al passo cesariano cui il V. si riferisce, è detto: «Jm Petav.: i. propriam expeditam». Mihi illud «propriam» aures offendit. Scio quidem dicere HiRTiUM, De bello alex.: <s^ victoriam sibi propriam a diis iinmortalibus portendi ^, et Debello afric: «victoriam propriam se eis brevi daturum polìicetur». Sed alia ibi res est. Ego hic multo malim legere: «victoriatn prope iarn expeditam». Certe si propria iam erat Victoria, nihil opus addere «expedita»; si expedita tantum, nondum propria. Sed iudicium aliorum esto. — Idem». — Ora la consueta fretta fece cadeie il V., neUa lettura di questa nota, in parecchi errori, a) Non pose mente all’< Idem» ch’è in fine, il quale vuol dire che la nota appartiene al medesimo postillatore da cui è firmata la nota precedente, e cioè a Dionigi Vossio. b) Interpetrò quel «Petav.» abbreviato per «Petavio», anzi a dirittura per «Dionysio Petavio». e) Attribuì a costui la critica alla lezione «propriam victoriam», laddove dal testo appare chiarissimo che, se mai, colui che proponeva siffatta lezione era per l’appunto il supposto Petavio.— Ma «Petav.» sta nel brano citato per tutt’altro che per «Petavio», e tanto meno quindi pel p. Dionigi Petau. L’abbreviazione invece va sciolta in «Petaviano»; con che si viene a parlare del famoso codice di Cesare, appartenuto già al Petrarca; trasmigrato in Francia nel XV secolo; acquistato verso la fine del decimosesta da Paolo Petau (1568-1614), antenato di Dionigi (donde il nome di «petaviano»); sfruttato per la prima volta nell’ediz. dello Jungermann (Francof., Apud CI. Marnium, 1606); da Alessandro Petau, figlio di Paolo, venduto nel 1645 a Cristina di Svezia; e da costei infine donato, insieme con gli altri suoi mss., alla Vaticana, ove tuttora si conserva {Fondo reginense, n. 904). Cfr. Fabricius, Bibl. lat. (ediz. di Venezia 1728), I, p. 173; Paulin Paris, Les mss. frangois de la bibliothèque da roi (Paris, 1841), p. 51 sgg.; LéOpold Delisle, Les mss. de la bibl. imiìériale (Paris, 1868), pp. 287-8; Marco Vattasso, 7 codd. pelrarcheschi della bibl. vaticana (Roma, 1908), p. 101.

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