La morte e l'immortalità/I
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La Morte e l’Immortalità
Verrà un tempo, disse il Lichtenberg, in cui Ja luce della Natura e la Ragione dell’Umanità, sottentrando a quanto pur or ci rimane di Donimi Religiosi e rimpiazzando altresì vantaggiosamente questo odierno crepuscolo Razionalista che ne il precursore, saranno tenute come superstizioni tanto la fede ecclesiastica quanto quella religiosa del Razionalismo (I).
Udiamo ripeterci a sazietà, che i due Dommi della esistenza di Dio e della Immortalità dell’Anima Umana sono necessari per un gran numero di credenti che si terrebbero assai sconsolati, laddove venissero scosse queste due grandi colonne della fede ortodossa.
E sia pure: ma ritenete al tempo stesso che accettato questo principio d’inviolabilità a favor di questa colonna, seguirà per immancabile corollario, il dovere ammettere una lunga colonnata per intiero.
Si dice ancora, che per cosa al mondo non conviene disturbare la pace interna delle anime.
Benissimo! ma di grazia indicateci pria di tutto il dove e quando ha luogo questo fatale disturbo, ed a quali sintomi dobbiamo noi riconoscere il suo primo manifestarsi. Qui per vero ci troviamo di fronte quelle difficoltà che naturalmente si attraversano ai passi di coloro, che avvisano arrestarsi a mezza via sul loro cammino.
L’Opinione che l’Anima continua ad esistere dopo la morte del corpo prima d’essere un’argomento di seria e scientifica discussione a disamina; era già diffusa e ritenuta siccome articolo di fede. Ora una siffatta credenza è per lo meno tanta strana quanto lo è l’abitudine di chiamare Dea, o cosa divina una bella donna o il parlar dell’immortalità delle teste coronate.
Allorché l’Uomo con una inqualificabile leggerezza e presunzione si inette a sentenziare sull’ignoto e dove non giunge la potenza del suo intelletto e del suo scibile, egli di necessità è costretto a dar nei sofismi. Di conseguenza voi udirete in cento guise le più fantastiche stravaganze allorché si pretende darvi, dei saggi, sull’altra vita e sulla individuale Immortalità.
Ora eccovi amici miei, una idea che mi par giusta per tutti i versi.
«Sarà di noi dopo la nostra morte lo stesso che già è stato prima della nostra nascita.»
Questa idea, per lo meno, è per me come instintiva ed anteriore a qualunque discettazione; e porta seco alcun che d’attraente ed invincibile sebbene non possa dirsi per ancora apoditticamente dimostrata, e forse non pochi che non osano confessarlo apertamente la pensano al par di me in questo grave argomento.
Nulla finora ha potuto convincermi del contrario; e dove la mia opinione si appoggia sulla natura medesima, la contraria si fonda sopra metafisici artifizj che ben sovente anzi sempre urtano in contradizioni di fatto che sarebbe impossibile lo scansare. D’altronde non pochi riscontri trova il mio parere in alcuni fatti naturali come p: e: la Sincope, la Catalessi gli svenimenti, l’assopimento.
Sopra questa espressione Non esistenza sono ben pochi che adeguatamente stanno a riflettere. Ora dessa è per me appunto lo stato anteriore alla mia nascita e ciò che sarà dopo la mia morte. Non è già l’apatia, lo svenimento giacché questi possono in tal qual modo esser sentili dall’Uomo, ma è piuttosto il nulla! Quel nulla che trattandosi di un’essere pensante e sensibile che vi si adagi dentro parmi che abbia il valore stesso di ciò che dieesi la suprema felicita; poiché in entrambi i casi si sta egualmente bene (2).
Non abbiam noi già subito una volta la nostra risurrezione? la prima Risurrezione? e certamente che prima di essa noi sapevamo meno dello stato di nostra vita attuale di quel che sappiamo ora dello stato che ci attende dopo morte (3).
Ritenete, miei buoni amici, che una gran parte di male nel mondo si deve attribuire ad una esagerata e cieca deferenza per gli usi, le leggi e la Religione del passato.
Circa alla Tanatologia ovvero credenza alla Immortalità dell’anima tre epoche vanno ben segnalate fra le nazioni d’Europa.
La prima si riferisce agli antichi Greci e Romani i quali per vero lungi dal farsene una immagine nel senso precisamente come noi la intendiamo questa Immortalità; se ne formavano invece una specie d’ipotesi vaga e poetica.
Questo però é da notarsi che in sostanza non tenevano poi la morte per il male il più grande, ed io penso che anche noi moderni verremo man mano accostandoci a questa sentenza.
L’antico Romano (il repubblicano segnatamente) non vivea che per la sua patria, nè il suo orizzonte intellettuale si clargava al di là del terrestre. Scopo suo principale era la grandezza di Roma, e quanto a se medesimo personalmente non si attendea in un’altro mondo una condizione d’esistenza superiore a quella dei suoi compatriotti; ma aspirava solo a lasciar gloriosa memoria di se dopo la sua morte. Spirito ed anima del Romano antico era il suo Romanismo e siccome consistea questo nella totalità dei suoi cittadini di tutte le epoche, così egli non avrebbe potuto comprendere il come e perchè personalmente avesse potuto disgregarsi da quella comunione alla quale esso andava superbo di appartenere. La Virtù stessa egli non la conosceva che alla Romana, poiché il suo intendimento mirava meglio a far di se stesso un Romano perfetto, che un uomo tipico, cosmopolita.
E ad un siffatto ideale egli perveniva come un fiore realizza il suo tipo speciale e già contenuto nel suo germe primitivo.
Insomma per l’antico Romano non esisteva quello enorme sbalzo che per noi stassi tra lo ideale e la realtà delle cose.
Ora appunto un risultato, di questo sbalzo di questo abbisso, di questo Scisma, è la credenza alla immortalità; quindi il Romano antico non poteva seguitarla.
Dicasi lo stesso dei Greci o Elleni, i quali coltivavano con ardore l’Amor del Bello basato così come egli è sulla possibilità di rappresentare, esteriormente il mondo immaginativo dello spirito, e di raffigurare lo spirituale nel reale e materiale.
Epperò anche essi non poteano accogliere la nostra credenza tanatologica, che divide un uomo per così dire in due; un anima superiore, immortale e nemica della parte nostra materiale, ed un corpo bruto o almeno brutale, nemico dell’anima spirituale e di per se stesso senza anima.
La seconda epoca riguardo alla credenza, alla immortalità dell’anima individuale, è quella dell’Evo-Medio, il vero Bon vieux temps del Cattolicismo.
Di quel tempo una siffatta credenza era un articolo di fede universale, era un’assioma dommatico; pena di morte a chi lo negasse come se i roghi, e le mannaje avessero il valore di prove dimostrative apoditti che come se il miglior modo di tornare alla fede i miscredenti fosse quello di spedirli all’altro mondo coi più atroci supplizj!!
Però è d’uopo dire, che il carattere vero distintivo del Medio-Evo non consistea già tutto in questa credenza; ma eziandio e meglio in questo che l’Uomo di quei secoli non si era incaponito nella trista convinzione di trovarsi un’essere isolato, ed indipendente in mezzo ad una indipendenza vasta ma ad un tempo fittizia.
Invece egli mettea la somma di sua propria essenza nella comunione Religiosa per mezzo della quale sentendosi egli membro della Chiesa, e perciò salvo ed in possesso della vita eterna, o della immortalità, individuale, toccava già al godimento elevato al più alto suo grado, a quello cioè di Comunione o meglio al sentimento della Unità Morale. Ed il Cattolicismo era appunto questa Ecclesia questa generale assemblea che riuniva gli spiriti in una spirito solo.
E qui si noti che queste due grandi potenze della odierna religiosità, cioè il sentimento morale e la fede, non sono in sostanza che attive determinazioni del Me e per esse la esistenza Vera e qualche cosa di trascendentale, di soprannaturale, un avvenire tutto fantastico.
Non così al Medio-Evo in cui codesto futuro si confondea s’immedesimava col presente, cosicché si toccava in un tempo all’ideale ed al reale poicchè la Chiesa era alcun che di pertinente al dominio dei sensi e di supcriore agli stessi, quindi nissuna scissura tra la possibilità e l’attualità.
Come tanti altri, articoli di fede, lo era anch’essa la immortalità dell’anima umana ma non già un sgno caratteristico dell’Uomo.
Piuttosto che della umana individualità si occupava allora quel Domma del Paradiso e dell’Inferno; ma la credenza in essi non andava confusa con quella della immortalità individuale. Vi si trattava del castigo del vizio e premio della Virtù ma non già tassativamente della eterna permanenza in essi dell’uomo individuale.
Solo punto d’analogia e riscontro tra l’antico Cristianesimo, e la odierna dottrina della immortalità dell’anima personale senza altre complicanze, si è l’argomento Risurrezione dei corpi.
Consiegue da questa religiosa credenza del Medio-Evo che l’individuo da se solo di per se stesso è immortale, e sicuramente nulla v’ha per noi di più personale che i membri della nostra persona.
E qui un osservazione cade opportuna.
Che i corpi precedono l’ombra loro e una legge costante nel mondo tisico; ma nel morale nell’immaginoso sopratutto accade qualche volta il contrario.
Così la credenza nella risurrezione dei corpi, che in certo modo era come l’ombra foriera dell’altra credenza nella immortalità dell’anima Umana individuale precorse di alcuni secoli quest’ultima la quale poi a suo tempo non mancò di far la sua entrata sul teatro del Mondo.
E si noti che allorquando veniva in campo sorretto dall’opinione il significato sustanziale della Risurrezione dei corpi, già più non si credea precisamente a quel simbolo; ma invece si proclamava l’objetto lo scopo di esso cioè la personale immortalità dell’Uomo.
Esempio e questo del come procede la storia cioè l’organico sviluppo dell’umanità, nello sciogliere i sociali e morali enigmi, e state pur certi che ella a suo tempo saprà scioglierne di ben’altri ancora, non mancandole la potenza dello svelare e rivelare misteri.
Gli antichi libri Sacri dello Zenda-Vesta stanno a prò di questa nostra sentenza ed accennano della Risurrezione dei corpi.
Ora il Cristianesimo ed il Parsismo hanno grande affinità tra loro come quelli che portano quasi identici gli assiomi e principj di morale; sicché tutta quella magnifica Religione degli Antichi Parsi non era in sostanza che uno splendido simbolo della lotta tra il Bene ed il Male, e può in certo modo tenersi come un’anticipato simulacro del Cristianesimo. Il Domma Parso della Risurrezione della carne è il simbolo della odierna credenza cristiana nella immortalità dell’anima individuale.
Così del pari l’altro Domma Parso che insegna la esistenza di un Genio speciale protettore di ogni essere vivente risponde all’opinione Platonico-Cristiana affermante che l’idea e l’essenza di ogni cosa esistente preesisteva di già in Dio da tutti i tempi (4).
Terzo ed ultimo stadio per la credenza all’immortalità dell’anima individuale segue l’epoca nostra moderna.
In esso stadio si accenna della umana immortalità come di cosa piena ed intiera, sicché il credente l’ortodosso considera se stesso quasi un ente infinito, assoluto, e quasi divino, lo che imprime una caratteristica ben pronunziata allo stadio succennato.
E si fu in nome o per parte del Protestantesimo, che una siffatta evoluzione (e fin’allora sconosciuta) della opinione religiosa fece la sua comparsa nel mondo.
E così il posto d’importanza già della Chiesa e della Comunione religiosa venne occupalo dalla fede morale e dalla individuale convinzione. Cessando la Chiesa di essere il principio fondamentale della credenza questa lo divenne di quella. Quindi avviene che ormai la Chiesa meglio che dalla sua stessa autorità unitaria, universale, trae argomento della sua forza, dalla energia di fede nei credenti. Ornai pel Protestantesimo era il Cristo l’astro centrale del gran Sistema, o meglio l’Uomo-Dio, la essenza umana confusa colla divina nella forma personale del Cristo.
Ecco dunque la Personalità fattasi centro del Protestantesimo, non però la personalità come semplice personalità, sicché ognuno vi avesse potuto rinvenir se stesso; ma una personalità novellamente personificata in una sola figura nel Cristo personaggio storico che per così dire assorbe in se tutte le personatlià presenti passati e future della terra sicché può chiamarsi l’Unico; Ed ecco con questo un progresso in certo modo realizzato.
Ed una setta Protestante, i Pietisti, spinse così innanzi codesta idolatria per la persona materiale del Cristo, da prender per oggetto speciale di essa il cadavere medesimo di lui per come si rileva da questo passo estratto da alcuni scritti pietisti del secolo XVIII.
«Coloro che vogliono davvero aspirare alla felicità celeste, debbono lambire le labbra livide e glaciali del Cristo, aspirarne l’odor cadaverico, ed assorbire le esalazioni del suo sudario, r, Ora laddove noi senza oltre arrestarci a siffatte aberrazioni mentali ci facciamo a considerare il processo ascendente del Protestantesimo noi lo vediamo spingersi fino a quel punto in cui il Cristo cessando di farsi centro objettivo per gl’individui, vicn surrogato dalla personalità di tutti di tal che ogni protestante facendosi centro a se stesso, il di loro Evangelismo si cangia in Moralismo e Razionalismo.
Il Pietismo fra essi non è che un anello di transizione poicchè esso non adora il Cristo che dopo averlo per così dire trasformato in un pietista, cosicché l’anima del protestante Pietista ne rimane occupata. E così (ben inteso senza nemmeno saperlo) l’adoratore di siffatto Cristo pietista non adora altro che le sue proprie 10 sazioni, i suoi proprj sentimenti, la sua propria subjel- tività. Insomma adora se stesso.
D'altra parte il Moralismo, ed il Razionalismo pro- testante sono per loro natura diametralmente opposti al Pietismo , che vorrebbe esserne il complemento fi- siologico, (o meglio patologico).
Sono essi due evoluzioni intellettuali la cui mercè 10 spirito subjcttivo toglie ad objetto il subjetto me- desimo, o meglio il Razionalismo protestante non ha per objetto che il Me protestante.
Ed eccovi lo interno nesso di questi due estremi, il cui scopo è sempre il Me la personalità, sia astrattamente razionale, ed intellettuale, sia nella sua sensività patologicamente affetta.
Allorché l'Uomo si forma della sua propria persona- lità pura e semplice il cardine ed il centro d'ogni suo interesse ed aspirazione, non può a meno d'essere preso da un profondo disgusto di questa nostra esistenza, di questa nostra vita, e condizioni che l'accompagnano.
Limitato e costretto come egli è quaggiù nel tempo e nello spazio, certo non trova agio, e nemmeno pos- sibilità di sviluppare a suo talento la sua personalità. Così adunque ed anche a suo malgrado è spinto a gittarsi nelle illusioni di una seconda vita foggiata in modo che pur ritenendo il fondo e la personalità della vita attuale, sia libera e scevra appieno, di tutto quanto noi incon- triamo qui in terra, d'imperfezioni, di lotte, e di tra- versie o diciam meglio, una seconda edizione riveduta, e corretta della presente vita, un sogno roseo, in una località diafana, fantastica, luminosa, e dove la ideale sua personalità tocchi ad una ideale realità. Una individuale personalità scevra da qualunque difetto ed ostacolo non essendo in sostanza che lo ideale della Virtù medesima, ne consegue che è pure Moralità, essenza d’individualità, e d’altra parte non trovando l’Uomo, qui in terra alcuno né perfettamente puro, nò supre-* mamente virtuoso nò altro di meglio restandogli a praticare che accostarsi sempre più, verso la morale perfezione ossia verso la prima essenza medesima, ne consegue, che qui sul nostro globo a niuno è dato toccare a questo ideale di perfezione di personalità purificata, la quale sarà sempre per noi mortali una meta agognata e mai raggiunta. Che poi questa perfezione e purezza morale venga designata con un nome impersonale come p. e. la Virtù, il Bene, ovvero con un nome personale, trascendentale come p. e. Dio ciò nulla cangia nella quistione e poco monta in conseguenza.
Adunque gl’individui per approdare all’assoluta perfezione, debbono estinguersi e sparire in un lasso indefinito di tempo. Ora siccome la esistenza dei nostri individui sta con questa condizione del loro perenne incedere verso un progresso infinito, ne risulta che essi non toccheranno giammai la loro méta, che cessando di esistere come individui.
Di fatti, se venisse mai a colmarsi per intiero la misura della perfezione in un individuo, egli non avrebbe più il suo poleggio per andare avanti, non avrebbe più ragion d’avanzare, cioè non vivrebbe più e (novello Glauco) resterebbe come affogato nella sua botte di miele.
Noi siamo personalità individuale appunto per questo che continuamente ci accorgiamo della enorme distanza che passa tra la nostra parte di perfezione personale già realizzata, e la perfezione ideale che sta fuori di noi. Epperò senza mai pervenire alla mela del suo pellegrinaggio l’individuo procederà sempre avanti d’eternità in eternità.
La Tanatologia, o la nostra credenza alla immortalità personale, non ha in sostanza per essenziale oggetto che il Me l’Egoismo..
Ora una volta che l’Uomo si pone a considerar le cose tutte da questo punto di vista, è chiaro che per ogni parte dovrà scorgere disinganni, imperfezioni, negazioni. Ecco intorno a lui l’Universo è infranto e caduto, è un informe ammasso di ruine, ed il suo spirito generale animatore del Tutto è scomparso, nè rimangono in piedi, che quà o là degli individui isolati. Allora l’Egoismo inalbera il sacro stendardo del Profeta lo Chandsac-Chòrif della credenza all’altro Mondo.
Scipione novello, l’Uomo piange sopra quella Cartagine che egli ha ridotto in cenere; giacche in questo Mondo universo e collettivo che per lui è diventato cosa come scema e svaporata; egli non trova più nulla di importante davvero; e fin lo stesso Me l’Egoismo stesso si risolve in un nulla.
Quindi è poi che nella sua disperazione si gitta a corpo perduto nel fantasticare di un’altra esistenza soprannaturale, d’un’incomparabile bellezza, dove egli raggiungerà tutto ciò di che trova difetto quaggiù tra noi.
Il Me, l’Egoismo ha devastato la Terra anzi l’Universo, ha schiantato gli alberi uccisi i fiori, sterminato gli animali.
Egli si è creato infine tutto intorno un deserto nel quale non trova più cosa dove posar l’affetto ed il pensiero. Allora in mezzo a questa landa desolata un pallido fiore un Colchicum autunnale, è il solo oggetto che gli rimane a vagheggiar per suo conforto. Questo pallido fiore è la immortalità dell’anima personale.
E così esser deve e non altrimenti.
L’Egoismo non ha voluto o saputo comprendere ed l apprezzare nel suo proprio e giusto significato, il mondo attuale, l’attuale vita, e non ha voluto lavorare in esso e per essa? Ebbene! egli non si avrà che l’ombra di questo mondo, di questa vita, e quest’ombra dovrà parergli il Mondo e la Vita nella intiera pienezza di loro valore. Ecco la sua punizione!!
L’epoca nostra (e nessuno potrà negarlo) procede segnalando il termine d’un lungo e faticoso cammino percorso dall’umanità e quindi si fa veicolo e porta ad un tale avvenire che include in sè il germe prossimo a sviluppare un’altra vita.
Avanti dunque e coraggio miei buoni amici!! . . . e assidui all’opera!
Tra i nostri contemporanei non pochi sono che non intendono e quindi dispregiano le sovrane dottrine che ci fornisce la storia di tutti i secoli. Essi gl’imbecilli sciagurati osano schernire, i nobilissimi travagli, gli studj faticosi della umanità attiva, sobria, e progredente, di questa nostra vera Mater dolorosa; e si avvisano di tacciar di ribbellione, i dritti imprescrittibili, che la ragione umana dopo le lotte ed i martirj di più mila anni ha legalmente e laboriosamente aquistalo.
E tanto vanno oltre costoro nella loro brutale stupidaggine da pretendere di fare rivivere il passato; come se un cadavere potesse rivivere; come se un fiume potesse ritornare sui monti da dove scende al mare, come se venti e più secoli di lagrime e di sangue versato dagli uomini in tante lotte atrocissime dovessero in ultimo spuntare a questo di ribadire a prò di pochi alcuni privilegi che qui meglio al caso nostro si direbbero sagrilegi!!
Or bene, e noi appunto da tutto questo inferiamo che uno spirito novello informerà ormai l’uman consorzio, uno spirito benefico e rigeneratore che saprà liberarci dall’antico caos disgustevole d’errori, di contradizioni, di contrasti, che ci ha finora in tanti modi tribolati ed oppressi.
Ogni qual volta l’umanità spinge decisamente un passo innanzi sull’arcana e progressiva via che percorre; accade la ripetizione di un fenomeno; di questo cioè, che gli uomini tuttavia pressentendo la indeclinabile imminenza di un generale e radicale cangiamento nei tempi, pure come convulsi, e stralunati si attaccano disperatamente ai principj ed alle massime del passato il quale così perdura tentennando buona pezza prima di sparire affatto dal mondo.
Ma agl’occhi di un intelligente osservatore della natura e della storia, nulla d’inesplicabile ha un tal fenomeno, o di straordinario.
Di fatti, agli occhi di un uomo volgare ed incaponito nella miserabile cerchia delle sue simpatie ed antipatie, l’ultimo stadio del passato confinante col presente, sta quasi come un che di diffinitivo ed assoluto, come il complemento, l’apice della storia.
Per accertarsi e misurare il movimento del globo terraqueo fu d’uopo in pria studiare le forze astronomiche, e le leggi che le governano, e quelle dello spazio.
A ben pochi è dato scoprire il limite del tempo presente, ed a traverso alla farragine delle idee ed assiomi correnti slanciarsi ad afferrare la origine prima della eterna vitalità, ed al solo sguardo aquilino d’un genio superiore e concesso rintracciar fra le nebbie; e sentire il palpito sotto al quale germina tacito il latente avvenire. Ecco, o amici miei! eccovi dinanzi l’alba del nuovo giorno umanitario che si leva sul nostro orizzonte.
Osservate, egli da bel principio non si appalesa che a poche isolate individualità, e come un varjo presentimento, una ineffabile emozione un desio invincibile, un disgusto, uno spregio, per gl’idoli del passato i cui sparsi rottami i cui crollanti edilizj ingombrano ancor tuttavia la strada al presente che procede innanzi spinto da un’arcana forza.
Piccola e transitoria goccia qual’è, lo spirito di chi scrive queste pagine forse nasce da quella immensa sorgente d’eterna vitalità, che balza sotto alla scorza dell’attualità nostra.
E ben può darsi che questi pensieri sulla morte e l’immortalità sieno altrettante scintille, che pel tràmite del presente giungono al vasto opifìcio della forza arcana e creatrice.
S’egli è vero (come lo è) che un novello spirito animerà il cuore e la incute umana finora cotanto zeppe di vanità certo che l’uomo non starà più a cullarsi nelle antiche fantasticherie d’un paradiso d’oltre tomba, come fanno i musulmani, ed inebbriarsi nel godimento immaginario d’una personale immortalità, tutta metafisica, ed iperfisica ma invece egli dovrà pensar davvero, e pensar da saggio alla Morte.
Allorché egli avrà seriamente meditato sulla durata della sua vita, e sulla sua individuale mortalità, ben tosto andrà a cercare il principio il movente dell’attività sua altrove anzicchò nella trascendentale credenza alla sua personale Immortalità.
Quando l’uomo si sarà infine persuaso chela sua morte, non è già una cosa di sola apparenza e dimezzata nei suoi effetti; ma una morte (ci si passi l’espressione) veramente mortale, allora sì che egli troverà il coraggio, e la forza per ricominciare sulla Terra un’altra Vita; o meglio la Vita presa in altro modo, e di conseguenza sentirà irresistibile il bisogno di tener conto di ciò che è realmente vero, realmente essenziale, e quindi realmente infinito.
Oh! amici miei! persuadetevi una volta della piena realtà della vostra morte individuale, e cessate di negare la vostra morte personale e con questo v’incamminerete ad essere veramente religiosi e virtuosi, lo che importa essere devoti al bene ed alla salute dei vostri fratelli.
Quando la moderna Teologia parla di abnegazione non riesce in sostanza che ad un gioco di parole.
Ora non è permesso di giocare quando ci va di mezzo lo interesse della umanità, e siffatti giochi risultano quasi sempre pericolosi.
Jl fedele ortodosso ordinario, non addiviene alla negazione di se stesso, che per trovarsi d’assai meglio affermato nel suo Dio, e ciò che egli cerca in fondo aìl’abbisso senza limiti, o soprannaturale di questo si è appunto la perla preziosa del suo Me.
Quardatc quel fanciullo che addenta a riprese e di tutta forza una noce a rischio di rompervi attorno i suoi denti. Voi spettatori di quei conati certo ne ammirereste la energia dove non vi fosse noto lo scopo di essi ma voi lo conoscete bene, e quindi consigliate quel fanciullo a non più arrisicare la sua dentatura.
Or bene, eccovi lì la immagine dei nostri odierni Teologi, dei nostri, Pietisti, Mistici, e Metodisti. Tutti costoro vi ripetono a sazietà, cento frasi sulla loro nullità personale, abnegazione ed. illimitata umiltà e sulla loro morte nel Signore, e fra mille tribolazioni sfiancano la intelligenza loro, tribolazioni, artifiziali del tutto e svariate.
Ma analizzateli ben da presso, scrutateli bene, e vedrete infine, che lo scopo, recondito ed ultimo di tutte queste loro operazioni dolorose e pericolose, non è che il dolce nocciolo del loro proprio me del caro me, del me fatto immortale ad ogni costo.
Allorché vi parlano dei loro peccati, delle loro convinzioni ec. non si occupano che della propria loro personale essenza esclusivamente.
Un giovine di brutto viso che sta delle ore intiere innanzi allo specchio per rilevare con dispetto la sua di formi tà, non e (a creder nostro) meno vanitoso di quel bel giovine che fa lo stesso per compiacersi della sua bellezza ed è già un chiaro segno di somma vanità, il parlar sempre della propria vanità (6).
Meglio che del loro Dio; quei mistici odierni ora citati trattano nella loro Religione della loro propria individuale immortalità, della ideata loro personale felicità, sicché per loro il Dio è una specie di Circolo il cui centro è il proprio Me... e sempre il Me.