La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. I/XVII

Documento XVII

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Documento XVII, volume I, cap. X.


Carteggio dell’incaricato di affari interinale di Sardegna a Napoli
conte Giulio Figarolo di Gropello
dal 9 dicembre 1856 al 7 gennaio 18957
sull’attentato di Agesilao Milano.


Bisogna ricordare che ministro degli esteri di Sardegna era Cavour, ma il suo nome non figura mai nell’interessante corrispondenza: figura invece quello del conte di Salmour, segretario generale.

Il giorno dopo l’attentato, 9 dicembre 1856, il conte di Gropello mandò al suo governo questo primo rapporto. Alcuni particolari non sono esatti, ma la relazione è nel complesso precisa, accurata ed eloquentissima, come son tutti i racconti posteriori.

Napoli, 9 dicembre 1856.


Ricorrendo ieri la festa della Immacolata Concezione, S. M., siccome è suo costume, aveva ordinato che vi fosse al campo di Capodichino una grande parata militare. Assisteva alla medesima S. M. unitamente alla Regina ed a tutta la famiglia Reale. Già erasi celebrata la Messa ed il Re, circondato dal suo Stato maggiore, postosi in un canto della piazza d’armi vedeva il defilé delle truppe. Già gran parte di esse era passato in fila innanzi al Re, quando dalla settima compagnia del 8° battaglione cacciatori che veniva diritto verso S. M. per indi convergere a diritta, uscì più ratto del fulmine un soldato, e furiosamente slanciandosi sul Re, in due salti gli fu sopra e gli diede un colpo di baionetta al fianco diritto, che riuscì appena a toccarlo. Il soldato si apprestava a rinnovare l’assalto quando il tenente colonnello La Tour, che veniva ad annunziare a S. M. che aveva fatto eseguire certi ordini da lui ricevuti, visto l’atto minaccioso del soldato, gli si avventò sopra con il cavallo ed atterratolo al suolo impedì che sorgendo di bel nuovo, compiesse l’esecrando attentato. In un batter d’occhio gli furon sopra molti fra soldati e gendarmi che lo afferrarono e legatolo lo condussero prigione.

Il Re con grande intrepidezza e fermezza d’animo non diede segno di commozione, assistette alla parata come se nulla fosse occorso, ed a cavallo, percorrendo la popolosa Toledo, si ridusse al Reale Palazzo.

Testimonio oculare del fatto, io subito mi occupai di quanto era a farsi nella attuale circostanza nella mia qualità di rappresentante interino del Governo di S. M., e saputo che il Ministro di Spagna, [p. 56 modifica]indossato l’uniforme, era corso alla Reggia onde presentarsi a S. M., ho creduto dover mio far la medesima cosa. Ai piedi dello scalone del Palazzo trovai il Ministro di Russia che, in uniforme al par di me, recavasi a complimentare S. M.

Come era naturale, S. M. si compiacque ricevermi dopo il sig. Kokoskine, ed io interprete dei sentimenti del Re N. A. S. e del Governo di S. M. ebbi l’onore di rassegnare a S. M. Ferdinando secondo l’espressione della profonda indignazione che nell’animo di tutti avrebbe potentemente destato l’annunzio di sì orribile attentato, felicitandolo in pari tempo di esser così provvidenzialmente scampato da tanto pericolo.

S. M., mi accolse con molta benevolenza e mi disse che era più che persuaso della sincerità dei sentimenti che il Re di Sardegna ed il Governo Piemontese nutrivano per la sua persona, e che era assai sensibile alla premura colla quale io era corso a complimentarlo.

S. M. mi assicurò di sua propria bocca che era stato così leggermente ferito che era cosa da non farne più parola, ed io dal contegno tranquillo ed indifferente di S. M. confermo, quanto più sopra dissi, sulla imperturbabilità del suo animo. Il Re da tal fatto ritrae un evidente segno della protezione della Vergine per la sua persona, e per la sua famiglia: tale convinzione in lui già forte s’invigori maggiormente e forse nelle future deliberazioni che dovrà prendere la medesima potrà aver gran parte.

Ebbi ieri parimenti l’onore di ossequiare S. M. la Regina, alla quale espressi i medesimi sentimenti che aveva esposto a S. M.

Le LL. MM, il Re e la Regina mi diedero l’incarico di assicurare S. M. il Re del vivo interesse che prendono ad ogni qualunque cosa che particolarmente Lo concerna, e della soddisfazione che provano nel ricevere favorevole notizia di sua preziosa salute.

A compimento dei ragguagli, che hanno relazione al fatto in sè stesso, debbo confessare a Vostra Eccellenza che grandissimo fu il mio stupore nel vedere la generale indifferenza sia della truppa che della popolazione in presenza dell’attentato, fatto sulla persona del Sovrano. Non un grido, non una voce si intese; l’ordine non venne menomamente sconvolto, ma eziandio non furono in nessun modo esternati quei sentimenti di devozione e di entusiasmo per un Re, che sfugge per miracolo a certa morte.

Quanto diversa è stata, a quanto mi fu assicurato, l’attitudine del popolo Napoletano quando nel 1833, se non erro, Rossarol e Lancillotti attentarono alla vita del Re!

La popolazione allora gli diede colle sue entusiastiche acclamazioni non dubbie prove della sua devozione, ora invece il silenzio della tomba lo accoglie ovunque passa. Questa così diversa [p. 57 modifica]situazione mostra a chiare note che l’animo del popolo è interamente cambiato, e per colpa di chi non oso indicarlo.

Il Re nella stessa sera uscì di bel nuovo in vettura per la città e certamente a quella ora Napoli tutta sapeva l’orribile caso, ma come prima allora pur anco la popolazione fu muta.

Generale fu lo stupore che destò questo stato degli animi del popolo napoletano: tutti riconobbero nel silenzio assoluto della popolazione un terribile indizio di poco e nessuno attaccamento alla persona di S. M. e come Vostra Eccellenza potrà di leggeri darsene ragione chi ne trasse sgomento e chi motivo di speranza.

Vengo ora ai ragguagli che mi venne fatto di procurarmi sulla persona dello sciagurato soldato.

Chiamasi costui Melana, Calabrese di provincia, nativo o di S. Demetrio o di S. Benedetto Ullano, villaggi che appartengono a quelle colonie greche che sono sparse nelle Calabrie.

Mi venne raccontato che egli nel’48 fece parte della banda Sicula, che il sig. Ribotti sbarcò su quelle coste e che uno dei parenti suoi fu vittima della tremenda reazione, che venne iniziata dal Colonnello Nunziante in quell’epoca.

Da quel punto venne meditando il regicidio, ma non so per qual motivo entrò poco dopo l’anno 50 in un Seminario.

Infastiditosi dello stato sacerdotale uscì di Seminario e prese in qualità di cambio di recluta servizio militare, e da sette mesi trovavasi iscritto al 8° battaglione dei Cacciatori.

Benchè nel giorno di ieri non gli toccasse di andare alla parata, pure chiestane facoltà al suo capitano l’ottenne, e sulla piazza d’armi tentò di porre in opera l’infame disegno.

Scrisse egli stesso con uno stoicismo grandissimo la sua deposizione: disse che aveva cercato di trovar complici fra i suoi compagni, ma non aver rinvenuto nessuno; aver egli compito il suo mandato; dolergli di aver fallito il colpo.

Fin ora non mi è dato di saper più oltre su tale argomento, se il fatto sia isolato o se abbia ramificazioni. È voce generale esser egli un settario Mazziniano; e se le sue deposizioni sono esatte, non se ne può gran fatto dubitare.

Mi limiterò per ora a far rimarcare a Vostra Eccellenza che questo fatto prova quanto ebbi più volte l’onore di esporle, che la truppa è corrotta ed è malcontenta. Costituzionali, Murattiani e Mazziniani e massime questi due ultimi partiti cercano di subornarla e da molto tempo trovano l’adito più facile e le adesioni più frequenti. Il sistema di corruzione e di spionaggio stabilito nei reggimenti ha rotto la disciplina e le continue misure di rigore e di pressione non possono a meno di produrre i loro tristi effetti.

[p. 58 modifica]Quindi ben a ragione le potenze alleate rendevano avvertito il Re di Napoli dei pericoli e dei danni che lo minacciavano, — I fatti di Sicilia e l’attentato di Melana sono chiaro argomento dell’opportunità e senno delle rappresentanze di Francia e di Inghilterra.

Dimani o quanto prima potrò, mi farò un dovere di rassegnare a V. E. quei maggiori ragguagli che mi verrà fatto conoscere su questo sgraziato accidente, Con tutta premura oggi, stringendomi il tempo per l’anticipata partenza del Capri, mi affretto d’inviarle il presente rapporto qualunque egli sia.


Napoli, 10 dicembre 1856.


Il Giornale offiziale del Regno, sotto la data di ieri, contiene tre articoli, che hanno tratto alla solennità militare del giorno 8, all’attentato del soldato Milano ed ai fatti di Sicilia. Mi affretto di inviarli a Vostra Eccellenza onde Ella veda in qual modo il Governo interpreti gli avvenimenti che occuparono l’attenzione pubblica in questi ultimi giorni.

All’infuori del nome del soldato predetto, e della circostanza da me narrata dell’esser egli entrato in Seminario, ebbi ieri campo di convincermi che l’esposizione da me fatta era esatta, Il foglio Officiale fa appena menzione del modo con cui venne commesso il fatto, e di quello con cui il Tenente Colonnello La Tour salvò la la vita a S. M. L’omessione di questo ultimo importantissimo ragguaglio fece una assai cattiva impressione su tutto il pubblico e c0nosciuto il carattere sospettosc e diffidente di S. M., se ne dedusse che si era espressamente celato il fatto del Sig. La Tour, onde in nessun modo potesse egli credere aver acquistato merito alla benevolenza Reale. In tal guisa il Gen. Filangieri, dopo aver riacquì stato la Sicilia, cadde in disgrazia, e venne così contrariato nella sua amministrazione che fu costretto a dimettersi.

Il Re tenne questo sistema verso tutti coloro che gli resero importanti servizii e che pare questa volta pur anco non l’abbia negletto.

Lascio a Vostra eccellenza il far giudizio sulla narrazione del fatto. — Essa ad altro non mira che ad escludere ogni idea di partecipazione a suoi disegni per parte dei suoi compagni sino al punto di non volerlo quasi considerare come soldato. Questa eccessiva prudenza, se così si può chiamare, dimostra a parer mio che il Governo si accorge pur anco che il veleno si è parimenti insinuato nell’armata, che essa è malcontenta e che non si può più interamente far conto sulla medesima.

Non si sa ancora se il Milano sarà giudicato dalla Corte Marziale, o se da una G. Corte Criminale Speciale, continuando il processo che già venne incominciato anni sono contro di lui.

[p. 59 modifica]Venni assicurato che il sindaco e due individui del Comune dì S. Benedetto Ullano siano stati posti sotto arresto per ordine del Governo.

Ieri sera la polizia si adoprò a tutta possa onde venissero illuminate le strade della Città ed in parte vi riuscì.

L’illuminazione dovrà continuare tre giorni, e tutti si lamentano per questa pressione che esercita la polizia e per le spese che ne sono la conseguenza.

Da ogni parte mi pervengono ragguagli che provano sempre più il malcontento delle truppo ed il fermento delle popolazioni.

Due soli fatti citerò a Vostra Eccellenza in prova della mia asserzione.

Pochi giorni prima che la Corte, lasciata Gaeta si recasse in Napoli, il Comandante del battaglione tiragliatori della Guardia ordinò, previo consenso di S. M., che venissero date le bastonate ad un soldato reo di non so qual colpa. Mentre costui si apparecchiava nella sua camera a subire l’inflittogli castigo, si accostò al balcone e si precipitò dal medesimo restando morto sul colpo. Per questo fatto grande fu il fermento e il mal umore nelle truppe acquartierate in Gaeta.

L’altro fatto successe nella provincia di Salerno, dove di bel nuovo i gendarmi che conducevano prigioni per motivi politici da dieci a dodici persone, furono attaccati dai contadini del Comune di Rotino a colpi di fucile. Ne rimase ferito un gendarme giungendo però a Salerno la scorta coi prigionieri.

L’intendente Ajossa si recò egli stesso nel Vallo, dove più fremente è la popolazione, e di colà scrisse al Comm. Bianchini, dicendo che tutta la provincia era in uno stato tale di agitazione, che stimava necessario porla in istato di assedio: chiedendogliene perciò la facoltà.

Il Comm. Bianchini rispose che si prendessero tutte le misure necessarie a mantener l’ordine pubblico, ma che per ora non sì dovevano allarmare le popolazioni colla misura dello stato d’assedio.

Benchè io non creda ad un prossimo ssoppio di generale rivoluzione massime in Napoli, pure non vi è dubbio gli animi esser generalmente così irritati ed ardenti che parziali moti sediziosi possono da un momento all’altro verificarsi.

Napoli, 19 dicembre 1856.


L’attentato sulla persona di S. M. ed i fatti di Sicilia non possono a meno di aver tristi conseguenze per la questione Napoletana; le medesime saranno all’intutto contrarie all’assennato scopo, [p. 60 modifica]che le Potenze alleate si erano prefisso in seguito del Congresso di Parigi.

Il Governo di S. M. Siciliana usufruttuerà questi due luttuosi eventi, servendosi dei medesimi come di potente argomento da opporre alle esigenze di Francia e di Inghilterra.

Nè già quel che io ho l’onore di dire ora a Vostra Eccellenza è basato su semplici mie supposizioni. — Il Comm. Carafa lo espose chiaramente a varii Ministri Esteri e dai medesimi io lo seppi.

Il Governo Napoletano rappresenterà alle Corti di Europa, che egli aveva ben ragione di pretendere conoscere meglio di ogni altro le condizioni politiche in cui versa il paese e sapere che un sistema di più larga liberale amministrazione non avrebbe prodotto che tristi effetti.

La Corte di Napoli dirà ai Governi Esteri che in Sicilia fu tentata una rivoluzione da un condonato politico, e che in Napoli dalle file del suo stesso esercito è uscito un soldato ad attentare ai giorni di S. M. e che l’assassino era pur anco già stato compreso in una amnistia concessa poco dopo il 50.

Questo Governo conta molto sulla impressione che l’attentato di Milano produrrà sull’animo dell’Imperatore Napoleone, e già varie persone attinenti al Governo vanno dicendo che fra poco si vedran di bel nuovo in Napoli i Ministri di Francia e di Inghilterra, le quali Potenze saranno inoltre spinte a ciò dai pressanti consigli delle altre Corti Europee.

Io non so se le precitate ragioni del Governo Napoletano saran tenute per buone da Francia ed Inghilterra e se come qui si vuol far credere esse coglieranno con premura questa occasione onde mostrarsi soddisfatte del modo di agire del Re di Napoli ed accettata la soluzione della vertenza quale gli ultimi eventi l’hanno preparata, rannodare le relazioni diplomatiche con questa Corte.

Vostra eccellenza meglio di me è in grado di esser informato delle disposizioni delle due Potenze del modo con cui hanno accolto l’annunzio dei due tristi eventi precitati, e del risultato che sarà per tener loro dietro.

Permettendomi io però di esaminare le ragioni della Corte di Napoli e le basi su cui poggiano, mi parrebbe che i moti di Sicilia e l’attentato sulla persona del Re invece di infermare i consigli amichevoli dei due Governi Alleati, valgono invece a chiarirne il senno e l’opportunità e dar loro quel maggior peso che le previdenze ritraggono sempre dai fatti.

Ed in realtà le Potenze Occidentali avevano saggiamente avvisato il Re di Napoli che il sistema di governo da lui adottato doveva aver per necessaria conseguenza di scalzare dalle basi il [p. 61 modifica]principio monarchico e di fomentare le rivoluzioni, ed in poco spazio di tempo più breve di quanto credevano, due tristi ma importanti fatti dimostrarono che, posti in non cale gli assennati consigli, gravissimi pericoli ed imminenti più di quanto prevedevasi, sovrastavano negli stati di 98. M. Siciliana alla causa dell’ordine e del Principato.

Nè quelle poche grazie concesse dal Re, che per nulla rivestono il carattere di una ben intesa amnistia, possono servir di armi per opporsi ai consigli dati a questo Sovrano.

Imperocchè gli atti parziali di grazia e nemmeno una intiera amnistia sono da tanto da far svanire i pericoli previsti dalle. due Potenze.

Se il Re non abbandona il sistema politico di governo tenuto fin ora; se non lascia la via nella quale erra traviato da nove anni, egli è fuor di dubbio che le grazie e l’amnistia, indebolendo le forze dello stato, saranno sorgente di sommosse e di rivoluzioni. Senza giustizia non essendovi pace, come ben disse il conte Clarendon, gli animi non soddisfatti nei loro giusti desiderii saranno sempre in effervescenza, la quale si tradurrà da un istante all’altro in sedizione aperta, e poca scintilla potrà di leggieri suscitare un grandissimo incendio.

Queste sono le considerazioni, che si presentano al mio pensiero che io oso sottomettere all’illuminato intendimento di Vostra Eccellenza.

Il Re di Napoli frattanto è deciso più che mai, come mi vien assicurato da buona fonte, a non accordar più grazia di sorta ed a rincarire sul sistema di pressione adottato.

I realisti, e con tal nome V. E. ben conosce quali sian le persone a cui faccio allusione, vanno dicendo che se Mazza fosse stato al potere, nè l’attentato di Milano nè l’insurrezione di Sicilia avrebbero avuto luogo, mentre pare a me che l’amministrazione di Mazza fu precisamente quella che ha più potentemente contribuito a gettar le popolazioni in braccio della disperazione. Mentre il Re di Napoli crede di aver ottenuto compiuto trionfo in seguito di questi due tristi eventi, io credo che il trionfo sia delle Potenze Occidentali, che videro avverarsi così presto i loro lugubri presagi.

Non posso a meno che sottoporre agli occhi di Vostra Eccellenza due numeri del Giornale Officiale; in ambedue Ella vedrà in qual modo l’organo del Governo renda conto delle dimostrazioni di devozione e di entusiasmo che la popolazione Napoletana dà a S. M. Ferdinando II in occasione dell’attentato di cui poco mancò non restasse vittima; nel foglio però sotto la data del 10 corrente debbo segnalare a Vostra Eccellenza il regolamento ivi pubblicato per la sorveglianza ad esercitarsi sugli studenti della Capitale.

[p. 62 modifica]Ogni commento sul medesimo sarebbe cosa all’intutto inutile: basta il leggerlo per convincersi sempre più delle miserande condizioni di questo paese e delle misure che il Governo prende onde sempre più volgerle al peggio: la polizia forma il solo ed unico parere dello Stato: se qualche ramo della pubblica amministrazione era sfuggito al dominio della medesima, con apposite leggi il Governo lo sottopone onde il suo principio vitale si senta egualmente in ogni dove.


Napoli, 12 dicembre 1854.


S. M. il Re che doveva recarsi a Caserta subito dopo il giorno otto di questo mese, si trattiene in Napoli per ricevere le congratulazioni di tutte le autorità, di tutti i corpi constituiti, e di tutte quelle persone che vogliono a Lui presentarsi. La Reggia è aperta da mane a sera ad ogni ceto di persone e grandissima è la folla che entro vi accorre.

Indipendentemente di quei Rappresentanti Esteri, che quasi tatti furono, i quali si recarono primi da S. M. poche ore dopo l’attentato, ieri tutto il corpo diplomatico venne ricevuto da S. M. e di bel nuovo io colsi questa occasione per complimentarla in nome di S. M. il Re N. A. S. e del Governo Sardo, felicitandola di aver scampato a tanto pericolo.

Oggi poi i Ministri di Spagna e di Prussia si presentarono nuovamente a Corte, stantechè dai loro Governi per dispaccio telegrafico avevano ricevuto l’incarico di dimandare udienza particolare da S. M. onde esprimerle a nome delle loro Corti i sentimenti che loro aveva ispirato l’attentato avvenuto sulla sua persona.

Simile incarico ricevettero oggi pur anco i Ministri di Russìa e del Belgio e dimani lo compiranno.

Il Governo Francese scrisse al Console Sig. Soulanges che benchè fossero rotte le relazioni fra le due Corti, dovesse egli recarsi dal Sig. Commendatore Carafa onde pregarlo di complimentare S. M. da parte dell’Imperatore dei Francesi.

Nella Capitale già incominciarono i tridui e gli indirizzi. L’armata di terra e di mare prima ne diede l’esempio ed ora tutte le corporazioni vi terran dietro.

Da quattro notti perdura l’iliuminazione nelle strade della Capitale; ma se le altre testimonianze di devozione e di affetto al trono, officialmente rese, possono considerarsi come spontanee e sincere, lo stesso ron può dirsi di questa, imposta come è dalla polizia; ed a prova di ciò dallo stesso Cancelliere del Consolato Francese mi venne raccontato che un agente di polizia si recò da lui per intimargli di illuminare i balconi del suo alloggio: riconosciutolo [p. 63 modifica]per forestiero, gliene fece allora preghiera alla quale egli ben volentieri si arrese.

Restai grandemente sorpreso nel vedere che in questa circostanza tutta l’iniziativa per le dimostrazioni di affetto a darsi a S. M. procedesse dalla polizia.

La voce del Sindaco di Napoli, unico e vero rappresentante della popolazione, non si fece sentire: la polizia sola si agitò e con quei mezzi che le sono qui proprii eccitò l’entusiasmo dei cittadini Napoletani che, credo, non ne avevano mestieri, ma qualcuno potrebbe forse dubitare della spontaneità del medesimo nell’osservare chi ne sono i promotori.

Il silenzio tenuto in questa occorrenza dal Sindaco della Capitale, è fatto tale che ha grandissima significazione: il medesimo chiarisce sempre più esser la polizia il potere che sola informa tutta l’Amministrazione dello Stato ed a parer mio tutti i mali che gravitano su questo paese, scaturiscono da questa condizione di cose.


Napoli, 18 dicembre 1856.


Io credo dover mio darle esatti ragguagli sul Consiglio di guerra tenuto ieri mattina per giudicare il soldato Agesilao Milano, colpevole dell’attentato contro la persona del Re, avvenuto al Campo di Marte l’8 del corrente mese. Dal medesimo Consiglio e dalla proedura, che in questa occasione ebbe luogo, molte circostanze relative al reo ed all’orribile misfatto vennero rese di pubblica ragiono o meritano di esser accennate.

Il Consiglio di guerra subitaneo del terzo battaglione di Cacciatori incominciò ieri l’altro a sera ad esaminare il soldato della 7a Compagnia Agesilao Milano e ieri verso le ore quattro pronunziò la fatale sentenza.

L’avvocato Giocondo Barbatelli difensore d’Officio ha presentato la difesa del reo.

Mi venne riferito che essendosi invitati tre dei primi avvocati penali della Capitale Signori Marini Serra, Castriota e Tarantini, nessuno ha voluto sotto varii pretesti accettare l’incarico: sicchè un usciere della G. Corte criminale avrebbe avuto l’ordine di impadronirsi del primo che capitassegli sotto le mani.

Il reo Milano ha fatto prova durante la seduta del Consiglio della stessa imperturbabilità che ha sempre mostrato dal primo momento dell’attentato. Egli non ha nè modificato, nè alterato la sua deposizione scritta di proprio pugno un’ora e mezzo dopo il delitto. I principali capi di essa sono che nessuno fosse suo complice, non avendo egli fatto parte a nessuno del suo disegno; che nel 1848 egli si era posto nelle bande rivoluzionarie Calabresi, comandate dal [p. 64 modifica]Colonnello Ribotti, e che si era due volte battuto a Spezzano Albanese contro le Regie Truppe; che sin da otto anni cioè dal momento in cui il Re aveva definitivamente spergiurato distruggendo a colpi di mitraglia la Costituzione da Lui solennemente giurata, aveva concepito il progetto di uccidere il Re; che a questo fine uscito alla coscrizione, non aveva voluto riscattursi col cambio, siccome la sua agiata famiglia voleva fare — che venne in Napoli vestito da contadino — e fingendosi quasi idiota per evitare la possibilità di essere ammesso nella Gendarmeria Reale, e quindi allontanato dalla Capitale, dove sperava poter consumare l’infando delitto; che ammesso in fine nel 3° battaglione Cacciatori, aveva sempre cercato l’occasione propizia, e che presentatasi quella del giorno otto, si era già fin dal giorno innanzi munito di una capsula, che stava già nel fucile e di una stagnarola (cartuccia di latta usata nell’armata Napoletana per caricare subito in casi estremi il fucile non essendovi mestieri di adoperare la bacchetta) — che non aveva potuto stante l’ispezione fatta all’uscir del quartiere caricarlo con detta stagnarola, e che però l’aveva nascosta nella sua giberna per servirsene sul campo — che difatti aveva cercato di farlo, ma ne era stato impedito e che quindi aveva dovuto rinunciarvi e ricorrere al sabre baionette posta sul suo fucile; che si riconosceva autore dell’attentato e ripeteva non aver contro S. M. nessuna ragione di odio o di vendetta particolare, ma averlo fatto per essere ai suoi occhi il Re un tiranno da cui doveva liberarsi la nazione.

Tutte queste accuse di premeditazione vengono solamente dalla stessa sua deposizione da lui scritta e sottoscritta, non essendovi nessun’altra prova sia di documenti che di testimoni.

Nell’atto di accusa si sono solennemente rettificati due errori in cui era incorso il Giornale Officiale del 9 dicembre. Il Milano non era già stato espulso dal Collegio Italo-Greco per cattiva condotta. Questo Collegio, situato a San Benedetto, era stato sciolto ai principi del 48 perchè in presenza delle politiche complicazioni i parenti avevano ritirato i loro figli. Lo male arti e gli inganni, con cui si pretendeva che il Milano sì fosse introdotto nell’esercito non esistono.

Il Milano fu regolarmente ascritto perchè uscito dalla coscrizione.

Tutti i superiori è compagni del battaglione han testimoniato solennemente in pubblico, che il Milano aveva serbata la più esemplare condotta durante gli otto mesi di servizio, e che era citato come modello.

Alcune lettere trovate addosso a lui o nella sua cassa potevano in qualche modo e lontanamente compromettere altri. Egli sì è affaticato di allontanare da loro qualunque accusa di complicità. E [p. 65 modifica]siccome la sua famiglia appariva conscia del suo progetto di servire e di non entrare nella Gendarmeria, ha egli loro esposto che prendeva servizio militare per porsi al coperto delle vessazioni della Polizia, e di non voler esser gendarme, perchè il gendarme è obbligato di giurere di arrestare richiesto anche il suo proprio padre e la sua propria madre, sicchè egli si sarebbe esposto a divenir spergiuro. Molte poesie si sono ritrovate presso il reo. Egli era assai colto e si divertiva unicamente di letteratura. Tutte queste poesie vennero lette in pubblico, meno alcune che il relatore chiamò oscene, e che egli si affrettò a far dichiarare amorose, perchè versi d’innocente amore ad una donna, di cui sembra che avesse avuto un ritratto. Una poesia, Esortazione di un Capo di corpo ai suoi soldati parlava di onore e di amor d’Italia.

In una lettera di donna si rinvenne una ciocca di capelli; la lettera era firmata.

Il Milano ha dichiarato che i capelli non appartenevano alla lettera; esservi stati posti per inavvertenza.

L’avv. Barbatelli ha cercato farlo dichiarare monomaniaco; la sua difesa è stata abilmente presentata. Dopo di essa, il presidente ha richiesto al reo se avesse ad aggiungere altro. No (ha egli risposto) Il mio difensore ha fatto quanto poteva. Il sepolcro mi aspetta ed io vi scenderò fra poche ore, E continuando: Lo sapeva. Io non sarò più che un reietto per voi pure j; ma vi prego di far giungere ai piedi del Sovrano l’umile preghiera di visitare le sue Provincie, per vedere a che son ridotti i suoi sudditi.

Il Consiglio di guerra ha condannato il Milano alla morte col quarto grado di pubblico esempio, cioè al laccio sul patibolo. Il condannato deve esservi condotto a piedi nudi, vestito di nero, con un velo nero sul volto, su di una tavola con piccole ruote ed un cartello sul petto, ove a lettere cubitali sta scritto: L’uomo Empio.

Mi venne detto che durante otto ore il reo Milano sia stato torturato; ma io non lo so di fonte certa.

Mi dilungai forse troppo su questi ragguagli, ma stimai conveniente il farlo, onde Vostra Eccellenza fosse esattamente informato di ogni minima particolarità attinente a questo terribile attentato. I giornali per fermo non mancheranno di fornir sul medesimo erronee e mendaci informazioni.

Il Consiglio di guerra fece dignitosamente il suo dovere; io mi astenni dall’intervenire all’adunanza, ma da persona degna di fiducia che di tal favore richiesi, fui d’ogni cosa ragguagliato.

Non vi è dubbio che ogni anima onesta sente il più profondo ribrezzo per l’atto iniquo del soldato Milano, ma con grande mia sorpresa cerco invano lo scoppio di quell’entusiasmo spontaneo e [p. 66 modifica]sincero, che io credeva poter attendermi dalla popolazione Napoletana. Le dimostrazioni officiali e richieste dal dovere non mancarono certamente; ma quelle del cuore, vorrei andare errato, fecero assolutamente difetto.

Questo stato di cose mi indusse maggiormente a credere che in Napoli e nel Regno se non vi è la rivoluzione materiale degli atti, ferve grandemente la rivoluzione morale degli animi.

Oggi si fece nel Consiglio stesso di guerra l’arresto di un gendarme, e si ordinò quello di un altro soldato, perchè coi medesimi aveva avuto corrispondenza con lettere il soldato Milano.

Questo fatto fa temere che vi siano forse altri complici: è opinione generale però che il fatto è isolato, e che nessuno dei suoi compagni ebbe conoscenza del disegno del Milano.

Per la popolazione di Napoli è gran ventura che l’autore del tentato delitto sia un militare, imperocchè se altrimenti fosse stato, la polizia avrebbe operato un numero sterminato di arresti e nessuno avrebbe potuto più viver tranquillo.

Questa osservazione corre per le bocche di tutti ed a parer mio ha grande significato.

L’animo resta compreso di orrore e di raccapriccio pensando al caso di una orrenda disgrazia. Le truppe senza ordine e disciplina si sarebbero forse battute fra di loro; i lazzaroni sfrenati sarebbero corsi alle stragi ed al saccheggio, e nessuno si sarebbe trovato in quel momento atto a prendere il governo della città e dello Stato. Mancando il Re, nel quale solo si concentrano tutti i poteri, e dal quale solo partono gli ordini che reggono l’edifizio sociale di questo paese, un cataclisma universale sarebbe stato la immediata conseguenza di quel terribile avvenimento dal quale Iddio volle salvo S. M. e la nazione.

In questo momento mi vien recato l’annunzio che l’infelice Milano fu giustiziato alle ore undici. Si sperava che S. M. avesse fatto la grazia, ma trattandosi di un soldato, il Re non avrà creduto di poter far uso della più bella prerogativa di un Sovrano, cioè della clemenza.

Possa il modo miracoloso con cui venne salvato S. M. inspirargli saggi consigli, e fargli conoscere che i più acerrimi nemici sono quelli che gli si professano più devoti.

Or che la giustizia degli uomini ha avuto il suo corso, io faccio voti che la punizione di questo orrendo misfatto non ricada più su di altre vittime, ma disgraziatamente temo che l’armata sarà la prima a risentire gli effetti di una più terribile recrudescenza nelle misure di pressione e di rigore. Ho già dei dati per credere fondato il mio timore, ma per ora amo meglio sperare nella bontà dell’animo di S. M. Siciliana.

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Napoli, 16 novembre 1856.


L’impressione prodotta sull’animo della popolazione Napoletana dall’esecuzione del soldato Milano è stata e perdura ad esser grandissima, ed è di ben diverso carattere di quella che erasi risentita appena si ebbe l’annunzio dell’attentato sulla persona del Re.

Come già dissi, il popolo di Napoli fu compreso in quel momento da orrore e da sgomento, e la coscienza pubblica inorridiva al pensiero del tentato regicidio.

Ora però ascrivendomi innanzi tutto a dovere di ragguagliare Vostra Eccellenza nel modo più vero ed esatto dello stato dell’opinione pubblica, sono costretto dalla realtà del fatto a confessare mio malgrado ed all’incontro di quanto avrei mai supposto, che una notevole mutazione avvenne nel pubblico sentimento relativamente al deplorabile evento, ed a quel disgraziato soldato che commise il misfatto.

Non è a dire per fermo che la coscienza pubblica del popolo Napoletano sia giunta a tal punto di degradazione da non più distinguere l’onesto dal turpe: tutti gli animi sinceramente liberali professano qui la più grande avversione a questo attentato e lo condannano pubblicamente ed in questo retto convincimento l’opinione del popolo di Napoli potentemente è concorde: tuttavia però la condotta del Governo Napoletano, il contegno del colpevole; le sue dichiarazioni riguardo agli incentivi che lo strascinarono al delitto; i sentimenti di religione da lui dimostrati; le sevizie che gli furono usate; la irregolarità del processo e della pena; la grazia che si attendeva e tenevasi per certa, ed infine il principio di una più tremenda e crudele persecuzione, tutto contribuì a contenere quel primo sentimento di indegnazione e di ribrezzo che si era destato contro l’infelice Milano, e direi quasi se non temessi di andar troppo oltre, ad eccitare nelle masse una simpatica commiserazione, e forse anche più, per la persona del reo di si esecrando delitto.

Alcuni brevi cenni sulla miseranda fine del Milano getteranno un poco di luce su quel che io mi feci ardito di esprimere.

Alle ore undici del giorno 13 egli fu trasportato in carrozza, con fortissimo apparato di forze militari e di Polizia, alla Vicaria, e subito posto nella Capella del rifugio, dove ricevette con esemplare devozione i conforti della religione, i quali furono da lui stesso richiesti, appena conobbe la fatale sentenza. Alle ore 10 il funebre corteggio si avviò verso il Largo Cavalcatoio fuori Porta Capuana dove era inalzato il patibolo, e dove era un quadrato di truppe composto di tutto il terzo battaglione, e di un distaccamento di tutti i corpi della guarnigione.

[p. 68 modifica]Colà avvenne la funzione della degradazione militare, ed ebbero luogo tutti quei lugubri e feroci atti, che costituiscono, secondo il codice Napoletano, il quarto grado di pubblico esempio e che accompagnano e seviziano gli ultimi momenti del condannato, triste reliquie dell’inumane forme dell’inquisizione spagnuola.

Durante tutto questo tempo, il soldato Milano pregava ad alta voce, baciava il crocefisso e ripeteva le parole Viva Dio, la religione, la libertà e la Patria. Salì quindi animoso il patibolo, e si compiè la giustizia umana, ma in un modo così barbaro e crudele, che il popolo mandò un grido di indegnazione, e quasi minacciava di sollevarsi, al punto che i gendarmi impugnarono le pistole, e gli Svizzeri già si apparecchiavano, caricare il fucile.

Durò un quarto d’ora l’agonia del condannato, e dopo morte il suo corpo venne indecentemente maltrattato dal carnefice.

Il terribile spettacolo commosse tutta la città la quale in un batter d’occhio conobbe il luttuoso avvenimento, ed il coraggio e la compunzione di quell’infelice. Nessuna parola di dispregio; nessun insulto è stato pronunziato contro il condannato nell’atto che passava dalla Vicaria al luogo del supplizio, fu accolto con preghiere e con lacrime. Sinistra impressione ha fatto nel popolo della Capitale il non essersi fatta grazia della vita, che tutti tenevano come certissima. A neutralizzare questa sinistra impressione, le persone di Polizia sono andate insinuando che il Re era disposto a farla, ma che il Ministro d’Austria ne lo avesse dissuaso onde il Re di Napoli non ottenesse fama di più clemente che l’Imperatore. E fuor di dubbio che il colpevole subi la tortura nella notte del lunedì al martedì per otto ore. Si volevano rivelazioni, che non si ebbero. Il reo nel Consiglio soffriva visibilmente della subita tortura, ma non ne parlò che ai suoi Padri assistenti, nel momento in cui glì venivano con gran forza bendati gli occhi. Mi vogliono torturare di nuovo? disse egli. Queste circostanze da me accennate e molte altre che ommetto, hanno commosso la popolazione napoletana: la fervida e focosa imaginazione di questo popolo meridionale fu scossa da questo fatto ed io temo assai che tristi conseguenze non ne sorgano da questo stato degli animi.

In generale i napoletani sono di natura mite, morale e sensitiva ma quanto mai ardente ed entusiastica e non si può disgraziatamente metter in dubbio che la morte del Milano non abbia per fermo prodotta sul pubblico una senzazione ben diversa da quanto dovevasi attendere.

Il Governo si è reso così odioso al paese, che egli è ansioso di uscir da un momento all’altro da una così misera condizione, qualunque sia il mezzo che gli eventi preparino e rimanendo [p. 69 modifica]indifferenti ad un attentato come quello ora commesso sulla persona del suo Sovrano addimostrò che ben conosceva a chi andava addebitata la responsabilità dei mali che lo opprimono.

Nella triste occorrenza, di cui ragiono, tatti fecero il loro dovere – il popolo, il clero e l’armata - il solo Governo non ha saputo afferrare l’occasione, che gli si presentava, di scoltar in suo favore qualche simpatia nel paese, prepararsi potente arma a difesa verso le Potenze Occidentali.

Ora tutti i realisti vanno dicendo che il Re è stato tradito da chi gli dissuaso di accordar la grazia, e se ne stanno di cattivissimo amore, perché si accorgono che quel fatto, che a parer loro doveva riuscir favorevole alla loro causa, produsse invece risultati all’intutto contrari.

L’abborrimento al sistema attuale di governo si accrebbe di molto, ed è a temersi che ne avvengano nuovi tristissimi casi a provarlo.

Il Governo frattanto ricominciò come io presentiva una più dura reazione.

Non contento della punizione del colpevole, mando ora nelle Calabrie il Commissario di polizia, Despagnolis, conosciuto per la sua ferocia con ordine di porre in arresto tutti i membri della sventurata famiglia Milano, tutti i compagni di lui nel Collegio Italo-Greco, e tutte le persone sospetto di liberalismo.

In Napoli si vanno pur anco facendo arresti: tutti coloro che conobbero il soldato Milano vivono nella più grande apprensione: molti già sono in carcere; molti fuggirono nelle provincie e con tutta segretezza seppi che otto di costoro ottennero rifugio sulla corvetta Inglese Malacca, ancorata in questo porto.1

La polizia senza ordine e consiglio addiviene all’imprigionamento di ogni classe di persone, e non si sa dove finirà questa novella recrudescenza.

I Calabresi vengono respinti dalla Capitale; o giunti nella loro provincia, sono sottoposti alle più tristi vessazioni.

Le Calabrie soffriranno di bel nuovo di quel sistema di persecuzioni, che dopo il quarantotto, vi spiegò il Colonnello Nunziante, siccome nelle persecuzioni il più gran male non è già il supplizio, ma bensì il segreto calunniatore, così in quei disgraziati paesi non vi sarà più pace e tranquillità, potendo ogni onesto cittadino venir occultamente accusato e posto in carcere.

Si fecero par anco vari arresti nelle truppe acquartierate nella Capitale, e si incomincia a credere che il fatto del Milano non sia [p. 70 modifica]poi intieramente isolato. Varî indizii, a quanto dicesi, ha già il Governo a tal riguardo ma fin ora ogni cosa è tenuta segretissima.

Due soldati nello stesso giorno dell’attentato si gettarono da alto in basso dopo esser ritornati dal campo: assicurasi che i medesimi erano amici del Milano.

Dalle disposizioni, che prende il Governo, chiaramente apparisce che in alto si ha paura, e la paura sul trono fù sempre madre feconda di persecuzione.

Questo Governo si aggira sempre nel circolo vizioso della reazione ora sfrenata ed ora più calma, ma sempre a pressione e danno delle popolazioni: quindi io temo assai che il tristissimo esempio del Milano non produca amari frutti, tanto più se questo governo continua ad infiammare le passioni ed a dare impulso al male.

A me pare che l’impressione, che per colpa del Governo Napoletano, ritrasse questo paese dal tentato regicidio, sia di così triste natura da far nascere nei consigli delle Potenze Occidentali serie apprensioni e timori ed indurle quindi a cercar mezzi atti a far cessare un sistema, che, sconvolgendo le nozioni del bene e del male, non può a meno che far nascere gravi pericoli alla causa della Monarchia e dell’ordine pubblico non solo in questi Stati, ma anche in altri paesi d’Europa.

Queste sono le tristi considerazioni che mi fece nascere l’attento esame dello stato della pubblica opinione: mio malgrado fui strascinato a parlar di così doloroso soggetto, ma potendo l’attentato sulla persona del re esser cagione di funeste conseguenze per la causa d’Italia e temendo che il medesimo non sia attribuito alle ispirazioni del partito liberale, ho creduto dover mio il dimostrare colla narrazione esatta dei fatti a chi debbasi attribuire la responbilità dell’avvenuto.


Napoli, 19 decembre 1856.


Il sig. Barone Hellner aiutante di campo di S. M. l’Imperatore d’Austria, inviato da Vienna a questa Corte onde rimettesse a S. M. Siciliana una lettera del suo Sovrano ed in pari tempo lo complimentasse di essere scampato al pericolo corso l’8 di questo mese, venne ricevuto ieri l’altro dal Re con tutti gli onori dovuti all’alto suo grado. È questi il primo inviato delle Corti estere che in questa circostanza sia giunto in Napoli. Attendesi da un momento all’altro l’arrivo del sig. Priore Covoni che apporterà a questo Sovrano le felicitazioni del Gran Duca di Toscana. All’infuori di questi due non si sa se altri ne arriveranno. Speravasi dalle persone di Corte che l’Imperatore dei Francesi avrebbe mandato un qualche suo aiutante di campo a felicitare S. M., ma alle speranze parmi già [p. 71 modifica]sia succeduto la certezza che nessun personaggio sarà di Parigi inviato a questa Corte per lo scopo di cui si tratta.

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Continuano i tridui e gli indirizzi e nei medesimi rimarcansi le stesse dimostrazioni di officiale devozione ed affetto, ma però la popolazione è sempre fredda ed indifferente ogni qual volta il Re traversa le vie anche più popolose della città.

La condotta del Governo, sia negli anni andati, che nella deplorabile circostanza dell’attentato sulla persona di S. M., fu tale, che quell’evento che poteva esser quanto mai favorevole alla sua causa, gli riuscì di danno. L’arma, che la sorte gli presentava dalla parte dell’elsa, egli l’afferrò dalla punta, ed è a temersi che non gli verrà fatto di accorgersene così presto da prevenire i mali che lo minacciano.


Napoli, 23 decembre 1856.


.... Allontanate tutte le persone oneste dal prender parte al maneggio della cosa pubblica, tenute in conto di sospette, sorvegliate e sottoposte ad una cieca e continua pressione, il Governo è ridotto nelle mani di una setta che invade tutti gli ordini dell’amministrazione e che trionfante nella forza e per il silenzio delle popolazioni va facendo strazio di questo misero paese.

In presenza di sì dolorosa situazione, i tranquilli ed assennati cittadini si limitano a disapprovare, gemendo, la falsa via nella quale si è gettato il Governo, sperando che futuri avvenimenti siano per apportare migliori destini; ma di tale attitudine aspettante non si contentano gli spiriti turbolenti e pervertiti. Costoro non badano ai mezzi per soddisfare ai loro desiderii di vendetta, e riuniti in setta al par di quella che costituisce il Governo, ordiscono trame e congiure onde abbattere la loro rivale, e non tenendo forza spiegata ed aperta, nel mistero e nel silenzio tentano le opera più insensate e nefande.

Il Governo, che ben è conscio della situazione a cui ha ridotto per opera sua il paese, ne ha timore e sgomento, e quindi accresce rigore e pressione, che invece di acquietare raddoppiano l’effervescenza degli animi.

Il pensiero che più atterrisce la mente di chi esamina le condizioni politiche di questi Stati, si è che dalla lotta di queste due sette, qualunque sia quella che abbia il sopravvento, nulla può riuscire di bene, imperocchè o perdurerà il sistema di persecuzione, di diffidenza e di terrorismo, ovvero nascerà un’anarchia completa, uno scatenamento di tutte le passioni, uno sfacelo generale: in ambi i casi la rovina della nazione.

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In seguito dell’attentato sulla persona di S. M. il Governo ha prescritto che diligenti e severi scrutinii si facciano nell’armata onde conoscere gli antecedenti, le relazioni ed il modo di pensare dei componenti la medesima. Otto soldati del 8° battaglione Cacciatori, due d’Artiglieria, uno della Guardia Reale, uno dei Carabinieri ed uno dei Lancieri, quasi tutti delle Calabrie e dei Comuni greci colà situati, furono sciolti dal vincolo militare ed inviati nei loro distretti sotto l’immediata vigilanza della Polizia per imputazione di cattiva condotta e di conoscenza ed amicizia col soldato Milano.

Il gendarme Atanasio Dramis, che si trovò compromesso a motivo di una lettera da lui scritta al Milano, fu espulso dall’armata e rimesso nelle mani della Polizia generale onde gli si istruisca processo.

Per sovrano rescritto, comunicato per via della Polizia, vennero sottoposti a giudizio penale, per l’ammissione, del soldato Milano nell’esercito, l’Intendente della Provincia di Calabria Citra, il Sindaco del Comune di S. Benedetto ed il Cancelliere della Gran Corte comunale. Si assicura che il Cancelliere avrebbe per denaro rilasciato una fede di perquisizione netta, mentre era notata d’imputazioni politiche.

Dietro una lista, che dicesi preparata dallo stesso Mazza, 800 e più provinciali, per la più gran parte Calabresi, vennero rimandati nei loro distretti. Questa misura ha gettato l’allarme in tutti i provinciali che trovansi in Napoli e che sono qui trattenuti per motivo dei loro affari.


Napoli, 27 decembre 1856.


.... tridui uffiziali ed i solenni Te Deum continuano senza interruzione dal giorno dell’attentato in poi e le colonne del Giornale del Regno sono ogni giorno ripiene d’indirizzi che le corporazioni anche le meno importanti e le più oscure di questi Stati rassegnano a S. M. in seguito del tristissimo avvenimento.

V. E. avrà per fermo gettato gli occhi su qualcheduno di questi indirizzi, e l’animo suo sarà stato compreso da dolorosa impressione dallo scorgere quanto disti, il linguaggio dei medesimi, da quei sentimenti di rispettosa e nobile devozione che animava il cuore di suddito fedele verso il suo Sovrano, scampato da gravissimo pericolo. Non mi soffermerò adunque sui medesimi, troppo increscioso ne è l’argomento: mi limiterò solo a rimarcare che le supreme Corti di Giustizia pur anco hanno nei loro indirizzi usate espressioni tali di adulazione e di impudente e raffinata ipocrisia, che le fibre di ogni onest’uomo ne son rimaste commosse. Senza [p. 73 modifica]dubbio la toga pervertita è la più industre adulatrice dell’assolutismo ed in questi Stati essa si è in cosiffatta guisa confusa colla Polizia, che è assai difficile il discernere dove abbian principio e termine le attribuzioni dell’una e dell’altra.


Napoli, 29 decembre 1856.


Lo stato attuale delle cose in questo paese non rappresenta novità alcune degne d’esser rammentate a V. E. Il Governo continua a batter sempre la stessa strada, nè vi è indizio che accenni a mutazione di sorta.

Si è costituita una commissione di scrutinio pei soldati e bassi uffiziali dell’esercito. La medesima è composta del Prefetto di Polizia, del Commissario de Spagnolis, già ritornato di Calabria, del capitano Umbelly, (?) del Maggiore Dupuis e dal Segretario generale della Prefettura sig. Silvestri. Il nome solo di queste persone che tutte sono note per il loro ardente sanfedismo, basta ampiamente ad indicare quale sarà il carattere e lo spirito di questo scrutinio. L’armata è dolente per questa misura di sfiducia, con cui il Re la colpisce nel suo onore e ne’ suoi sentimenti di lealtà. Questa circostanza raddoppierà il malcontento che serpeggia nella medesima e parmi di poter credere che il Re, al momento del bisogno, non troverà quell’armata che nel terribile 15 maggio si battè contro il popolo per rovesciare la giurata Costituzione.


Confidenziale riservata.

Napoli, 29 decembre 1856.


Coi miei precedenti rapporti io ebbi l’onore di parteciparle che tutti i Ministri esteri residenti in questa capitale, all’infuori di quei di America, Svezia e Sardegna, eransi recati dietro ordine ricevuto per telegrafo elettrico dai loro Governi presso S. M. Siciliana, onde esprimergli, in nome delle loro Corti, i sentimenti di indignazione, da cui eran state comprese all’annunzio dell’orrendo attentato e le loro felicitazioni per lo scampato pericolo.

A complemento di questi ragguagli, oggi debbo parimente informare V. E. che i Ministri di Prussia, Spagna e Belgio presentarono a S. M. le lettere, con che i Sovrani delle Nazioni predette di loro proprio pugno esternavano al Re di Napoli i sentimenti sorti nel loro animo all’annunzio dell’attentato; e so di buona fonte che il Ministro Russo attende di giorno in giorno un simile autografo dall’Imperatore Alessandro con l’incarico di rimetterlo a S. M.

L’Austria e la Toscana inviarono già decorazioni al colonnello La Tour e da Spagna e Russia già vennero annunziate.

In presenza di un tale stato di cosa, mi corre l’obbligo di rassegnare confidenzialmente a V. E. che in Napoli, sia sui membri del [p. 74 modifica]Corpo diplomatico, sia sulle persone attinenti alla Corte e componenti il Governo, ha fatto assai cattiva impressione il conoscere che non avendo ricevuto dal mio Governo ordine alcuno, non aveva fatto a S. M. le congratulazioni a nome di S. M. il Re nostro augusto Sovrano e del Governo Sardo.

Moltissime persone mi fecero ripetute questioni su tal riguardo, ed io, come meglio potei, dava alle medesime quelle risposte che mi parevano più del caso, ma ebbi luogo ad accorgermi che non soddisfacevan gran fatto.

Mi venne raccontato che un alto personaggio di Corte fece osservare a S. M. che il rappresentante sardo non era ancora venuto a fargli le debite congratulazioni in nome di S. M. e del Governo Sardo, e che il Re gli avesse risposto: — non potersi attribuire tal circostanza che ad un oblio involontario, od a smarrimento del dispaccio relativo alla medesima, e non provarne perciò nessun risentimento contro la Corte di Sardegna. —

Venne notato che nell’ultimo circolo, che ebbe luogo a Corte, il giorno di Natale, S. M. si degnò trattenersi meco più a lungo che con gli altri rappresentanti esteri.


In seguito a questo dispaccio, il Ministro degli Affari Esteri indirizzava al Gropello questa nota:


L’orribile attentato commesso contro la persona di S. M. il Re delle Due Sicilie ha prodotto il più profondo senso dì orrore nell’animo di S. M. il Re nostro augusto Signore e del suo Governo. La S. V. Ill.ma si è resa interpetre di tali sentimenti facendo testimonianza a S. M. Siciliana della profonda indignazione con cui sarebbe udito da tutti l’iniquo tentativo, ed esprimendole in nome di S. M. e del suo Governo le più sincere congratulazioni nel vedere la sacra sua persona per mano della Provvidenza scampato da tanto pericolo. Approvo e lodo perciò tutto quanto la S. V. fece in questa occasione....

Per il Ministro
De Salmour.2



Napoli, 5 gennaio 1837.


Il Governo Napoletano continua a fare le più pressanti istanze presso i detenuti politici e sopra tutto presso le disgraziate loro famiglie onde esse con la dolce violenza delle loro preghiere e delle loro lacrime costringano i miseri prigionieri ad implorare grazia...

[p. 75 modifica]Si assicura che tutti gli sforzi tentati fin ora presso l’infelice Carlo Poerio sian riusciti vani ed è opinione che egli mai si piegherà a fare la voluta dimanda. A proposito di questo illustre liberale, che ora è qui la più nobile espressione dell’idea costituzionale e la vittima più cospicua delle camerille sanfediste, narrasi che appena ebbe conoscenza dell’attentato sulla persona di S. M. pregò il Comandante del forte di far pervenire all’orecchio di S. M. la testimonianza delle sue felicitazioni per lo scampato pericolo, e di assicurarlo in pari tempo che nelle file del partito liberale costituzionale non vi è per fermo nessuno che avrebbe mai concepito di attentare alla sua vita.


Napoli, 7 gennaio 1857.


Ieri alle ore 3 p. m. ebbi l’onore di esser ricevuto in udienza particolare da S. M. Siciliana e nella medesima mi recai a dovere di esprimerle, in conformità degli ordini ricevuti, il messaggio di felicitazioni di cui era stato incaricato da S. M. il nostro augusto sovrano. Fui accolto da S. M. colla massima benevolenza e ricevei dalla medesima l’onorevole incarico di ringraziare S. M. il Re per questo tratto di sua cortese attenzione.

Prego adunque l’E. V. di voler portare alla conoscenza di S. M. l’espressione dei più vivi ringraziamenti del Re di Napoli e l’assicurazione della ben sentita parte che prende al dolore che ha acerbamente colpito la nostra R. Corte per la morte dell’arciduchessa Elisabetta, sorella dell’augusto Re Carlo Alberto e madre della non mai abbastanza lacrimata Regina Maria Adelaide di venerata memoria.


Note

  1. Furono invece due soli: Falcone e Nociti, e la corvetta fu la Surprise.
  2. Ripeto che il conte Roggero Gabaleone di Salmour era segretario generale del Ministero degli affari esteri a Torino, Cavour fece a lui firmare quella nota.