La figlia del lattaio

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Legh Richmond 1814 1867 Anonimo Indice:Richmond - La figlia del lattaio.djvu racconti Letteratura La figlia del lattaio Intestazione 22 aprile 2015 100% Da definire


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LA



FIGLIA DEL LATTAIO



RACCONTO AUTENTICO











FIRENZE

T I P O G R A F I A   C L A U D I A N A

VIA MAFFIA, 33,


1867.




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LA


FIGLIA DEL LATTAIO


RACCONTO AUTENTICO





Provo una ben dolce occupazione nell’investigare e scoprire le operazioni della grazia divina, come trovansi manifestate nelle disposizioni e nella vita dei veri figli di Dio. Egli è anche ben piacevole l’osservare come frequentemente, fra la classe povera dell’umana famiglia, il raggio della misericordia risplende sublime sul cuore rigenerato, e fa vedere come rimane impressa su di esso dallo Spirito Santo l’immagine dell’amato nostro Salvatore Gesù Cristo. Fra cotal gente, la carità e la semplicità cristiana mostransi sciolte da quegli ostacoli, che troppo sovente si oppongono alla spiritualità della mente e delle conversazioni. Molte sono le difficoltà che la ricchezza, gli affari mondani e le relazioni coll’alto ceto della società s’interpongono nella via della professione religiosa. Egli è di certo una gran fortuna, quando la grazia ha sì potentemente operato e combattuto contro l’orgoglio, i piaceri lusinghieri della lussuria, le futili e mondane opinioni, che essa fa apparire il nobile ed il potente adorno di povertà di spirito, di abnegazione di sè, di umiltà di cuore profondamente spirituale. Ma generalmente se vogliamo vedere la religione nel suo più puro carattere, la dobbiamo ricercare fra i poveri di questo mondo che sono invece ricchi in fede. Oh, come spesso la capanna del povero è palazzo del Dio vivente! Molti di noi possono veramente dichiarare d’aver ricevuto colà le migliori lezioni di fede e di speranza, [p. 4 modifica]colle più rimarchevoli dimostrazioni della sapienza, potenza e bontà del sommo Iddio.

Autentico è il carattere che ho l’intenzione di delineare in questo racconto; egli non è di certo un sogno della mia immaginazione. La mia amicizia colla figlia del lattaio cominciò per mezzo della seguente lettera ch’ella mi scrisse.


               “Signore!


“Mi prendo la libertà di scrivervi, sebbene non abbia io mai avuto il piacere di parlarvi. Perdonatemi. V’intesi predicare una volta nella chiesa di ***, e credo che voi siate un predicatore di buona fede per avvertire i peccatori di fuggire dall’ira che sarà manifestata contro tutti quelli che vivono nel peccato e muoiono nell’impenitenza.

“Molto mi consolò il sentire con quanti segni di bontà voi accoglieste quel povero soldato di S. D. Certamente l’amore di Cristo v’inviò da quel pover’uomo; quell’amore eternamente dimori in voi per la fede, e vi spinga a cercare le anime erranti de’ peccatori per ricondurle sulla buona via, ad onore e gloria dell’Altissimo.

“Signore, siate fervente nelle vostre orazioni a Dio per i peccatori e per la loro conversione. Egli promise di rispondere alle preghiere della fede, fatte in nome del suo divin Figliuolo: “Chiedete ciò che volete, e voi lo riceverete. Per la fede in Gesù Cristo noi godiamo nella speranza, alzando gli occhi in aspettazione di quel tempo che s’avvicina, quando tutti conosceranno e temeranno il Signore, e quando in un sol giorno nascerà un’intiera nazione. Che tempo felice, quando il regno di Cristo verrà, e quando si farà la sua volontà siccome in cielo così in terra!” Gli uomini saranno cotidianamente nudriti della manna del suo amore, e saranno rapiti in estasi rallegrandosi nel Signore l’intiero giorno.

“Signore, io cominciai a scrivere questa lettera domenica, essendo obbligata ad assentarmi dal culto pubblico. La mia cara ed unica sorella, serva di madama **, [p. 5 modifica]era così ammalata ch’io venni qui ad occupare il suo posto e ad assisterla. Ma... ella non è più.

“Ella manifestò il desiderio di ricevere la cena del Signore a far la commemorazione dei suoi benefici patimenti e della sua morte. Io le dissi, del meglio che potei, che cosa era ricevere Gesù Cristo nel cuore: ma, siccome i patimenti del corpo crescevano, ella non ne parlò più. Ella sembrava quieta e rassegnata avanti di morire. Io spero ch’ella andò, da un mondo di peccati e di morte, ad esser per sempre col suo Dio.

“Mia sorella espresse il desiderio di ricevere gli onori funebri da voi. Il ministro della nostra parrocchia dove si deve portare il cadavere non può venire. Ella morì giovedì mattina e sarà sepolta venerdì o sabato (come meglio vi converrà) alle tre pomeridiane. Vi prego di mandarmi una risposta col latore della presente, onde farmi assapere se consentite alla mia dimanda.


                         “Vostra umilissima serva


“Elisabetta W.”


Rimasi colpito assai della semplicità e della divozione che abbondano in questa lettera; giacché la poca ortografia e la scrittura indicavano a sufficienza che veniva da una persona di poca educazione. Questa circostanza però fece nascere in me maggiore affezione per la persona che ancor mi era sconosciuta, poiché pareami in essa colla umiltà della sua condizione una eminente pietà. Restai molto soddisfatto d’aver trovato una corrispondente simile, tanto più che tali caratteri erano rari assai nelle mie vicinanze. Tosto io domandei chi avesse portata quella lettera.

“Un uomo che aspetta in sulla porta,” mi fu risposto.

Io uscii per parlargli, e vidi un vecchio venerando i cui lunghi capelli bianchi e il serio aspetto richiedevano più che comun rispetto. Egli appoggiava le spalle sue alla porta mentre abbondanti lacrime irrigavano il suo volto venerabile.

[p. 6 modifica]Nell’avvicinarmi a lui mi fece un profondo inchino e disse:

“Signore, io vi portai una lettera di mia figlia; ma temo che voi ci stimiate bene arroganti nel recarvi tanti disturbi.”

“No, no, davvero,” ripigliai. “Io sarò veramente contento di poter rendere servizio a voi ed a qualunque della vostra famiglia me ne volesse richiedere in casi simili.”

Lo feci entrare in casa, poi gli domadai: “Che professione avete?”

“Signore, io passai la maggior parte dei miei giorni in una capannuccia distante sei miglia di qui. Ho coltivato un piccolo podere e nudrito alcune vacche, le quali, col mio lavoro cotidiano, m’hanno aiutato a mantenere e nutrire la mia povera famiglia.”

“Di quante persone la si compone?”

“D’una moglie ora già vecchia assai e bisognosa, di due figli e d’una figlia; giacchè l’altra mia povera creatura se n’è andata da questo mondo.”

“Io spero per un altro migliore.”

“Anch’io spero così; poveretta! Ella non prese così buona via come la sua sorella; ma io credo che le parole di questa nei suoi ultimi giorni, furono un mezzo di salvar l’anima di quella. Che consolazione è l’aver una famiglia com’è la mia! Io non presi mai seriamente cura dell’anima mia, finch’essa, povera ragazza, m’esortò e mi pregò di fuggire dall’ira avvenire.”

“Che età è la vostra?”

“Ho oltrepassato i settanta anni, e la mia moglie è più vecchia ancora. Ogni giorno andiamo invecchiando e siamo incapaci di lavorare. La nostra figlia abbandonò una buona casa nella quale stava in servizio, e venne a prender cura di noi e delle nostre poche cose. Ella è una ragazza molto affettuosa, molto buona!”

“Fu ella sempre tale?”

“No, signore: quando era giovinetta, ella era tutta pei divertimenti, pel mondo, pei vestiti e per le compagnie. A vero dire, noi eravamo assai ignoranti, e pensavamo che bastasse tenere a conto questa vita e non [p. 7 modifica]ingannar nessuno per andar certi al paradiso. Ambedue le nostre figlie erano caparbie, e, come noi stessi, straniere alla via del Signore e alla Parola della sua grazia. La maggiore poi entrò in servizio; pochi anni sono, ella sentì una predica nella chiesa di **, e, da quel tempo in poi, ella diventò molto diversa da quel che era prima. Diè principio a leggere la Bibbia, e fin d’allora le sue abitudini furono profondamente cangiate.

“La prima volta ch’ella, venne a trovarci, ci portò una ghinea (1), frutto dei suoi risparmi e delle sue fatiche. Ci disse che, essendo noi vecchi, avevam bisogno dell’aiuto suo, aggiungendo che non amava più spendere i suoi danari in begli abiti, come per l’innanzi, alimentando l’orgoglio e la vanità; ma che avea più caro di mostrar la sua gratitudine inverso ai genitori vecchi e cadenti, e questo, diceva ella, perchè Cristo ebbe pietà di me e mi fece palese la sua misericordia.

“Restammo attoniti all’udir da lei cotali discorsi, e delizioso fu il tempo che passammo in sua compagnia. La trovammo così affettuosa, umile ed amabile; tanto bramosa di farci del bene al corpo come all’anima; tanto diversa da quello che era nel passato, che, per quanto ignoranti fossimo, conoscemmo che la religione avea in sè qualche cosa di buono e di vero, giacchè se così non fosse, non avrebbe potuto mutar siffattamente il carattere di una persona in tempo così breve.

“La sorella minore, poverina, se ne rideva. Diceva che il cervello le avea dato la volta! — No, sorella, rispondeva, non la mia testa, ma credo il mio cuore siasi rivolto dall’amore del peccato, all’amor di Dio. Vorrei che voi vedeste, come vedo io, il pericolo e la vanità della presente vostra condizione. — Io non mi sento in lena da poter sentir le vostre prediche, solea rispondere la poverina; so che io non sono peggiore di tutti gli altri, e così mi basta. — Ebbene, sorella, ripigliava Elisabetta, se voi non mi volete sentire, non potete però impedire ch’io preghi per voi, come sempre fo e con tutto il mio cuore.

[p. 8 modifica]“Ora signore, ho fiducia che le sue preghiere sono state esaudite, poichè allorquando la sua sorella era ammalata, Elisabetta andò ad occupare il suo posto e ad assistere l’inferma nei suoi patimenti. Tanto disse e tanto ragionò in questa occasione colla meschina, che infine la povera ragazza cominciò a sentirsi commossa ed a pensare ai propri peccati ed agli errori della passata vita, e mostravasi così riconoscente delle affettuose cure della sorella, che donò le più dolci speranze della salvezza dell’anima sua. Quando io e la mia moglie andammo a visitarla al letto ove giaceva inferma, ci disse che ella si rimproverava il tempo e la vita scorsi; ch’ella sperava che il dolce Salvatore della sua sorella, diverrebbe pur anche, per grazia, il proprio. Ella vide la sua miseria; le fu tolta la benda d’in sugli occhi; ed ora altra cosa non anelava se non di aver riposo con Gesù unico mezzo di salvamento.

“Ma, ahimè, già morì! Ed ho fermo nel cuore che le supplicazioni della sorella furono esaudite. Ascolti pure il Signore quelle che a lui son dirette per i poveri... vecchi... genitori!” Queste parole furon tramezzato dai singhiozzi.

Questa conversazione fu un chiaro commento della lettera che ricevetti, ed ebbi un più vivo desiderio di esaudire la dimanda della persona che la scrisse, come pure di fare la sua conoscenza personalmente. Promisi al povero vecchio di assistere al funerale il venerdì all’ora concertata, e dopo pochi altri discorsi intorno alle cose occorrenti nella presente circostanza, egli si partì da me. Quest’uomo era un venerabile vegliardo. Il capo canuto, la fronte increspata da numerose grinze, il maestoso sebben languido portamento, gli occhi piccoli ed umidi di recente pianto, tutto in lui ispirava ad ognuno affetto e venerazione. Ei si ritrasse lento lento incurvato sopra il suo bastone che parea da lunghi anni esser stato il compagno delle sue sventure. Allora mi nacquero nella mente una quantità di pensieri dei quali ora ancora mi rammento con piacere e non senza qualche emozione.

Il venerdì all’ora stabilita, arrivai al luogo indicato, e, dopo qualche istante di conversazione, ei venne nella [p. 9 modifica]decisione di ritrovarsi nel cortile della chiesa e quivi organizzare una decente processione funebre. I vecchi genitori, il fratello maggiore e la sorella con diversi altri conoscenti della defunta componevano un gruppo commovente in un angolo del cortile. Io fui colpito dall’umile e piacevole sembiante di quella onde ricevetti la lettera. Ella era adorna di molta gravità senza adattazione, e d’una gran serenità unita ad un’ardente divozione. Parmi bene di far qui parola d’una circostanza successa nel tempo del funerale.

Un contadino, rimasto fin’allora indifferente a tutto ciò che sa di religione, anzi alquanto discolo e corrotto, entrò per mera curiosità nella chiesa, nel solo scopo di rimaner testimonio oculare del servizio funebre. La sua mente, intanto, ricevè ad un tratto la seria convinzione dei suoi peccati, e del pericoloso stato in cui si trovava, come facilmente si potè argomentare dall’espressione del suo volto. Questa convinzione rimase indelebile nel cuor suo, e produsse un evidente e perfetto mutamento, di cui ebbi continue e durevoli prove. Egli avea l’occhio fisso al servizio funebre, e particolari sentenze che in esso udì, rimasero vero e santo istrumento col quale la grazia divina lo condusse alla conoscenza della verità.

Fu questo, invero, un giorno degno di memoria. Se ne ricordan pure quelli che amano sentire i “brevi e semplici annali dei poveri.”

Non avvi un evidente e felice nesso tra le circostanze che provvidenzialmente radunano l’uomo serio e il noncurante in una stessa tomba, in uno stesso giorno? Oh! Quanto ci perdono coloro i quali non si dàn pensiero delle cose di Dio e dei mezzi ch’egli adopra nella sua Provvidenza per redimere e salvare i peccatori.

Terminato il servizio, io ebbi una breve conversazione coi buoni vecchi genitori e la sorella della trapassata. L’aspetto di quest’ultima era grandemente interessante; io promisi di visitarli spesso, e fin da quel punto divenni loro grande amico. Preghiamo l’Iddio dei poveri e chiediamogli che sempre sieno i poveri ricchi in fede, ed i ricchi poveri in ispirito.

Nell’avvicinarmi ai caseggiati dove abitava il buon [p. 10 modifica]vecchio lattaio, lo scorsi in un pratolino, cacciando a sè davanti un certo numero di vacche, le quali dirigevansi alla stalla unita alla capanna. Mi feci accosto a lui senza esser veduto, poiché gli anni già avean indebolita la sua vista. Chiamatolo, trasalì all’udir la mia voce. Riavutosi, così mi disse: “Iddio vi benedica, signor mio; son veramente contento che voi siate tornato: tutta questa settimana vi stavo aspettando.”

A questo punto s’aprì l’uscio della capanna e ne uscì la figlia seguita dalla madre vecchia ed inferma. Il vedermi, fu naturalmente il ricordar loro la perdita per occasione della quale s’incontrarono in me per la prima volta. Le lagrime, che calde piovevano dagli occhi loro facevano contrasto colla gioia visibile di vedermi. Smontai da cavallo e mi lasciai condurre per un grazioso giardino circondato d’ogni lato da bellissimi olmi che adombravano la via fino alla loro abitazione. L’interno come l’esterno mostravano decenza e pulitezza.

Qui proprio, pensai fra me, è dov’abita la pace e la pietà. Voglia Iddio, che da questa visita io riporti proficui ammaestramenti!

“Signore,” disse la figlia, “noi non siamo degni di ricevervi sotto il nostro tetto. Voi siete molto buono di venirci a vedere da così lontano.”

“Il mio Padrone,” rispos’io, “venne da più lontano ancora per visitar noi poveri peccatori. Egli abbandonò il seno del suo Padre, si spogliò della sua gloria, e venne in questo corrotto mondo, a visitarci con amore e con pietà; e se possiamo di seguirlo, non dobbiamo noi fortificare i nostri fratelli che gemono nella debolezza, e cercar modo di fare il bene ch’Egli fece?”

I nostri discorsi ricaddero nuovamente sulla perdita ch’era toccata loro, e le pie disposizioni di Elisabetta vennero in particolar modo manifestate, tanto in ciò ch’ella mi disse quanto nei suoi discorsi coi genitori. Rimasi colpito della bella maniera e buon senso che accompagnavano le sue espressioni di divozione verso Iddio ed amore verso Cristo, per la grande pietà ch’Egli avea avuto di lei. Pareva ansiosa di trar utile dalla mia visita, tanto pel proprio bene spirituale quanto per quello [p. 11 modifica]degli amati genitori. Con tutto ciò però non v’era presunzione di sorta nella di lei condotta. Alla modestia femminile ed al dovere di figliuola, ella univa la serietà o la fermezza d’un carattere cristiano. Era impossibile di dimorar nella sua compagnia e non osservare quanto ammirabilmente il suo carattere e la sua conversazione adornavano i principii evangelici ch’ella professava.

In breve io potei scorgere quanto studiosa ella fosse a lavorare all’opera della conversione, cercando di addurre il padre e la madre alla conoscenza della verità. È questa un’ottima circostanza nella vita di una giovine cristiana. Se volle Iddio, nella libera dispensazione della sua grazia, chiamare una creatura alla sua misericordia, mentre vivevano i genitori nell’ignoranza e nel peccato, quanto non è grande l’obbligo di questa di adoperarsi a tutta possa per la conversione di coloro dai quali ebbe la vita! È gran fortuna quando i legami della grazia santificano quelli della natura.

Questi attempati congiunti consideravano la propria figlia come un maestro spirituale ed un ammonitore nelle cose divine, mentre ricevevano da essa tutti i segni di ubbidienza e di filiale sommessione, dimostrati dalle continue fatiche e dai continui sforzi ch’ella faceva per aiutarli nelle faccende domestiche. La religione di questa giovine era del più puro carattere spirituale.

Le sue idee del piano divino pel salvamento dei peccatori erano chiare e bibliche. Sovente assai ella parlava delle gioie e dei dispiaceri che provò nel corso del suo progredimento religioso. Essa era però intimamente persuasa che corre un’immensa distanza fra la vera religione ed il passaggio occasionale e semplice d’uno stato di mente all’altro. Ella credeva che l’unione del cuore con Dio consisteva principalmente nel vivere in Cristo, per la fede; come Lui, per amore. Ella conosceva che l’amore di Dio verso i peccatori e la via del dovere ad essi prescritta erano entrambi immutabili di natura. Nella fedele dipendenza dal primo, e nel camminar con affezione nella seconda, ella cercò e trovò “la pace di Dio che sopravanza ogni intendimento.”

Tranne la Bibbia, pochi furono i libri che essa lesse; [p. 12 modifica]ma questi pochi erano ottimi nella lor scelta, e d’essi parlava come persona che ne conosce il valore.

Ravvisai sul suo volto tale un pallore ed una delicatezza che presagivano consunzione; questa idea mi fece supporre che brevi sarebbero i suoi giorni. Difatti, come volle Iddio, morì dopo un anno e mezzo circa dopo la prima volta ch’io la vidi.

Il tempo corse rapidamente e piacevolmente con questa buona famiglia; e, dopo preso un rinfresco cordialmente offertomi da essi e barattati ancor pochi discorsi, pensai bene far ritorno a casa.

“Io vi ringrazio, signore,” disse la figlia, “per la vostra cristiana bontà inverso di me e inverso i miei amici. Credo che il Signore abbia benedetto la vostra visita. Il mio padre e la mia madre se ne ricorderanno, ne son sicura; ed io godo d’aver avuto il bene di ricevere sotto questo tetto, un cotanto amico. Il mio Salvatore usò d’un’immensa bontà inverso di me salvandomi come “un tizzone scampato dal fuoco,” insegnandomi il sentier della pace e della vita. Il desiderio del mio cuore è di veder la gloria di Dio Creatore ed in essa vivere. Ma pure anelo di vedere questi miei cari genitori al par di me rallegrati e confortati dalla religione.”

“Mi pare evidente,” proseguii, “che questa promessa è adempita nel caso loro: al tempo della sera vi sarà luce” (Zacc. xiv, 7).

“Lo credo pur io;” riprese ella, “e lodato sia Iddio per questa beata speranza.”

“Ringraziatelo pure per avervi fatto il benedetto istrumento che li condusse alla luce.”

“E questo ancora io fo, signore; però quando penso alla mia indegnità e insufficienza, mi rallegro e tremo ad un tempo.”

“Signore,” disse il buon vecchio, “son certo che il Signore rimunererà la vostra bontà. Deh! pregate per noi che, vecchi come ci vedete, e peccatori come fummo, desideriamo tuttavia che misericordia ci sia fatta all’undecima ora. La povera Elisabetta lavora assai per amor nostro, o per l’utile tanto del corpo che dell’anima: lavora assai, dico, per risparmiarci fatica; ed io [p. 13 modifica]temo che la buona ragazza non sia forte abbastanza da sopportare tutti i lavori ch’ella fa. Poi ella parla con noi, legge con noi, prega con noi e per noi, tutto per salvarci dall’ira avvenire. In verità, signore, ell’è per noi una cara creatura.

“La pace sia con voi e con tutti quelli che vi appartengono.”

“Amen. Grazie, caro signore,” risposero in coro i buoni contadini.”

Così ci dipartimmo da loro questa volta. Molte altre visite furono da me fatte alla pacifica capanna: ogni volta vi trovai abbondanti ragioni per render grazie all’Onnipossente degli intrattenimenti in essa goduti.

Mi potei facilmente accorgere che la salute della figlia declinava come il sole al tramonto. Le pallida, distruttrice consunzione, ch’è l’istrumento del Signore per recidere tante migliaia di vite all’anno, s’era già impossessata della di lei costituzione; gli occhi scavati, la tosse affannosa, e spesse volte il lusinghevole rossore delle gote davano indizio non dubbio della vicina morte. I frequenti insulti, ed il lento progresso della malattia, offrono ai ministri ed agli amici cristiani l’occasione di mostrare affetto e sollecitudine inverso al loro prossimo. Quante di queste opportunità non si perdono ogni giorno, mentre la Provvidenza concede il tempo necessario per una istruzione seria e pia! Oh! di quanti si può dire che “non hanno conosciuto il cammino della pace,” giacchè neppure un amico li fece avvertiti di fuggir dall’ira avvenire.

Ma fortunatamente la figlia del lattaio fu istruita nelle cose che appartenevano alla sua eterna pace prima che il già inoltrato male s’impossessasse della sua costituzione. Ben potrei io dire che in tutte le mie visite ricevevo piuttosto utile dalle sue conversazioni, anzichè la istruivo colle mie. La mente sua era ricolma delle divine verità, le sue conversazioni erano realmente edificanti.

Ricevei un giorno la seguente letterina:


               “Mio caro signore,


“Mi reputerei veramente felice se le vostre occupazioni vi permettessero di far visita ad un’indegna [p. 14 modifica]peccatrice. La mia ora si fa più vicina; spero di veder Cristo che è sì prezioso all’anima mia. Il vostro parlare fu sempre benedetto per me, ed ora sento la necessità d’avervi più che mai. I miei genitori vi salutano.

                    “La vostra obbediente e indegna serva


“Elisabetta W.”


Feci secondo la sua richiesta, il medesimo dopo pranzo. Arrivato alla capanna del lattaio, la moglie di questo m’aprì l’uscio. Le lagrime scorrevano rapide sull’increspato volto mentre avea chino il capo senza far motto. Il di lei cuore era pieno. Sì provò di parlare, non le riuscì. Allora, prendendola per la mano, le dissi: “Mia buona amica, tutto è bene ciò che fa il Dio della sapienza e della misericordia.”

“Oh la mia Betta! La mia cara ragazza! Ella è ridotta a sì mal partito, signore! Che farò io senza di lei? Io, che mi credevo scender nella tomba prima di lei! Ma....”

“Ma il Signore volle che vedeste, prima di morire, la vostra creatura entrar salva nella gloria! Or dita: non avvi in ciò misericordia?”

“Oh! caro signore, io son assai vecchia e molto debole, ed ella è una molto buona ragazza, appoggio e sostegno d’una povera vecchia creatura come sono io!”

Com’io mi feci avanti, vidi Elisabetta seduta accanto al fuoco, sopra una seggiola a bracciuoli, appoggiata su dei guanciali, con tutti i segni d’una vicinissima morte. Parvemi che il suo finire non potesse a lungo indugiare. Un dolce sorriso di compiacenza revvivò il volto pallido nel dirmi:

“Questa è troppa bontà, signor mio, di venir così presto dopo l’invito. Voi mi trovate ogni dì più consunta, ed io non posso star più a lungo qui. Il mio cuore e la mia carne vanno scemando; ma il Signore è la forza del mio debol cuore, ed io spero che sarà la mia dote in eterno.”

La conversazione che segue fu tratto tratto interrotta dalla tosse e dallo spossamento. Il tuono della voce era chiaro sebben debole; le sue maniere eleganti e brevi, i [p. 15 modifica]suoi occhi tuttochè turbati più che per l’innanzi, non mancavano però di una certa animazione quando ella parlava. Osservai di frequente in essa uno stile superiore a quel della classe cui apparteneva, nel manifestar le sue idee e nelle frasi bibliche colle quali esprimeva i suoi pensieri. Ella possiedeva un ottimo intelletto naturale, e, come generalmente è il caso, la grazia lo migliorò d’assai. Nella presente occasione l’intiera forza della grazia o della natura sembrava essere in pieno esercizio.

Dopo di aver preso posto fra la madre e la figlia, la prima delle quali con grande ansietà fissava gli occhi sulla sua creatura mentre discorrevamo, dissi ad Elisabetta:

“Spero che voi godiate della divina presenza, e possiate confidarvi intieramente in Colui che “fu sempre con voi,” e che vi ha custodita “in tutti i luoghi in cui voi andaste,” e vi porterà “nella terra di pure delizie dove regnano i santi immortali.”

“Signore, credo poter goder di ciò. Ultimamente la mia mente fu alquanto offuscata; ma io credo che ciò sia per la debolezza e per le sofferenze del mio corpo; ed un poco anche per l’invidia del mio nemico spirituale, che mi volle persuadere che Cristo non ebbe amore per me e ch’io m’ingannai da me stessa.”

“E voi deste retta alle sue suggestioni? Potreste voi dubitare, dopo tante e tante prove ricevute dalla sua misericordia?”

“No, signore; io conservai sempre una chiara certezza del suo amore. Io non voglio aggiungere a tutti i miei peccati quello di dubitare del suo amore inverso me; io voglio riconoscere ciò, per lodarlo e glorificarlo.”

“Quale è la presente vostra idea riguardo allo stato in cui vi trovaste prima ch’Egli vi chiamasse alla sua grazia?”

“Signore, io era allora una ragazza superba ed insensata! Amante degli abiti e delle galanterie; io amava il mondo e ciò che vi è in esso. Io stava in servizio con gente mondana, e mai ebbi la fortuna di essere in una famiglia dove l’adorazione ed il culto di Dio fosse osservato, e dove fosse tenuto in conto l’anima della serva. Io mi credeva buona abbastanza per essere salvata; e [p. 16 modifica]non amavo, anzi spesso ridevo, della gente religiosa. Ah! Io era in mezzo alle tenebre; io non conoscevo nulla della via di salvazione, io non pregavo mai, nè mi era noto il danno dello stato irreligioso in cui mi trovavo; io mi curavo solamente d’essere una buona serva, ed ero felice quando mi sentivo applaudita. Io ero tollerabilmente morale e decente nella mia condotta, riguardo alle cose carnali e mondane: però ero straniera a Cristo ed a Dio. Io trascurai l’anima mia, e, se fossi morta in quello stato, l’inferno sarebbe stato la mia giusta eredità.”

“Quanto tempo è che udiste la predica che, per virtù di Dio, vi convertì?”

“Circa cinque anni fa.”

“Come fu il caso?”

“Intesi dire che un certo ministro, che il vento impedì di imbarcarsi sur un bastimento che veleggiava verso una lontana parte del mondo, avrebbe predicato nella chiesa di ***. Molti mi avvertirono di non andarvi, temendo che tal predica mi stornasse il cervello; perchè, come dicevano, egli possedeva delle strane cognizioni. Ma la curiosità e l’opportunità di far ammirare un bel vestito nuovo di cui andavo superba, mi spinsero ad andarvi. Piacque al Signore di adoperar ciò pure a suo onore e gloria.

“Io andai dunque alla chiesa, e vidi radunata una gran folla di gente insieme. Per qualche tempo, poco curante della adorazione di Dio, io riguardava a me d’intorno ed ero ansiosa di attirare lo sguardo altrui. Il mio abito, simile a quello di molte ragazze gaie, vane, e galanti, era molto al disopra del grado mio, e molto differente di quello che deve portare un’umile peccatrice che ha un modesto sentimento di amor proprio e di decenza. Lo stato della mia mente si riconosceva abbastanza dall’insensata ricercatezza del mio vestire.

“Infine il ministro diadeci il suo testo: “Siate vestiti d’umiltà.” Ei fece un pargone fra i vestiti del corpo e quelli dell’anima; e già nel bel principio della predica mi sentivo aver vergogna assai delle mie vesti, e delle mie sciocchezze. Quando poi venne a descrivere [p. 17 modifica]l’abito di salvamento di cui ogni Cristiano deve esser adorno, io scopersi la nudità dell’anima mia; io vidi che non avea in me nè l’umiltà menzionata nel testo, nè nulla del carattere di una vera Cristiana; io guardai il mio bel vestito, ed arrossii per la mia superbia; io guardai il ministro, e sembrommi un messaggiero celeste, inviato per aprirmi gli occhi; io guardai la congregazione, ed avrei voluto sapere se alcun altro pensasse come me; mi rivolsi al mio cuore, e, ahimè! lo vidi pieno d’iniquità! Io tremava al suo parlare, pure una forza irresistibile collegava la mia mente alle parole ch’ei diceva.

“Egli dimostrò le ricchezze della grazia divina nel modo adoperato da Dio pel salvamento de’ peccatori; io rimasi sorpresa anzi avvilita di quanto feci nel passato. Egli descrisse il mansueto, sommesso, ed umile esempio di Cristo; ed io mi trovai caparbia, altiera, vanagloriosa. Egli rappresentò Cristo come “la sapienza;” io scoprii la mia ignoranza. Egli ce lo rappresentò come “la Giustizia;” io rimasi colpita dalla mia nequizia. Ci provò che egli era “Santificazione;” io conobbi la mia corruzione. Lo proclamò come la nostra “Redenzione;” io osservai la mia schiavitù al peccato, e la mia cattività a Satana. Egli finalmente terminò con una esortazione ai peccatori, avvertendoli di fuggire dall’ira avvenire, di cessare dall’amore de’ vani ornamenti del corpo, di confidare in Cristo, e di essere sempre rivestiti di vera umiltà cristiana.

“Sin d’allora io non cessai giammai di riconoscere il valore dell’anima mia, e il danno d’uno stato di peccato. Io sempre caldamente ringraziai Iddio per questa predica, sebbene la mia mente si trovasse in uno stato di gran confusione. Il predicatore toccò la più sensibile corda del mio onore, cioè, l’amore de’ vani ornamenti; e, per la grazia di Dio, questa servì d’istrumento a risvegliar l’anima mia. Fortuna sarebbe, o mio signore, se molte altre povere ragazze, simili a me, passassero dall’amore della vanità e della vanagloria, all’ornamento di mansuetudine, che non è corruttibile e che è di gran valore in faccia a Dio. La maggior parte della congregazione, non usa a tali prediche evangeliche, non la [p. 18 modifica]ricevettero assai volentieri, ed anzi si lamentarono della severità del predicatore; però un certo numero di persone al pari di me furono penetrate dalla verità ed ardentemente desiderarono di udirlo di nuovo. Ma egli non predicò più.

“Da quel momento io riconobbi con tutta la forza dell’intelletto, e mediante un corso di orazioni private, di letture e meditazioni, qual sia il pericoloso stato di una peccatrice, e l’immensa misericordia di Dio per Gesù Cristo, nel porre la pace in un cuore peccatore, facendo ad un immondo mucchio di polvere e di cenere, parte della gloriosa e celeste felicità. Ed oh! signore, qual Salvatore ho io trovato! Egli è più di ciò ch’io potessi desiderare o domandare! Nella sua pienezza, io ritrovai tutto ciò che fa bisogno alla mia povertà; nel suo seno io ritrovai ristoro, e sollievo di tutti i miei peccati e dispiaceri; nella sua parola io trovai forza contro i dubbii e l’incredulità.”

“Non foste voi subito convinta,” diss’io, “che la vostra salvazione dovea essere un atto di pura grazia di Dio, intieramente indipendente dalle vostre opere imperfette e dai meriti antecedenti?”

“Mio caro signore, che cos’erano le mie opere avanti ch’io sentissi una tal predica, se non malvage, carnali, irreligiose ed interessate? Le idee, i pensieri del mio cuore, fin dalla mia prima gioventù, erano continuamente malvagi. Ed i meriti miei erano forse differenti da quelli di un’anima decaduta, depravata e negligente, che non riconosce nè legge nè Vangelo? Sì, signore, io immediatamente conobbi che se mai io venissi salvata, ciò non sarebbe che per libera misericordia di Dio, o che l’intera lode, tutto l’onore dell’opera sarebbe sua dal principio alla fine.”

“Che cambiamento riconosceste in voi medesima riguardo al mondo?”

“Sembrommi tutto vanità; e parvemi necessario per la pace della mia mente di allontanarmi e separarmi da esso. Io mi volsi alla preghiera, e godei di molte e deliziose ore di comunione con Dio. Lamentavo frequentemente i miei peccati, e spesse volte io ebbi un gran [p. 19 modifica]conflitto per l’incredulità, ii timore, la tentazione di ritornare nell’antica maniera di vivere, e per le difficoltà ch’incontravo nella mia via. Ma Colui che m’ama d’un amor puro ed eterno, mi ricevette in grazia e m’insegnò la via della pace; graduatamente mi fortificava nelle risoluzioni ch’io facea di vivere di novella vita, e m’inspirò il pensiero che, sebbene senza di lui non avessi potuto far nulla, potrei ora far qualunque cosa per mezzo della sua forza.”

“Non incontraste molte difficoltà nella vostra situazione, a causa del cambiamento dei principii e delle pratiche vostre?”

“Sì, signore, ogni giorno della mia vita. Questo mi derideva, quello mi strapazzava. Scornata e disprezzata da’ miei nemici, e compatita da’ miei amici, io venivo appellata santa ipocrita; e mi motteggiavano con altri nomi che significavano abbastanza chiaramente come mi si voleva fare odiosa agli occhi del mondo. Ma io riputai “lo scandalo della croce” un onore. Io perdonava e pregava per i miei persecutori, e ben rinvenni come spesso mi comportai io pure così verso alcuni altri. Io pensai che ancor Cristo soffrì la contradizione dei peccatori; e, siccome i discepoli non sono più del loro Maestro, io mi trovai contenta di imitarne in qualche modo le sofferenze.”

“Non vi sentiste allora interessata per la vostra famiglia?”

“In verità sì, signore, ella non mai fu assente dalla mia mente. Io sempre pregava per essa e nudrivo un ardente desiderio d’esserle utile; particolarmente, pensai a mio padre ed a mia madre, che sapevo essere avanzati negli anni ed assai ignoranti in materia di religione.”

“Ahi!” interruppe la madre, sospirando, “ignoranti, tu dici? Di grazia aggiungi, miserabili e peccatori, fino a che tu o Betta... questa cara Betta, signore, portò Gesù Cristo nella casa di noi poveri, vecchi, ed impotenti peccatori.”

“No, carissima madre; dite piuttosto che Gesù Cristo portò la vostra povera figlia fra voi, per farvi sapere la misericordia che fu usata verso l’anima sua; ed [p. 20 modifica]io spero, per farvi Egli del bene, per favorirvi della medesima misericordia e grazia.”

In questo punto il lattaio entrò con due secchie piene di latte, ed essendosi fermato alquanto dietro la porta socchiusa, potè udire la fine del dialogo.

“Benedizione e grazia su di lei,” disse; “è molto vero: ella abbandonò una buonissima casa, col solo divisamento di aiutare ed alleviare il nostro corpo e la nostra anima, vivendo con noi e consolandoci colle sue letture e co’ suoi discorsi. Ahimè, signore! non vi sembra ch’ella stia molto male? Ah io tremo di non averla qui molto tempo ancora.”

“Lasciate questo alla cura del Signore,” disse Elisabetta; “tutte le nostre ore sono nella sua mano; e beati noi, che ne sia così. Io desidero d’andare; e voi, padre mio, non desiderate di rimettermi nelle mani di quel Dio che a voi mi diede in prima?”

“Oh figlia! Interrogami su qualunque altra cosa, ma non su ciò;” rispose il dolente genitore.

“Io so però,” soggiunse ella, “che voi desiderate la mia felicità.”

“Oh sì! sì!” rispose egli. “Che il Signore faccia di te e di noi ciò che gli piacerà.”

Io allora le domandai da che dipendesse principalmente la sua presente consolazione, rispetto all’avvicinarsi della morte.

“Dalla mia confidenza in Cristo. Quando m’esamino, scopro in me molti peccati, infermità, ed imperfezioni che offuscano l’immagine di Cristo, che vorrei vedere sempre viva nel mio cuore. Ma quando mi rivolgo al mio Salvatore, Egli mi si rappresenta immensamente amabile; non avvi una sola macchia nel suo aspetto. Io penso alla sua incarnazione, e questa mi riconcilia coi patimenti del mio corpo, in modo che non li sento quasi mai, giacchè anche Egli n’ebbe come e più di me. Io penso alla sua tentazione, e credo ch’Egli mi può assistere quando io pure son tentata. Allora io penso alla sua croce, ed apprendo a portarla mia. Penso alla sua morte, e m’invade il desio di morire al peccato acciocchè questo non abbia più dominio sopra di me. Qualche volta [p. 21 modifica]penso alla mia risurrezione e confido d’esserne in qualche modo partecipe, giacché sento che le mie affezioni mi rivolgono alle cose di lassù. Principalmente mi conforta poi, il pensare a Lui seduto alla destra di Dio Padre, difendendo la mia causa, e rendendo utili perfino le mie deboli preghiere, tanto per me come per i miei poveri e cari vecchi.

“Questa è la confidanza che, per grazia di Dio, ho nella bontà del mio adorato Redentore; ed essa mi diede forza e mi fece desiderare di servirlo, di donarmi intieramente a Lui, e di lavorare facendo il mio dovere nello stato in cui gli piacque chiamarmi.”

“Io sarei caduta le mille volte, se la sua bontà non mi avesse sostenuta. Io son sicura che non sono nulla senza di Lui. Egli è il tutto in tutti.

“Ogni qual volta io mi metto sotto la sua protezione, ritrovo novella forza in me. Oh! ch’Egli mi conceda la grazia di confidarmi in Lui anche nel mio ultimo istante. Io non temo la morte, poiché io credo ch’Egli le ha tolto il dardo. Ed oh! qual gioia le va unita! Deh! signore, ditemi se io sono nel vero cammino. Se io domando alcunché al mio cuore, io temo di fidarmivi, giacché più d’una volta m’ingannò; ma se lo chiedo a Cristo, Egli mi risponde con promesse che mi rinforzano, mi danno lena, e non mi lascian luogo a dubitare della sua potenza e volontà di salvarmi. Io sono nelle sue mani ed in esse voglio rimanere, ed io credo ch’Egli non mi vorrà mai lasciare od abbandonare: anzi, sia la sua volontà di perfezionare tutto ciò che è in me. Egli mi amò ed Egli si diede volontariamente a me; or io penso che questo dono e questo amore siano senza pentimento. In questa speranza io vissi, ed in essa io voglio morire.”

Io guardai a me d’intorno, e dissi: “Certamente questa non è che la casa di Dio, e la porta del cielo.” Il dopopranzo era piuttosto oscuro, a motivo dei gran nuvoloni che nascondevano la volta celeste: ma in questo punto il sole che s’avvicinava al tramonto squarciò il velo che lo copriva, ed i suoi raggi risplendettero rapidamente nella camera in cui ci trovavamo. Questo raggio del sole di ponente era un emblema della lucente e [p. 22 modifica]serena conclusione della carriera di questa giovine cristiana. In mezzo alla decadenza delle sue pallide fattezze si potea riconoscere una tranquilla rassegnazione, una confidenza trionfante, una vera umiltà ed un’ansia tenera che chiaramente dimostravano lo stato ed i sentimenti del suo cuore.

Dopo aver parlato con lei poco tempo, feci una breve preghiera e mi ritirai.

Già annottava, quando m’incamminai verso casa; la tranquillità e la pace regnava dovunque. Il muggito de’ buoi, il belato delle pecore, il confuso ronzìo degli insetti notturni, il lontano mormorio del mare, le ultime note dei vaghi uccelletti del giorno, e le prime canzoni dell’usignolo, tutta questa armonìa aumentava anzichè diminuiva il piacevole sereno della notte, e i suoi corrispondenti effetti sul mio spirito già eccitato ed animato dalle meditazioni che la mia visita m’inspirò.

La scena della natura rappresenta frequentemente la verità divina. Noi possiamo dire d’essere in particolar modo favoriti quando, godendo d’essa, la possiamo far servire nel medesimo tempo per istrumento alla nostra meditazione delle cose di Dio.

Poco tempo dopo ricevetti l’avviso che la mia giovine era morente: questa notizia fu recata da un soldato il cui aspetto dimostrava serietà, buon senso e pietà.

“Sono mandato signore, dal padre e dalla madre di Elisabetta W..., per sua particolar richiesta, a dirvi quanto tutti desiderano di vedervi. Ella se ne andrà signore, assai presto.”

“La conoscete voi da molto tempo?” risposi io.

“Da circa un mese, signore. Io amo molto visitare gli ammalati; e, sentendo parlare di lei da varie e serie persone che abitano il vicinato, andai a vederla. Io benedico sempre Iddio che mi ci ha fatto andare; la sua conversazione è stato assai proficua per me.”

“Mi consolo,” diss’io, “di vedere in voi, com’io spero, un fratello soldato; giacchè sebbene differenziano le nostre divise, pure spero che militiamo sotto un medesimo Capitano spirituale. Ebbene! io verrò con voi.”

Il mio cavallo fu in breve preparato: il mio [p. 23 modifica]compagno militare camminava al mio fianco, e mi consolò con diverse pie conversazioni. Egli mi diede diverse rimarchevoli testimonianze dell’eccellente disposizione della figlia del lattaio, come apparvero da diversi discorsi ch’ella ebbe con lui.

“Ella è un diamante risplendente,” disse il soldato, “e ben presto brillerà più di qualunque diamante della terra.”

La conversazione ingannò la distanza, e raccorciò il tempo; dimodochè ci trovammo senza accorgercene vicinissimi alla capanna del lattaio.

Più ci avvicinavamo, e più il silenzio regnava fra noi.

I pensieri della morte, dell’eternità e della salvazione occuparono la mia mente, alla vista della casa ove giacea una credente moribonda; e non dubito punto che nei medesimi pensieri si trovasse l’animo del mio compagno.

Non un oggetto vivente si vedea al difuori della capanna, se si eccettua il cane del lattaio che faceva una specie di muta sentinella sull’uscio, giacchè non abbaiò al mio arrivo com’era solito di fare. Pareva partecipasse al duolo e al dispiacere della famiglia, e non voleva disgustarla con un penoso ed inutile all’arme. Si avanzò verso la porta del giardino, e quindi volse lo sguardo verso la casa come se fossegli nota la tristezza che in essa regnava. Pareva dicesse: “Camminate pian piano sul limitare di una casa di lutto; poichè il cuore del mio padrone è immerso nel dolore.” Una solenne serenità appariva tutto intorno a questo luogo. Io aprii cautamente la porta, e niuno comparì; tutto era silenzio. Il soldato mi seguiva, finchè arrivammo a’ piedi della scala.

“Sono venuti,” disse una voce ch’io riconobbi per quella del padre; “sono venuti.”

Egli comparve sulle scale, ed io, senza parlare, gli porsi la mano. Entrando nella camera di sopra, vidi la madre ed il fratello di Elisabetta sorreggendo la molto amata sorella e figlia. La moglie del figlio stava seduta mesta e piangente vicino ad una finestra, tenendo un piccolo fanciullo fra le braccia; due o tre altre persone si trovavano nella camera eseguendo alcuni [p. 24 modifica]servizi che l’amicizia o la necessità richiedeva loro di eseguire.

Io mi sedetti vicino al letto. Non potea piangere la madre, ma gettava invece de’ gran sospiri guardando alternativamente ora me ed ora Elisabetta. Le grosse lagrime che scorrevano sulle gote del fratello indicavano a sufficienza l’affetto che le portava. Il vecchio e dolente padre stavasi a’ piedi del letto, non potendo levare lo sguardo da colei che sì presto lo dovea abbandonare.

Gli occhi d’Elisabetta erano chiusi, e perciò non potè accorgersi della mia venuta; ma nella sua faccia, sebbene pallida ed esangue, regnava trionfante quella pace di Dio che sopravanza ogni umano intendimento.

Dopo una breve pausa, il soldato, porgendomi la sua Bibbia, indicò col dito l’Epistola prima di Paolo ai Corinti, xv, 55-57. Io ruppi dunque il silenzio leggendo il passo:

“Oh! morte, ove è il tuo dardo? o inferno, ov’è la tua vittoria? Or il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge. Ma ringraziato sia Iddio, che ci dà la vittoria per il Signor nostro Gesù Cristo.”

Al suono di queste parole aprironsi i di lei occhi, e qualcosa simile ad un divino raggio di luce balenò sul suo volto, dicendo: “Vittoria! vittoria! per il nostro Signore Gesù Cristo.” Chiuse di nuovo gli occhi, senza rimarcare nessuno di quelli che si trovavano presenti.

“Dio sia lodato per il trionfo della fede,” diss’io.

Uno sforzo per respirare sollevò il petto della morente giovine; superatolo, io le domandai:

“Mia cara amica, vi sentite protetta?”

“Il Signore è veramente misericordioso verso di me,” rispose.

“Non vi sono preziose ora le sue promesse?”

“Esse sono la mia sola àncora, la mia sola speranza.”

“Soffre molto il vostro corpo?”

“Poco, che appena sento.”

“Come è buono il Signore!”

“E come malvagia son’io!”

“Voi andate a vederlo, com’Egli è.”

“Io penso... io spero,... io credo di sì.”

Ella cadde di nuovo in un breve svenimento. [p. 25 modifica]Rivolgendomi alla madre, le dissi: “Che consolazione è l’aver una creatura sì vicina al cielo com’è la vostra!”

“E qual gioia,” ella rispose singhiozzando, “se la sua povera e vecchia madre potesse seguirla colà. Ah! signore, è duro il separarci.”

“Io spero che, per grazia e per fede, voi presto la incontrerete per non più separarvene.”

“Signore,” disse il lattaio, “questo pensiero mi sostiene; e la bontà del Signore mi fortifica contro ogni sventura.”

“Padre... madre,” esclamò la meschina, “Egli è buono verso di me: confidatevi in Lui; lodatelo sempre più.”

“Signore,” ella aggiunse con flebile voce, “io vi ringrazio dell’affabilità che usate verso di me...... vi debbo chiedere un favore ancora. Voi seppelliste la mia sorella...... volete voi...... fare la medesima...... cosa... a me...... a me pure?”

“Tutto sarà a seconda de’ vostri desiderii, se ciò piace a Dio!” io le risposi.

“Grazie, signore... grazie! Un altro favore ho da chiedervi ancora. Quando sarò... morta,... ricordatevi del mio padre e della madre mia. Essi sono vecchi, ma... io spero la buona... opera è comin... cominciata nelle loro anime... Le mie preghiere sono esaudite...... Vi prego... venite qualche volta... a vederli... Io non... non... non posso parlare molto, ma... io voglio farlo per il loro bene... spirituale... Signore, ricordatevi di essi... qualche volta.”

I vecchi genitori proruppero in forte e dirotto pianto, sospirando e singhiozzando, e trovando in questa espressione de’ loro dolori alcun sollievo.

Al fine dissi ad Elisabetta: “Non provate nessun dubbio o tentazione, rapporto alla vostra eterna salvezza?”

“No, signore! Iddio si mostrò assai buono verso di me, e mi diede pace.”

“Quali sono i vostri pensieri riguardo alla tenebrosa valle della morte, ora che siete in procinto di passarle in mezzo?”

[p. 26 modifica]“Ella non è tenebrosa.”

“Come?”

“Il mio Signore è lì; ed Egli è la mia salvazione, il mio lume!”

“Temete voi di altri dolori corporali?”

“Il Signore mi tratta assai bene; io confido in Lui.”

Cadde in una specie di convulsione, e, passato questo novello disastro, ripetè sempre più il solito:

Il Signore mi trattò assai bene. Signore, salvami... io son tua. Benedetto Gesù... Prezioso Salvatore...... Il suo sangue ci purga d’ogni peccato... Chi ci separerà?... Il suo nome è magnifico... sia... lodato... Iddio... Egli ci diede vitoria... Io!... perfino io, son salva... Oh grazia! misericordia, e sublimità... Signore... ricevi... il mio... spirito.

“Mio caro signore,... caro padre,... madre, amici, fratello, io me ne vo; ma tutto bene... bene... bene!” Ella ricadde; c’inginocchiammo per pregare. Il Signore era fra noi e ci benedisse.

Fintantochè io rimasi colà, ella non rivisse, nè parlò in modo intelligibile; solamente, dopo qualche istante di deliquio, passò dal sonno alla morte, dalla morte alla vita eterna, ed andò per sempre fra le braccia del Signore “che la trattò con tanta bontà.”

Un’ora dopo ch’ella cessò di parlare, io mi partii dalla capanna e stringendo la mano di colei che già ci abbandonava, quasi ne ricevessi novella vita, dissi: “Cristo è la risurrezione e la vita.”

Ella mi rese il saluto con una gentile e leggiera stretta di mano, ma non potè nè aprir gli occhi nè parlare. Io non ebbi mai parte ad una sì commovente scena, ella occupò intieramente la mia immaginazione.

“Addio, amica mia diletta,” diss’io fra me andando a casa, addio! finchè l’aurora d’un eterno giorno rinnuovi i nostri personali trattenimenti. Tu fosti un tizzone scampato dal fuoco: potessi tu or divenire una stella rilucente nel firmamento della gloria! Io vidi la tua luce, le tue opere, e perciò voglio glorificare il nostro Padre ch’è nei cieli. Io vidi nel tuo esempio cosa sia un peccatore gratuitamente salvato per la fede e per la grazia. [p. 27 modifica]Io appresi da te, come in un puro specchio, chi è che principia, continua e finisce l’opera di fede e di amore. Gesù è tutto in tutti, Egli deve essere e sarà glorificato. Egli guadagnò la corona, ed Egli solo è degno di portarla. Guai! guai a chiunque tenta usurpar la minima parte della sua gloria! Egli solo salva, e salva all’estremo. Addio, amata sorella nel Signore; la tua carne ed il tuo cuore periscono, ma il Signore Iddio è la forza del cuore, ed Egli sarà la tua dote in eterno.”

Io fui presto invitato ad assistere al funerale della mia amica, che morì pochi momenti dopo la mia visita. Molti piacevoli sebbene malinconici pensieri si connettevano all’adempimento di questo funebre uffizio. Io rammentai tutte le numerose ed importanti conversazioni ch’ebbi nel passato con lei; ma queste non poteano esistere più a lungo sulla terra. Io feci riflessioni sulla natura dell’amicizia cristiana, sia essa pure fatta in un palazzo od in una capanna; e fui grato a Dio che mi lasciò godere di un tanto privilegio coll’oggetto di questo racconto. Ma penoso ad un tratto surse nella mia mente il pensiero di non poter più udire le verità del cristianesimo, pronunziate da colei che tanto si dissetò coll’acqua della vita. Ma il ribelle mormorio fu soppresso da questa potente considerazione: “Ella andò all’eterno riposo: potrei io desiderare di richiamarla in questa valle di lagrime?”

Come io m’avvicinava alla casa ove giaceano le sue spoglie che si preparavano a discendere nella tomba, il suono lugubre d’una campana colpì il mio orecchio. Partiva da una chiesa del villaggio nella valle; era l’avviso del funerale della povera Elisabetta. Il suono solenne sembrava proclamare ad un tempo e la benedizione della morte per chi morì nel Signore, e la necessità ai viventi di ponderare bene queste cose, fermarle, e scolpirle nel cuore.

Entrando nella capanna, vidi alcuni amici cristiani che vi si radunarono per rendere il loro estremo tributo di stima e di affezione alla figlia del lattaio.

Fui però invitato a passar nella camera vicina, ove si trovavano i parenti ed alcuni altri conoscenti che per [p. 28 modifica]l’ultima volta si condolevano alla vista della già perduta creatura.

Se vi è un momento in cui Cristo, salvazione, morte, giudizio, paradiso ed inferno, si presentano più che mai come soggetto di meditazione, è certamente quando ci troviamo allato della cassa che contiene il corpo di un fedele trapassato. Le fattezze d’Elisabetta erano già alterate. I genitori stavano alla testa della cassa, ed il fratello ne stava ai piedi, esternando il grave dolore che opprimeva la loro anima; la debolezza e l’infermità compagne dell’età avanzata rendevano i poveri desolati genitori ancor più degni di compassione.

Una decente donna, che aveva l’incombenza di eseguire tutto ciò che occorresse in tale occasione, si fa avanti verso di me dicendomi:

“Signore, questa è una visita piuttosto di gioia che di tristezza. La nostra cara amica Elisabetta gode ora della gioia la più pura, io non ne dubito, col suo Salvatore. Non pensate voi pure così, signore?”

“Dopo tutto ciò ch’io vidi, conobbi, ed intesi,” risposi, “io provo in me la più grande certezza, che, mentre il corpo giace qui, soggetto alla corruzione, l’anima sua gode intatta ed eternamente pura, lassù nel cielo! Ella amò il suo Redentore quaggiù; ed ora gode la ricompensa di questo amore, per sempre, alla sua destra.”

“Pietà, pietà di me! povera e vecchia creatura;” gridò in rotti accenti la povera madre. “Pietà di me; di me che sono affranta dall’età e dalla malattia. Oh! che devo io fare? Betta è ita... mia figlia è morta. Oh mia figlia, mai più ti rivedrò. Mio Dìo! abbi pietà di me, povera peccatrice!”

“Questa preghiera, o donna,” diss’io, “vi riunirà di nuovo! Egli è un grido che ha portato delle migliaia nella gloria; egli portò colà anche la vostra figlia, e porterà, io spero, voi parimente. Egli, il vostro Dio, non rigetta nessuno di quelli che ricorrono a Lui.”

“Mia cara,” disse il lattaio rompendo il lungo silenzio in cui si tenne fino ad ora, “confidiamo in Dio, come fece la nostra figlia. Iddio dà, Iddio riprende; benedetto sia il nome del Signore. Noi siamo già vecchi, [p. 29 modifica]ed abbiamo ben poco ancora da patire; ed allora...” egli non potè proseguire.

Il buon soldato mi presentò una Bibbia, e disse: “Forse, signore, voi non avrete difficoltà a leggere un capitolo, avanti che c’incaminiamo alla chiesa.”

Io feci ciò mi chiese; lessi il quattordicesimo capitolo del libro di Giobbe. Ognuno stava in silenzio mentre io leggeva; ogni minuto speso in questa camera sembrava essere di gran valore. Feci alcune osservazioni sul capitolo suddetto, applicandolo al caso della trapassata nostra sorella.

“Io non sono che un povero soldato,” disse l’amico militare, “e non posseggo de’ beni di questa terra che il mio giornaliero sostentamento; ma io non vorrei cangiare la mia speranza di salvazione nell’altro mondo per tutti i tesori che questo contiene. Che cosa sono le ricchezze senza la grazia? Benedetto sia Iddio: in qualunque luogo ch’io vada io lo incontro. Benedetto sia il suo nome. Egli è qui oggi, adesso, in mezzo a questa compagnia della morte e della vita. Oh sì! io stimo che sia un bene il trovarsi qui.”

Molte altre persone presenti a questa conversazione, presero parte ad essa. La vita e l’esperienza della figlia del lattaio, risaltarono in modo singolare in questa occasione. Ogni amico avea qualcosa da render noto, delle di lei ottime disposizioni.

Qual contrasto fa questa scena, quando si paragona con il malinconico, formale e spesse volte indecente comportamento usato nelle assemblee funebri!

Essendo già venuto il tempo di partire per la chiesa, io andai a vedere per l’ultima volta la defunta. La sua fisonomia era espressiva, ed evidentemente si vedea esser la Elisabetta spirata col sorriso sulle labbra. Rimase scolpita sul suo volto la tranquillità della già partita anima. Secondo il costume del paese, ella fu adorna di fiori e foglie tutto intorno della cassa; questi erano fiori di breve durata è vero, ma risuscitarono l’idea di quelli del cielo che sono immortali e dove l’anima sua eternamente viva trova riposo.

Ritirandomi, dissi fra me: Pace, mia onorata sorella, [p. 30 modifica]alla tua memoria, ed all’anima mia, fino a che ci incontriamo in un mondo migliore.

In poco tempo si formò la processione; ella si rendeva più interessante considerando che il maggior numero di coloro che seguivano la bara, erano veramente persone di carattere serio e spirituale. Non eravamo avanzati ancora cento passi, quando, tutto ad un tratto e nella maniera la più aggradevole, le mie meditazioni furono interrotte da un salmo funebre che gli amici che seguiano, nella processione, i parenti intonarono. Nulla può essere più dolce e solenne. La campana distintamente si facea sentire dal campanile della chiesa, ed accresceva grandemente l’effetto che produceva questo semplice e decente servizio.

Finalmente, arrivammo alla chiesa. Il servizio fu eseguito con grande serietà e attenzione. Quando fummo al sepolcro, si cantò l’inno che Elisabetta preferiva. Ogni cosa si fece semplice, decente ed animata. Noi ponemmo il cadavere della diletta nostra amica nella fossa, colla più pura speranza d’una gloriosa resurrezione. Ella è andata; ma la rivedremo alla destra del Redentore, nell’ultimo giorno; e riapparirà nella sua gloria, come un miracolo della grazia divina.

Lettore! ricco o povero, dovremo noi pure apparire colà. Siamo noi “ornati d’umiltà” e vestiti degli abiti della giustizia del nostro Redentore? Ci siamo noi, abbandonando gli idoli, rivolti a servire il Dio vivente? Siamo noi compunti della nostra nequizia, ed abbiamo noi ricorso al Salvatore, ed alla sua bontà per ricevere forza e grazia? Viviamo noi in Lui, per Lui, e con Lui? È Egli il nostro tutto in tutto? Siamo noi “perduti e ritrovati,” “morti e risuscitati?”

Sei povero, o lettore? la figlia del lattaio era anche una povera ragazza, e figlia d’un pover uomo. In questo tu le rassomigli; ma rassomigli tu però a lei, come ella a Cristo? Sei tu ricco di fede? Hai tu una corona riserbata per te? Riposa il tuo onore sulle ricchezze celesti? Se non è così, rileggi questa vera istoria e prega; prega ardentemente onde ottenere una simile e tanto preziosa fede. Se tu ami e servi il Redentore che salvò [p. 31 modifica]la figlia del lattaio, grazia, pace, misericordia siano sopra di te. Tu hai una buona eredità; eseguisci fedelmente il tuo dovere, confidando in Lui che tutto può. Già vedesti quanto dolce e felice è la morte del giusto. Abbraccia la medesima fede in Gesù Cristo e la medesima santità di vita che brillava nella figlia del lattaio, e parteciperai allora alla inesplicabile felicità ch’ella godè, e che godono tutti gli osservatori della legge del Signore.

Note

  1. Moneta inglese del valore di 26 franchi.