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zi che l’amicizia o la necessità richiedeva loro di eseguire.

Io mi sedetti vicino al letto. Non potea piangere la madre, ma gettava invece de’ gran sospiri guardando alternativamente ora me ed ora Elisabetta. Le grosse lagrime che scorrevano sulle gote del fratello indicavano a sufficienza l’affetto che le portava. Il vecchio e dolente padre stavasi a’ piedi del letto, non potendo levare lo sguardo da colei che sì presto lo dovea abbandonare.

Gli occhi d’Elisabetta erano chiusi, e perciò non potè accorgersi della mia venuta; ma nella sua faccia, sebbene pallida ed esangue, regnava trionfante quella pace di Dio che sopravanza ogni umano intendimento.

Dopo una breve pausa, il soldato, porgendomi la sua Bibbia, indicò col dito l’Epistola prima di Paolo ai Corinti, xv, 55-57. Io ruppi dunque il silenzio leggendo il passo:

“Oh! morte, ove è il tuo dardo? o inferno, ov’è la tua vittoria? Or il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge. Ma ringraziato sia Iddio, che ci dà la vittoria per il Signor nostro Gesù Cristo.”

Al suono di queste parole aprironsi i di lei occhi, e qualcosa simile ad un divino raggio di luce balenò sul suo volto, dicendo: “Vittoria! vittoria! per il nostro Signore Gesù Cristo.” Chiuse di nuovo gli occhi, senza rimarcare nessuno di quelli che si trovavano presenti.

“Dio sia lodato per il trionfo della fede,” diss’io.

Uno sforzo per respirare sollevò il petto della morente giovine; superatolo, io le domandai:

“Mia cara amica, vi sentite protetta?”

“Il Signore è veramente misericordioso verso di me,” rispose.

“Non vi sono preziose ora le sue promesse?”

“Esse sono la mia sola àncora, la mia sola speranza.”

“Soffre molto il vostro corpo?”

“Poco, che appena sento.”

“Come è buono il Signore!”

“E come malvagia son’io!”

“Voi andate a vederlo, com’Egli è.”

“Io penso... io spero,... io credo di sì.”

Ella cadde di nuovo in un breve svenimento. Rivol-