La cieca di Sorrento/Parte quinta/III
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III.
la sera delle nozze.
Fu fissato il giorno degli sponsali.
La scritta nuziale fu regolata dallo stesso marchese Rionero, il quale parecchi giorni prima del di prefisso recossi a Napoli con Gaetano e per accomodare ogni faccenda relativa agli atti notarili e per la compera di molti oggetti di lusso cdi ornamenti necessari per guarnimento della stanza provvisoriamente destinata agli sposi.
Durante il cammino da Sorrento a Napoli, Gaetano narrò al marchese Rionero la terribil vendetta da lui presa contro il cav. Amedeo Santoni. Bionero ne fu sorpreso e spaventato, ma giurò serbare il più assoluto silenzio alla figlia su questa avventura che molto avrebbela afflitta e conturbata.
Gaetano profittò della venuta in Napoli per allontanarsi un momento dal marchese e andare in cerca d’informazioni sul notaio Tommaso Basileo, la cui morte egli ignorava. Due disegni avea Gaetano per ricercare destramente del notaio; volea dapprima porre in opera il suo proponimento di restituzione dell’equivalente del tesoro rubato dal padre; in secondo luogo egli voleva sottilmente indagare se alcuna memoria si serbasse ancora di lui nel quartiere, e se il nome di Pisani fosse interamente dimenticato.
La notizia della morte di Tommaso Basileo lo accorò, perocchè difficile se non impossibile rendevasi ormai di attuare quella restituzione che tanto gli stava a cuore.
Nissuno al mondo avrebbe potuto riconoscere nel ricco forestiero dalla lunga barba e sdraiato in soffice carrozza il povero e deforme studente di medicina del vico Chiavetta al Pendino o il commesso della curia in via Giudecca. Gaetano visitò que’ quartieri, ne’ quali era scorsa negli studi, nelle fatiche e nelle privazioni tanta parte di sua giovinezza; fece larghe limosine a’ poveri di quella parrocchia.
Verso le quattro pomeridiane, il marchese Rionero e Gaetano eran seduti a mensa nel Caffè di Europa. Dopo il desinare salivano in carrozza per trarre alla strada di ferro.
La sera eglino si trovavano di bel nuovo a Sorrento, dove con vera gioia furon risalutati da Beatrice e da Carolina rimasta a villeggiare nel casino Rionero.
Fu certo un giorno di grande solennità per tutta Sorrento quello in cui Beatrice andava a’ marito. Il marchese Rionero fece dispensare varie doti per maritaggio e grandi somme ai poverelli affinchè costoro con le loro preci avessero implorato dall’Eterno sul capo degli sposi quella parte di felicità che è dato godere al l’uomo in questa terra di pianto e di esilio.
Fin dallo spuntar del giorno, buon numero di persone di ogni età e di ogni ceto ingombra vano i dintorni della villa Rionero, per aspettare il momento in cui la bella Beatrice fosse comparsa o su i balconi o in istrada per ricevere gli attestati di affetto e i voti che per lei formavano i buoni abitanti di quella città, i quali in considerazione singolare teneano la famiglia Rionero, e sovente dal Marchese facean capo per litigi, per consigli, per raccomandazioni od altro. E il Marchese, seguendo sempre il generoso impulso del suo cuore e obbedendo alla vecchia consuetudine di beneficare, non lasciava giammai dipartirsi alcuno scontento e non soddisfatto di quello che era venuto a dimandare; laonde come il diligessero e il riguardareso i Sorrentini ben può di leggieri immaginarsi.
Tutti gli ordini di cittadini si accinsero pero a festeggiare, come fosse pubblica letizia, il matrimonio della figlia del Marchese. A prima ora del giorno, a gruppi scorgeansi soffermati nelle circostanze del casino lieti giovanotti vestiti con quanto si avean di meglio. A muta a muta salivano in sul quartiere del Marchese, il quale aveva scelto il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, pel giorno delle nozze di sua figlia.
E superfluo il dire che il dabbenuomo del Marchese fosse levato per tempissimo in quel mattino. Egli non avea potuto chiuder l’occhio in tutta la notte, e sì che sfido a dormire un amantissimo padre in un giorno come questo.
Gli è vero che Beatrice non si allontanava per ora dal tetto paterno, ma tra qualche anno la diletta figliuola avrebbe accompagnato in Inghilterra o altrove il marito. A quante cose non pensa un padre alla vigilia di metter l’amata figliuola in balia di un uomo! Come ei trepida sempre di arcani timori!!
Rionero adunque, alzatosi in sulle quattro del mattino del 29 giugno, e, recitate le sue consuete orazioni, avea cominciato a darsi movimento grandissimo. Quantunque tutto fosse stato già apparecchiato molti giorni innanzi, egli trasse dapprima nella camera nuziale, ora vuota, ma che il domani avrebbe racchiuso tra le sue mura così gran parte del suo cuore. Tutto in quella camera era ordinato con leggiadria, tutto era freschezza, tutto era disposto con quella mano amorosa e provvida che indovina i gusti e gli analizza.
Quella camera era la più remota e raccolta del quartiere: carte di Francia a vaghi disegni e colori coprivan le pareti, sì che l’occhio con diletto vi si adagiava: un vasto balcone con persiane rispondeva in sul boschetto della villa nella sua parte più solitaria; due salici piagenti toccavan quasi i bastoncelli del balcone che veniva tutto ombreggiato da un alto pino che sopra vi spiegava il suo ombrello sempre verde. Tutto il mobile della camera era lavorato da’ più abili ebanisti e tappezzieri napolitani; tutto era allucidato come specchio; divanetti a forma di conche, pastorine da sprofondarvisi con voluttà, e tanti piccoli arredi quanti ne potea capire la camera, erano allogati con gusto e con grazia: il coltrinaggio bianco e rosso che valeva la troppa luce del balcone cadeva a’ fianchi su bracciuoli di bronzo indorato; e quello del letto, di leggerissimi veli, era in sull’alto drappeggiato a rose e sormontato da due lettere d’oro che eran le iniziali de’ due sposi.
Il Marchese, entrato in questa camera, non rifiniva di guardarla con compiacenza, perocchè tutta la disposizione del mobile era stata opera delle sue mani. Il giardiniere venne indi a poco a recargli due trionfi di freschissimi fiori, che il Marchese situò in due grandi vasi di argento indorato che guarnivano i lati di superba mensola di mogano.
Tutta la gente di casa fu desta dal Marchese; l’uscio principale delle scale fu lasciato aperto, tanto che era l’affollarsi di ogni maniera di persone che venivano ad offrire al padre di Beatrice proteste di servitù, voti di fedeltà e mazzi strabocchevoli di fiori.
I famigliari del Marchese sembravano impazzati per la gioia, chè tutti amavano la Beatrice di vero amore, e la maggior parte di essi l’avea veduta a crescere; non pochi ricordavano quella cara creatura della madre, e al pianto della gioia comune mischiavasi una lagrima di rammarico per la memoria della virtuosa Albina.
Beatrice aveva il suo letto verginale accanto a quello di Carolina. Costei svegliatasi la prima, volea destare subitamente l’amica, ma nol fece, dappoichè costei dormiva con tanta placidezza, eran così rosee le sue guance, sì bello il sorriso che in quel momento si sfiorava sulle sue labbra, le palpebre erano abbassate con tanta dolcezza, che Carolina rimase lunga pezza a guardarla; e poscia non potè frenare un momento di vivacità e di amore, ed, accostato il capo al volto di lei, vi stampo tenerissimi baci.
Beatrice si destò.... Nella sua dolce sorpresa abbracciò l’amica, e le rimproverò di averla destata, quando il suo sonno era dolcissimo e sereno come quel giorno estivo che si levava, puro di nubi e di vapori, sulla marina di Sorrento.
Le due fanciulle si alzarono, dissero le loro preghiere, e andarono a ritrovare il Marchese che le abbracciò.
Poco stante tutta la famiglia era in piedi e riunita nel salotto buono.
Gaetano era così sbalordito e quasi incredulo della sua felicità che sembrava impensierito; i suoi occhi cercavano con avidità quelli di Beatrice, come se avessero voluto leggervi l’animo della fanciulla; ma costei pareva lietissima o almeno tal si mostrava stretta al braccio di Carolina, dal cui fianco non si scostava un sol momento; sembrava incerta, paurosa; trasaliva ad ogni parola che le si diceva; arrossava fin nella radice de’ capelli allora che Gaetano le si accostava, e più fortemente premeva il braccio della figliuola del Conte.
Nessuna penna fisiologica potrà mai descrivere quello che passa nel cuor di una fanciulla nei momenti che precedono il solenne giuramento onde è ligata al destino di un uomo. Qualunque congettura si perderebbe ne’ misteri di quel cuore, pel quale la vita lascerà tra poco di essere un mistero. Molto meno tenteremo di descrivere lo stato dell’anima di Beatrice posta in condizioni così eccezionali rispetto all’uomo, cui stava per congiungersi in indissolubil nodo.
Era stato stabilito che le nozze si sarebbero celebrate a casa. A tal uopo il Marchese aveva fatto costruire nel salone un piccolo altare con tutto l’occorrente per la sacra cerimonia: il mattino, tutta la famiglia si sarebbe recata alla Cattedrale per assistere a’ divini uffici delle feste di precetto e per implorare da Dio le celesti benedizioni.
Alle undici, due carrozze uscivano dal casini Rionero: nella prima eran sedute Beatrice, Carolina, Geltrude, la vecchia duchessa zia del Marchese, venuta il dì precedente per la lieta occasione; nella seconda il Marchese Rionero, Gaetano e il conte Franconi.
Su tutte le vie, per le quali passavan le carrozze levossi un grido di benedizione agli sposi e al marchese Rionero. Da per ogni dove si udivano parole di ammirazione per la bellezza della sposa; nè mancaron di quelli che trovaron bello anche lo sposo, tanta è la forza dell’entusiasmo nel cuore dell’onesta gente della campagna e de’ villaggi. Da per tutto scendevano su i due cocchi gruppetti di viole, foglioline e petali di rose spicciolati, confetti e nastriere di zucchero; non mancò qualche sonetto.
Il cuor del Marchese era rapito da tante ingenue dimostrazioni di affetto: i suoi occhi ne eran gonfi di gioia; la sua anima cercava la più pura azione di grazia per rivolgerla al cielo che di tanta contentezza il facea lieto.
L’accompagnarsi di così illustre maritaggio avea richiamato nel Duomo una folla di curiosi, ivi adunati a vedere ì due fidanzati: le gradinate e il vestibolo del tempio eran gremiti da una moltitudine di contadini e di marinai, i quali si sberrettavano tutti al salir della nobil comitiva, e molti si contesero l’onore di tener alzato il coltrone della porta grande per darle passaggio libero. Il Marchese fu largo inverso tutti di benevola parole, di doni e di limosine; tutt’i poverelli gli baciavan la mano e si prostravan reverenti e affettuosi.
Fu offiziata la messa cantata, la quale venne da tutti udita con divozione e raccoglimento.
Gaetano si era alcun poco appartato dal resto della comitiva per abbandonarsi con più agio e solitudine alle meditazioni che gl’ispirava la solennità di quel giorno, il più bello della sua vita...
I religiosi accordi dell’organo, le preci dei fedeli le quali si levavano al cielo in tutta la semplicità del loro linguaggio parlavano al cuor di Gaetano una favella divina, ignota, che gli metteva il pianto negli occhi. Un raggio di sole, scappato dalla lanterna della cupola, veniva a riposarsi sul capo di Beatrice. Quell’aureola di polve d’oro dava a’ lineamenti di questa fanciulla un’incantevole trasparenza e castità. Gaetano la contemplava con beatitudine, con rispetto, e dal fondo del suo cuore partì un inno di grazie all’Eterno.
Il desinare fu lietissimo e condito di quella giocondità che deriva a’ cuori dalla virtù e dallo scambievole amore.
La mensa era imbandita con isquisitezza di gusto. Varie credenze a scalee eran messe d’attorno alla mensa, su i gradi delle quali erano schierati in bell’ordine bottiglie di vini oltramontani, vasolini di fiori, fontane di siroppati; obelischi di croccanti, stelle di creme, piramidi di ciliege e di aranci del paese, e trofei di fragole miste a festoni di uve vernerecce. Vasellami finissimi e cristalli faccettati eran commisti tra i diversi ordini de’ dolci e delle frutte.
L’allegria del desinare fu composta e serena come si addiceva alla solennità di un maritaggio e alla presenza delle gentili dame che sedevano al convito.
Giunse la sera.
Da tutt’i vani del casino partiva un torrente di luce, e su i vetri de’ balconi e delle finestre venivano ad infrangersi e a ripetersi i mille lumi de’ doppieri, delle lamiere e de’ globi d’alabastro. La villetta presentava eziandio uno spettacolo ridente e pittoresco, imperocchè fanaletti di ogni colore erano appesi a’ rami degli alberi, e in fondo al viale in mezzo era alzato un magnifico padiglione illuminato di dentro e di fuori.
Nulla di più gaio alla vista La moltitudine festante si agglomerava intorno al casino, giù nel portone, si afferrava a’ balaustri della villa e ricolmava tutta quella strada Isabella come per grande e straordinario movimento.
Questa folla fece ala di repente e si tenne in rispettoso raccoglimento e silenzio.
Passava Monsignor Prelato della Diocesi di Sorrento, il quale si recava a celebrare egli stesso il matrimonio della figliuola del Marchese.
Nell’interno del casino non era men gaio e splendido lo spettacolo ravvivato dalla gioia di quella famiglia.
Il Marchese Rionero avea lasciato libero a tutti l’ingresso, tranne a quelli che per povertà di vestimenti avessero offerto spiacevel contrasto con la magnificenza della festa. Vasi di argento con entro ogni sorta di delicate confetture eran messi in sulle mensole a disposizione di tutti.
Un grido di ammirazione scoppiò dal labbro di tutti gli astanti...
Beatrice era apparsa.
Vestiva un abito bianco e trasparente con gale di rose eziandio candidissime, stretto alla cintura da una ciarpa azzurra cilestre; i capelli eran coronati da un giro di rose; le braccia eran nude siccome l’altezza del seno, su cui splendeva una croce di brillanti.
Ella si appoggiava al braccio di Carolina, vestita anch’ella con eleganza che rivelava un gusto sopraffino e una consuetudine alla più scelta società. Un abito di velo color rosa con due bianche reticelle dava all’abbagliante bianchezza della sua carnagione qualche cosa di aereo e di diafano: un filo di perle cadea sulle spalle interamente ignude; una camelia rossa era tutto l’ornamento de’ suoi capelli.
Il marchese Rionero, il conte Franconi e Gaetano eran vestiti tutto di nero, tranne il farsetto che era bianco.
Carolina si pose al pianoforte, e ne trasse religiosi accordi, mentre preparavasi il tutto pel solenne giuramento nuziale.
La cerimonia ebbe luogo nel più religioso silenzio: tutti gli occhi, bagnati di lagrime, eran fissati sulla coppia genuflessa a’ piedi del Ministro della Chiesa, che, con le mani spiegate su’ loro capi, impartiva loro la benedizione di Dio.
Gaetano avea passato l’anello nuziale al dito della sposa, e le loro mani intrecciate tremavano l’una nell’altra come due fronde leggiere mosse dall’aura.
Il giuramento di eterna fedeltà ed amore fu profferito.
La cerimonia era compita.
Beatrice Rionero, la figliuola di Albina di Saintanges, era la moglie di Gaetano Pisani, figliuolo dell’assassino di Albina!
L’esultanza e l’allegria surrogarono la commozione ed il pianto.
Carolina, che si avea stretta al cuore e baciata con effusione grandissima la diletta sua amica, ritornò al pianoforte, ma questa volta per far risuonare gioconde e festevoli melodie.
Un Vivace motivo di polca gittò la letizia in mezzo a tutti, e gli occhi si rasciugarono, e i due sposi furon circondati; ma eglino, seduti l’uno accanto all’altra, nulla vedeano, nulla sentivano, e rimanevansi pallidi e inanimiti nel mezzo del concitato universale movimento di giubilo.
Nissuno volea dipartirsi senza sentir la voce di Beatrice. Ella non avea più cantato dal giorno in cui avea riacquistato la vista.
Tutti le furon sopra a pregarla di cantare la più piccola cosa. Beatrice si schermì per quanto potè, chè lo stato della sua anima non le per metteva di abbandonarsi a distrazioni di sorta; ma vinta e soggiogata dalle preghiere di tutti ed in ispecie della sua amica Carolina, si sedè al pianoforte e cantò la Cieca di Sorrento, quella romanza così triste, così patetica, che ella solea cantare ne’ suoi giorni di tenebre e di angosce.
La sua voce fu pianto amarissimo allorchè giunse alle parole:
Nell’albor del viver mio
Vidi in sogno il paradiso,
Ed un angiolo di Dio.
Mi baciava gli occhi e il viso.
Beatrice avea voluto cantare per l’ultima Volta quella canzone che le ricordava la sua cecità; era un ultimo sospiro alla sua verginità, un addio alle solinghe gioie della sua vita passata. Mal potremmo dipingere quel che provò il cuor di Gaetano ascoltando quella flebil melodia che gli rivelò la prima volta i tesori di amore che si nascondeano nel cuore della cieca; quella melodia che egli aveva imparata perfettamente a memoria e che soleva racconsolarlo nelle sue ore più torbida e disperate; quella melodia che gli venia sulle labbra allora che infermo per la ferita alla spalla si giaceva in letto nell’Albergo delle Crocelle.
Beatrice fu udita a cantare nel più rigoroso silenzio, e quando ebbe finito si trovò tra le braccia di Carolina che avea gli occhi rossi di pianto.
Il rimanente della serata passò nella più cordiale allegria. Le stanze del casino e viali della villa erano zeppi di persone di ogni ceto che il Marchese aveva ammesse a prender parte co’ festeggiamenti.
I rinfreschi di stagione girarono per tutta la serata non meno che i prelibati vini e i zuccheri canditi.
Mezzanotte suonava alla Cattedrale. A quest’annunzio dell’ora tarda, i diversi gruppi si sperperarono, la gente straniera alla famiglia si accomiatò a poco a poco dal Marchese, rinnovandogli i più caldi auguri per la sua felicità e quella degli sposi.
Il conte Franconi e sua figlia si ritrassero nelle rispettive loro camere.
Lacerante di tenerezza fu il bacio che si scambiarono le due amiche prima di separarsi.
Il Marchese, Gaetano e Beatrice restaron soli nella stanza nuziale.
Gaetano comprese che bisognava lasciar pochi momenti di solitudine all’amor paterno e filiale, e destramente si allontanò sotto un pretesto.
Beatrice si tolse dalla chioma la corona di rose e si gittò nelle braccia del padre; diè sfogo a tutti gli affetti che le opprimevano il seno: pianse a lagrime dirotte, nascondendo il capo sul petto del genitore.
Il Marchese era talmente stanco di commozioni e sfinito di fatiche che non si trovò lagrime sul ciglio ma il suo petto sì allargava sotto il capo della sua figlia, cui egli stringeva con somma tenerezza.
Poco stante, il Marchese alzava il capo di sua figlia, ed imprimeva un bacio sulla fronte di lei.
Nessuna parola si era scambiata tra loro.
Le loro mani si erano incontrate. In un momento, la destra del Marchese afferra, quasi convulso, la destra di Beatrice e attentamente si pone a riguardarne il rovescio delle dita.
Egli non crede a’ propri occhi; gli sembra un giuoco di fantasia, un inganno ottico.
Al dito di Beatrice il Marchese avea veduto l’anello nuziale da lui passato, nel dì delle nozze alla infelice sua moglie Albina dì Saintanges.
Era l’anello rappresentante due mani intrecciate, nel cui mezzo era un brillante di gran valore.
Beatrice guardava trasognata il padre che era diventato pallidissimo, stupefatto; e i capelli gli si eran rizzati in sulla fronte, e non lasciava di figgere uno sguardo secco e ardente sul gioiello che avea tolto dal dito della figliuola.
In questo, Gaetano entrava nella stanza nuziale.
Il Marchese gli corse incontro quasi demente, gli afferrò il braccio e, mostrandogli l’anello:
— Donde aveste quest’anello, Signore, gli disse.
Gaetano imbiancò come morto e guardava a vicenda l’anello e il Marchese, senza parlare.
— Donde aveste questo anello, signore? tornava a dimandargli con voce tonante il Marchese.
— Questo anello, dicea Rionero fissando sul gioiello uno sguardo da folle, questo anello che avete passato al dito di mia figlia è quello stesso che io passai alla destra di mia moglie Albina di Saintanges, crudelmente assassinata diciassette anni or sono... quest’anello si trovava in un cassettino di gioie che fu involato dall’assassino.
Durante queste parole del Marchese non possiam dire qual’espressione prendeva il volto di Gaetano; i suoi occhi avean fatto un giro convulsivo nelle loro orbite.
— Il nome, il nome dell’assassino, signor Marchese? chiedeva Gaetano.
— Nunzio Pisani, rispose quegli.
Gaetano gettò un grido mortale... e cadde genuflesso...
Il Marchese gli afferrò le braccia:
— Chi sei tu dunque? Parla... oh... parla... Dio possente!
Gaetano Pisani, figlio di Nunzio, mormorò questi e cadde con la fronte in sul pavimento.
Il Marchese era corso a sostenere tra le sue braccia la figliuola che più non dava alcun segno di vita.