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stato già apparecchiato molti giorni innanzi, egli trasse dapprima nella camera nuziale, ora vuota, ma che il domani avrebbe racchiuso tra le sue mura così gran parte del suo cuore. Tutto in quella camera era ordinato con leggiadria, tutto era freschezza, tutto era disposto con quella mano amorosa e provvida che indovina i gusti e gli analizza.

Quella camera era la più remota e raccolta del quartiere: carte di Francia a vaghi disegni e colori coprivan le pareti, sì che l’occhio con diletto vi si adagiava: un vasto balcone con persiane rispondeva in sul boschetto della villa nella sua parte più solitaria; due salici piagenti toccavan quasi i bastoncelli del balcone che veniva tutto ombreggiato da un alto pino che sopra vi spiegava il suo ombrello sempre verde. Tutto il mobile della camera era lavorato da’ più abili ebanisti e tappezzieri napolitani; tutto era allucidato come specchio; divanetti a forma di conche, pastorine da sprofondarvisi con voluttà, e tanti piccoli arredi quanti ne potea capire la camera, erano allogati con gusto e con grazia: il coltrinaggio bianco e rosso che valeva la troppa luce del balcone cadeva a’ fianchi su bracciuoli di bronzo indorato; e quello del letto, di leggerissimi veli, era in sull’alto drappeggiato a rose e sormontato da due lettere d’oro che eran le iniziali de’ due sposi.

Il Marchese, entrato in questa camera, non rifiniva di guardarla con compiacenza, perocchè tutta la disposizione del mobile era stata opera delle sue mani. Il giardiniere venne indi a