La cieca di Sorrento/Parte quinta/II

II. La parola di matrimonio

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II.


la parola di matrimonio.


Il domani, tutto era in movimento nel casino Rionero. Il Marchese avea disposto gli apparecchi per la lieta occasione della promessa parola di matrimonio di sua figlia. Non sì tosto albeggiò, il casino fu ingombro da pittori per tingere alcune pareti sbiadate, e da tarsiatori per inverniciare e ricommettere parecchie suppellettili. I servi erano affaccendati a ripulire le stanze, a sprimacciare i guanciali de’ divani, ad assettare tutt’i trastulli e i doppieri che eran sulle mensole, a situare i torcetti nelle lumiere, a drappeggiare le cortine. Il cuoco era inteso al desinare che in quel giorno esser doveva splendidissimo e per apparecchi, per vivande e per vini.

Il giardiniere era anch’egli in faccende nella villetta: radeva i viali, livellava la ghiaie, [p. 71 modifica]smozzicava e tosava i tronchi, acconciava le steccate, ripuliva i rosai, rastrellava le frondi cadute; si dava insomma la più gran fatica del mondo per far bello e appariscente il giardino.

A veder tutto questo movimento e questo affacendarsi, ognuno avrebbe potuto credere che una folla di comitati sarebbe giunta tra poco al casino per festeggiare il giorno in cui la vaga Beatrice dava parola di matrimonio, eppure non altri erano stati invitati alla gioia della famiglia che il conte Franconi e la costui figliuola.

È questo il momento di far notare una circostanza non poco importante. Fin da’ primi momenti che Beatrice ricupero la vista, Gaetano avea rivolto al Marchese la strana preghiera di non ammettere in sua casa che solo quegli uomini che per la loro età e per la volgarità del loro stato non avessero potuto fare alcuna impressione sull’animo di Beatrice. Egli era geloso, e ben ne avea le sue ragioni il tapino, imperciocchè qualunque paragone gli sarebbe stato funesto nel cuore della donna amata. Il Marchese, avvegnachè avesse fatto osservare al suo futuro genero l’impossibilità di mantener Beatrice in un circolo di sempre uguali persone, e lo avesse rassicurato su i sentimenti nobili e dilicati della figliuola, pure il volle contentare, e si astenne dal far venire nel suo casino altre persone all’infuori di quelle che erano indispensabilmente necessarie.

Il conte Franconi non pareva eccitare i gelosi [p. 72 modifica]timori del medico, perocchè vecchio egli era e antico conoscente del Marchese. Era la prima volta che la sua figliuola veniva a Sorrento per visitare la famiglia Rionero.

Verso il mezzo giorno in fatti una bella carrozza entrava nel portone del casino.

Il conte Franconi e sua figlia ne discesero e vennero ricevuti dal Marchese e da Beatrice sul primo pianerottolo delle scale.

Era la figlia del Conte leggiadra fanciulla in su i diciassette anni, e avea nome Carolina.

Le sue fattezze ben regolari eran pallide pel consueto, ma facili a soffondersi di rossore ad ogni sensazione che vivamente la colpisse; avea scuri i capelli e gli occhi che eran bellissimi e loquaci; le labbra sorridenti e improntate di quella grazia che attrae la simpatia, la confidenza, e l’abbandono. Comecchè piccola di statura e di concitate movenze, il suo portamento era nobile e dignitoso come le sue maniere e il suo linguaggio.

Si comprendeva a prima giunta esser quella fanciulla dotata di sensitività squisita, la quale impertanto era in lei temperata da gentile educazione e da non comune coltura di spirito. Un poco al romantico era inchinevole l’indole sua ma siffatta propensione non traspariva che quando qualche soggetto generoso e grande dava lo slancio alle sue idee e al sue parlare. Capace di comprendere e di sentire profonde passioni, i suoi occhi animavansi di vivace splendore allora che in sua presenza raccontavasi alcun che di commovente. A tutta la vivacità di [p. 73 modifica]una fanciulla congiungeva ella un sentimento elevato e superiore alla sua tenerissima età.

Felice eccezione del suo sesso, questa donzella porger poteva il tipo della vera e calda amicizia.

E se a questi particolari siam venuti sulla sua persona, gli è perchè più tardi il carattere di questa giovinetta si appalesò in tutta la sua nobil tempera accanto a Beatrice, per la quale sposato aveva quell’amicizia, di cui si rari esempi ne porgon le donne.

Non sì tosto si videro, Beatrice e Carolina indovinarono l’attaccamento che le avrebbe congiunte per tutta la loro vita. Gaetano era geloso degli uomini, e non potea sospettare che per un’anima come quella di Beatrice il bisogno vago e indefinito di amare, la tristezza naturale, e la solitudine in cui per tanti anni era vivuta, doveano di necessità cagionare un’impressione forte e potente, alla vista del primo essere giovane e bello che le si fosse presentato.

Per la prima volta che si vedeano e si conosceano, Beatrice e Carolina si abbracciamo con trasporto e si baciaron con tenerezza.

Beatrice si sedè sovra un divano al fianco della figlia del Conte, e con immenso piacere la guardava, interrogavala su tante cose, e passava le mani di lei nelle sue e le stringeva e le baciava; poscia le andava rovistando il vestito che trovava ammirabile per grazia e per semplicità, ed or lo scialletto le sollalzava dalle spalle, or toglievasi in fra le dita i merletti che [p. 74 modifica]guarnivan le maniche della veste di lei, or le snodava i nastretti ed or lisciavale la lucidissima capellatura.

Carolina trovava un incanto indicibile nelle maniere care ed ingenue di Beatrice, e non sapea saziarsi di ammirar la costei bellezza perfetta, tinta da leggiadra malinconia. E poscia che per qualche tempo fornivan di parlare, le due giovinette tornavano in su i baci scambievoli e nelle più affettuose carezze.

Il Marchese Rionero, Gaetano e il conte Franconi discorrean tra loro, aspettando l’arrivo del ministro di Dio che doveva ricevere l’anticipata promessa di unione, o i voti di felicità che dai cuori di quella famiglia volavano al cielo pei due fidanzati.

Gaetano era vestito con tanto gusto ed eleganza che a prima vista sembrava un bell’uomo. Una giubba nera, tagliata a Parigi nel tornar che egli fece da Londra a Napoli, facea spatir la leggiera gobbosità delle sue spalle e dava a tutto il corpo grazia e sveltezza: un goletto di finissimo raso cilestre teneva altetti e distesi due colli rotondi di camicia e scendeva giù nel petto in intrecci e sgonfi fissati da una spilla la cui testa era un rubino: un corpetto di vaghissima stoffa nera listata a gentili festoni gli acconciava e disegnava il busto: calzoni neri tagliati parimente a Parigi dal famoso Bonjean compivano il vestimento del giovin medico.

Dal giorno in cui Gaetano si era invaghito della cieca, sorto gli era potente nel cuore il desiderio di fare scomparire, per quanto era [p. 75 modifica]possibile, agli occhi altrui la propria deformità. A tal uopo, per dissimulare la sconcezza delle labbra, egli si avea lasciato crescere interi la barba e batti, nutricandoli con estrema cura.

Ed ora le due estremità del suo volto eran ricoperte da folti peli lucidissimi, benchè così biondi che inchinavano al rosso. Non poca fatica avea dovuto durare il povero Gaetano per dare a’ suoi capelli, naturalmente ruvidi e arruffati, un avviamento morbido e un’estrema lucidezza.

Beatrice il guardava questa volta con compiacenza sia perchè in fatti Gaetano avea nel suo aspetto qualche cosa di severamente maschile e nobile, sia perchè indovinasse nel suo fidanzato quel segreto desiderio di apparire agli occhi di lei il meno sfavorevolmente che gli fosse stato possibile.

A mezzo giorno giunse il Ministro della Chiesa, il Parroco di Sorrento.

Costui pronunziò un breve discorso su i doveri dei coniugi e quindi si accinse a interrogare ciascheduno de’ due:

— Sig. Oliviero Blackman, la religione che Ella professa è la cattolica-apostolica-romaha?

— Sì, rispose questi con voce monca e turbata.

— Qual’è la sua patria, signore?

— Londra, rispose Gaetano, abbassando gli occhi torvi e sospettosi.

— Come nomavansi i suoi genitori?

Gaetano non si aspettava questa [p. 76 modifica]interrogazione, che gli piombava addosso come colpo di fulmine: di leggieri avrebbe potuto inventare due nomi immaginari; ma egli temea sempre un nascosto pensiero, un sospetto in chiunque gli volgea dimanda su i genitori, epperò alla interrogazione del Parroco rimase sbigottito come se quella non avesse dovuta essergli diretta. Pochi momenti restò in silenzio con le labbra socchiuse, con gli occhi fissati sul Parroco; il quale, credendo distrazione lo sbigottimento del fidanzato, stimo necessario ripetergli la inchiesta.

— Ebbene, sig. Blackman, a che pensa? Ho l’onore di domandare i nomi riveriti dei suoi genitori.

Gaetano non iscorse in sul volto del Sacerdote alcun segno di sospetto o di secondario pensiero, si ricompose però e, infingendo distrazione, rispose smozzicando le parole:

— Il nome di mio padre è... Paolo Alfonso, e mia madre avea nome... Maria.

Il primo nome era quello del marchese Rionero e il secondo era in fatti il nome della madre, moglie di Nunzio Pisani.

Tutti furon sorpresi della strana coincidenza de’ nomi dei due genitori degli sposi. Il Marchese ne trasse presagio di felice avvenire.

Le altre interrogazioni di rito furon fatte ad entrambi i fidanzati.

Non saprem dire quello che soffrì il cuor di Gaetano durante quell’interrogatorio. Invece d’una parola di matrimonio, pareagli quello un processo criminale, nè altrimenti sarebbe stato [p. 77 modifica]un reo alla presenza de’ suoi giudici del come egli stava al cospetto del ministro di Dio. Quella simulazione cui il suo destino il condannava, gli sembrava delitto enorme. Ingannar Beatrice, il marchese Rionero, la più cara delle donne, il più virtuoso degli uomini, gli era talmente insopportabile che stette sul punto di rinunziare al matrimonio, per non essere costretto a mentire. Più d’una voltagli si affacciò alla mente l’audace pensiero di gittarsi ai piedi del Marchese, abbracciargli le ginocchia, e tutto palesargli il vero esser suo; avrebbe allora il Marchese acconsentito ad un tal matrimonio? Avrebbe questi permesso che sua figlia, di legnaggio nobile, di onorate ed illustre discendenza, fosse la moglie del figliuolo di un pubblico ladro ed omicida pubblicamente afforcato? Ancorchè di tanto eroismo fosse stato capace il Marchese, potea ciò sperarsi dalla figliuola?

D’altra parte Gaetano pensava alla inutilità di simigliante confessione, la quale avrebbe renduti infelici tre esseri senz’alcun pro a nessuno. Il nome di Gaetano Pisani più non esisteva nel mondo; a che risuscitarlo? A che far rigermogliare un casato macchiato d’infamia e di sangue? Pisani più non esisteva... Questo nome abborrito si estinse sotto la scure del carnefice il dì 9 ottobre 1828.

Gaetano adunque persuase sè medesimo che egli non mentiva asserendo chiamarsi Oliviero Blackman; a nessuno aveva usurpato questo nome. Egli formava il ceppo di una nuova famiglia, lo stipite di un nuovo casato. [p. 78 modifica]

Nè avea mentito il calabrese allorchè rivelò i nomi dei suoi genitori, imperciocchè Maria si chiamava sua madre, e, riguardo al padre, il marchese Rionero nol diveniva in fatti per effetto del matrimonio?

Ciò nondimeno, davagli tortura il pensiero di dover vergognare di sè medesimo e mascherare la sua vera entità, mentre tanto egli avea fatto per vincere il proprio fato.

La gioia di diventar tra poco marito di Beatrice fece dimenticare a Gaetano ogni altro torbido pensiero e tutto si abbandonò alla felicità di possederla.

Beatrice non era lieta, ma la sua fronte era rischiarata e serena, aveva ora un padre, un fratello e un’amica, tre esseri che l’amavano con trasporto e che avrebbero datola loro vita per risparmiarle una sola lagrima.

La figliuola del marchese Rionero avrebbe dovuto esser felice; ma... la felicità non è il retaggio dell’uomo: essa gli sfugge come larva.

Beatrice, vestita tutta di bianco, pallida, e cogli occhi velati di lagrime, non sembrava già una vergine che si appresta a nozze, ma sibbene una vittima che si accinge volontaria al sacrificio.