La cieca di Sorrento/Parte quarta/III

III. Colezione da celibi

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III.


colezione da celibi.


Amedeo aspettava con impazienza il risultamento dell’attentato sulla persona di [p. 26 modifica]Gaetano; il cuore gli battea con violenza; avea quella febbre che rode le anime perverse allorchè attendono i frutti delle loro esecrabili opere.

Abbiam detto che tre sicari erano stati da lui incaricati di eseguire il misfatto. Quegli che addusse la favola della malattia dello zio e che menò il medico al luogo, in cui si dovea compiere il macello, spinto che ebbe Gaetano in quella maniera di sepoltura, tornò, per altra via, alla strada Nardones, sicuro che i due suoi compagni avrebbero spacciato per l’eternità il dottore.

— Tutto è stato eseguito a capello, disse il sicario al cav. Amedeo; a quest’ora l’amico incomincia a nutrir col suo corpo i topi e le donnole della vecchia cantina in su Betlemme.

Sul volto dello scellerato Amedeo lampeggiò una gioia feroce.

— E non, hai aspettato che i tuoi compagni fornissero l’opera? chiese indi al sicario.

— Mi era cuore di volare a renderle conto della buona riuscita della mia parte. Se Vostra Eccellenza avesse veduto come il gonzo mandava giù nello stomaco le pappolate ch’io gl’imbeccava sulla repentina infermità di mio zio! Com’è feconda la mia fantasia! Lodato il cielo, tutto andò bene, e or ora verranno Peppe e Antonio a raccontarle quante botte han regalale al gobbo. Sta sera pecchieremo un poco alla sua memoria; e ci daremo un bocconcino dilicato per solennizar la giornata. Non [p. 27 modifica]siamo pappalardi, grazie al cielo, ma il buono è sempre buono, e il ben di Dio sta per tutti. Vostra Eccellenza comanda altro da me?

— No; badate che il vostro silenzio su questo fatto vi assicura una pensione vitalizia.

— Che dice mai l’Eccellenza Vostra! Le par mo che noi andremo buccinando i fatti nostri a dritta e a manca per andare a far sulle forche la figura del grappolo d’ava! Dorma a quattro cuscini, Eccellenza, e non pensi a niente, tranne a guardarsi la salute e a divertirsi. Le bacio le mani.

Il sicario uscì. Amedeo restò aspettando gli altri due che doveano venire a rassicurarlo interamente sul già compiuto misfatto.

Ma invano aspettò quel giorno, quella sera e il dì appresso; que’ due non vennero.

Amedeo mandò, dopo alquanti giorni, quel medesimo sicario per ricercar degli assassini e del morto, ma quegli tornò diceado con occhi smarriti, che nissan cadavere avea rinvenuto nell’antro a Betlemme, e che non sapea che cosa fossero addivenuti Peppo e Antonio.

I lettort ricorderanno che, il domani dell’attentato, Gaetano avea rivelato il tutto all’autorità, tacendo nondimeno il nome del principale autore dell’agguato.

Amedeo vivea nella più mortale inquietudine perocchè ignorava se il medico inglese fosse morto o vivo. Avea pensato parecchie volte di andare egli stesso a Sorrento per torre informazioni sul Blackman; ma se costui fosse [p. 28 modifica]tuttavia vivente! Alcun poco temperava i timori del Cavaliere la speranza che i due assassini non avessero rivelato il suo nome al Blackman nel momento di eseguire il delitto, comechè egli lo avesse loro imposto, non potendo mai supporre che il colpo andasse a vuoto.

«Forse il Blackman ignora l’autore dell’attentato, dicea nella sua mente il Cavaliere; forse ei non ha visto nei suoi assassini che due ladri, i quali altro scopo non aveano che rapirgli con la vita le sostanze che portava addosso. Forse que’ due, commesso il delitto, sen fuggirono per sottrarsi alla giustizia e godersi altrove il frutto dell’opera comune».

A quest’ultima ipotesi fermossi il Cavaliere, chè la più probabil gli parea, anzi qual certezza la tenne dappoi che molti altri giorni scorsero senza che altro avesse potuto sapere sulla sorte del Blackman e de’ due sicari. Soltanto davagli pensiero e molestia il dubbio in cui era se l’abborriio rivale fosse oppur no ancora in vita.

Un giorno mandò persona a Sorrento per indagar destramente se il Blackman era più tornato al casino Rionero, e seppe, con gioia, che il medico inglese più non vi era riapparso. Questa notizia fu balsamo al pensiero che lo aspreggiava; ed ormai si tenea sicuro della morte di colui, che tanto egli odiava.

Aveva il perfido signorotto deliberato nell’amo suo di ritornare, dopo alcuni mesi, a Sorrento, per ritentare le sue sedozioni sul marchese Rionero e sulla cieca. Fermato questo [p. 29 modifica]proponimento, più non pensava che a darsi bel tempo in Napoli in crocchi, in veglioni, in scorrazzate in campagna e in altri cotali svagamenti da ricchi e da giovani.

I rimorsi della coscienza, se sono terribili ai poveri nol sono meno a’ ricchi, se togli pertanto la facilità e l’agio che costoro si hanno di stordirsi il dì e la notte e soffocare nel rumore di oscene orgie quella voce potente che si alza dal fondo della loro anima e le colpe lor rimembra, e le vittime loro addita, e il pianto dell’orfanello e della vedova lor fa rintronare alle orecchie il sangue dei trafitti loro sgocciola sul volto.

La concentrazione è quella che più temono i malvagi, e però i doviziosi han questo vantaggio su i poveri, che posson più agevolmente sfuggire alloro medesimi pensieri. E Amedeo non rimaneva un solo istante da solo a solo con la propria coscienza: buttavasi con frenesie ne’ balli, nelle ragunate, dove accolto veniva con premura; e a tal modo le interne punture alcun poco attutavansi.

Il giuoco massimamente era la passione cui con maggiore ardenza si abbandonava il Santoni, imperciocchè nelle febbrili commozioni dello zecchinetto egli obbliava ogni altro pensiero.

Un mattino Amedeo aspettava amici a colezione; era l’anniversario del suo dì natalizio.

Una sontuosa imbandigione era apparecchiata in una stanza dipinta a freschi colori. Finissimi cristalli lavorati, vasi di fiori, trionfi [p. 30 modifica]di ogni maniera di frutte ed altri di zuccheri principii stuzzicanti e aromatici bicchieri conici e a calice coppe verdi pel vin del Reno con sottobicchieri d’oro, bocce magnifiche inglesi; tutto l’occorrente insomma era in bell’ordine disposto in sulla mensa e su due laterali credenze.

Era una colezione da celibi, da giovinastri allegri e spensierati; ogni tristezza doveva esser bandita da quel gaio adunamento; le ore scorrer doveano nel piacere, e nello stordimento.

Alle undici si riunirono gli amici di Amedeo; erano sei baffuti cavalieri, tra i quali il Beniamino Lionelli che abbiam veduto nel salotto del marchese Rionero a Sorrento, vi erano eziandio due giovani francesi, briosi dicitori di mottetti e faceti compagnoni.

Dopo un quarto d’ora di conversazione nel salotto dei cav. Amedeo un domestico annunziò esser pronta la colezione, e i sette cavalieri passarono nella stanza a tal’uopo apparecchiata.

Si lodò la magnificenza dell’apparecchio, il gusto del Santoni per così fatte imbandigioni; si scambiarono, poche frasi di cerimonia, e subitamente ciascheduno si pose all’opera dei denti con quel piacere che dà l’appetito sorretto dalla giovinezza e dagli agi della vita.

— Alla salute delle tue centoventi innamorate esclamò il Leonelli rivolto ai cav. Amedeo, e tracannando una coppa ripiena di via del Reno. [p. 31 modifica]

— E alle sue prossime nozze con la Rionero disse un altro.

— A proposito di queste nozze, ci è del nuovo, n’è vero, Amedeo? chiedeva mi terzo.

— Come!

— Che ci è?

— Ci è che il nostro Amedeo manca da qualche tempo dalla sua bella senz’occhi.

— Forse la Beatrice gli è stata infedele?

— La cieca ha forse veduto?

— Il Marchese avesse per caso odorato di che stoffa è tessuto il fidanzato?

— Nulla di questo, dicea con serietà il Cavaliere per adesso queste nozze non si faranno per mie ragioni; non conveniamo in sulla dote. D’altra parte, quel marchese Rionero è un cervello stravagante, s’è posto in testa di morire in quella seccantissima Sorrento, ove spera che un giorno sua figlia ricuperi la vista. Questa mattezza lo ha preso in modo che spende un bel danaro per far venire medici e cerretani. Or si è fatto accalappiar da un esimio impostore avventuriere, da un John Bull nomato Oliviero Blackman, e gli dà vitto e alloggio, e poco mancagli metta sotto al muso la figliuola.

— Se non isbaglio, osservava un convitato, mi pare di aver udito a dire che questo Oliviero Blackman sia stato recentemente rubato in modo singolare.

— Sì; sì, si è parlato di quest’avventura in Napoli come di un esempio d’inaudito coraggio. [p. 32 modifica]

— Parlasi di aver quegli ammazzato i suoi aggressori tutti quanti...

— I quali gli aveano scavato una tomba, da cui soltanto un miracolo potea salvarlo.

— Questi inglesi hanno la mano così ferma.

— E che sangue freddo!

— E che animo stracoraggioso!

— Ma è poi sicuro che il Blackman viva tuttora?

— Si dicea morto.

— Sembra quasi certo che anch’egli sia estinto.

— Ne fu trovato il cadavere assieme a quelli dei due assassini.

Non potrem dire quel che soffrisse l’animo del Cavaliere a questi parlari, che temeva ad ogni momento la sua commozione il tradisse; ma infinse indifferenza, covrì con ripetute libazioni il turbamento del volto, e intanto con avidità prestava l’orecchio a quello che si buccinava sul conto del suo nemico, e non respirò liberamente che quando in qualche modo si accertava dai commensali che il cadavere dell’Inglese fu trovato assiem cogli altri. Nè in suo pensiero creder potea che diversamente fosse accaduta la cosa; imperciocchè la scomparsa del Blackman da Sorrento era una pruova che quegli più non esistesse; almeno gliene dava una probabilità che molto il rassicurava.

Tosto il conversar divenne generale; si parlava in francese, forse per un riguardo verso i due forestieri. Già s’intende che i subbietti [p. 33 modifica]della conversazione non erano altri che donne, amori, teatri, corse di cavalli e ballerine. Raccontavansi aneddoti scandalosetti, bizzarrie del giorno, fatti originali. Uno dei due francesi narrò con grazia la curiosa strambezza di cui tutta Parigi era piena in quell’anno, della Contessa... ricchissima dama russa, la quale avendo avuto, sempre una singolar predilezione pe’ cani, a segno che spendeva per un King’ Charles il prezzo di un ottimo cavallo, ebbe un bel dì pensiere di dare una mattinata di cani: spiccò a tal uopo molti biglietti d’invito, non mica ai padroni delle bestie, ma alle stesse bestie, espressi a tal guisa: I cani della signora Contessa... hanno onore di pregare i cani della signora Duchessa... di venire a passare la mattinata in loro casa. Vi sarà colezione. La merenda fu lietissima, il ricevimento fu fatto con tutte le regole e le convenienze della buona società parigina, avvegnachè a quando a quando la razza canina uscisse nel bestiale, e qualche grugnito si udisse nel bel mezzo della fratellevole giocondità.

Questo fatterello esilarò sovrammodo la brigata, si rise a sganascio; ed altre storielle furon quindi sciorinate or da questo ed or da quello de’ convitati. Il vin di Sciampagna, il biondo Sillery, mandava intanto alla soffitta i turaccioli delle sue bottiglie e i cervelli de’ suoi bevitori; sì che ora alla conversazione generale tenea dietro un rumor generale: si chiacchierava alla rinfusa di tutto e di tutti: del teatro italiano di Parigi, della Persiani, di [p. 34 modifica]Mario, della Marliani, de’ calzoni Bonjcan dei magazzini napolitani di Cosenza e di Palombo, del balletto La Protetta del Danubio e di Luisa Taglini, e di tante altre cose rimescolate alle frequenti libazioni. Era un girar di bottiglie, un cozzar di bicchieri, un trinciar di polleria e di selvaggina, un affrettar di pasticci, un vuotare di coppe; era una confusione, on urto di frasi, di epigrammi, e un berlingare fragoroso da smarrir la testa, da rintasarsi le orecchie, da fuggirsene a rompicollo.

I brindisi erano sonori e ben inaffiati. Un dei due francesi levossi in piedi, fe’ tacer la brigata e intonò l’inno della tavola:

Faut-il boire, faut-il aimer?
     De bon coeur a tout je me livre,
     Je me laisse aisément charmer;
     Tout vin, toute beauté m’énivre;
     L’homme difficile est un sot:
     Trouver tout bon, c’est le bon lot.

Le champagne et mon favori,
     Sa mousse me plait dans un verre;
     Mais au défaut de Sillery,
     Je m’accomode du Tonnerre.
     L’homme difficile est un sot:
     Trouver tout bon, c’est le bon lot,

Voulez-vous boire à petits coups?
     Eh bien! soyons long-tems à table.
     Boire à grands traits, vous semble doux?
     Versez-en dìx, et je les sable.

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     L’homme difficile est un sot:
     Trouver tout bon, c’est le bon lot.

Que la table
     Me parait aimable!
     Ce jus délectable
     Rend tout agréable:
     La tendresse
     Succède à l’ivresse:
     Bacchus et l’amour
     Sont fètés tour a tour.

Ami de la societé,
     Aucun de ses gouts ne m’offense
     Si j’aime la variété,
     C’est l’effet de ma complaisance;
     L’homme difficile est un sot;
     Trouver tout bon, c’est le bon lot.

Una salva di applausi scoppiò e i convitati si alzarono, all’esempio di Amedeo, per passare nel salone da tè. Una tavola ovale, co’ piedi cisellati a fregi ed ornamenti di buon gusto, era coperta da lucentissimi vassoi d’argento con entro tazze finissime indorate, piattini a leggiadre forme, bricchi e zuccheriere di argento! Mazzetti di sigari americani erano sperperati in sulla tavola.

I sei convitati si provvidero ciascheduno d’un sigaro, e, sorbito il tè cominciò la digestione del fumo.

La conversazione era più dimessa, ma non men lieta, e spensierata. [p. 36 modifica]

Amedeo, sdraiato sovra un elastico e morbido seggiolone ricurvo, col capo rovesciato in sulla spalliera, con una gamba distesa in sull’altra, si beava, fumando, nella più dolce digestione, e pensava alle parole che gli disse il dottore Blackman in quell’abboccamento che si ebbero nel dì in cui fu messo ad esecuzione l’attentato sulla costui vita. Il Santoni pensava al prognostico di lunga vita fattogli dal Blackman, e il suo petto si allargava, aspirando gli effluvii aromatici del sigaro di Avana, e la sua mente spaziava nell’avvenire, come in vasto campo dischiuso alle ali di tenero augello.

Un cameriere entrò a consegnargli una lettera arrivata in quel momento.

— Donde questa lettera? chiese il signorotto.

— L’ha recata un valletto, il quale ha detto non attender risposta e se ne è andato.

— Nè dimandasti chi la spiccava?

— Signornò.

— Sta bene, andate.

Il Cavaliere gittò gli occhi sbadatamente in sulla soprascritta, e lesse queste semplici parole:

Al sig. cavaliere Amedeo Santoni — Riserbatissima e urgente.

Amedeo tolse di bocca il sigaro chiese agli amici il permesso di legger la lettera, ruppe il sigillo, schiuse la carta in fretta e... mandò un grido acutissimo.

La lettera era caduta a’ suoi piedi. [p. 37 modifica]

Gli amici si alzarono e corsero a lui, gli addimadaron che fosse, ma il cavaliere Amedeo si avea coperti gli occhi con ambo le mani, e mettea gridi di dolore.

Furon chiamati i servi.

— Gli occhi!... gli occhi!... gridava Amedeo... non so... una polvere infernale è scappata da quella lettera!... Ah!... mi sento arder le pupille... presto... un aiuto... un medico!...

Non avea terminato di dir questa parola e Gaetano si mostrava sotto l’uscio del salone.

— Il medico è qua, diss’egli.

— Questa voce! sclamò atterrito Amedeo, di chi è questa voce?..

— Di Oliviero Blackman, rispose questi con pacatezza.

— Oliviero Blackman, mormorò atterrito Amedeo, a che venite?

— Non avete chiesto un medico?

— Questa, lettera... è tua; ora indovino; parla, uomo diabolico, che mettesti in quella carta?

— Non so quello che diciate signor Cavaliere, non so di lettere, non so niente, ero venuto per semplice visita; saprete che sono stato ammalato.

Durante questo breve dialogo, i servi di Amedeo avean recato un bacino pieno d’acqua e uno sciugatoio, il cui becco aveano inzuppato nell’acqua, e andavano sfregandone gli occhi del Cavaliere, il quale si contorcea pel dolore, stringeva i denti, corrugava la fronte e non potea schiuder le palpebre. [p. 38 modifica]

Gli amici di Amedeo intanto avean raccolta la lettera cascata a terra, e vi avean letto questa sola riga:

Signor Cavaliere — Un vostro amico vi avverte che il medico inglese Oliviero Blackman non è morto.

L’eccesso del dolore avea fatto cadere in deliquio Amedeo; gli amici il circondavano, gli gettavano acqua in su gli occhi, vi soffiavan su come per rimuovere la cagione dell’infiammazione.

— Presto gli si arrechi una dozzina di mignatte, ordinò Lionelli.

— Si salassi, diceva un altro.

— Gli si faccia fiutare un po’ di aceto o di etere.

— Sbottonategli la giubba, sfibbiategli il corpetto, sligategli la cravatta, gridava un quarto.

E tutti si davan da fare, menavan le mani, stavan sopra al Cavaliere, e lo animavano a confidenza nell’aiuto della medicina.

Gaetano guardava con sogghigno questo affaccendarsi di tutti, ed i torbidi suoi occhi si fissarono indi sul Cavaliere.

— A voi, dottore, gli diceano gli amici di Amedeo, vedete di che si tratta; che razza di male è questo che ha colto di botto il povero Amedeo... Ei dice che una polvere è scappata dalla lettera.

— Sogno di ebbro, disse freddamente Gaetano; questa non è che una furia di sangue; lasciate che osservi i suoi occhi. [p. 39 modifica]

E si accostò al cav. Amedeo; con forza ne schiuse le palpebre ed osservò:

— La retina è paralitica, disse indi a poco; la pupilla è distrutta; la cornea è corrosa; il Cavaliere ha perduto per sempre l’uso degli occhi. Egli è cieco!

Gli astanti misero un’acclamazione di terrore.

Gaetaao Pisani avea valicato la soglia di quella stanza.

Arrivato a Toledo:

— Alla stazione della strada di ferro di Castellammare, disse al cocchiere d’una carrozza da nolo.

E mentre la carrozza batteva il lastricato, Gaetano dicea a sè medesimo con gli occhi sfavillanti di selvaggio contento:

— Rimani ora, Amedeo Santoni, eternamente a faccia a faccia con la codarda anima tua. Vivi per piangere eternamente sulle colpe della tua vita. Così si vendica Gaetano Pisani.