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Amedeo, sdraiato sovra un elastico e morbido seggiolone ricurvo, col capo rovesciato in sulla spalliera, con una gamba distesa in sull’altra, si beava, fumando, nella più dolce digestione, e pensava alle parole che gli disse il dottore Blackman in quell’abboccamento che si ebbero nel dì in cui fu messo ad esecuzione l’attentato sulla costui vita. Il Santoni pensava al prognostico di lunga vita fattogli dal Blackman, e il suo petto si allargava, aspirando gli effluvii aromatici del sigaro di Avana, e la sua mente spaziava nell’avvenire, come in vasto campo dischiuso alle ali di tenero augello.

Un cameriere entrò a consegnargli una lettera arrivata in quel momento.

— Donde questa lettera? chiese il signorotto.

— L’ha recata un valletto, il quale ha detto non attender risposta e se ne è andato.

— Nè dimandastù chi la spiccava?

— Signornò.

— Sta bene, andate.

Il Cavaliere gittò gli occhi sbadatamente in sulla soprascritta, e lesse queste semplici parole:

Al sig. cavaliere Amedeo Santoni — Riserbatissima e urgente.

Amedeo tolse di bocca il sigaro chiese agli amici il permesso di legger la lettera, ruppe il sigillo, schiuse la carta in fretta e... mandò un grido acutissimo.

La lettera era caduta a’ suoi piedi.