La capanna dello zio Tom/Capo XXVI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capo XXV | Capo XXVII | ► |
CAPO XXVI.
La morte.
La camera di Eva, ampia, ben rischiarata, metteva, come tutte le altre stanze della casa, sopra una lunga verenda. Da una parte comunicava coll’appartamento de’ suoi genitori; e, dall’altra, con quello destinato a miss Ofelia. Saint-Clare si era compiacinto di arredarla secondo il proprio gusto — in uno stile conforme all’indole della persona che vi doveva abitare. Cortine color di rosa e di mussolina bianca pendevano graziosamente dalle finestre; sul pavimento stendeasi un tappeto, tessuto a Parigi, che avea nel centro un mazzo di rose, e tutt’all’intorno un orlo formato di fiori e fogliami. La lettiera, le sedie, i sofà erano di bambù, lavorati in forme graziose e fantastiche. A capo del letto stava una mensola di alabastro, sormontata da una statuetta rappresentante un angelo, coll’ali mollemente ripiegate, in atto di sostenere una corona di mirto. Da questo scendean pel letto cortine leggerissime di tocca color di rosa, tempestate di stelle di argento per far uffizio di zanzaruola; arredo che, per riguardo al clima, è indispensabile nelle stanze da letto; sofà di bambù, leggiadramente lavorati, erano adorni di cuscini di damasco color di rosa; e, da figure simboliche poste sovressi scendevan cortine leggerissime simili a quelle del letto. Nel mezzo della camera stava una tavola di bambù, di forma svelta, graziosa, con sovressa un uso di marmo pario, scolpito a foggia di bianco giglio, co’ suoi petali aperti e sempre pieno di fiori. Sulla tavola vedeansi i libri e i ninnoli di Eva, con uno scrittoio di alabastro elegantemente lavorato, di cui suo padre l’avea provveduta non si tosto si accôrse che ella aveva intenzione di imparare a scrivere. Vi è pur nella camera un camino di marmo, e pur collocata sopra esso una ben lavorata statuetta rappresentante Gesù Cristo, in atto di ricevere i fanciulli; e vedeansi da ambo i lati di essa vasi di marmo, che Tom ogni mattina compiaceva con gentile orgoglio di riempiere di fiori. Due o tre quadri, rappresentanti scene di fanciulli, adornavano le pareti. Insomma, dovunque l’occhio si rivolgesse, non potea incontrare che simboli di innocenza infantile, di bellezza e di pace. Eva non apriva mai i suoi occhi alla luce del mattino senza che il suo cuore ricevesse impressioni care e soavi.
La forza apparente, ingannevole che sosteneva la fanciullina, dileguò ben presto; il suo lieve calpestìo si facea sentire sempre più di rado sulla verenda; e sempre più spesso la si vedeva adagiata languidamente sopra la sua seggiolina presso la finestra spalancata, coi grandi e profondi suoi occhi fissi sopra le acque increspate del lago.
Mentre ella stava così adagiata, verso la metà del pomeriggio, colla Bibbia semi-aperta sulle ginocchia, colle piccole sue dita trasparenti tra le pagine di essa — udì all’improvviso la voce di sua madre che gridava dalla verenda.
— «Che vuoi tu farne! briccona! Hai raccolti i fiori, eh?» ed Eva udì il suono di una solenne ceffata.
— «Oh, signora, li ho raccolti per miss Eva» rispondeva un’altra; ed Eva riconobbe la voce di Topsy.
— «Miss Eva! magra scusa; credi che ella abbia bisogno de’ tuoi fiori, neraccia imbecille? va via!»
Eva balzò dalla sua seggiolina e comparve sulla verenda.
— «Oh madre! io amo i fiori; dammeli; mi sono carissimi.»
— «Che vuoi farne, Eva? ne hai già piena la camera.»
— «Oh non ne ho mai di troppo! — soggiunse la fanciullina. — Topsy, portameli su.»
Topsy, che tenea il broncio, alzò il capo, corse sopra e le offrì i fiori; ma con uno sguardo di incertezza, di esitanza che contrastava colla giovialità, coll’allegra aditezza che le erano abituali.
— «Oh, il bel mazzolino!» esclamò Eva, rimirandolo.
Ed era invero un mazzolino ben singolare — composto di un giranio porporino ed un’unica rosa bianca del Giappone colle brillanti sue foglie; uniti insieme, come ben si vedeva, perchè meglio spiccasse la differenza dei loro colori; anche le foglie erano state disposte con somma accuratezza.
Topsy guardò con occhio di compiacenza, mentre Eva diceva: — «Topsy, tu sai disporre i fiori veramente bene. Ho qui un vaso — soggiungeva — e non vi ho alcuni fiori; bramerei che tu me ne recassi ogni mattina.»
— «È un’idea ben singolare — disse Maria — che hai tu bisogno di fiori?»
— «Non dartene pensiero, madre mia; non eri contenta che Topsy me ne recasse?»
— «Oh subito, se così ti piace, mia cara. Topsy, bada bene alla tua padroncina; eseguisci subito ciò che ti comanda.»
Topsy fece un leggiero inchino e abbassò li occhi; ma Eva, mentre la schiava si allontanava, vide una lacrima che cadeva sulle nere sue guancie.
— «Vedi, mamma mia; io so che la povera Topsy volea fare qualche cosa per me;» disse Eva alla madre.
— «Oh, niente affatto! ha bisogno di perfidiare; sapeva che fa male a cogliere i fiori, e perciò appunto li coglieva; ma se ti prende la fantasia di averne, faccia pure.»
— «Mamma, credo che Topsy abbia molto migliorato da ciò che ella era per l’addietro; procura di farsi una brava giovane.»
— «Dovrà sforzarsi per buona pezza, prima che vi riesca» disse Maria con un sogghigno di beffarda incuranza.
— «Mamma, conosci benissimo la povera Topsy! Finora ebbe tutti contro di sè.»
— «Ma non dal giorno che entrò in questa casa, ne son certa. Se è stata rimproverata, sermoneggiata, talvolta punita, fu tutto per suo bene; ma ella è così rozza e sarà sempre così rozza, che nessuno potrà mai farne nulla di buono.»
— «Ma, mamma, passa molta differenza dal modo con cui fui educata; tra amici, tra cose tutte intese a rendermi buona e felice; e quello con cui ella crebbe prima che venisse qui!»
— «Oh lo credo bene! — disse Maria, sbadigliando. — Che caldo fa quest’oggi! cara mia.»
— «Mamma, non credi tu forse che Topsy, se fosse cristiana, potrebbe divenire un angelo, come uno di noi?»
— «Topsy! che idea ridicola! Non può venire in capo che a te sola. Voglio ben crederlo.»
— «Ma, mamma, Iddio non è forse padre suo come nostro? Gesù non è forse anche suo salvatore?»
— «Può essere benissimo. Credo che Dio sia creatore di tutti egualmente! — disse Maria: — dove è la mia bottiglietta di odore?»
— «Oh è pur lacrimevole! È pur lacrimevole!» disse Eva, gettando uno sguardo sul lago e quasi parlasse a se medesima.
— «Cosa è lacrimevole?» chiese Maria.
— «Che una creatura, la quale esser potrebbe un angelo luminoso e vivere la sù nel cielo, sia precipitata nel profondo, senza che alcuno la ajuti! Oh dolore!»
— «Non possiamo far nulla; quindi è inutile rammaricarsene, Eva mia. Non saprei cosa si possa fare; dobbiamo esser grati dei beni che abbiamo ricevuti.»
— «Io mi affliggo in pensare che povere creature non hanno alcun bene» disse Eva.
— «Questa è un’idea ben singolare — riprese Maria. — La mia religione mi insegna ad essere grata dei benefizii che ho ricevuti.»
— «Mamma — disse Eva — vorrei mi si tagliassero alcune ciocche dei miei capelli; anzi molte.»
— «E a qual pro?» chiese Maria.
— «Mamma, voglio farne parte a’ miei amici, finchè posso darle io stessa. Chiamate, di grazia, la zia, acciò me le tagli.»
Maria levò la voce, e chiamò Ofelia dall’altra stanza.
La fanciullina si levò a sedere sul letto, appoggiando le spalle ai guanciali, e abbassando le lunghe ciocche dorate de’ suoi capelli; mentre Ofelia entrava nella camera, disse in modo scherzevole:
— «Venite, zia, a tosar l’agnello.»
— «Che ci è?» chiese Saint-Clare, che entrava appunto allora con qualche frutto che era andato a raccogliere.
— «Papà, ho pregato la zia a volermi tagliare alcune ciocche di capelli; ne ho di troppo, e mi scaldano soverchiamente il capo. Desidero anche di regalarne a qualcuno.»
Miss Ofelia si fece innanzi colle forbici. «Badate bene — le disse il padre — tagliate di sotto, fate in modo che la mancanza non apparisca; i capelli di Eva sono il mio orgoglio.»
— «Oh papà!» esclamò Eva malinconicamente.
— «Sì, e desidero che si rinvigoriscano, per quando verrai meco alla piantagione di tuo zio, a vedere il cugino Enrico» disse Saint-Clare, con voce allegra.
— «Io non vi andrò mai, papà; debbo andare in miglior paese; oh, credilo! non vedi, papà mio, come deperisco di giorno in giorno?»
— «Non potrò mai credere una cosa così crudele, Eva mia!» disse il padre.
— «Eppure è vero, papà; e se vorrai prestarmi fede, non rifuggirai dal partecipare ai miei sentimenti.»
Saint-Clare non aggiunse parola, e con volto costernato prese a contemplare le belle anella dei capelli che cadeano, a mano a mano, dalla fronte della figliuolina. Ella le raccoglieva, se le avvolgeva intorno alle dita immagrite e gettava, tratto tratto, uno sguardo ansioso sul padre.
— «Ed ecco appunto ciò che io prevedeva sulla mia salute! — disse Maria — ecco ciò che deve condurmi alla tomba senza che alcuno se ne accorga. Io me n’addiedi da gran tempo; e tra poco dovrai tu pure confessare, Saint-Clare, che io avea ragione.»
— «E ciò ti riuscirà certamente di grandissima consolazione!» rispose Saint-Clare con piglio beffardo.
Maria si abbandonò sul dosso del seggiolone, e si coprì il volto col fazzoletto.
I sereni, azzurri occhietti di Eva guardavano or l’uno or l’altro de’ suoi genitori. Era quello sguardo tranquillo, penetrante di un’anima che è già mezzo liberata dai terreni suoi vincoli; si vedea aperto che ella sentiva, apprezzava le differenze tra que’ due.
Accennò colla mano a suo padre di avvicinarsi.
Questi venne, e le siedette accanto al letto.
— «Papà, le mie forze scemano di giorno in giorno, e ben sento che me ne vado. Ho bisogno di dirti e di dare alcune cose; e tu non vuoi udir parola su questo oggetto. Ma bisogna pur che mi ascolti; non vi è tempo da perdere. Consenti che io ne parli adesso?»
— «Lo consento, figliuola mia» disse Saint-Clare, coprendosi con una mano il volto, e tenendo coll’altra la destra di Eva.
— «Ho bisogno di vedere tutti i nostri domestici! Debbo rivolgere qualche parola a ciascun di essi» disse Eva.
— «Bene» rispose Saint-Clare con voce accorata.
Miss Ofelia li mandò a chiamare, e di lì a poco si trovaron tutti nella stanza.
Eva si appoggiava colle spalle a’ guanciali, le dorate anella de’ suoi capelli le ondeggiavano intorno al volto, il roseo colore delle guancie contrastava dolorosamente colla profonda sua pallidezza, colla macilenza della sua persona, col deperimento de’ suoi lineamenti; i suoi grandi occhi, specchio dell’anima, ricercavano or l’uno or l’altro affannosamente.
I servi furon côlti da una improvvisa tenerezza. Quel volto angelico, quelle lunghe ciocche di capelli giacenti pel letto, la vista del padre che volgea altrove li sguardi, i singhiozzi di Maria, commossero quella gente, già tanto sensitiva di sua natura; mentre entravano, si guardavan l’un l’altro, sospiravano e abbassavano il capo. Vi regnava un profondo silenzio, quale sarebbe quello d’un funerale.
Eva si drizzò sulla persona, e si guardò intorno; tutti stavano costernati e commossi; molte donne celavano il loro volto nel grembiale.
— «Vi ho mandato a chiamar tutti, miei cari amici — disse Eva — perchè vi amo tutti. Vi amo tutti, e debbo dirvi qualche cosa, di cui brama vi ricordiate per sempre... Io sto per lasciarvi. Tra poche settimane non mi vedrete più»
Qui la fanciullina fu interrotta da gemiti, da singhiozzi, da lamenti, che scoppiarono da tutti li astanti, e tra i quali la debole sua voce andò perduta. Ella tacque per un momento; quindi, ricominciando con voce tale, che suscitò nuovi singhiozzi, prese a dire:
— «Se mi amate, non mi interrompete. Badate bene a quanto sto per dire. Io debbo parlarvi delle anime vostre... Molti di voi — mi rincresce assaissimo — ne han poca cura. Non vi date pensiero che delle cose di questo mondo. Io debbo ricordarvi che vi è un mondo migliore, dove sta Gesù Cristo. Io sto per andarvi, e potrete andarvi anche voi; è preparato tanto per voi quanto per me. Ma se volete andar lassù, non bisogna che meniate una vita oziosa, infingarda, scioperata; dovete vivere cristianamente. Dovete ricordare che ciascun di voi può diventare un angiolo, ed essere un angelo per sempre... Se sarete cristiani, Cristo vi aiuterà. Bisogna pregarlo; bisogna leggere.»
La fanciullina tacque per un istante, si guardò intorno pietosamente, e quindi riprese con voce malinconica:
— «O miei cari! Non sapete leggere. Povere anime!»
E qui nascose il volto tra i guanciali, e cominciò a piangere; ma i singhiozzi di coloro cui ella avea rivolto il discorso, e che, ginocchioni sul pavimento, la circondavano, le diedero animo a proseguire.
— «Oh non ve ne affliggete! — riprese ella, alzando il volto e con un sorriso luminoso misto alle lacrime — ho pregato per voi; e so che Gesù vi aiuterà, quantunque non sappiate leggere. Procurate di perfezionarvi quanto potete; pregate ogni giorno; pregate che vi aiuti, che vi dia modo di legger la Bibbia dovunque, e spero che tutti ci rivedremo in cielo.»
— «Amen,» risposero sommessamente Tom e Mammy, con alcuni altri de’ più attempati che appartenevano alla scuola dei Metodisti. I più giovani e più spensierati cominciarono per la prima volta a singhiozzare, tenendo il capo inclinato sulle ginocchia.
— «So — disse Eva, — che voi tutti mi amate.»
— «Sì, oh sì! davvero. Iddio vi benedirà!» fu la risposta spontanea di tutti.
— «Sì, lo so. Non vi è alcuno tra voi che non mi abbia sempre dimostrata molta affezione; voglio lasciare a voi tutti qualche cosa, che non possiate mai riguardare senza ricordarvi di me. Voglio dare a ciascun di voi una ciocca de’ miei capelli; ogni qualvolta vi cadrà sott’occhio, ricordatevi che vi ho amati, che sono andata in cielo e che spero di rivedervi lassù.»
È impossibile descrivere la scena che succedette quando li schiavi, lacrimando, singhiozzando, si radunarono intorno alla creaturina, per ricevere dalle mani di lei ciò che parea loro un ultimo segno dell’amor suo. Caddero ginocchioni; singhiozzavano, pregavano, baciavano il lembo della sua veste; e i più attempati risposero parole di tenerezza, miste a preghiere, a benedizioni, come è uso di questa razza appassionata.
Dopo che ciascuno ebbe ricevuto il suo ricordo, miss Ofelia, temendo che la commozione di quella scena influisse di troppo sull’animo dell’ammalata, accennò a ciascun di essi di ritirarsi.
Tutti uscirono dalla stanza, tranne Tom e Mammy.
— «Avvicinatevi, zio Tom — disse Eva — eccovi una bella ciocca per voi. Come godo in pensare, zio Tom, che ci rivedremo in cielo; oh ne son certa! e Mammy, oh la mia cara, la mia buona Mammy!» soggiunse ella, gittando teneramente le braccia al collo dell’antica sua nutrice.
— «O miss Eva — disse quella fedele creatura — io non so come potrò viver qui senza voi! La casa mi sembrerà deserta!» e Mammy si abbandonò alla piena del suo dolore.
Miss Ofelia spinse delicatamente lei e Tom fuori della camera; ma in quella che credeva fossero andati via tutti, si accorse, nel rivolgersi, che Topsy le stava ritta alle spalle.
— «Donde vieni?» — chiese ella ruvidamente.
— «Era qui — rispose Topsy, asciugandosi le lacrime — Oh miss Eva, io sono sempre stata cattiva; ma non darete anche a me un ricordo?»
— «Sì, povera Topsy! stanne certa; te lo darò; e sempre quando tu lo vedrai, ricordati che ti ho amata e che desidero che tu sii buona.»
— «Oh, miss Eva, mi vi proverò! — disse Topsy prontamente ma, mio Dio! è così difficile l’esser buona! Mi pare che stenterò molto ad avvezzarmivi.»
— «Gesù lo sa, Topsy; gli rincresce del tuo stato; ti aiuterà,»
Topsy, coprendosi li occhi col suo grembialino, passò tacitamente nell’altra camera; ma intanto si stringea al seno la preziosa ciocca.
Quando tutti furon partiti, miss Ofelia chiuse la porta. Quella buona signora si avea asciugata più d’una lacrima, durante quella scena; ma ciò che maggiormente la preoccupava si era la paura che quella commozione aggravasse il male della sua piccola inferma.
Saint-Clare era stato seduto tutto quel tempo, colla mano sugli occhi, nello stesso atteggiamento; nè si scompose dopo che tutti si allontanarono.
— «Papà» disse Eva, ponendo in soavemente una mano sopra la spalla.
Quegli tremò, rabbrividì, ma non rispose.
— «Caro papà!» disse Eva.
— «Ah non posso! — esclamò Saint-Clare, levandosi in piedi: — non posso reggere a questo colpo! L’Onnipotente mi ha percosso ben crudelmente!» Saint-Clare pronunciò queste parole con enfasi piena di amarezza.
— «Agostino — disse Ofelia — il Signore non ha forse il diritto di fare ciò che vuole dell’opera sua?»
— «Forse sì; ma non è meno terribile il sopportare ciò che egli mi invia;» disse Saint-Clare con voce tronca, senza lacrime, facendo cenno di allontanarsi.
— «Papà, mi spezzi il cuore! — levandosi da sedere e abbandonandosi nelle braccia di lui; — non devi dir queste cose!»
E la fanciullina prese a piangere, a singhiozzare con una violenza che fece loro paura, e che diede un altro indirizzo ai pensieri del padre.
— «Qui, qui, Eva mia! calmati; ebbi torto; ho fatto male. Non penserò più a questo modo, ma acquétati, non singhiozzare così. Saprò rassegnarmi. Ho fatto male a parlare come ho parlato.»
Eva ben presto si ricompose, come innocente colomba, nelle braccia di suo padre; ed egli, curvo sovra essa, le bisbigliò all’orecchio le più soavi parole. ....... È quello un mare di cristallo, frammisto a fuoco. Capo XVII.
Maria si levò da sedere, e si ritrasse nel suo appartamento, dove, appena giunta, cadde in violente contrazioni di nervi.
— «E a me non hai data, Eva mia, una ciocca de’ tuoi capelli;» disse il padre mestamente sorridendo.
— «Sono tutti tuoi, papà — rispose la fanciullina sorridendo anch’essa; — tutti tuoi e di mamà; e potrete darne alla cara zia quanti ne vuole. Solamente ho voluto darne io stessa a quella povera gente, perchè sai bene, papà, quando io più non vi fossi, potrebbero essere dimenticati, e perchè sperai che ciò li farebbe più ricordevoli di me. Tu sei cristiano, non è vero, papà?» chiese Eva con aria dubbiosa.
— «Perchè me lo chiedi?»
— «Nol so; tu sei buono, nè potrei comprendere come tu non possa essere cristiano.»
— «E che importa l’esser cristiano, Eva?»
— «Amar Cristo sopra tutto.»
— «E tu l’ami a questo modo Eva?»
— «Certo che sì!»
— «Ma non l’hai mai veduto» disse Saint-Clare.
— «Ciò non fa differenza — soggiunse Eva. — Io credo in lui, e tra pochi giorni lo vedrò.» E quel volto infantile si infiammò tutto nella santa sua gioia.
Saint-Clare non aggiunse parola. Si ricordò che sua madre avea li stessi sentimenti; ma nessuna corda vibrava nei suo cuore.
Eva, da quel giorno, declinò rapidamente; non v’era più dubbio sull’evento; l’amor più tenero non potea illudersi. Quella bella sua camera dovea ben presto divenire una stanza mortuaria; miss Ofelia compieva giorno e notte i pietosi uffici di infermiera, in modo che non avea mai dato maggior prova della sua attitudine in simili circostanze. Colla mano esercitata, coll’occhio sicuro, sapea prevedere, allestire quanto importava alla comodità, alla mondezza; celar destramente ogni disgustoso accidente della malattia; apprezzare al vero le circostanze, attenersi con chiarezza di idee, compostezza di animo, alle proposizioni dei medici; sorvegliava a tutto, era da per tutto. Coloro che si erano avvezzi a crollar le spalle nel vedere la sua minutezza, la sua precisione così diversa dai modi sbadati degli altri abitanti del mezzogiorno, confessavano che era proprio dessa la persona più acconcia alla circostanza.
Lo zio Tom era spesso nella camera di Eva. Siccome la fanciullina, travagliata, da contrazioni nervose, godea molto in far del moto, Tom nulla tanto desiderava quanto di portare tra le sue braccia quella debole creaturina, adagiata sopra cuscini, su e giù per la camera, o nella verenda; e quando una brezza mattinale spirava dal lago, solea trasportarla sotto gli aranci del giardino, deporla su qualche antico sedile, e cantarle i suoi inni prediletti.
Anche suo padre volea talvolta portarla in braccio; ma le forze non gli reggevano; e quando Eva lo vedea stanco, gli diceva:
— «Lascia, papà, che mi prenda Tom. Povero figliuolo! lo fa volentieri; sai che per ora non può far altro, e desidera pur di fare qualche cosa per me.»
— «E forse ch’io nol desidero, Eva?» dicea il padre.
— «Sì, papà; tu fai tutto per me, e sei il mio tutto; tu mi fai lettura, tu mi vegli nella notte, e Tom non sa far che questo e cantare; d’altronde è più robusto di te, e sento che mi porta con maggior leggerezza.»
Nè Tom solo desiderava di far qualche cosa. Tutti i servi della famiglia dimostravano la stessa voglia e faceano quanto per lor si potea.
Il cuore della povera Mammy volava sempre verso la sua padroncina; ma non avea modo di recarvisi, nè di giorno, nè di notte, dacchè Maria avea dichiarato, che il suo stato di salute non le permetteva di rimaner sola; d’altronde sarebbe stato contrario a’ suoi principii il concedere che altri abbia un momento di tregua. Venti volte alla notte Mammy dovea levarsi da letto per andarle a fregare i piedi, a umidir la fronte, a cercarle il fazzoletto, a vedere ciò che avea fatto un po’ di rumore nella stanza di Eva; ad abbassare una cortina perchè facea troppo chiaro; a sollevarla, perchè facea troppo scuro. Nel giorno, mentre credea poter recarsi un momentino presso l’inferma, Maria trovava mille ingegnosi modi per darle occupazioni, tenerla presso di sè, o commetterle qualche uffizio; talchè non poteva veder Eva che ad intervalli e sempre alla sfuggita.
— «Mi sento in obbligo di badar bene alla mia salute — diceva ella; — debole, come sono, e colle cure che io debbo io sola a quella cara fanciullina.»
— «Fai benissimo, cara mia — dicea Saint-Clare — credeva che nostra cugina ti avrebbe aiutata.»
— «Tu parli da uomo, Saint-Clare — come se una madre potesse essere aiutata nell’assistere una figliuola nello stato in cui è la nostra; ma va sempre così; nessuno può comprendere ciò che io sento! Io non posso passar sopra a queste cose, come fate voi.»
Saint-Clare sogghignò. Dobbiamo scusarlo se ha potuto sogghignare. Perchè quella creaturina, nel dipartirsi da loro, era così tranquilla, così serena; una brezza così dolce, così fragrante spingeva la sua barchetta verso le sponde celesti — che era impossibile farsi capace come la morte potesse avvicinarsi. La fanciulla non sentìa dolore — ma solamente una tranquilla, una soave stanchezza, che cresceva di giorno in giorno: ed era così bella, così amabile, così fidente, così felice, che nessuno potea resistere all’amaliante influenza di quell’aria di innocenza, di pace che purea diffondersi intorno a lei. Saint-Clare sentì una strana calma insinuarsegli in fondo al cuore. Ma la speranza, ormai diventata impossibile, non era rassegnazione; ma una sicurezza del presente, così soave, che egli non si curava dell’avvenire. Rassomigliava alla dolcezza malinconica che noi proviamo in autunno, quando i boschi cominciano ad impallidire, quando li ultimi fiori sbucciano presso le sponde dei ruscelli; e noi tanto più godiamo di quella vista, quanto che sappiamo non averne a deliziar lungamente.
L’amico, che meglio conosceva i presentimenti, le fantasie di Eva, era Tom, il fedel servo, che soleva portarla in braccio. Ella gli confidava ciò che tacea a suo padre per tema di contristarlo. A lui comunicava quei misteriosi avvisi, quando cominciano a sciogliersi que’ legami che la tengono associata all’argilla.
Tom, finalmente, non volle più dormire nella sua cameretta; ma soleva vegliare la notte, nella verenda esteriore, pronto ad ogni chiamata.
— «Zio Tom, quale capriccio vi saltò in capo di coricarvi qua e là per terra a guisa di un cane? — gli disse miss Ofelia. — Vi credeva un uomo ben educato, uso a coricarsi da buon cristiano.»
— «Sì, miss Felia — rispose Tom con aria di mistero. — Sì, ma adesso....»
— «Che volete voi dire?»
— «Conviene parlar sommesso; il padrone Saint-Clare non deve udirci; ma, miss Felia, è bene che qualcuno vegli per aspettare lo sposo.»
— «Che intendete con ciò o Tom?»
— «Voi sapete ciò che è detto nella Scrittura: — A mezzanotte si udì un alto grido: ecco lo sposo che viene. — Ed è questo appunto che io sto aspettando ogni notte, miss Felia — quindi non potrei chiuder occhio se io fossi in luogo troppo distante per sentirlo arrivare.»
— «E che v’induce, zio Tom, a pensare così?»
— «È la stessa miss Eva che me lo disse. Il Signore manda quel suo messaggiero nell’anima; io voglio star all’erta, miss Felia; perchè, mentre quella benedetta fanciulla salirà al Cielo, la porta sarà spalancata così ampiamente, che noi potremo gettare uno sguardo in quella gloria, miss Felia.»
— «Zio Tom, forse che miss Eva vi disse che si sentìa peggio della scorsa notte?»
— «No; ma ella mi disse questa mane, che stava per andarsene quanto prima; sono gli angeli che lo rivelano all’anima sua — è il suono della tromba che annunzia il levarsi del gran giorno» disse Tom, citando uno de’ suoi inni prediletti.
Questo dialogo avea luogo tra miss Ofelia e Tom dalle dieci alle undici ore di sera, mentre ella, fatto ogni preparativo per la notte, andando a chiudere la porta esteriore della sua camera, si imbattè in lui, che stava sdraiato, presso l’uscio, sulla verenda.
Ella non avea fibra troppo mobile e delicata; ma quel modo solenne, accorato, la commosse.
Eva era stata, nel corso del pomeriggio, più allegra, più amabile del consueto; si era seduta sul letto, avea passato a rassegna i suoi ninnoli, i suoi preziosi oggetti, e designati li amici cui avrebbe voluto regalarli; e i suoi modi erano animati più del solito, e la sua voce era più naturale di quello fosse stata parecchie settimane addietro. Suo padre, che era stato a visitarla sull’annottare, avea osservato che ella non aveva mostrato mai sì bell’apparenza dal principio della malattia; e dopo averla baciata per darle la buona sera, disse a miss Ofelia: «Potremo ancora salvarla, sta meglio sicuramente;» e si ritirò col cuore più sollevato che non avesse avuto da parecchie settimane.
Ma a mezzanotte — ora strana, misteriosa, in cui il velo che divide il labile presente dall’avvenire eterno si fa più trasparente — sopraggiunse il messaggiero!
Si udì un calpestio nella camera, come di persona che si affretta; era miss Ofelia, che avea risoluto di vegliar l’ammalata; e che, sul tramontar della notte; avea scoperto ciò che infermieri esperimentati soglion dire «un cambiamento.» Aprì la porta che metteva sulla verenda, e Tom fu subito in piedi.
— «Tom, andate a chiamare il medico! non perdete un momento!» disse miss Ofelia; e traversata prontamente la camera, bussò all’uscio di Saint-Clare.
— «Cugino, diss’ella — venite presto.»
Queste parole gli piombarono sul cuore come palate di terra sopra una bara. Levarsi, entrar nella camera, curvarsi sopra Eva, che ancora dormiva, fu solo un momento.
Che vide egli perchè il cuore gli si agghiacciasse? Perchè non si scambiaron parola? Potrai indovinarlo, o lettore, se hai veduto quella stessa espressione sul volto di persona carissima — quell’espressione indescrivibile, disperante, la quale ti dice inesorabilmenteche quella amata persona non sarà a lungo più tua.
Tuttavia sul volto della fanciullina non v’era impronta di terrore — ma un’alta, quasi sublime espressione — indizio della presenza di spiriti angelici, aurora della vita immortale in quell’anima pargoletta.
Stettero amendue a contemplaria maravigliati e in sì profondo silenzio che l’oscillare del pendolo dell’oriuolo parea troppo forte. Di lì a pochi momenti Tom ricomparve col medico, il quale gittò uno sguardo sulla giacente, e non fece parola.
— «Quando avvenne questo cambiamento?» chiese egli sommessamente a miss Ofelia.
— «Circa la mezzanotte.»
Maria, svegliata dall’arrivo del medico, si avanzò frettolosa dalla camera attigua.
— «Agostino! cugina! — Oh! — che c’è?» chiese affannosamente.
— «Zitta! — disse Saint-Clare tremante — è moribonda.»
Mammy udì queste parole, e corse a svegliare i servi. In un momento tutta la famiglia fu in piedi — un calpestio concitato, lumi qua e là, faccie ansiose, lacrimose che si affollavano sulla verenda, dietro i vetri della finestra; ma Saint-Clare nulla vide, nulla disse — non vedeva che quella espressione sul volto sereno della fanciulla addormentata.
— «Oh, se si svegliasse ancora una volta, se mi parlasse ancora una volta! — disse egli, e curvandosi sopra di lei, le bisbigliò all’orecchio: — Eva, mia cara Eva!»
Que’ grandi occhi azzurri si dischiusero; un sorriso brillò sul volto della fanciulla; ella fece prova di alzar la testa e di parlare.
— «Mi conosci, Eva?»
— Caro papà, rispose la fanciullina, con un ultimo sforzo, gittandogli le braccia al collo. Ma quelle braccia ricaddero, e mentre Saint-Clare le rialzava il capo, vide uno spasimo di agonia mortale agitarle i lineamenti del volto. Ella traea il respiro affannoso, e le sue manine tremavano convulsivamente.
— «O Dio mio, è cosa orrenda! — disse egli stringendo con ansia d’agonizzante la mano di Tom, senza sapere che si facesse; — o Tom, figliuol mio, il dolore mi uccide.»
Tom strinse colle sue mani quelle del padrone; e colle lacrime che gli scorrean per le guancie, volse lo sguardo al cielo, donde soleva invocar soccorso.
— «Prega che questa prova sia breve! — disse Saint-Clare; — mi spezza il cuore!»
— «Oh ringraziamo Dio! è passata, è passata! — disse Tom; guardatela, padron mio.»
La fanciullina posava ansante sopra i cuscini, come persona affatto stanca; i suoi grandi occhi sereni erano immobili, vôlti al cielo. Oh che dicevano quelli occhi che parlavan tanto del cielo! la terra e i travagli mortali eran passati; ma l’espressione di quel volto era così solenne, così misteriosa, così splendida, così trionfante, che non permetteva al dolore di singhiozzare. Tutti si raccolsero intorno a lei e stettero placidamente a contemplarla.
— «Eva» disse sommessamente Saint-Clare.
Eva non intese.
— «Oh Eva, dimmi ciò che vedi; che ci è?» chiese il padre.
Un sorriso di gloria, di luce passò sul volto della fanciulla, ed ella disse con voci tronche:
— «Oh amore — gioia — pace!» mandò un sospiro, e dalla morte passò alla vita!
Addio, cara fanciullina! le porte eterne, rilucenti, si schiusero dinanzi a te; mai più vedremo in terra il tuo viso angelico. Oh, guai a quegli che ha assistito al tuo ingresso nel cielo, e che, abbassando di bel nuovo li occhi alla terra, più non vedesse che il grigio e freddo orizzonte di questa vita terrena, che tu hai abbandonata per sempre.