La capanna dello zio Tom/Capo XXV

XXV. La piccola Evangelista

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXV. La piccola Evangelista
Capo XXIV Capo XXVI
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CAPO XXV.


La piccola Evangelista.


In un giorno di domenica, dopo il pranzo, Saint-Clara se ne stava adagiato sopra un seggiolone nella verenda. In una sala, la cui finestra era vicina, Maria riposava sopra un sofà, coperta di un sottilissimo velo per schermirsi contro le punture degli insetti, tenendo in mano un libro di preghiere legato con eleganza. Essa l’aveva preso perchè era un giorno di domenica, e credeva di averlo letto, mentre, in realtà, non avea fatto altro che sonnecchiare tenendolo aperto dinanzi a sè. Miss Ofelia, a furia di domande, avea finalmente scoperto a poca distanza del luogo un meeting di metodisti, e vi si era recata con Evangelina, accompagnata da Tom.

— «Agostino — disse Maria, dopo essere stata alquanto sopra pensiero; — è d’uopo che io mandi pel mio vecchio medico Sonsey. Io sono affetta d’una malattia di cuore.»

— «A che pro? Il medico che assiste Eva parmi abile abbastanza.»

— «Io non me ne fiderei in un caso grave; e tale si è appunto il caso mio. Da due o tre notti fo sogni spaventevoli e soffro orribilmente.»

— «Tu farnetichi, o Maria: io non posso prestar fede alla tua malattia di cuore.»

— «N’ero certa che non vi avreste creduto — disse Maria — n’ero certa. Una lievissima tosse di Eva vi mette in grande apprensione, ma di me non vi date il menomo pensiero.»

— «Se vi piace asserire che avete una malattia di cuore, io m’arrendo alle vostre parole.»

— «Voglia il cielo che non abbiate a pentirvi d’essere stato incredulo! Ad ogni modo, il fatto si è che le mie sollecitudini per Eva, le fatiche a cui mi sono sottoposta per questa fanciulla, hanno sviluppato in me il germe d’una pericolosa malattia.»

Quali fossero poi codeste cure e fatiche di Maria a pro di Eva, sarebbe difficile il dire. Saint-Clare si contentò di pensarlo tra sè, ed avviossi alla [p. 279 modifica]vettura che riconduceva la figlia e miss Ofelia. Quest’ultima andò difilata alla sua camera a deporvi lo scialle e il cappello, com’era usa di fare; Eva venne a porsi sulle ginocchia del padre e gli raccontò ciò che erasi fatto nella congregazione de’ metodisti.

In quella s’intese uno scoppio di esclamazioni dalla camera di miss Ofelia, e acerbi rimproveri contro qualcuno.

— «Topsy ne ha fatta di nuovo qualcuna delle sue!» disse Saint-Clare.

Un momento dopo comparve miss Ofelia, sdegnata in volto, strascinando seco la colpevole.

— «Che è?» disse Agostino.

— «Che è? — rispose Ofelia. — Io non voglio più presso di me questo demonio. Le sue diavolerie soverchiano ogni limite; non ne posso più. Io l’aveva chiusa nella camera, dandole un inno a studiare... che fece la mariuola? Scopre la chiave del mio cassettone, vi prende una guernizione di cappello, e la fa in pezzi per abbigliare la sua bambola.... Io non ho visto mai cose simili in mia vita.»

— «Ve l’ho sempre detto, cugina, che questa sorta di gente vuole essere domata col rigore... Se mi lasciassero fare — soggiunse poi, lanciando uno sguardo di rimprovero a Saint-Clare — la metterei fuori di qui questa ragazza, e la farei frustare a sangue.»

— «Non ne dubito punto — disse Saint-Clare. — Evviva la mitezza del sesso gentile! Non ho ancora conosciuto una donna che, abbandonata al suo talento, non fosse disposta ad uccidere un cavallo od uno schiavo.»

— «Cessate dai motteggi, Saint-Clare. La cugina è donna di retto senso, e giudica le cose appunto come io le giudico.»

Miss Ofelia si lasciava trasportare dalla collera a quel modo che s’addice ad una ben ordinata massaia. Non senza giusta ragione poi era sdegnata delle gherminelle e dello scempio che faceva della roba Topsy; e molte fra le nostre leggitrici avrebbero, in simili casi, fatto lo stesso: ma s’acquetò tosto udendo che Maria usciva dai limiti.

— «A patto nessuno, non vorrei trattare così questa fanciulla: ma non posso più sperarne bene. Le ho insegnato un migliaio di volte le medesime cose, l’ho rimproverata, l’ho battuta, l’ho punita in tanti modi, ma tutto fu invano.»

— «Vien qua, bertuccia» le disse Saint-Clare.

Topsy avvicinossi: ne’ suoi occhi scintillava la solita malizia; ma le palpebre battevano frequenti per la paura.

— «Perchè ti diporti così male?» disse Saint-Clare, che suo malgrado prendeva diletto della comica figura della piccola negra.

— «Perchè io — rispose seriamente la fanciulla — ho un cuore cattivo: me l’ha detto miss Felia.»

[p. 280 modifica]— «Non conti per nulla ciò che miss Ofelia ha fatto per te? Ella mi dice d’aver fatto ogni prova per renderti migliore.»

— «Ciò è quanto mi diceva pure la mia antica padrona. Ella mi batteva, mi tirava pei capelli, mi sbatteva il capo contro il muro, ma non veniva mai a capo di nulla. M’avesse anche strappati tutti i capelli, credo che sarebbe stata opera perduta. Sono così cattiva... ho tutti i vizi d’una negra.»

— «Io non voglio più saperne» disse Ofelia.

— «Permettetemi una domanda.»

— «Quale?»

— «Se non vi basta l’animo di convertire una pagana, abbandonata intieramente a voi, a che pro inviare missionari tra un popolo simile ai bruti.»

Miss Ofelia rimase pensosa alquanto, ed Evangelina, che era stata presente alla scena, accennò a Topsy di seguirla in fondo della galleria in una cameretta con porta a vetri.

«Quale sara il pensiero d’Eva?» domandò a se stesso Saint-Clare.

Quindi s’avanzò sulla punta de’ piedi, sollevò la tenda che copriva l’uscio a vetri, e guardò nell’interno del gabinetto. Poco dopo, ponendo l’indice sulle labbra, fe’ cenno a miss Ofelia di appressarsi. Le due fanciulle sedevano per terra; Topsy conservava la sua solita aria maligna e indifferente, mentre Evangelina era in preda ad una profonda emozione.

— «Perchè ti governi così male, Topsy? Non ami tu alcuno al mondo?»

— «Non saprei dirvelo. Amo lo zuccaro e i dolci: ecco tutto.»

— «Certo, amerai tuo padre e tua madre...»

— «Non so d’averli avuti, ve l’ho già detto, miss Eva.»

— «È vero — ripigliò costei mestamente: — ma non hai un fratello, una sorella, una zia?...»

— «Nessuno, nessuno.»

— «Ma se tu volessi esser buona, il potresti.»

— «Non potrò essere mai altro che una negra.... Se fosse possibile mutarmi la pelle e rendermi bianca, forse...»

— «Ma, benchè negra, saresti amata, essendo buona...»

Topsy fece un ghigno con cui mostrò di non crederlo.

— «Tu non presti fede?»

— «No; miss Felia non può sofferirmi perchè sono una negra.... Ha maggiore orrore di me, che non d’un rospo. — I negri non sono amati da nessuno al mondo... non sono buoni a nulla... ma io me ne infischio...» e, ciò detto, si pose a zufolare.

— «Ah! Topsy, povera fanciulla! io ti amo — disse Eva con impeto subitaneo di tenerezza, posando la sua bianca mano sulle spalle della [p. 281 modifica]negra. — Io ti amo perchè non hai nè padre, nè madre, nè amici; perchè sei una povera fanciulla maltrattata. Ti amo e desidero che tu sii buona. Io sto male, male assai, o Topsy; e credo che poco tempo mi resti a vivere... La tua condotta mi addolora... desidero vederti mutata, e lo desidero per me cui poco tempo rimane da viver teco...»

Gli occhi rotondi e vivaci della negra s’empirono di lacrime, che a stilla a stilla cadevan sulla candida e sottile mano di Evangelina. Un raggio di vera fede e d’amor celeste rischiarò le tenebre di quella mente digiuna d’ogni cognizione... depose la testa sulle ginocchia d’Eva singhiozzando. La sua bella compagna, inclinata su di lei, pareva un angelo che rialza il peccatore.

— «Povera Topsy — disse Eva — non sai tu che Iddio ci ama tutti ad un modo? che egli è così ben disposto verso di te, come verso di me? che t’ama come io t’amo?.... cioè un po’ di più, perchè egli vale più di me.... che ti seconderà nei tuoi santi propositi.... e tu potrai un giorno goderlo nel cielo e trasmutarti in un angelo, non altrimenti che se fossi una bianca. Pensaci, Topsy, tu puoi divenire uno di quegli angeli beati che Tom ricorda nelle sue canzoni.»

— «Oh cara miss Eva! oh cara miss Eva! — disse la negra: — mi proverò, mi proverò... non v’aveva pensato prima d’ora.»

In questo punto Saint-Clare lasciò cadere la tenda.

— «Essa mi fa ricordare di mia madre — disse a miss Ofelia. — Ciò che mi diceva è vero; se vogliamo rendere la vista ai ciechi, convien fare, come Cristo, imporre loro le mani.»

— «Ho sempre avuto dei pregiudizi contro i negri — disse miss Ofelia — e non poteva soffrire che codesta ragazza mi toccasse: ma non credo che ella v’abbia badato.»

— «Voi non conoscete i fanciulli. Vani saranno i vostri benefizi, e non ne ecciterete la riconoscente, fitanto che mostrate della ripugnanza per loro.»

— «Non so come potrò vincere me stessa.»

— «Eva vi giunse.»

— «Essa è così buona! vorrei essere a lei simile! ella può darmi delle lezioni.»

— «Se la cosa fosse così — disse Saint-Clare — non sarebbe la prima volta che un fanciullo avrebbe ammaestrato un vecchio.»