La Riviera di San Giulio Orta e Gozzano/Capitolo I

Capitolo I.

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CAPITOLO I.

Descrizione della Riviera


Vagliami il lungo studio e ’l grande amore.

Dante Inf. 83.


I. Chi di Novara partendo, per la via che tende a Borgomanero, fosse vago di accostarsi ai monti, ond’ è chiusa questa provincia a settentrione, dopo lo spazio di 53 chilometri, ed appena trascorse le colline vinifere di Vergano e di Briga poste ai due lati della strada, si troverebbe incontro Gozzano, l’antica Pieve, che è capo della Riviera inferiore. Posto all’estremo lembo della pianura novarese, si innalza vagamente colla sua Chiesa, e con quell'antico Castello, e forma per così dire il primo grado di elevazione, colla quale in seguito le alpine montagne sovr’essolai si fanno giganti. Fino da antichissimo tempo fu dai Vescovi Conti prescelto a loro dimora, quando d’estate o d’autunno per ristorare le forze, e riacquistare salute cercavano più puro aere a respirare. Sul principio del XIII secolo il Vescovo Pietro IV di tal nome eresse colà in vicinanza alla Chiesa Collegiata, ove trovavasi prima un Castello creduto opera de’ Longobardi, il vescovile palazzo, che venne poi ampliato, ristaurato ed abbellito da sette Vescovi successori 1. Guglielmo Amidano nel 1343; Gian Angelo Arcimboldo nel 1526; il Ven. Carlo Bescapè nel 1612; Gian Battista Visconti nel 1698; Marco Aurelio Balbis Bertone nel 1777; Luigi Buronzo Del Signore nel 1794, e final[p. 8 modifica]mente il Cardinale Giuseppe Morozzo, il quale ebbe l’onore di accogliervi ospite nel 1828 S. M. il Re Carlo Felice coll’augusta sua Consorte Maria Cristina. É Gozzano la sede del Giudice di Mandamento, e ne dipendono Soriso, Gargallo, Auzate, Bugnate, Bolzano e Pogno: un tempo aprivasi un grosso mercato il quale ebbe principio fino dall’anno 917 per concessione di Re Berengario a Dagiberto Vescovo, ed era considerato come uno dei quattro principali che si tenessero nel distretto novarese: il suo territorio è circoscritto da quelli dei sopradetti paesi, ed il confine a mezzodì, che è pure quello della Riviera, era indicato nel mezzo della strada, che quinci conduce a Borgomanero, da due sassi, i quali, siccome accenna Lazzaro Agostino Cotta nel lib. I della Corografia della Riviera2, si innalzavano per mezzo braccio sopra il terreno con queste lettere incise B. B. G. S. G. , che indicano le finanze, cioè Briga, Borgomanero, Gargallo, Soriso e Gozzano, e che forse saranno quelli stati posti a limite della giurisdizione Vescovile e del distretto di Novara, quando dal Vescovo Pietro III e dai Novaresi fu circa l’anno 1015 divisa la brughiera, o quando nell’ottobre del 1219 Giacomo Vescovo di Torino e Enrico da Settala Arcivescovo di Milano furono eletti arbitri sulle contenzioni tra il Vescovo Oldeberto Tornielli, ed i Consoli e Podestà di Novara.

II. Breve spazio di strada si trascorre a settentrione, e quando appena incomincia il declinare del monte, quasi per incanto apparisce in un bacino quel piacevole lago detto con nome romano il Cusio, di limpide e chiare acque trasparente, e ricco di eletta pescagione 3. Qui ha principio la Riviera superiore. Volle un [p. 9 modifica]moderno geografo notare di errore i nostri storici, perchè diedero al lago il nome di Cusio, facendosi forte coll’autorità del Durandi, il quale osserva, che il Lacus Cusius indicato nella tavola Peutingeriana presso i Mesiati visibilmente si rapporta a quello di Lugano, sebbene dippoi detto Ceresio da Gregorio di Tours4. Ma dal lago di Lugano nessun fiume può trascorrere sul contado Novarese in vicinanza di Novara, et ex Lacu Cusio deductum, come nota il Cluverio seguendo le tavole itinerarie dell’imperatore Antonino Pio: egli è dunque a credersi, che o il Terdobbio o l’Arbogna, unico fiume anonimo effigiato con l’Agogna sulle antiche tavole itinerarie in vicinanza del lago, siasi creduto erroneamente derivare dal Cusio, il quale altro non poteva essere che questo della nostra Riviera. In mezzo al lago sta qual nave guerriera nell’Oceano, come scrisse nel suo Commentario Giulio Francesco Prevosti, l’isoletta di S. Giulio, sulla cui cima maestosa si mostra la fabbrica del Seminario stato eretto con egregia somma legatagli dal Cardinale Morozzo nel 1842. Ma a cui non sarà doluta la distruzione allora compita di quell’antica torre, e del palazzo della Castellania, i quali ci ricordavano e le imprese guerresche dei primi secoli da noi conosciuti, e la antichità del dominio comitale dei Vescovi Novaresi? So che da taluno si volle dipingere con neri colori l’aspetto, che di sè davano le anguste celle per le carceri di stato poste nella torre: ma la riverenza ai sacri monumenti dell’antichità, e l’amore ai gloriosi avanzi della patria signoria dovevano prevalere alle teneritudini di una civiltà malintesa.

III. Dal nostro lago la tavola Peutingeriana, come dissi già, ed il Cluverio fecero supporre, che un tempo derivasse un fiume sull’agro novarese: ora però scarica le sue acque a settentrione in Omegna, dove il suo emissario prende nome di Negoglia, e si unisce al fiume Strona quasi un miglio fuori di detto borgo, il quale fiume a’ tempi del Cotta metteva capo nel lago maggiore, ed ora nella Toce (Athos) sul piano di Gravellona. Nè è possibile, che giammai, come pensarono alcuni, sia mandato ad effetto il divisamento di chiudere questo emissario, e di dedurre [p. 10 modifica]dal lago d’Orta un canale a vantaggio dell’agro novarese. Imperocchè il Conte Morozzo in una sua memoria inserta negli atti della regia Accademia di Torino, tom. ix, ha già da molti anni rilevato, che l’altezza della superficie dell’Agogna a Borgomanero era di troppo maggiore di quella del lago. Avendo sentito parlare ancora non ha guari dell’accennata derivazione, mi sono studiato di procurarmi tutte le precise notizie colla scorta dei profili dell’ingegnere Bosso per la ferrovia di Orta per conoscere la vera differenza fra questi due punti, e paragonando l’altezza media delle aeque del lago coll’alveo dell’Agogna a Borgomanero sotto il ponte di S. Catterina, mi risultarono quelle inferiori a questo di 16 metri meno pochi centimetri, ritenuta la differenza fra la magra e la massima altezza del lago a metri 1,578. Se si aggiunge, che la piazza di Gozzano si ritrova più di 64 metri levata sopra il lago, si rilegherà fra i sogni il pensiero di tramandarne le acque sul novarese. Torno adunque a ripetere, che fu per errore effigiato nella tavola Peutingcriana un fiume anonimo derivato sul novarese dal lago Cusio. Porto all’opposto opinione il Ven. Vescovo Bescapè, che il nostro lago non fosse che un membro del Verbano, e che ne sia rimasto disgiunto per l’innalzamento del letto cagionato tra Omegna e Fariolo dalla Strona e dalla Toce. Se i materiali travolti da questi due fiumi abbiano potuto col tempo colmare uno spazio di ben quattro miglia, io lo lascierò discernere allo spirito investigatore dei dotti.

IV. In due parti dividesi la Riviera superiore, detta di S. Giulio d’Orta, in orientale ed occidentale: quella partendo dal suo termine territoriale di Gozzano sino al rivo chiamato riale del confine sul territorio di Agrano5, stendesi in longitudine per mi[p. 11 modifica]glia dieci; questa togliendosi dai limiti di Pogno, il quale con Prero e Berzonno fu unito alla Riviera inferiore nel 1470 dal Vescovo Giovanni Arcimboldo, sino al torrente Quarna sui confini territoriali di Brolo e Cireggio, è di miglia otto. Or dunque i ridenti colli ed i selvosi monti, che si specchiano nel lago, e che costituiscono la Riviera superiore, sono il principio da settentrione della Provincia di Novara: i monti orientali di questo luogo si stendono fino a quel seno del Lago maggiore o Verbano, in cui sbocca il fiume Toce; ma la Riviera non travalica quel rivo detto del confine: la sommità dei monti stessi la divide dal Vergante, che appartiene alla provincia di Pallanza: i monti occidentali facendosi ognora più eminenti, aspri ed orridi, la dividono dalla Valsesia, e vanno poi a raggiungere la catena delle alpi pennine, ove il monte Rosa innalza coperti di perpetuo ghiaccio i suoi gioghi. Andando poi verso Omegna i confini delle ultime nostre comunità di Nonio e Brolo trovansi tratto tratto segnati sui monti da termini di sasso. Giace la Riviera sotto il xlv grado di latitudine, e xxxiv di longitudine del polo: le acque del suo lago stanno secondo le operazioni barometriche eseguite nel 1851 dall’ingegnere Cav. Negretti sopra il livello del mare in altezza di metri 282, superiori perciò al Verbano ed al lago di Como di circa 80 metri: da questo la felicità salubre dell’aria, e la mitezza del clima, che molti invita a qui villeggiare.

V. ORTA, borgo assai bello e capoluogo del mandamento, si distende alle falde di un promontorio peninsulare, la cui sommità riesce sollazzevole e veneranda insieme pei boscherecci passeggi, e per le sacre rappresentazioni della vita dell’Assisiate. Comprendonsi nel mandamento d’Orta e ne sono dipendenti i Comuni dell’orientale ed occidentale Riviera, cioè Ameno, Armeno, Coiro, Miasino, Pettenasco, Pella, Boletto. Artò, Arola, Cesara e Nonio. Gli antichi rogiti fatti in Orta anche prima dell’anno 900 dicono: actum in mercato Stagni, ubi dicitur Horta. Qui il mercato dello Stagno vuolsi intendere per la piazza sulla ripa del lago. Di Orta si ha menzione nell’instromento del 950 riferito da Gerolamo Biffi nel suo opuscolo Nobilitas Vicecomitum pag. 42, ove un testimonio è di questa terra, Ottone I imperatore nel 962 la denominò Villa nel suo diploma [p. 12 modifica]che ivi segnò per i Canonici dell’Isola di S. Giulio. Il suo mercato, sempre popolarissimo e cosi ridente e bello ne’ tempi estivi ed autunnali, rimonta ad un’epoca assai antica: questo si teneva fino dall’anno 1228, facendosi di esso menzione in una sentenza del Castellano di Riviera Bonifacio Tornielli pronunziata in quel tempo6. Non credo però che fosse dai Riveresi assai frequentato prima del 1311, quando per comando dell’ imperatore Enrico VI o VII dovettero tutti i Municipii abbattere i fortilizii e le barriere murate ond’erano ricinti: allora fu ampliata la piazza per l’atterramento delle fortificazioni verso il lago, ed abbellita colla piantagione di quegli olmi, i quali dopo più di quattro secoli di esistenza finirono per essere da noi sradicati. Nel 1312 aprivasi nel giorno di mercoledì, e convenivano tutti i terrieri all’intorno, come raccogliesi dall’instromento 6 settembre 1312, rogato dal Dottore Nìcolao Borrino milanese: gli Statuti di Riviera lo ricordano nel 1343. Chiunque poi si faccia a guardare questo borgo dall’opposta sponda del lago, e vegga le sue abitazioni ed i suoi giardini elevarsi sulle gran moli gettate nell’acqua, e gremire di case lungo tratto dì quella sponda non temendo l’urto dei flutti, potrà ben dire che Orta è sorta regina fra noi, e che invano il Cusio muoverebbe lamenti di essere stato da lei circoscritto. Per un’ampia [p. 13 modifica]e ripida strada fiancheggiata dai sontuosi palazzi Gemelli e Fortis7 si ascende alla Chiesa parrocchiale, da cui quando tu vegga discendere ed a lei risalire le religiose processioni ravvivate da virili e donneschi canti, ti sembrerà, che l'umanità redenta, dopo di essere venuta quaggiù a toccare una terra di esiglio, ripigli poscia l'erto cammino, e si rivolga al cielo. Fu Orta la patria di eletti ingegni, i quali illustraronla cogli scritti e coi pubblici impieghi: ma, ci duole il dirlo, invano si cercherebbe qui un monumento, od una lapide, che ci richiami la grata memoria fra gli altri di Giambattista e Pietro Olina, di Bartolomeo Bersano, di Girolamo e Francesco Gemelli, e di Giacomo Giovanetti8. [p. 14 modifica]VI. Galeazzo Gualdo nella sua Descrizione dello Stato di Milano pag. 174 assegnò alla Riviera l’estensione territoriale di 174,117 pertiche censuarie: il Cotta credette che assai minore [p. 15 modifica]ne fosse il perticato; ma da una tabella della popolazione e del perticato della Riviera superiore ed inferiore, esistente presso l’Ufficio dell’Intendenza di Novara, ho potuto rilevare, che se-

[p. 16 modifica]condo le consegne dei Segretarii comunali le due Riviere hanno la estensione di Pertiche 176,207, e secondo lo stato del Censimento hanno Pertiche 169,866, 22; cioè la Riviera superiore

[p. 17 modifica]Pert. 151,893 secondo il rapporto de’ Segretarii, e Pert. 119,294, 2 secondo il Censimento; e la inferiore Peri. 44,312 giusta il rapporto, e Pert. 30,642, 20 giusta il Censimento. Ma la differenza spicca assai maggiore, quando si sappia che nello stato del Censimento fu ommesso il perticato delle aggregate di Vacciago, Bassola, Piana de’ Monti, Grassona, Corcogno, Carcegna, Pisogno, Brolo, Ojra, Alzo e Crabbia per la Riviera superiore; e per la inferiore Gargallo, Berzonno e Piero, il territorio delle quali è

[p. 18 modifica]di Pert. 32,935. 20; cioè 22,610.23, per le prime aggregate, e 10,524.21 per le seconde; quindi aggiungendo le Pert. 52,935.20 al totale del Censimento, come dicemmo di Pert. 169,866.22, avremmo la quantità di Pert. 202,802. 18, le quali portano un divario dalle consegnate dai Segretarii di Pert. 26,595, 18. Nè ciò faccia meraviglia; avvegnaché lo spirito di diffidenza, con cui sempre si procede in cotali consegne, dà ragione di questo divario senza dovere incolpare alcuno di malizia; tanto più che nei tempi andati si tendeva maggiormente, che non adesso, a falcidiare d’un qualche centinajo di jugeri d’infelice terreno, per non attirare sovr’esso il cupido sguardo de’ Principi, i quali già ne pretendenvano l’alto dominio.

VII. Sopra questa superficie di territorio divisa da 21 Comuni e da 29 Parocchie noi contiamo ora una popolazione di 16,914 anime secondo il Censimento operato nella notte del 31 ottobre 1857; e ci piace il vedere che successivamente andò quasi sempre crescendo malgrado la incessante emigrazione, che dirada le famiglie; poichè ai tempi del Bescapè, cioè nel 1594, numeravansi 12,044 anime; più tardi nel 1791 secondo uno stato d’anime spedito il 16 dicembre al Cancelliere dell’Università Notajo Scalfa di Orta erano 14,250; nello stato del 1826 ascesero a 15,634; nella statistica del 1858 a 16,088, e in quella del 1848 a 17,2339. Notai essere questo paese soggetto per la sterilità del suolo ad emigrazione continua, perchè si contano fra noi parecchi, i quali o soli, e colla famiglia si stanno per la maggior parte dell’anno, od anche lunga mano d’anni, in Milano, Genova, Roma, nella Spagna, in Francia in America ed altrove a procacciarsi, esercitando le arti ed il commercio, i mezzi di esistenza loro negati dallo sterile suolo. E se non fosse quella insuperabile forza, che muove più particolarmente l’abitatore de’ monti a trasportare sulla terra natale il frutto de’ sudori, che la necessità lo condusse a spargere in [p. 19 modifica]esteri paesi, nè tanti bei gruppi di case ingemmerebbero le verdeggianti costiere del Lago, nè questa contrada starebbe guari dal mutarsi in un deserto. Notò il Cotta, che sul finire del secolo XVII la coltura andava rifiorendo, e molti poderi inselvatichiti per difetto di abitatori stati scemati nel precedente secolo dalla peste, e dalla emigrazione, ritornarono coll’aratro e colla marra a floridi campi. Notava però lo stesso scrittore, che dal 1200 sino al 1500 le decime prediali rendevano quasi il doppio dei tempi suoi. Questo avanzamento nella coltura agraria si riconosce anche ai nostri giorni. Ora si veggono viti floridissime, e praterie e campi dove innanzi non nasceva altro che stipa, un composto di sterpi di varia specie, massime d’eriche e d’ulici, cui noi Lombardi chiamiamo bruchi o brecchi, e ce ne serviamo a far fuoco o manne ad uso di farvi salire su i bachi da seta. Prova ne sia fra gli altri luoghi il bel monte di Mesima, sul quale per investitura enfiteutica a 60 anni testè fatta a molti dal Comune di Ameno mutossi l’arida stipa in rigoglianti vitigni, e l’erica silvestre in messi copiose10. Notò del pari che il prezzo dei terreni, benchè di tenue prodotto, andò di continuo crescendo. Esso è eccessivo anche oggidì, massimamente se veggansi i contratti di stabili posti in Crabbia, Pettenasco, Grassona ed Egro11. Ciò proveniva allora dalle stesse cause, che agiscono in oggi; e veramente il danaro introdotto dall’industria, il piacere di possedere stabili in patria cosi soddisfacente per chi conosce a palmo a palmo il suolo in cui visse i lieti giorni dell’infanzia, la incertezza degli altri contratti quantunque più utili, ma meno apprezzati, e il desiderio di riposo in chi ritorna stanco e provetto da rimote contrade sono potenti cagioni a far riversare in questi acquisti il denaro altrove raggranellato.

VIII. Se non che la difficoltà di poter ridurre a sicure cifre la [p. 20 modifica]estensione territoriale diventa arche maggiore per determinare il prodotto della coltivazione. Furono già da alcuni anni somministrate dai Comuni alcune nozioni alla Commissione di statistici; ma a chi conosce i luoghi , e a chi le esamina partitamente cadono per necessità di mano, tanto son esse infondate, arbitrarie e contraddittorie. Possiamo perciò discorrere sommariamente dei principali prodotti. La bachi-coltura ebbe in questi ultimi tempi tanto nella superiore, quanto nella inferiore Riviera un notevole incremento, essendosi i coloni accomodati a guardare di buon occhio fra i vigneti le filiere dei gelsi allettati dal guadagno di un pronto raccolto. E lamentevole caso che o per infezione della semente, o per malignità dell'atmosfera sieno da qualche anno frodati delle loro fatiche. Questa produzione, estendendola ad una cifra non solo probabile ma possibile sulla media di un discreto raccolto, importerebbe la quantità di rubbi 2000 circa, i quali valutati a soli L. 30 ogni rubbo, farebbero entrare in Riviera l'egregia somma di L. 60,000. La migliore filanda pei bozzoli fra noi è quella dei Bellosta di Alagna. Le viti si possono dire il miglior ramo di produzione della Riviera orientale. Quanto sono belli a vedersi quei verdeggianti colli tutti coperti dai diffusi tralci, ed imporporati dalle uve, che rendono gli autunnali giorni così giulivi a Corcogno, Vacciago, Orta, Carcegna, Pettenasco e Crabbia! Qui la loro coltivazione è di assai dispendio, dovendosi la vite elevare gran tratto con lunghi e grossi pali, per essere il terreno di sotto ridotto a seminerj, o a prato. In addietro avvitichiandosi i tralci della vite a vive piante che chiamavansi altini, una specie di olmi detti da Columella e da Plinio ugualmente atinia12. Ora non si adoperano più, forse perchè di soverchio ingombro ai raggi del sole, e di troppo dimagramento del terreno. Lo stesso Plinio fa menzione del Novarese coltivatore delle viti, e nota, che sulle forche avvolgevano i tralci, ma soggiunge esserne il vino aspro e immite13. Se a ragione ciò dicesse io non so. Ora però i nostri vini, in ispecie quelli di Carcegna, Pettenasco e [p. 21 modifica]Crabbia, se mature siansi raccolte le uve, sono assai buoni, generosi e gradevoli, e se vengono trasportati alle regioni montane acquistano tale forza e sapore da non reputarli per nostri. Nei buoni raccolti il vino per la Riviera non solamente sopperisce alla necessità della popolazione, ma forma eziandio materia di discreto commercio. Una trista sventura ci piombò sopra per l’ira del Cielo, poichè da oltre un decennio uno sconosciuto malore, chiamato crittogama, ne ammorba ed insozza gli acini, i quali o non giungendo a maturanza, o spaccati per mezzo cadendo ci resero inutile il vendemmiare. Sembra ora per fatti esperimenti, che giovi assai lo spolverare di zolfo i grappoli alcune volte dopo la loro fioritura14.

IX. Altro ramo di produzione si è la pastorizia, da cui grande copia di carnagioni e di grasse, non essendovi quasi palmo di terra che non produca erba alle capre ed alle bovine. Dal principio di maggio sino ad ottobre si riducono i pastori e gli alpigiani di Nonio, Cesara, Arola, Arto e Boletto, come pure quelli di Coiro e Armeno, sulle loro montagne, dove colle proprie e colle appigionate capre e bovine stanno tutta l’estate nella frescura del l’aria e delle acque che preservano i latticinii dall’acidità e dalla corruzione, componendo eccellente butirro e formaggio, ed allevando vitelli. Chi ha veduto quelle estese praterie trapuntate di casolari, e qua e colà ricche di piante e di arbusti, massime sul Mergozzolo, ove in questi ultimi anni furono dal Governo posti molti cavalli e puledre; chi ha udito il tintinnio dei campanelli appesi al collo delle pascenti giovenche quando escono muggendo dalle aperte stalle a una, a due, a tre; chi ascoltò la voce dei guardiani che richiamano ai proprii pascoli le sviate e le ritrose, ed il mormorare dei frequenti ruscelli che dall’alto discendon giuso facendo i loro canali freddi e molli, le acque dei quali ora raccolte in iscavate conche al beveraggio delle bestie, ora divise e sperperate da frequenti roggie ad inaffiare i prati, [p. 22 modifica]riflettono così vagamente i raggi del sole; chi ritrovossi colassù nel mattino, e vide il sorgere dell’aurora, e senti la brezza di un aria acuta, lo stormire delle frondi, il canto dei ridesti uccelli; chi vide da quelle vette quanto può giungere la vista l’immenso piano del Novarese, del Vercellese e della Lombardia, i molti laghi, e gli innumerevoli paesi, che li fanno belli, e ricchi; chi fu spettatore di quella indescrivibile meraviglia, che ci si presenta, allorquando, risplendendo colassù in bel sereno il sole, si agitano al di sotto le nubi ora commosse dai venti quasi onde del mare, ora tormentate dalle fulgori e dai tuoni, che nel loro seno guizzano e rumoreggiano, egli avrà avuta una qualche immagine della bellezza della natura, e della immensità dell’universo.

X. Alle falde di queste costiere ora prominenti ed ora rientranti in valli vedesi un perpetuo bosco di castagne, ubertosa produzione che allevia le angoscie del povero, e di roveri, betole 15, olmi, faggi, pioppi, frassini, sorbi coi rubicondi loro grappoli, e ginepri colle nereggianti bacche tanto ricerche dai tordi e dalle grive. Sopra queste vette sguinzagliamo i cani talora, e compartiamo le lasse: allora ciascuno si studia di occupare i rimoti sentieri, e di essere giunto al varco, innanzi che la belva sia posta in fuga: intanto i segugi colle teste a terra mostrano il loro valore ricercando col fiuto le traccie del nascosto lepre: esso dai latrati riscosso, e timoroso all’appressarsi dei veltri balza fuori dagli spinosi vepri, e in bene aperto campo distendesi al corso: i cani dietro lui corrono battendo per dove corse loro innanzi; quelli alla preda agognano, questo allo scampo; e perché l’avversario non giunga ad avanzarlo, sorpassa e sprezza ogni folta macchia ed ogni dubbioso sentiero: ma già il cane sta per ciuffarlo coi denti, e schiattisce: il lepre è in dubbio, se preso o libero sia; ma intanto gli sfugge di sotto, e la dà all’erta. Cosi salendo spinto [p. 23 modifica]dai clamorosi latrati giunge al cacciatore colà posto in agguato, il quale d’un colpo di moschetto gli toglie nei corso la vita. Qui abbiamo pernici, coturnici, starue, acheggie e faggiani, che pasconsi nell’ estate di fragole, di more, di lamponi e di mirtilli16. L’uccellare ha le sue delizie coi lacci17 e con le reti, come dicono, a frascato, o paretaio, ovvero coi roccoli: il primo di questi che siasi visto fra noi fu piantato al fianco orientale del colle di S. Carlo di Miasino, forse dove trovasi ora quello dei Razzini: i meglio intesi e rinomati de’ nostri dì sono quelli nei boschi di Ameno e di Armeno, e sulle colline di Bolzano e di Auzate. Per le varie contese giuridiche alle quali si veniva a cagione del cacciare dai Riveresi coi Vergantesi18 il nostro Cotta aveva in [p. 24 modifica]pensiero descrivere una memoria legale dei molteplici casi che potevano intervenire; ma poscia avendone letta una fra le opere di Sebastiano Medici, a quella rimandò gli amatori.

XI. Del resto le due Riviere producono grani grossi e minuti, e legumi d’ogni specie, non bastevoli però che per tre mesi del l’anno al bisogno degli abitanti, quando le brine, le gragnuole, o i venti australi non dissipino, come sovente accade, quei pochi frutti che vi nascono. Suppliscono a questo difetto i grani del l’agro novarese, e la dovizia delle castagne, delle patate e dei laticinii. Vi si coltiva il canape ed il grano turco19: vi si trovano bastevolmente ortaggi squisiti, e frutti in quantità; mandorle, azzaroli, amarene, cerase, corgni, gengiovini, fichi, melgranati, pesche, pomi, peri, noci e nespoli, siano nostrani, siano forastieri, nella diligente coltura dei quali non dimenticherò di notare in ispecie i prodigiosi conati del Sacerdote D, Pasquale De Lorenzi Curato di Coiro, dei fratelli Fortis di Pettenasco, del Dottore Pietro Neri di Berzonno, e dei fratelli Ronchetti di Orta.

XII. I torrenti e i fiumi, che formati da piccoli rigagnoli sui monti vanno a confondersi colle acque del lago, sono dalla parte occidentale la Scarpia ad Alagna, la Plesina ed il Pellino a Pella, [p. 25 modifica]e l’Acqualba, così detta dalla bianca acqua, colla maravigliosa sua cascata al di sopra di Nonio; e da oriente il Pescone a Pettenasco, che trae le sue sorgenti dal Mergozzolo; ma primeggia fra tutti l’Agogna, la quale da piccolo ruscello che scorre dagli alpi la Volpe ed il Calandro, raccogliendo poscia dall’Onella e dalla Frua altri tributi, si fa grossa ed insofferente degli argini. Essa scorre la Riviera in vicinanza di Coiro, Pisogno, Ameno, e Gozzano, passa dal territorio di Briga, indi al piede di Borgomanero, che nel 1857 fu completamente da lei innondato, prosegue in direzione da settentrione a mezzodì verso Fontanetto, Momo e Novara, lascia questa città a sinistra distante un miglio e volgendosi pei territorii di Lumellogno, Monticello e Vespolate s’indirizza a Lumello e di là a metter foce nel Po alla Gerola. Questo fiume dagli antichi Romani era chiamato Novaria, anzi il Cluverio 20 pretende, che da questo abbia preso Novara il nome. Gaudenzio Merula chiamollo col Terdoppio pisculenta flumina, ed il Bescapè troctarum ferens copiam21. La proprietà giurisdizionale di questi fiumi era un tempo dei Vescovi Conti, ma l’utile dominio, o piuttosto la proprietà patrimoniale e d’uso, era di quelle Comunità sul territorio delle quali essi trascorrono; laonde poteva ciascuno estrarre l’acqua da questi fiumi anche senza beneplacito e tributo ai Vescovi, ai quali era soltanto dovuta la decima detta Caneparia per i molini che aggiravansi o colle acque derivate dai fiumi, o colle altre raccolte ed unite da rivoli privati, non mai per quelle tolte per la irrigazione, o ad uso degli altri edificii, come peste, folle, fucine, seghe ed altri cotali, non ostando a questa libertà il jus radicale dei Vescovi, ma trovandosi la Riviera in un antichissimo possesso convalidato da immemorabile principio. Due soli edificii di qualche rinomanza, fuori i molini, esistono ora nella Riviera, la folla di carta sul Pellino del sig. Francesco Fiorentini, ed il Filatojo di seta sulla Plesina del sig. Galimberti in Pella, nei quali si veggono progredire il buon gusto delle fabbriche e la precisione degli ingegni e delle macchine. [p. 26 modifica]XIII. Non si coltivarono mai con pieno effetto le miniere aurifere fra noi, sebbene sotto il cessato regno Italico un Giulio Giuseppe Giorla di Pettenasco abbia ivi procurato molti assaggi della miniera alla regione di Cervigada, il cui filone di pirite giallo rossiccia è nell’interno di scisto grigio, e misto ad una terra ferruginosa; ed a Cesara altra miniera già da molti anni aperta in vicinanza al paese; e Giacomo Zanetti dell’Isole Borromeo ancora non è molti anni altrettanto facesse nelle vicinanze di Coiro con migliori auspicii: ma i loro tentativi o per difetto di danaro o per poca speranza di subiti guadagni furono di corta durata. Si pretese anche d’aver trovato a Roncallo piccolo cascinale presso Alzo, e con iscavamenti si cercò il carbone fossile ora sono tre anni dall’Inglese dottore Galland; ed altri amatori affidati dalle dichiarazioni vere o supposte dell’Ingegnere Stephenson inglese unironsi in società ed incominciarono un piccolo scavo, o assaggio in Pettenasco: svanì però la loro impresa dopo il rapporto dell’ingegnere Melchioni di Novara, e forse per miglior bene di tutti, scorgendosi soltanto qualche strato di lignite e di non perfetta entrante, ed altrove alcuni strati di scisto calcare bituminoso. Abbiamo però buone cave di sassi e vene di marmi, come quelle di Ronco, donde si tagliano sottili lastre o piode, le quali inservono in luogo di tegole a coprire i letti; quella di Alzo in quel monte granitoso della Madonna del Sasso, da cui si estraggono grandi pezzi di migliarolo granito di fondo bianco moscato a nero, che servirono già per il ponte della ferrovia sul Po a Valenza, e diedero alla Basilica Gaudenziana a Novara le 24 colonne esteriori della Cupola22: in Gozzano si rinviene calcareo rosso conchiglifero, di frattura concoide, il cui colore pende talvolta al rosso giallognolo, ed è suscettivo di bella levigatura. La balaustrata della chiesa di Gozzano fu fatta con questo marmo. Il masso è posto nella parte più alta del villaggio ove sono collocati il Seminario ed il palazzo Vescovile: nell’interno del paese il marmo si mostra con traccie di calcaria [p. 27 modifica]cristallizzata; ma fuori di esso, e particolarmente sotto ad un prato del Seminario vi si scorgono racchiuse conchiglie fossili dello stesso colore e di eguale durezza della roccia. In Oira la cava di marmo nero che, come scrisse Cotta sulla testimonianza di Gaudenzio Merula, nei precedenti secoli, e prima che si scoprissero i marmi Comaschi, fu di molto pregio appresso i Duchi di Milano, poichè l’antica facciata di quel Duomo scaccata a marmi bianchi e neri, e che incominciata nel 1386 stette fino al 1683, ha dato molta celebrità a questi marmi; ed altre tre bianche in prossimità di Crabbia, di Miasino e di Cesara, tutte incolte o per non trovarsi conveniente spaccio, o per non essere ben note agli artefici. Abbiamo sassi calcari buoni per calcina, e vaghissimi per le dentriti a Cesara e a Gozzano, ma nessuno finora per quanto io sappia usonne per traffico, o per togliere almeno la necessità di servirci di quella di Maggiora o di Arona. Aggiungerò a queste lapidicine la creta od argilla di Gargallo, così acconcia alla formazione di vasi e stoviglie, e dei mattoni da fabbrica; non che quella di recente attivata da Domenico Isotta d’Agràno pei soli mattoni e tegole sui confini del territorio di Armeno con Pettenasco.

XIV. Bartolomeo Taeggio Cavaliere Milanese e Castellano di Riviera nel 1853 fra le sue lettere risponsive una ne scrisse a Domenico Morando Luogotenente generale e Commissario del Cardinale Vescovo Giovanni Morone, nella quale tanto si mostrò invaghito delle delizie di questo paese, e specialmente dell’Isoletta di S.Giulio, da volerla non pareggiare, ma anteporre a quella di Citerea, di Coleo, di Itiaca, di Ogigia, di Baia, d’Andro, di Cipro, d’Utica, di Lenno e d’Ischia; che anzi conoscendo egli quanto bene si prestasse questa Riviera per l’amenità del sito, la salubrità dell’aere, e la temperanza del clima ai desiderii dei villeggianti, asseriva che se fosse stata veduta questa terra amena a Plinio Nipote, egli avrebbe lasciato per lei il suo Laverentino, e Marco Censorino, Tullio Cicerone ed Erode Filosofo Ateniese avrebbero avuto in non cale l’amico Sabino, il Tusculano famoso, e la deliziosa Cefisia. Dopo di lui il nostro Carlo Francesco Bertochini d’Ameno nel suo idilio l’Armindo, stato pubblicato dal Cotta in calce al libro I della sua Corografia, fece contendere a gara [p. 28 modifica]natura e cielo, l’una per produrre, l’altro per versare in seno a questa Riviera quanto di bello e di grazioso può accogliersi quaggiù a nostro diletto dalla terra. Ma se oggi ricomparissero fra nio, e vedessero le nuove delizie sorte quasi per incanto ad ingemmare le sponde del lago, i sontuosi palazzi che illustrarono ed ingentilirono i nostri paesi, le amene villeggiature che innamorarono di sè i cittadini, e fanno cotanto belli i giorni d’autunno, quali meraviglie dovrebbero scrivere? Non è quarant’anni ed una sola casa campestre stava negletta sulla ripa occidentale in vicinanza alla fontana di S. Giulio, ed accoglieva la famiglia Bellosta detta comunemente del pascolo: ora un aggregato di molte e bene costrutte case atte a varii rami di commercio si ammira da lungi, ed augura a quel luogo la non lontana fortuna di formare un bel paese. Sono graziosi e mirabili i poderetti sulla sponda del Cusio qui protendentisi nel lago con regolari muraglie, là incurvantisi come arco per abbracciare le belle e chiare acque, dove una darsena accoglie la barca e la gondoletta, sotto cui lieta soggiace l’onda o quando si vada ad asciolvere con allegra brigata, o quando si tendano insidie ai pesci; in mezzo a questi ora torreggia un elegante casinetto fra l’ombra delle viti e dei gelsi, ora un promontorio smaltato di fiori, e spartito da ricurve ajuole ridenti per le rubiconde verbene, e per i purpurei leandri. Nè sfuggirà alla vista del viaggiatore la villa del Cav. Gaudenzio Prina ad Imolo, quasi presagio delle maggiori che a lei tengono dietro: giacchè innalzando lo sguardo sulla collina che ci sta a destra mano, apparisce quanto gentile altrettanto bella la villa del Conte Gaspare Roget De Cholex or ora compita; poi i due casini Fortis e Ronchetti, e questo tuttochè in parte solamente costruito ci apprende l’arie maestra di quel forte ingegno dell’Architetto Alessandro Antonelli, delle cui opere il novarese va tanto superbo: poi discendendo per la strada carreggiabile verso Orta23, estatico si rimane e dolcemente sorpreso dall’aspetto magico della villa, che il marchese Natta d’Alfiano di Novara volle innalzare nel [p. 29 modifica]1841 sul disegno fattogli dall’architetto Caronesi; qui la natura aiutò l’arte, e l’arte superò la natura. Nel rigido verno le verdi camelie e le dafni odorose non temono il gelo e la neve, cui poco raggio di sole tostamente discioglie; qui il sasso della sterile moriccia pria di tufi coperto e di musco tra le fenditure e gli sporgenti rialzi mantiene e nutrica gli aloe e gli aranci: qui l’innamorato Tibullo meglio forse che negli elisi troverebbe il luogo da esservi ricondotto dalla sua Messala, dove fra i boschi di peregrine piante la magnolia, la grandiflora, il pinus strobus, ligustum hiapponicum, liburnum tinus, pinus abies nigra, pinus abies alba, cupressus, arbutus omedo, e i mirti, e molte altre fiorenti e odorose piante, formano col canto dolci melodie e per entro a quelle macchie svolazzando menano danze e carole gli uccelli; e dove di soavi rose la terra tutta germoglia, e vergini mani di illustri donzelle sfrondano lungo i meandri di limpida fonte i rosai ed i mirteti per farsene ghirlande al capo, e mazzolini al seno.

XV. Belli sono e pregievoli in Orta i palazzi Gemelli e Fortis, ed altri molti che circondane la piazza e costeggiano il lago, fra i quali volle nel suo Dizionario geografico il Casalis notare quello degli eredi di Giuseppe Maria Gippini. L’Isola S. Giulio mirabilmente spicca per le case che intorno la serrano, quella dei Nobili Prevosti, l’antica de’ Borroni ora dell’Avv. Cotta Ramusino, la casa Prina, e quasi tutte le Canonicali. Gozzano vanta quelli dei Nobili fratelli Ferrari Ardiccini, e l’altra che fu dell’illustra famiglia Ruga, ora di S. E. Monsignor Vescovo Gentile: Bolzano le sue delle famiglie Marietti e Rera milanesi: Auzate, Bugnate e Pogno quelle dei Toni, Unico, De-Gregon e Giulini: Berzenno quelle del Dottor Pietro Neri, e del Conte Patalani: Corcogno, Vacciago e Lortallo quelle dei Bonola, dei Mazzola, e dei Pestalozza. Volgiti a sera ed ammira l’ampio palazzo in Brolo dei fratelli Conte Paolo e Cav. Battista Tarsis: in Pella la casa del l’antica e chiara famiglia Zanotti: in Alzo e Boletto le case Fiorentini, Soldi e Giulini: ascendi a Miasino, e qui le belle ed ampie case Martelli ora Nigra di Sartirana, Marietti, Borroni, Razzini e Prinetti: ad Armeno le case Sappa, Pattini e Valle, quest’ultima posta sulla piazza e non ha guari costrutta sul di[p. 30 modifica]segno dell’architetto Gaspare Nobili di Omegna; nè te dimenticherò, o mio Pettenasco, nè te, o Crabbia, per le belle abitazioni del Cav. Giacomo Fara, e del Cancelliere e Reggente in un tempo del Consolato Sardo in Barcellona Giovanni Fortis. Ma sopra tutte stanno e lussoreggiano in Ameno per bellezza di sito, per magnificenza di fabbricato, e per isquisitezza di incantevoli giardini le case, o meglio i palazzi del Conte Luigi Agazzini, del Marchese e Senatore del Regno Girolamo Tornielli, e del Barone Generale Paolo Solaroli. E perciò i Riveresi possono con ragione sperare, che compiuta la nuova ferrovia, le case di campagna e le villeggiature sorgeranno molteplici sopra queste spiaggie e queste colline, e con noi i forestieri divideranno nell’estiva ed autunnale stagione il piacere delle non comuni agiatezze, e della maggiore libertà.

XVI. Ora poche cose dirò del popolo e de’ suoi usi e costumi. L’antica razza Levi Ligure niente mescolata fra noi per arrivo o raccetto di forestieri, sembra essersi conservata nelle succedenti generazioni, poichè quella lode datale da Virgilio nelle Georgiche di essere cioè un popolo avvezzo ai disagi della povertà, atto a lunghe fatiche, ai lavori, a sete, a caldo, assuefatto a freddo, a fame da quel cielo e da quella terra »assuetumque malo Ligurem» non è demeritata da questi abitatori, quantunque la civiltà, la educazione ed il consorzio cogli esteri abbia gran fatta ammegliorata la loro sorte. Di questa razza robusta maggiormente spicca fra noi l’abitatore di Armeno e di Boletto, il più dedito alla pastorizia, cosichè di lui possiamo quasi dire col poeta, che

« Tiene ancor de) monte e del macigno. »

La Riviera inferiore, e la parte orientale della superiore per mitezza di clima, per fertilità di terreno, e per le molli abitudini, che quindi nascono, non ha più quest’impronta di una rozza virilità di altri tempi: e noi vedremo in Gozzano, in Orta, in Ameno, in Soriso e Pogno, luoghi più popolosi, quella sobrietà, quella gravità e sodezza e quella vitalità mista a gentili modi, che tanto ritraggono delle abitudini cittadine; di ciò fu primiera cagione l’ammaestramento elementare colà introdotto prima che altrove, o per opera dei municipii, o per filantropia del clero, il solo let[p. 31 modifica]terato negli antichi tempi, e recentemente le strade ampie e carreggiabili, opportuni veicoli del commercio, che ci congiunsero coll’abitatore dell’Ossola e della Svizzera24. Fra i riveresi colui, il quale non espatria in procaccio di migliore fortuna, è dato all’agricoltura, o ad opere manuali e fabbrili, ed a queste ultime attendono maggiormente quelli di Ameno, di Pisogno, di Pettenasco, di Cesara, e di Arola. Le donne, quando il rigor del verno non le tiene nelle loro casipole intanate, o escono ai lavori di campagna, o portate fuori loro sedie impagliate, mettonle agli usci, e fatta sala della via, una fa calzette co’ferruzzi, un’altra dipana, quale annaspa, quale cuce: insomma tutte fanno il loro mestiere particolare; e in ciò sono divise, ma parlano in comune dallo spuntare fino al tramontare del sole. Ciò pure interviene alla sera radunandosi alcune in una casa, alcune in un’altra, e trattando il fuso e la canocchia. E per giunta al cicaleccio avvi anche qualche madre, od avola, o zia, la quale non sapendo come meglio educare il piccolo fanciullo, che le sta vicino alquanto irrequieto, tirando orecchi, dando ceffate, e con le aperte palme il tenero cularello percuotendo lo fa stridere e gridare quanto gli può escire della gola, tantochè talvolta s’ode un coro di fanciulli che piangono, di donne che rinfacciano la crudeltà alla comare, e di comare, la quale sostiene il suo metodo e fa le sue difese. Sembra da alcuni dei nostri volersi conservare la loro schiatta propria sincera, non commista ad altra di fuori, dacchè i giovani non si mari[p. 32 modifica]tano che a zitelle compaesane, per istringere più gli animi e obbligare le famiglie, quasi temendo per matrimonio forastiero di imbastardire. A questo ostracismo attribuiscono alcuni il non vedersi quivi le generazioni alquanto belle. Generalmente ogni madre de’ suoi figliuoli è balia, i quali appaiansi robusti e fatticci come i padri loro: ma esse e le loro figlie forse di soverchio sottopongonsi a grossi ed enormi pesi, e la durano ad eccessive fatiche. Ciò dico de’ paesi montani ed agricoli , nei quali è continuo il vedere quelle giovinette un po’ brunotte per amor del sole, tarchiate e ritonde, che sembrano mezze colonne di marmo state sotterra parecchi anni, starsi a rappianar i magolati e tener netti i solchi, sarchiare e mietere il grano, coglier erba su scoscese balze, nei boschi a far legna, nelle selve a razzolare strame, e sempre ridenti in volto, sempre giulive fra il canto di quelle canzoni, che loro ricordano i patrii monti, e le valli, i boschi amici, e un cuore che le aspetta, e la cara libertà; e da quei sentieri ardui e dirupati discendere franche e balde sebbene ansanti, e di sudore molli per l’enorme peso sulle spalle.

XVII. Sono ospitali gli abitanti della Riviera, manierosi ed assai ciarlieri, e se avvenga a qualcheduno di usare di barca per navigar sul lago, o di guida per valicare i monti, se ne persuade dal perpetuo ragionare che fanno su tutte le cose, dallo sputar sentenze, e dal richiedere i forestieri sul fatto loro assai più che non convenga. Grandi vizi non ci sono, meno delitti : e se togli pochi oziosi ne’ luoghi più popolali, e poca temperanza nel bere di chi sciupa nelle feste quello che avanzò di sue fatiche ai bisogni della famiglia , vedrai una popolazione vivace, morigerata e civile. Sono religiosi, e tali per convinzione: S. Giulio e S. Giuliano sono oggetti per loro di un culto quasi divino : le loro feste maggiori sono rallegrate dai convegni vicendevoli di parenti e di amici, e quantunque negli altri giorni sogliano i popolani imbandire le domestiche seggiole e deschetti di cibi non compri, nelle feste lussureggiano al tagliere con alcuni piatti di carne e con eletti doni di Bacco. Sarebbe ora grande fallo il non invitare i congiunti alle nozze delle figliuole, perchè questo intervento è tenuto quale riconoscimento del nuovo parentado25 [p. 33 modifica]Così pure adoperavasi nel battesimo dei neonati, pei quali veggo dal diario di Elia Olina, che prendevansi fino a sette ed otto padrini, o madrine: ora la bisogna procede senza tanti inviti. Essi vengono ai funerali in abito di scorruccio, ed era ben grave per l'addietro il loro dolore, e profuso il pianto, dacchè lo Statuto della Riviera con pene pecuniarie ne proibiva il piangere26. La lingua parlata è un vernacolo che soltanto nella pronuncia differisce alcun poco dal Novarese: odonsi però alquanti vocaboli, massime dalle persone più rozze e che non escirono mai dal paese, i quali o sono nettamente latini, o sono un composto di più voci latine. Il dotto Curato di Pisogno Bartolomeo Manino seguendo l'esempio di Lancellotto Gallia, di Enrico Glareano, di Iosia Simlero, e di Gioanni Capis si pose a raccogliere e commentare grande copia di vocaboli parlati da noi per chiarirli come rimasugli del idioma latino. E ciò si potrebbe di leggieri anche oggidì, se l'opera e la fatica riuscire potessero di alcuna utilità. Questo fondo di latinità rimasto nel barbaro e corrotto nostro dialetto, che derivò dall'essere noi stati antica colonia latina, e dal linguaggio legale adoperato negli atti civili e giuridici, spiega perchè il medesimo sia più vicino, che non pare di molti altri dialetti al buon italiano. E in vero se viene spogliato di alcune parole ereditate dagli Spagnuoli, e di altre non molte venute d'oltre monte, colla superiorità degli anni e dello incivilmento, con leggerissimo mutazioni di qualche vocale, e coll' aggiunta delle desinenze, si riduce a lingua tollerabile anziche no. Lo stesso pronunciarsi dell'u entro il naso, che mette fra i lombardi ed i toscani una spiacevole differenza, riesce un vizio meno aggravato e più facile a correggersi.

  1. Nell’atrio del Palazzo leggonsi queste inscrizioni:

    restituto · palatio · collapo

    carolus · espiscopus · p. ann. mdcxii


    io · bapta · vicecomes

    epys · novar. · et · comes

    ferro · ac · igne

    aeqvato · monte

    palativm · acavxit

    anno · mdciic.


    marcus · avrelivs

    episcopvs · et · princeps

    inferioribvs · avctis · exornatis

    svperna · palatii · adivnxit

    anno · mdoclxxvii.

  2. Non abbiamo stampati che il I e parte del IV libro in cui tratta dell’Isola di S. Giulio, e del quale si fecero due edizioni. I libri II, III e parte del IV, trovansi manoscritti presso gli eredi dell’Avv. Carlo Antonio Molli di Borgomanero nipote ex filia del Cotta, dai quali ho potuto nello scorso settembre averne la visione, raccolto colà per due giornate in una camera dal Can. Epifanio Molli.
  3. Vi sono trotte, tinche, luzzi, balbi, persici, agoni, varri, ed anguille, le quali non trovansi mai in istato di uova o di anguilline non si sa come si propaghino; non sono certamente animali ibridi nati da tinche, da luzzi, da carpine, come crede il volgo de’ pescatori.
  4. V. Casalis Dizionario Geografico Verb ORTA.
  5. Il Canonico Bartoli al capo VIII della sua istoria manoscritta di Novara, cui non potette compiere per la sopravvenuta morte, e che ora trovasi gelosamente custodita nella libreria Molli in Borgomanero, (benchè questo manoscritto, per essere stato dal Canonico compilato per ordine e con sovvenzione di danaro per le fatte spese dal Municipio di Novara, dovrebbe essere a questo restituito) discorrendo del frammento di una lapide scoperto a’ suoi tempi in Cureggio, sul quale leggevansi queste parole: M. AGRANIVS VALERIVS, da tal nome gentilizio suppone avere ricevuto il suo la terra di Agrano a noi vicina. Ma quanto sia gratuita questa supposizione, ciascuno lo vede.
  6. Questo antico documento con altri molti esistenti già nell’Archivio della Collegiata dell’Isola, i quali furono veduti dal Cotta nella rubrica Capsa Hortæ, ora trovansi nell’Archivio di Brera in Milano, stati colà trasportati per ordine del governo Napoleonico, o del cessato Regno d’Italia, con tutte le carte antiche dei corpi ecclesiastici soppressi. Qui ne vidi uno del 14 Aprile 1247, indizione VII, ove è conceduta dai Canonici dell’Isola capitolarmente radunati nel coro della loro Chiesa a Berta vedova di Adamo Burella di Borgomanero qual madre e e tutrice di Rambutino la facoltà di poter investire Guidoto de Roba notajo di Borgomanero e suoi eredi di un molino con roggia e chiusa situato nel territorio di Cureggio ove dicesi in Plora, con 1’obbligo però ad esso Guidoto e suoi eredi ingiunto di pagare al Capitolo annue moggia (sacchi) due di segale alla misura della pila esistente nella Chiesa di S. Giulio, e condurli a sue speso nel granajo del Capitolo. Rogat, Guglielmo notajo del sacro Palazzo.
  7. Così lo chiamo, sebbene ora appartenga alle Sorelle Buzzi Carolina nubile e Giuseppa vedova Penotti, per conservare le gloriose memorie, dell'illustre famiglia Fortis, o De-Forte di Orta. Nel catalogo dei Santi, che si venerano nella Chiesa di S. Afra di Brescia, e nel Crescenzio Lib. II part. I del Presidio Rom. si fa menzione di Tonnino Fortis, il quale nell'anno 122 fu in Brescia trucidato, dove era venuto con altri Novaresi per opporsi ai furore de' pagani, poco dopo il martirio dei Santi Faustino e Giovita. Lazzaro Agostino Cotta nel Museo Nuv. inclina ad assegnarlo a questa antica famiglia. Della stessa fu anche il Dottore di legge Giovanni Fortis, alla cui sollecitudine noi siamo debitori di averci conservati, e saviamente esposti i Commentari di Giulio Cesare Rugginetti giureconsulto di Milano stati quivi pubblicati colle stampe nel 1691. L'ultimo che noi conobbimo fu Marco Antonio Fortis, già insignito delta carica di Procuratore generale della Lombardia, decorato per i suoi talenti e per i suoi servigi del titolo baronale, come pure di quello di Commendatore della Corona di ferro. Avvocato di grande riputazione presso il Senato di Milano veniva trascelto dall'Imperatore Leopoldo d'Austria a quella eminente carica, cui egli riebbe quando la Lombardia ritornò sotto lo stemma dell'aquila bicipite. Egli finì i suoi giorni in Orta, mostrando nel testamento l'esimia sua carità con varii legati di beneficenza, fra i quali è degno di essere ricordato quello per gli Esercizii spirituali da darsi preferibilmente dai PP. Oblati di Rhò nella Parrocchiale di Orta ogni sesto anno, e per un tempo determinato. e del Cancellierato della Riviera alcuno de’ suoi. Elia Olina soffrì gravi travagli per la sua putria, e ne scrisse un curioso racconto col titolo, di Diario dal 1523 al 1560, che mi venne graziosamente prestato in originale quale fu scritto, dal suo discendente avv. Giuseppe Olina. Egli fu con grande solennità nell’Isola il 28 novemb. 1536 creato dal Vescovo Gian Angelo Arcimboldo Notaro Apostolico, e Notaio del Banco. Giovanni Battista Olina Dottore in legge scrisse e fece stampare in Vercelli nel 1575 un Sommario istorico legale dei privilegii ecc. dei Vescovi di Novara e degli Uomini della Riviera, e molto si adoperò nel custodire e difendere le prerogative della sua patria. Pietro Olina dopo di avere atteso nella città di Siena agli studi di belle lettere, filosofia, teologia e Canoni, nei quali fu laureato Dottore, accolto in Roma dal Marchese del Pozzo, e con ogni maniera di amorevoli ed onorifici trattamenti lungamente trattenuto, compose con elegante eloquio la sua Uccelliera fatta stampare in Roma nel 1632, e morì Canonico della Cattedrale di Novara nel 1645. Il giureconsulto Giuseppe Olina esercitò la regia prefettura in Valle di Antigorio circa il 1690, nella quale fu già il nostro riverese Francesco Antonio De-Ambrosis, secondo che scrisse il Cotta nella nota 104 alla Corografia del Verbano di Domenico Macagno. Bartolomeo Bersano fu Avvocato Patrocinante della città di Milano, e nell’età di soli 32 anni diede alla luce nel 1691 il suo trattato De Compensationibus, al quale tenne dietro l’altro De Viduis, earumque privilegis stampato in Ginevra nel 1699, e poi quello De ultimi voluntatibus pubblicato colle stampe in Parma nel 1706. Il Bersano fu anche buon poeta epigrammatico, come si può scorgere dalle poesie latine da lui fatte stampare in Milano nel 1688 unitamente all’orazione recitata nell’ingresso del Vescovo Gian Battista Visconti. Lo colmarono di encomii il P. Lodovico d’Ameno nella prefazione del lib. 5 della Pratica criminale, e Lionardo Gutierez de la Huerta nel proprio trattato De Compensationibus. Vivente lui tuttora lo difesero dalle infondate critiche, e ne fecero l’elogio meritato il giornale dei Letterati di Modena, e la Sinopsi biblica di Parma dell’anno 1792, nella quale trovo scritte queste parole da non tacersi; Auctor hic juvenis ætate, sed maturus legum perilia sui specimen calami cemmendabilis prabet conatu; dignus proficto, a quo eximia expectentur in tam nobili literatura genere volumina, et quem sub præecptore non discentem sed docentem miratur orbis, emancipatum brevi salutet juris oraculum. Egli morì in Milano il 18 Aprile 1707.
    Girolamo Gemelli, che col nome suo ci ricorda l’altro Girolamo Carmelitano vivente nel 1570; il quale meritò grandi encomii nelle cronache di Giuseppe Falcone, ci è abbastanza noto per i suoi arguti e frizzanti opuscoli pubblicati, uno sotto lo pseudonimo di Didimo Patriofilo sul monte di Orta nel 1770 e l’altro coll’anonimo nel 1774, avente per titolo Racconti di ragionamenti in barca sopra l’antichità della Riviera. Francesco Gemelli (questi pure ci ricorda l’altro Francesco giureconsulto di preclaro ingegno a cui Francesco Sadarino volle adattare lo stesso encomio dato da Giustiniano al Giureconsulto Papiniano chiamandolo uomo di acutissimo ingegno, eletto il 24 Novembre 1677 a primario Professore di gius civile nell’Università di Pavia, ed assai lodato dalla suprema Curia di Milano col diploma 10 gennajo 1683); fu prima Gesuita poi Canonico della Cattedrale novarese. Non saprei ben dire, se fosse più valente oratore, o filologo, o palcologo od economista: l’opera sua del Rifiorimento della Sardegna scritta a richiesta del grande ministro Bogino unisce alla erudizione ed alla purgatezza e vivacità dello stile lo sviluppo di quelle sane dottrine economiche che in oggi vanno prevalendo presso tutte le colte nazioni. La sua eloquenza ebbe campo ad appalesarsi sia nell’orazione latina recitata in morte del Presidente del Senato di Milano Marchese Corrado di Olivera, sia in quelle italiane recitate in Milano, in Sassari ed in Novara per la morte dell’Imperatrice Maria Teresa, di Carlo Emanuele, e di Vittorio Amedeo re di Sardegna, come anche nell’orazione detta in lode di santa Gioanna Francesca Fremiot per la sua Canonizzazione, state tutte pubblicate colle stampe. Egli scrisse anche una Dissertazione, e fu stampata nel 1798, sulla antichità della Cattedrale di Novara, ma l’argomento era inferiore al suo genio, e vi fu spinto per amor di parte. S. E. il Barone Giuseppe Manno ora Presidente della R. Corte di Cassazione, dettandono la biografia e degnamente apprezzandone le opere, gli eresse nella sua Storia della Sardegna un monumento non perituro di riconoscenza e di gloria.
    Nacque Giacomo Giovanetti in Orta dal Dottore fisico Giulio, ed Angela Jorio il 1 Giugno 1787. Dirò iii lui brevemente colle parole del funerale elogio recitatogli nella Chiesa di S. Marco di Novara dal chiarissimo Avv. e Cav. Carlo Negroni il 23 gennajo 4849. Sotto il governo italiano in fresca età ebbe la carica di Sost. Procuratore regio nella città di Trento, carica che fu premio de’ suoi primi studi e di un accurato libro sullo stato civile stampato in Novara nel 1809. A Trento rimase finchè si mutarono le italiche sorti, e allora ricusando di servire allo straniero si ridusse in Novara, e vi percorse la carriera del Foro. Quivi tenne luogo eminentissimo nelle forensi discipline. Condurre a generali norme il caos scompigliato dei municipali statuiti quando ancora sussistevano in onta alla civiltà e al buon senso; recar lume dove tutto era tenebre; vendicare l’autorità del diritto comune contro la tirannide di codeste anticaglie, fu l’assunto principale del libro degli Statuti novaresi, che fu stampato in Torino nel 1830. A nessuno è ignoto quanto egli abbia cooperato alla stupenda opera del Codice civile Albertino e più specialmente a quella parte di esso che tratta del governo delle acque. Sopra questo punto confortato e richiesto dal francese De Mornay e dal Portoghese D’Avila scrisse una Memoria, anzi un volume, dove riassunse e discusse con grande sapienza le più capitali questioni, che versano intorno alla giurisprudenza delle acque, e propose in parecchi articoli un compiuto progetto di legge. Questo libro fu scritto in francese idioma, e fu stampate in Novara nel 1844, e reimpresso in Parigi dalla reale Stamperia nello stesso anno, ed ha per titolo: Du régime des eaux, et particulierment de celles qui servent aux irrigations. Questa operetta fu dettata e stampata nel breve spazio di ventun giorni. Il Governo francese lo rimeritò colla Croce della Legion d’onore, e la Regina di Portogallo colla decorazione dell’Ordine di Cristo. Da più anni egli attendeva ad un vasto lavoro commessogli dall’Imperatore delle Russie, e relativo alla legislazione dell’agricoltura in generale, e delle acque in particolare; questo lavoro quasi ultimato si conserva manoscritto presso i suoi figliuoli Giulio e Felice. Fu caldo propugnatore della libera industria e del libero commercio; il che gli valse l’amicizia del grandissimo Cobden inglese. Queste sue dottrine tralucono in molti suoi scritti, e segnatamente in due assai notevoli, l’uno Dell’abolizione delle tasse annonarie, e l’altro della Libera estrazione della Seta Greggia. Quello fu impresso in Torino nel 1833 questo in Vigevano nel 1834. Premiollo il Governo Sardo prima colla Croce Mauriziana, poi con quella del merito civile. Pieno di meriti e di onori, cui più recentemente si aggiunse anche quello della nobiltà ereditaria, entrò nell’ultimo periodo di sua vita nella carriera politica. Fu eletto Senatore del Regno, e più tardi sedette nel Consiglio di Stato. Morì nel 22 gennaio 1849 da tutti compianto, e la elegante penna dell’Avv. Francesco Antonio Bianchini suo amico gli scrisse questa epigrafe:

    GIACOMO GIOVANETTI

    Giureconsulto gravissimo

    Uomo d’alto intelletto

    E di omnigena dottrina

    Per sola propria virtù

    Cavaliere Mauriziano e del Merito Civile

    Della Legione d’onore di Francia

    Dell’Ordine di Cristo di Portogallo

    Vice Preside al Consiglio Superiore di Sanità

    Presidente Capo Consigliere del Re e di Stato

    E Senatore del Regno

    Benedetta e confortata di giusti ricordi

    L’angosciosa famiglia

    Nel solenne di S. Gaudenzio

    L’anima sincera e conscia del bene operato

    Fidente nelle mani di Dio depose.

    Piange Novara l’acerbissimo fato

    E sulla tomba di Lui

    Attutate le contrarietà delle opinioni

    Unanime

    Al generoso difenditore de’ suoi diritti

    Al Conservatore del Gallariniano Collegio

    Al Padre dell’Istiluto Bellini

    Att’Ottimo Probissimo Cittadino

    DI Laudi meritate e di Riconoscenza non peritura

    Offre il Tributo.

  8. La chiara ed illustre famiglia Olina fin dal principio del XIV secolo ebbe l'onore di dare alle delicate càriche del pubblico Notariato.
  9. Il decrescimento della popolazione dallo stato del 1848 a quello del 1858 avvenne nella Riviera superiore, nella quale nel 1848 la popolazione era di 11,642, e nel 1858 si ridusse a sole 11,190; quando invece nella Riviera inferiore quella del 1848 era di 5,591, e quella del 1858 di 5,724.
  10. Assai commendevoli sono per avere mutati sterili terreni paludosi e ingrati in bellissime campagne e praterie, e disboscate estese selve, e ridottele a viniferi tenimenti, il Dottore Carlo Galland inglese nei suoi possessi di Lucera sopra Buccione, e Sebastiano Morandi ne’ suoi di Ronco e Crabbia.
  11. Si sono venduti terreni a 4500 lire la pertica, ed anche più.
  12. Colum. de arbor cap. 10. — Plin. lib. 16, e. 17.
  13. Plin. lib. 17. cap. 27: Imposit a etiam num patibulis palmites circumpo... Itaque prœter soli vitia, cultura quoque torva fiunt vino.
  14. Sopra di ciò possono vedersi i recenti scritti pubblicati uno in Biella da quel dottissimo e zelantissimo Vescovo Mons. Losanna col titolo La Crittogama spacciata; l’altro in Novara dal Prof. Vincenzo Garizio col titolo La malattia della Vite e la sua cura.
  15. Anticamente se ne fece gran conto, perchè il Consiglio vinse una legge, ed inserilla negli Statuti, colla quale era vietato di tagliarne o per l’utile o per la comodità che ne veniva al pubblico. Betula gallica scrisse il Macagno, lib. 2, cap. 4, quem Bielam nuncupant, miro corticis candore, et tenuitate ad quœcumque aptissima, et ad circules vasales: item corbium sportas.
  16. Il Cotta lasciò scritto, essersi a’ suoi tempi veduti caprioli, daini, e qualche cervo avventiccio. Nulla di tutto ciò a’ nostri giorni. Ma le capre selvatiche, che egli dice non essersi qui fermate mai, furono vedute sopra Granarolo, ed una fu pochi anni sono colà uccisa dal Notaio Luigi Fara mio fratello.
  17. Dall’art. 15 della legge 16 luglio 1844 la caccia coi laccio o trabocchetti è proibita. Eppure sulle costiere e sulle vette delle montagne non vi ha quasi ramo di pianta, non palmo di terreno che non sia occupato da questi strumenti di distruzione. Da ciò il sensibile deperimento della più eletta selvaggina.
  18. Una ne avvenne nell’ottobre del 1860, quando trovandomi con altri cacciatori nei boschi di Brovello, e nella regione che chiamasi il Giuoco, forse per la moltiplicità delle strade che ivi si incrocicchiano, sentii latrare un cane, ed a tutta corsa avvicinarsi a noi, cacciando dinanzi un lepre. Per due volte passò per quella strada senza che appostato vi fosse un cacciatore o voce si sentisse ad animare il cane. La terza volta che il lepre muoveva per colà, portossi un mio compagno al varco, ed ucciso il lepre, se lo tolse con sè. Dopo alquanto tempo comparve il Giacomo Pozzi di Tapigliano, ed asserendo essere suo il cane, pretendeva gli fosse consegnato l’ucciso lepre. Il mio giudizio portava che gli si desse il lepre, perchè essendo questo inseguito dal cane, avea perduto la sua naturale libertà, ed apparteneva al suo padrone: gli altri sostenevano che la caccia era abbandonata, che il cane già da troppo tempo trovavasi solo sulla traccia, e che a lungo andare il lepre avrebbe fuggendo delusa la sagacia del cane. Il lepre non si volle consegnare.
  19. Il Gallenga nella sua recente Storia del Piemonte dice, che i popoli del Piemonte e della Lombardia dovettero a Bonifacio III di Monferrato questo prezioso seme da lui recato di Levante nel 1225, e crede essere stato prima piantato nella terra monferrina. Presso di noi veggo autentica menzione di questo grano saraceno nello Statuto della Città alla pag. 151 dell’edizione del 1583. Item statunm est, quod frumentum, sichulis, milium, panicum, pistum, milicha, et quœcumque alia legumina mensurentur ad mensuram rasam secundum mensuram Communis Nov-ariæ. Si suppone adunque che già prima si coltivasse questo grano. Infatti vidi da un antico documento che Druttemiro xxxiv Vescovo di Novara concedette in enfiteusi per anni venti un piccolo corpo di casa con due Cassine e terra annesse nel luogo di Cubruro a Guntilusso, uomo libero abitante nello stesso luogo, nel mese di giugno dell’anno xvii dell’impero di Lodovico II, corrispondente all’anno 867 dell’era volgare, indizione x, coll’annuo canone del terzo di tutti i grani che vi si raccoglieranno, tra i quali viene nominata la Melica. Questo documento trovasi nell’Archivio di questa Cattedrale nel documentario episcopale sotto il n. 3.
  20. Ital. Antiq. lib. I. cap. 22, 36. Egli fu a rngione corretto dal nostro Guido Ferrari.
  21. Merula Memorab lib. I. c. 2, 5; lib. II, c. 15. Bescapè pag. 44 e 53.
  22. Colla legge 5 luglio 1860 fu approvata a favore della Società della Cava di granito detta di Alzo la concessione di una strada ferrata a cavalli, che dalla detta cava metta a Novara. I lavori sono già incominciati.
  23. Questa strada fu aperta a spese del Comune di Orta nel 1859, aiutato in parte con sussidio dalla Provincia di Novara.
  24. Le strade che già esistevano sotto il dominio de’ Vescovi sono: la principale che da Borgomanero metteva a Buccione; quella di Auzate al disotto di Gozzano, e le due altre al disopra per Vacciàgo, Miasino, Ameno, e per Pogno e Berzonno, oia protratta fino ad Alzo. Nel 1838 a spese della Provincia si fece la strada che dalla Cappelletta di S. Giulio sopra Buccione, e dal punto di partenza di quella di Miasino scendendo al lago lo costeggia fino al piano di Bagnera: poscia fu protratta fino al confine della Provincia nel 1847. Il bel ponte sul Pescone a Pettenasco fu compiuto nel 1847, ed io stesso adattai l’ultima pietra, che chiude l’arco di mezzo in prospetto al lago nel giorno 28 agosto di quell’anno. Manca adesso una strada, che sorpassando la Cremosina ci conduca alla Valsesia, e per noi sarebbe una sorgente di grandi vantaggi.
  25. Lo Statuto della Riviera, n.90 D civitatis ad nutpius aveva questa prescrizione: Item, quod nulta persona in Riparia convitet aliquas personas ad nuptias, nisi sibi attinentes utque ad tertium gradum inclusive. Et quod nulla persona in Riparia, quœ non allineat supra, vadat ad nuptias aliquas. Sub pœna solidorum sexaginta Imper.
  26. Statuto n. 91: Item quod nulla persona sequens funus ad ecclesiam, sub pœna solidorum viginti Imper. pro quolibet et qualibet vice, clamorose ploret: et idem in septimis, trigesima, et anniversariis.