La Donna e il suo nuovo cammino/La donna e la scuola
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La donna e la scuola
DI
M. A. LOSCHI
Storia di una bambola... La scarpina di Cenerentola... La bella che s’addormenta nel bosco... Una fatina dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro...
I maschietti — usciti dai banchi della scuola e superati i primi passi incerti delle letture — già nei primi libri trovano altrettanti eroi, — che nei ricordi e nelle nostalgie dell’infanzia lontana li accompagnano poi per tutta la vita: eroi e protagonisti di una minuscola esistenza — cavalieri erranti di cicli microscopicamente avventurosi: Giannetto, Giannettino, Minuzzolo, Pinocchio, Poum, le Petit Trott...
Quale è l’eroina viva, umana, di un libro per bimbe? La donna appare già allora, nei libri per i piccoli, più come una drámatis persona — fatta di leggerezza, di impulso o di bontà, come il fragile essere che in Cappuccetto Rosso crede alle lusinghe del lupo, — ovvero anche come una fata dagli occhi color di cielo, chiusa tra veli di stelle — illuminata da fiamme divine — con lunghi strascichi regali sorretti da teorie di paggi...: essa occupa su per giù, nei libri per i bimbi, — la parte che occuperà poi presso gli uomini — nella vita che chiamiamo seria... Le bambine no — non hanno parte di protagonista nei nostri libri infantili, — qualche eroina che è nata — è nata più per mimetismo letterario, o per speculazione editoriale — che per creazione spontanea del cervello di un artista.
Più o meno — i libri di lettura ricreativi per le bambine, in Italia, si limitano ai libri di testo scolastici — nei quali fatalmente si compendia tutta la loro psiche infantile.
Tutto questo — deriva proprio soltanto da una deficenza d’imaginativa degli autori — ovvero risponde ad una differenza organica, parallela alla diversità tra i temperamenti dei due sessi alla medesima età?
Certo ad una stessa età — la donna è più riflessiva dell’uomo e perciò appunto è nei primi anni di scuola più attenta, più metodica, meglio disciplinata allo studio — in una parola, più scolara. Onde se già a quel tempo ella non urtasse contro l’ostacolo di insani pregiudizi, la sua psiche non comincerebbe a deformarsi.
Ma — lasciamo da parte la letteratura — sia pure infantile, e veniamo senz’altro all’ambiente scolastico!
Le buone, le migliori attitudini della donna scolara quanto e come vengono sfruttate?? si sviluppano forse mercè l’istruzione e l’educazione le sue facoltà psichiche e intellettuali?
...una farragine di nozioni, di compimenti, di cose aride o troppo lontane ancora dalla mentalità infantile o semi-infantile, finisce per deformare, per logorare inutilmente doti naturali che — opportunamente avviate, — farebbero di questa creatura un elemento preziosamente fattivo nella compagine sociale, elemento in cui lo sviluppo dell’individualità, non nuocerebbe affatto alle più nobili qualità feminili. Che cosa è la scuola oggi? Quali sono le scuole che oggi preparano alla Vita? Giacché una prima, una domanda quasi pregiudiziale noi dobbiamo farci: ed è domanda che vale per noi donne nonché per gli uomini: esiste oggi una scuola — un ordinamento scolastico, dico meglio, il quale abbia per risultato l’iniziazione alla vita? Esiste una istituzione, la quale sia fine a sé medesima, allo sviluppo dell’intelligenza e all’abbellimento del nostro animo e delle nostre cognizioni, e non abbia invece un puro e semplice fine professionale? Si studia per medico, per avvocato, per ingegnere, per la licenza liceale o per la licenza tecnica: non si studia ingegneria, legge, medicina. Si studia per il diploma, il titolo: non per la scienza. Ancor oggi vi sono dei libri di scrittori dell’antichità e del Medio-Evo che ci sembrano pozzi di sapere: non parliamo di Dante e della Divina Commedia: ma fermiamoci ai compilatori e ai divulgatori che lo precedettero: ai Brunetto Latini, ai molti Tesori e Tesoretti, agli altri compendii di cultura medievale, perfino ai Bestiarii, ai Plautarii, ai Lapidarii, dove le favole più goffe si frammischiavano a descrizioni di storia naturale, quasi sempre dettagliate e talvolta anche esatte.
Considerando, come dicevo, tutta questa produzione, ci vien fatto di chiedere a noi stessi, come questa gente sapesse di tante cose, mentre noi moderni, autori e scrittori moderni siamo tanto meno enciclopedici. Non sembri un paradosso: un uomo colto di oggi è più ignorante che non un uomo colto del Medio Evo; è un’ignoranza strana in epoca di sapienza. Si può dire, si deve dire anzi, che la scuola non può, non deve insegnare tutto: la scuola deve apprendere a studiare: indicare il metodo, consegnare la chiavetta d’oro che aprirà lo scrigno della scienza. Ma si ribatte che, quando la scuola è già preordinata soltanto al rilascio del titolo, quando nella educazione familiare si pone innanzi al ragazzetto o alla giovinetta il miraggio di diventare un medico, un avvocato, e perchè no? un impiegato od una maestra, quando la scuola è fatta sala di una tortura di cui gli strumenti si chiamano registri, punti, medie bimestrali e scrutini od esami finali, quando tutta la teoria delle anime adolescenti — che su dalle file dei banchi sbocciano vive e fragranti con gli occhietti ardenti come corolle di fiori dai neri solchi della terra in primavera — è così tesa in uno sforzo impari alla età e spesso all’intelligenza, difficile è imaginarsi che, una volta conseguito il diploma o passato l’esame, i nostri allievi di ieri non sentano un sacro orrore dei libri e che il solo pensiero di accrescere, mediante le letture, le proprie cognizioni, non generi nelle loro anime un turbamento simile al ricordo di un incubo: l’incubo degli anni di scuola!
E poi, anche per coloro che hanno il tempo, la voglia, i mezzi (i mezzi sopratutto!) per studiare: per servirsi di quella tal metodica imparata a scuola — l'indirizzo scientifico moderno li condurrà ad un solo risultato: a specializzarsi. Saranno istruiti, non saranno colti.
L’umanesimo è finito. Ed è finito non solo, come si ritiene oggi forse troppo universalmente, perchè lo abbia ucciso la scienza o il metodo tedesco; ma perchè lo hanno ucciso le tristi, le dolorose esigenze della vita moderna, il bisogno che batte tutti i giorni alle nostre porte: quello che ha creato, o quanto meno, reso accetto il metodo tedesco. Il concetto poi di avvicinare la scuola alle realtà della vita — a queste realtà qui, che dicevo ora! — è sembrato così giusto che si è finito col fare del verismo pedagogico, — coltivando le facoltà razionali più di quelle del sentimento, facendo esulare ogni concezione idealistica di morale e di religione, d’amore, d’arte e di patria, concezione che valga ad elevare lo spirito e a trasportarlo in una sfera più serena — e sopra tutto in un ambito di maggiore bontà, di minore utilitarismo ambizioso, — dove il sentimento abbia vita e forza sulla ragione, — che valga in una parola ad educare.
Noi dobbiamo — naturalmente — considerare la maggioranza, la massa delle scolare, come appartenenti alle classi popolari — massa che vive in un contatto diretto, continuo, brutale con la realtà più impellente della vita, — che sa già cosa è la lotta, il lavoro e molte volte anche la sofferenza, il vizio, — che matura nel proprio spirito un incosciente scetticismo, un’amarezza indefinita, — materiata di contrasti, di confronti e... d’invidie che daranno domani delle donne attive, laboriose — sì — forse anche moralmente abbastanza sane e tenaci, ma oramai prive di quel sentimento — che fa sorridere gli uomini, può darsi — specialmente gli uomini ultramoderni, — ma che è tanta parte della femminilità vera e che costituisce per la donna una forza intima, che può — non solo renderla migliore e aumentarne il fascino agli occhi degli altri, ma che può anche farla più forte, più serena, più onesta, nell’intimità del proprio io.
«Sentimento», dicevo, non sentimentalismo. Non vi è niente di peggio, niente di più nocivo per noi donne. Se di questo sorridessero gli uomini, daremmo ben ragione alla loro ironia. Il sentimentalismo non è che una sorgente di sofferenze: ben lo sanno le povere anime che vi cedono, veri fuscelli in balìa non dell’impeto del vento, ma del primo alito che loro respiri vicino. Altrettante Cappuccetto Rosso!!
II sentimento deve essere equilibrato dalla ragione: dobbiamo imporre ogni vincolo alle nostre impulsività. L’impulsivo merita veramente di essere considerato un essere un po’ inferiore. Non è tanto vero che gli uomini siano più forti di noi, quanto che sono più ponderati di noi. Dobbiamo invece nell’educazione e nella formazione di noi medesime rinvenire quella magnifica temperanza di insuperato amore e di superior disciplina, per cui le madri si staccano dal seno l’unico figlio adorato per consegnarlo alla Patria, e a lui non additano la via della viltà o del disonore, sibbene confortano a quella del dovere: pur sapendo lo strazio che può loro attendere, il colpo che domani lacererà forse le loro viscere, il grido estremo del loro sangue disperso per sempre.
Se non a rigore di sentimento queste donne si fossero educate, ma la loro anima si fosse imbevuta di sentimentalismo, come avrebbero potuto rendersi conto oggi del compito a cui le chiamava prima che la Patria, la stessa loro maternità? Onde, mentre deve abbandonare come ho detto e ripeterò, certe tendenze ultra-utilitaristiche, la scuola per la donna, l’educazione femminile non deve cadere nell’eccesso opposto: deve corroborare lo spirito femminile alle lotte della vita, avvisando che queste lotte non sono soltanto quelle per la conquista di un pane o di un marito, ma altre più intime e più profonde: le grandi battaglie dell’anima, le vittorie su sè medesima.
Bisogna che ogni educatrice ricordi che nelle sue allieve deve preparare la donna, deve preparare la madre. Ogni educatrice deve — direi così — quasi estrarre da sè medesima la sostanza di quanto di materno è in tutte noi donne, per prodigarlo alle sue piccine. La donna d’altronde deve intendere la necessità della cultura al fine di conseguire una individualità sociale, e di essere in questa società nostra un fattore economico così se lavora, come se rimane fra le pareti domestiche. La donna deve continuare, nel tempo moderno, secondo le leggi della vita moderna, quella missione che dalla fine del Mondo antico, quando il Cristianesimo soverchiando la legge romana, abolendo tutte le schiavitù, le venne affidata e che fino ad ora ha potuto svolgere assai incompletamente.
Certo che oggi, gli errori nell’educazione e nell’educazione femminile sopratutto sono parecchi, sono errori nell’interpretazione della personalità femminile i quali dalla scuola elementare si perpetuano nella scuola media e nell’insegnamento superiore. — Se nella scuola primaria rimaneva ancora qualche punto di contatto con la vita familiare e sociale, — andando più oltre, — ogni rapporto viene assolutamente troncato e la scolara non rappresenta più che un meccanismo isolato... una macchina da studio, l’essere amorfo, di cui dicevo, il quale ha un diploma come miraggio di liberazione, scrutini e esami come incubi e sogni paurosi!
Io stessa mi ricordo di aver provato una irritazione sorda, un invincibile desiderio di ribellione, — in quei momenti in cui quella marea di nozioni aride, pedanti, inorganiche, — saliva, dilagava, soffocando non solo la mia personalità sensibile, — ma umiliando quasi — ogni possibile iniziativa del mio ingegno.
Purtroppo — uscita dalla Scuola Normale — quando avrei dovuto servirmi del corredo esuberante di cognizioni e di dati — a volte duramente, noiosamente, acquisito — ho avuto la sensazione netta della necessità assoluta... di dover ricominciare — poiché non trovavo in me che ricordi slegati, nozioni incomplete, — solo illuminate da un caro, tenace ricordo — quello dell’unica insegnante in sei anni di scuola, che avesse saputo essere per noi anche sorella — madre — maestra di vita vissuta e di bontà. Da allora ho forse dimenticato il principio d’Archimede, l’estrazione della radice quadrata e... l’innesto degli alberi fruttiferi — ma le parole buone, piene di esperienza, di rettitudine, di realtà — le parole di Gida Rossi — ben nota oramai nel mondo pedagogico — sono rimaste fitte qui nella mente e nel cuore, e molte volte, nelle piccole e nelle grandi lotte della mia esistenza — queste parole, questi consigli, mi hanno assistita, come la migliore delle lezioni.
La sola scuola che prepari — non per merito d’insegnanti o di programmi ma sopratutto per fatalità di cose, è la scuola mista, che abitua la donna alla consuetudine dei rapporti sociali fra i due sessi, al rispetto del proprio io, a una disciplina interiore senza stupide ipocrisie e ad una sana, ben intesa camaraderie che non fa dell’uomo — ai suoi occhi inesperti — nè il sublime eroe romanzesco, nè... l’animale pericoloso!
Tutte queste deficenze, che sfuggono generalmente ai profani — anche se direttamente interessati, acquistano una evidenza preoccupante per colei che è chiamata a sua volta nell’ambiente scolastico — non più fra i banchi — ma sulla cattedra.
E mi si perdoni se — ancora una volta — attingo le mie impressioni ai miei ricordi personali!
Ho vissuto e vivo in questo ambiente scolastico — dove la donna che studia e che insegna è considerata ancora da molte famiglie e dalla società così detta raffinata — superiore — come una modestissima, inocua quantité négligeable, con molti doveri, pochissimi diritti e — sovente — una notevole dose di dignitosa miseria... Molte buone madri della ricca borghesia ben pensante ritengono ancora che la cultura — per la donna — sia una cosa superflua, inutile, magari anche dannosa, e che i meriti della donna si conservano nell’ignoranza, un po’ come le insalate per restare bianche hanno bisogno dell'oscurità.
Mi ricordo perfettamente, nei primi tempi, di aver intuito nella mia scolaresca — e con una profonda pena — quello stesso senso di diffidenza, di sopportazione e d’indefinita ironia, che è nel fondo dell’opinione familiare.
Però, un certo spirito di comunicativa, un po’ di chiaroveggenza, molta affettuosità e un vivo desiderio di fare e di fare bene, hanno facilitato il mio compito — avvicinandomi a poco a poco all’anima delle mie bambine — riuscendo così ad ottenere il massimo dello sforzo intellettivo, — semplicemente facendo agire, direi quasi sfruttando le naturali facoltà emotive — giovandomi del cuore e dell’anima, per giungere all’intelletto.
Ma non sempre l’indole propria o il volere riescono a vincere le ostilità latenti, la diffidenza, i piccoli inganni di questo interessantissimo mondo minuscolo — a intuire la forza multipla racchiusa in questa giovinezza, a indirizzarla utilmente, — non tutte superano vittoriosamente queste prime schermaglie, nè sanno vincere l’accoramento che assale talvolta quando si scopre lo stridente contrasto tra le illusioni e i sogni dell’inizio — e la cruda realtà della vita scolastica. Alcune si fasciano d’indifferenza rassegnata e direi quasi fatalistica — altre, per le quali la vita è più dura, le esigenze più implacabili, finiscono per provare un’intima avversione per la loro missione, — che non rappresenta più se non il legame di un mal retribuito lavoro.
La scolaresca, che ha il meraviglioso intuito chiaroveggente delle masse, indovina, sente — e quasi soffre, direi — di questi dissidi intimi di coloro che sono chiamati a istruire e ad educare. Ne risulta appunto quell’aridità, quel vuoto sentimentale dell’insegnamento, a cui alludevo dianzi. — La scuola non riesce dunque ad educare, nè a formare delle anime, nè a creare delle virtù, nè a preparare insomma generazioni non devote soltanto al culto dei beni materiali, non imbevute da sole teorie edonistiche — ma illuminate dalla fiamma ideale che consente abnegazioni, sacrifici, rinunzie, per un bene supremo, per ideali di nobiltà e di elevazione — individuali e collettivi.
Manca purtroppo nella scuola — in Italia — una preparazione ad educare e a sviluppare razionalmente e logicamente le facoltà psichiche. — Ma vi è forse una preparazione ad istruire? in quali condizioni è organizzata e realizzata questa preparazione?
La sola scuola femminile nostra, che inizi all’insegnamento e alla missione di educare l’infanzia e che dovrebbe anche preparare molte donne alla vita — è la scuola detta Normale.
Venuta su a poco a poco — essa manca di una struttura organica: — le materie e i programmi, di cui tutti si lagnano, non potevano costituire una integrità logica ed armonica, poiché ragioni di opportunismo locale o politico, hanno spinto ad aggiungere successivamente l’una o l’altra materia, a promuovere l’una o l’altra innovazione, — rendendo così i programmi pletorici, farraginosi, sconnessi, privi, non diciamo di genialità, ma di logica, di ogni praticità vera, di qualsiasi possibilità formativa di questi futuri insegnanti, di queste future individualità che andranno a costituire una così notevole parte della compagine sociale.
A dire il vero — tutto ciò non sfuggì mai a nessun maestro oculato — perchè fortunatamente ci sono anche questi! molti chiesero riforme, ma sempre invano.
E se vogliamo essere sinceri — senza fare inutili polemiche — dobbiamo però constatare come a proposito di riforme, in tutti questi anni di vita parlamentare, non si è mai parlato della Scuola Normale! — la questione dell’insegnamento e dell’educazione femminile non ha mai ispirato nè un’interpellanza — nè una discussione alla Camera. Il che — francamente — non è molto lusinghiero per noi donne, ma lo è ancor meno per gli uomini e sopra tutto — per i signori deputati.
Capisco che noi non rappresentiamo ancora forti e temibili nuclei elettorali — come i vetturini, gli osti e compagnia! — quindi certe questioni non turbano — almeno per ora — la sensibilità dei nostri legislatori...
Una ventina d’anni fa, si accennò a propositi di riforma, è vero — ma è pur vero che — se molti ministri vi posero mano, nessuno riuscì a concludere, sia per rapide e successive variazioni ministeriali, sia perchè la sistemazione economica degli insegnanti prevaleva — per necessità ineluttabile — su qualsiasi altro problema della scuola.
Nel 1906 si effettuò la riforma dello stato giuri dico degl’insegnanti — diretta a regolare la loro posizione, a definire in modo sicuro le norme di assunzione — per mezzo di concorsi — che volevano escludere favoritismi e partigianerie, assicurando alla scuola un personale scelto.
Contemporaneamente — l’Amministrazione provvide — in parte almeno — al necessario miglioramento economico — con due leggi, la prima del 1906, la seconda del 1914.
Se gl’insegnanti avevano anteposto le rudi necessità della vita alle riforme scolastiche di carattere didattico, — essi non perdevano di vista l’urgenza di studiare la riforma delle Scuole Normali.
Sarebbe inutile e... terribilmente noioso — annoverare tutte le Commissioni che furono nominate, i referendum, le inchieste ecc. Basti accennare che la Commissione Reale per la riforma delle Scuole Medie (1909) — non dedicò neanche una seduta alla Scuola Normale Femminile — la quale è semplicemente ricordata due volte — proprio di sfuggita, nei due ponderosi e... inutili volumi che riassumono l’opera dei Commissari.
Una parte però della responsabilità di questo ignorare il problema della scuola femminile, è dovuto alla quasi totale assenza della donna in queste commissioni — assenza che dipende da vari coeficenti diretti e indiretti: ostruzionismo maschile, indifferenza o scetticismo o noncuranza femminile, inesatta valutazione del problema.
Che la riforma della Scuola Normale fosse imminente, era presumibile dopo la legge Credaro che riordinò l’insegnamento elementare — realizzando definitivamente l’obbligatorietà dell’alfabeto. Era presumibile — dico — perchè le sorti della scuola primaria sono strettamente legate all’andamento e ai risultati della Scuoia Normale. Era intenzione dell’on. Credaro di condurre a termine tale progetto d’integrazione di quella sua riforma — alla quale aveva dedicato tutta la propria attività di studioso e di uomo politico. Ma le alterne vicende parlamentari — impedirono al Ministro di realizzare intero il suo programma.
La guerra distolse l’Amministrazione e l’attenzione del pubblico dai problemi della scuola — ma non però in modo assoluto, dato il valore che la questione ha nella vita nazionale — per cui l’importanza se ne rivela tratto tratto — spesso inaspettatamente, ma non per questo in maniera meno preoccupante.
Ricorderete senza dubbio la polemica provocata da un articolo del prof. A. Pellizzari — col titolo - forse un pochino eccessivo — di «Ignoranza obbligatoria».
È un fatto che gl’insegnanti medi assistevano addolorati all’invilimento inflitto alla scuola per le infinite concessioni fatte alle scolaresche con le licenzine — le medie ridotte al 5 — i compensi fra l’una e l’altra materia — i ricorsi di ogni genere.
Tutto questo, si dice, è dovuto alla guerra! — nel senso che in questa grave ora si sente la necessità di non turbare studenti e famiglie con eccessi di preoccupazioni — ma si risolve invece in uno sfruttamento della situazione... — e in un dilagare — verso negligenti e deficienti — di quelle false pietà che trovano sempre un’eco favorevole a Montecitorio!
Non ci si rende abbastanza conto che l’ignoranza o, peggio ancora, la cultura incompleta, costituisce un vero pericolo nazionale, e che è una stolida imprevidenza — mentre si preparano falangi di abili operai e operaie - permettere che si dia alla società un esercito di professionisti impreparati a un domani che sarà certamente più difficile, più aspro dell’oggi. Purtroppo l’incosciente «platitude» della burocrazia — ha esteso queste pseudo necessità anche alle scuole femminili, acutizzando così, inconvenienti e deficienze che già minano questo deforme organismo.
Sembra che una buona volta il riordinamento della Scuola Normale si avvicini all’attuazione. Le promesse e i progetti che l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione — l’on. Berenini — ha esposto nel suo concettoso ed eloquente discorso al Teatro Costanzi, hanno aperto uno spiraglio di luce e dato adito a nuove speranze, che tutti indistintamente, desideriamo di vedere realizzate al più presto.
La riforma si fonda sull’obbligatorietà dell’insegnamento elementare — non solo per le prime tre — ma per tutte le quattro classi e affronta il formidabile complesso problema dell’istruzione popolare — preparatoria a quella tecnica e professionale — ritardando così lo sfruttamento dei minorenni nelle officine e nei laboratori, piaga dolorosa del nostro Paese.
Nello stesso tempo — il Ministro riconosce la necessità di svolgere parallelamente la riorganizzazione della Scuola Normale — affinchè essa prepari seriamente ed efficacemente all’insegnamento e alla vita.
Oggi la riforma approvata dal Senato, su proposta del Ministro Berenini sembra voler aprire un’era nuova per la Scuola Normale.
Nessuno può aprioristicamente, soltanto sulle parole scritte, giudicare una legge che invece va esaminata nelle sue pratiche attuazioni. Certo: sembra già un buon passo avere eliminate quelle cause di disordine che, specie nei primi anni delle scuole complementari, procedeva dal frazionamento delle materie in troppi insegnamenti specializzati.
La esiguità degli studi, la tendenza delle classi popolari e in margine alla borghesia ad elevare il proprio tenore di vita, — la corsa al titolo — il preconcetto secondo il quale la scuola è considerata solo come mezzo di raggiungimento economico e non come necessità sociale, non come indispensabile preparazione alla vita moderna — affollano in un modo pletorico, pazzesco le normali femminili.
Non è quindi da stupire se tutti gli anni nuove schiere di giovinette vengono ad aumentare la serie — già abbastanza numerosa delle spostate — non compagne intelligenti e apprezzate degli uomini, ma troppo spesso concorrenti svalutate e sfruttate; se oggi, come vediamo qui a Roma, vi sono per una trentina di posti di maestre elementari 1000 concorrenti (povere figliole!) — non è da stupire — dico — se molte maestre si affollano alle porte dei vari Ministeri — sollecitando umili uffici di dattilografe e di copiste.
Peccato che tante giovani energie, tante belle illusioni, tanta fede anche — siano logorate in inutili sforzi, in aspirazioni vane, — disperse, sciupate, in sfere di attività ben diverse e assai più umili di quelle intravvedute negli anni di studio.
Eppure se vi è campo in cui le attitudini della donna potrebbero essere sfruttate con un rendimento massimo e con utilità generale — è appunto quello dell’insegnamento infantile.
Chi più e meglio della donna può conoscere la psiche infantile?
In ognuna di noi — anche quando le gioie della famiglia ci sono negate — anche quando le inesorabili necessità della vita sembrano assorbire tutta la nostra attività — c’è un fondo di sana nostalgia, un sogno irrealizzato di maternità, (quei sogno di cui prima dicevo) un inesauribile tesoro di tenerezza, di chiaroveggenza, di abnegazione — che ci commuove profondamente, intimamente, — davanti a un piccolo essere che ci sorride e ci tende le braccia — facendoci intuire tutto il pregio e la bellezza della vita quando essa ha per iscopo — non false ambizioni, vane febbri di passione, vuoti ideali di ricchezza o di gloria — ma creature nostre da educare, da preparare con infinito amore all’esistenza — al dolore e alla gioia — alle lotte e forse alle vittorie.
Noi vediamo in queste fragili creature — il bimbo e l’uomo: sembra che la nostra vita debba sdoppiarsi per loro, e sentiamo l’irresistibile bisogno di dare qualche cosa di noi stesse — certamente la parte migliore. Noi sappiamo capirli, amarli, — diventare giovani per loro e con loro — anche quando gli anni e le sofferenze tessono già qualche filo d’argento fra i nostri capelli sappiamo seguirli anche quando l’uccellino apre le ali e vuol spiccare il volo — e siamo sempre pronte ad asciugare le loro lagrime, a curare le loro ferite, a ridare loro la gioia e la speranza.
Il fanciullo e l’uomo tornano a noi! e questa stessa poesia dolce e commovente che si trova nell’infanzia dell’uomo — noi la ritroviamo anche nell’infanzia dei popoli. Nell’una e nell’altra lo stesso bisogno d’idealità e di bontà — di purezza, di dedizione intera e di protezione.
Alla donna madre ed educatrice siano dunque riservate — senza limitazioni di sorta — la famiglia e la scuola. Bebel ha detto: «Là où se porterà la femme pour le grand mouvement social, là sera la victoire».
Non questa o quella classe elementare — ma tutto l’insegnamento primario sia affidato a noi! — Eppure quando 12 o 13 anni fa l'on. Leonardo Bianchi — allora Ministro dell’Istruzione Pubblica — azzardò lo stesso concetto, dichiarando che a lui — scienziato e psichiatra — dava una impressione quasi penosa il vedere un uomo compitare il sillabario — fu uno scatenarsi di proteste!
Che dicono adesso — quelli che allora protestavano? adesso che le donne — pur continuando a subire l’ingiusto ostracismo da alcune classi elementari maschili — insegnano viceversa nei ginnasi, nei licei, nelle scuole tecniche e commerciali — frequentate da giovinetti?!
Ma — siamo sincere e — perchè no? — anche giuste verso l’altro sesso! Se le laureate dalle Università non trovano da parte dei colleghi delle scuole secondarie quell’aspra opposizione, quella ostilità — che le maestre elementari incontrano nelle scuole maschili — dipende questo soltanto da meschinità di concorrenza economica, da antagonismo professionale?
Non credo! — Potrebbe anche darsi che questa diversità di apprezzamento dipendesse dall’inevitabile valutazione della differenza, non solo di cultura — ma anche di preparazione specifica — in rapporto proporzionale alle esigenze dell’uno e dell’altro grado d’insegnamento.
Anche questo concetto — sul quale io non mi voglio dilungare per non accrescere troppo la vostra noia — ma che voi avete certamente afferrato nella sua essenza — conferma più che mai la necessità imperiosa e l’urgenza assoluta di una riforma radicale e praticamente logica della Scuola Normale in Italia — di questo istituto che è di tanto interesse per noi donne — non solo come educatrici — ma anche come madri e come cittadine consce dei nostri diritti e pur dei nostri doveri — perchè da una preparazione seria ed efficace delle insegnanti, potremo sperare in una salda, armonica, preparazione culturale del popolo.
L’ideale sarebbe che — riordinando la Scuola Normale — si prendesse una determinazione definitiva riguardo agli Istituti Superiori di Magistero. O abolirli o riformarli in armonia al nuovo assetto delle Normali. — Gli Istituti di Magistero più non rispondono alle mutate esigenze della cultura generale, e ancor meno risponderanno in seguito all’attuazione dei benefici progetti del Ministro Berenini.
È vero che questi Istituti di Magistero sono pure frequentatissimi — ma non da questo nè dal solo valore dei professori — si deve giudicare della bontà e dell’utilità dei loro risultati.
Dobbiamo ricordare che in Italia sono soltanto due, — e in uno di essi, — parlo di quello di Roma che conosco — gli sforzi e la capacità di questi insegnanti, si infrangono contro difficoltà di ogni genere — che vanno dalla impreparazione disastrosa delle licenziate delle Normali — alle contrarietà quotidiane — assillanti — di orari, di locali impossibili, di regolamenti burocraticamente ottusi e inadatti.
Del resto certe deficienze sono oramai note anche al gran pubblico: — le denunziava pochi mesi addietro e in forma un pochino rude — un’autorità — Felice Momigliano — e l’eco che la sua protesta ha avuto nella stampa e altrove, non fa che confermare la necessità di dare diversa vita a questa istituzione.
Si ignora a tutt’oggi — almeno credo — se la riforma promossa dall’on. Berenini riguardi anche la soluzione del problema degli Istituti di Magistero Femminile — problema che, come ho già notato, si compendia nel dilemma: o rinnovarsi o morire.
Comunque: si arresti anch’essa, per ora, alla scuola normale, — la riforma dell’insegnamento magistrale si impone, se finalmente vogliamo avere — nella scuola e nella vita — insegnanti ed educatrici.
Educatrici! Ecco la parola che ritorna, ecco l’argomento che inconsapevolmente ci riafferra e ci trasporta a quelli che ho accennati in principio — ed ecco veramente il fondamentale, il più grave problema della vita nazionale — nel presente e nell’avvenire.
Non vi è stato forse un Italiano che, di fronte alle sciagure dei mesi scorsi, non si sia domandato che cosa l’Italia abbia fatto per l’educazione delle giovani generazioni. — Purtroppo anche per quei rami dell’insegnamento che hanno dato buoni frutti di coltura e di capacità, c’è da ripetere il lamento di Carmen Silva.
«Le baccalauréat a tué l’éducation».
È possibile soltanto attraverso le riforme legislative e scolastiche determinare un movimento che — come quello che deve portare al rinnovamento della educazione nazionale — è, al punto in cui siamo in Italia, più che dinamico — addirittura rivoluzionario?!
Vi è chi sostiene categoricamente che la scuola di Stato potrà raggiungere la perfezione nell’istruire, ma — per la sua stessa struttura organica, — non perverrà mai ad educare. Meglio varrebbe — sotto questo riguardo — dicono — pur con i suoi eccessi e i suoi difetti, l’insegnamento privato, il quale ha se non altro — il vantaggio di rivelare alla luce del sole le proprie finalità confessionali e politiche — mentre lo Stato liberale, a furia di voler essere agnostico e imparziale, diventa nichilista o addirittura distruttore di sè.
Se in ciò vi è dell’esagerazione, non è men vero che in tema di educazione, bisogna in Italia persuadersi a mutar rotta, — non dimenticando che l’uomo non è soltanto testa, ma anche cuore, e vincendo, per il bene della Patria e l’avvenire delle future generazioni, tutti i preconcetti — anche quelli che possono sembrarci i più cari.
Uno scienziato, che è altresì un poeta, uomo di mente elevatissima e di fede patriottica purissima, Antonino Anile, recentemente scriveva:
«La massima parte dei maestri che ha l’Italia, sono settari, o nel senso clericale, o nel senso anticlericale, che è la medesima cosa». E aggiungeva:
«Io non so se la coltura laica che noi ammanniamo, possa dare un ideale che richiami a sè questa supervitalità che fermenta in ciascun elemento dei nostri tessuti. Ma lo Stato, come distributore di tale coltura, non dovrebbe disconoscere tale esigenza; e nel soddisfare l’arduo compito assunto, dovrebbe anche preoccuparsi che ciascuna generazione, che sale il limitare della vita, sappia molte cose ma le comprenda anche; che perda le superstizioni ma acquisti, se non altro, la fede nei sacri destini della Patria; ed è in tal modo che gli usi civili si illuminano di un riflesso di usi religiosi.
«A raggiungere tale scopo non giovano nè le letture, nè le lezioni orali. È necessario invece che il fanciullo sia preso in quel che ha di più vivo; non per la via di questo o quel senso, ma per la via onde si giunge al suo cuore, piccolo ancora, ma già cuore umano. Egli deve commuoversi per qualche cosa che circoli meno nel suo cervello e più nel suo animo, poiché si ripete in lui lo stesso processo per il quale l’umanità mitica uscì dalla preistorica. Il fanciullo così, mentre viene educato, educa l’educatore, che deve trarre dal suo cuore i mezzi per conquistare i cuori altrui». La verità è qui: trarre dal proprio cuore i mezzi per conquistare i cuori altrui. E — o noi ci inganniamo — o la grande tragica ora che attraversiamo è la più acconcia perchè il nostro cuore — e parlo del nostro cuore di donne — parli ai piccoli di oggi e di domani un linguaggio che ieri — ancora — era inusitato.
Non sono i nostri occhi pieni di questa visione di orrore e di sangue, che da quattro anni lacera l’umanità? non sono i nostri spiriti commossi ed esaltati allo spettacolo di tanti dolori, di tante miserie, di virtù, di eroismi che ci sembravano prima impossibili e sono oggi comuni — quanto sublimi.
Le stesse rinunzie, i grandi e i piccoli sacrifici che incontriamo nella nostra modesta vita quotidiana, non costituiscono una disciplina spirituale di cui il beneficio non deve andar perduto — ma tesoreggiato a vantaggio dei nostri piccoli?
La esaltazione dei valori ideali sui beni materiali — che deve rappresentare il contenuto morale della guerra — ha suscitate nelle anime di tutti — nelle anime femminili in ispecie — sensibilità che prima erano ottuse, — toccato corde che sembravano mute, e che sono e possono essere le più squillanti per iniziare le giovani anime al culto di domani.
Quale culto? II culto della nostra Italia — di questa Italia grande anche nelle sventure. Dobbiamo proclamare l’italianità della scuola — e dobbiamo noi, noi donne, che abbiamo la cura dell’infanzia e della giovinezza; — noi, che Etienne Lamy ha chiamate «la réserve religieuse du genre humain» noi dobbiamo prodigare senza nervosismi e senza superficialità questi sentimenti che dalla scuola risalgano alla famiglia.
«L’educazione deve, perchè può, far qualcosa in questo senso; deve cioè oltre al fine di prepararci a vivere nell’ambiente qual è di fatto, proporsi anche un fine superiore: preparar ciascuno a una vita migliore; cioè prepararlo ad essere un fattore di perfezionamento» — sono parole di quell'austero maestro, che ammonisce come non è «possibile formare l’uomo, senza formare insieme anche il cittadino; poiché quello di cittadino è uno dei caratteri umani, e — l’uomo che non sia cittadino, — il cittadino che non sia uomo, — sono costruzioni artificiali di una riflessione gretta, umiliante — astrazioni vuote».
La Patria — il senso della Patria — è sembrato per molti anni esulare — (è doloroso, ma doveroso riconoscerlo!) dalle aule scolastiche d’Italia. — Vi è rientrato ora e tutti dobbiamo rendere omaggio ed esternar gratitudine alla maggioranza degli insegnanti italiani per la loro propaganda di guerra.
Ma a costo di sembrare pedante — tengo a dire che l’educazione nazionale non deve arrestarsi a questo. — Se il patriottismo deve essere altamente inteso, se deve essere educazione, — non può essere pretesto di vacanze e di baldorie, — nè — come scrive un autore che ho già citato: «la mozione degli affetti può essere cercata con degli artifizi retorici, d’un valore artistico incerto, e in ogni caso inetti a destare, a nutrire un sentimento sano e profondo. Molti fervorini, molte raccomandazioni, molti punti ammirativi; tutte cose fredde che lasciano freddo l’ascoltatore: tanto più da noi dove i bimbi succhiano col latte la scettica noncuranza o il disprezzo per la nostra vita nazionale.»
Altra deve essere la scuola d’italianità di domani: deve pensare a creare gli Italiani moderni — e le Italiane! — a migliorare gli istinti della razza, — a secondare le virtù, — a formare gli animi e i caratteri. Deve radicare il sentimento del valore nazionale in confronto agli stranieri: — noi non aspiriamo a nessun primato, ma abbiamo diritto a piena uguaglianza di fronte a tutti gli altri popoli del mondo.
Nel lungo periodo di pace (speriamolo!) che la vittoria delle armi della civiltà, assicurerà all’Italia — non deve essere più posto nell’animo degli Italiani ad ammirazioni servili — che rappresentano il peso di lunghi secoli di schiavitù.
Si ammoniscono sovente i cittadini che non soffrono i disagi e i pericoli della trincea — di essere degni dei soldati che vigilano al fronte, — di curare a che tante morti sublimi, tanti eroismi e tanti martiri non siano stati invano. —
Ebbene — questa ammonizione non deve valere soltanto per la generazione nostra, ma altresì per quelle che verranno, per la libertà e la tranquillità delle quali — più che per la nostra — brillò così pura luce di giovinezza e di sacrificio.
Raccogliamo noi donne la fiaccola che ci porgono gli Eroi caduti — affinchè noi la trasmettiamo ai fratelli, ai figli, ai nepoti loro — sacro retaggio delle migliori virtù d’Italia nostra.
Roma, 25 febbraio 1918.