La Donna e il suo nuovo cammino/Come viene educata la donna alla vita

Ester Danesi Traversari

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La donna e il suo nuovo cammino La donna e la scuola
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Come viene educata la donna alla vita

DI

ESTER DANESI TRAVERSARI

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Intorno a un letto di dolore, letto nudo e duro, un’attesa trepida. Nel silenzio sacro e misterioso un primo vagito umano.

«Cos'è?» Domandano le voci sommesse, gli sguardi interrogativi ansiosamente. V’è indugio nella risposta. Poi debolmente si mormora senza gioia: «È una bambina.» E ancora oggi, a quest’annuncio, il volto del padre, dei nonni, spesso si oscura di contrarietà e nel cuore della madre il dolore si stringe al amore.

Così la donna nasce alla vita. E il suo angoscioso destino trascina da millenni.

Fin dalla creazione di Eva le prime parole bibliche già la considerano come una creatura di soggezione.

Presso gli Ebrei la madre novella era esclusa dal Santuario per quaranta giorni se aveva generato un maschio, per ottanta se aveva generato una femmina.

In india, il disprezzo gettato sulle femmine nascenti era una conseguenza della religione stessa che conferiva delle strane influenze alla venuta dei figli, i quali, come discendenti, concorrevano alla salute del defunto avo, a condurlo nel luogo di gioia. L’anima di lui errava [p. 30 modifica] desolata intorno alla casa fortunata fino a che i figli non avessero celebrato lo Sraddha. Ma questo sacrificio religioso non poteva essere compiuto se non dai soli maschi: epperò la desolazione circondava la nascita di una figlia, creatura umile e disprezzata; e la disgrazia si ripercoteva sulla madre, che, per la legge di Manou, se non metteva al mondo che femmine, poteva essere ripudiata.

Cosi ricordiamo che ad Atene il padre di una bambina faceva rabbiosamente appendere sopra la porta della sua casa una conocchia di lana invece delle ghirlande di olivo che annunciavano la nascita di un maschio.

A Sparta su dieci bambini abbandonati perchè imperfetti vi erano sette femmine: il loro sesso equivaleva a una deformità.

A Roma il padre rendeva legittimo suo figlio raccogliendolo da terra, ai suoi piedi, ove veniva deposto appena nato. Le figlie erano facilmente abbandonate dal loro stesso genitore.

Il cristianesimo del Vangelo elevò come non mai il concetto morale della donna. Nel martirio essa si manifestò quale un superbo valore di affermazione ideale e fortemente influì nella grandiosa propagazione di quella fede. Ma la religione, nelle forme che seguirono, soffocò ancora una volta, sotto l’autocrazia delle sue leggi limitatrici e dominatrici, ogni espansione dello spirito femminile. Cosi che durante il regime feudale la nascita di una femmina significava ancora una calamità.

Nel medio evo la dolce poesia che la donna innalzò a simbolo di superiore bellezza e di superiore grazia non servì che a chiuderla maggiormente nelle galanti ma ferree catene di un servaggio oscuro e prepotente. [p. 31 modifica] Fu la retorica di quel tempo, utile a celare il più feroce egoismo maschile e anche molto disprezzo. Noi vediamo infatti un concilio porsi seriamente la questione. «Ha la donna un’anima?»

Nella luminosa rinascenza italiana ella raggiunge grandi onori eccezionali in contrasto con ogni tradizione di tempo e di paesi. Le più famose Università le sono aperte ed ella vi si afferma vittoriosamente sorgendo da ogni classe sociale e lasciando nomi famosi nell’arte, nella poesia, nella politica, nella scienza.

Ciò malgrado i grandi pensatori del 18° secolo furono ostili allo sviluppo della donna, indifferenti alle sue più profonde qualità.

Diderot, nel suo «Supplement au voyage de Bougainville» predicandole la sensualità brutale d’Ohaïti, la degrada per troppa libertà.

Voltaire, che di tutto ha parlato con particolare attenzione, ha scritto delle donne amazzoni e guerriere con un senso di serena ammirazione, ma nessun esplicito interesse ha manifestato in favore della donna, e se una volta ha rotto il silenzio, ciò ha fatto per immolarle tutte nella persona di colei che gli aveva dedicato la sua vita, Madame Duchàtelet.

Montesquieu non ha visto nella donna che dei fascini graditi e in essi ha limitato le sue naturali possibilità.

Rousseau, contro il suo spiritualismo, cede alla tendenza del suo secolo in riguardo alla donna quando scrive nell’«Emile»: «La femme est faite specialement pour plaire aux hommes. Si l’homme doit lui plaire à son tour, c’est d’une nécessité moins directe; son mérite est dans sa puissance: il plait par cela seul qu’il est fort».

Gli stessi principi della rivoluzione, espressi in beneficio della donna da due spiriti superiori, quali [p. 32 modifica] Condorcet e Sieyés, furono soffocati dalle voci potenti dei tre grandi continuatori del 18° secolo; Mirabeau, Danton, Robespierre.

Questo grande apostolo dell’uguaglianza nel suo di ideale emancipazione dimenticò null’altro che la metà del genere umano!

Il Codice civile infine fu concepito e discusso nelle condizioni più sfavorevoli alla donna. Le immaginazioni erano ancora tutte impressionate dai disordini del Direttorio e in quel codice, che pur è un grande monumento legislativo, le questioni morali, di cui la donna è vittima, furono il suo lato debole.

L’indipendenza femminile non ebbe avversario più accanito di Napoleone Buonaparte, il despota per eccellenza che non concepiva se non l’obbedienza. Egli terminò una discussione del consiglio con queste parole: «Il y a une chose qui n’est pas française, c’est qu’une femme puisse faire ce qui lui plait.» Il destino lo ripagò. Nella sua vita di vittoria e di trionfo, mancò a Napoleone Buonaparte la suprema consolazione, il vero amore di una donna, una devozione costante e tenera. Tutte le donne ch’egli ebbe lo tradirono, tutto il suo despotismo, tutta la sua potenza e la sua gloria, non valsero a stringere un piccolo cuore femminile. Egli troppo disprezzò. Fu disprezzato. La donna istintivamente, intuitivamente si trasforma e si deforma di fronte all’uomo che dice di amarla come a stabilire incoscientemente una sua difesa, a salvare l’equilibrio delle più nascoste e calpestate sue bellezze morali.

Tutto questo passato di abbiezione, di vergogna, di sofferenze, che creò leggi infami per l’infamia dell’ingiustizia che le suggerì, si riassume nell’enunciazione del filosofo della restaurazione M. De Bonald: «L’homme et la femme ne sont pas egaux et ne pour[p. 33 modifica]ront jamais le devenir». Non sono eguali cioè di fronte alla giustizia degli uomini e alle leggi stabilite. Perchè il fatto di non essere eguali in natura fa appunto la forza della donna affermandone la sua indispensabilità nella vita, il suo diverso ma egualmente perfetto ufficio umano, la necessità di conquistare libero movimento per la completa sua funzione nella famiglia e nella società.


Ho voluto rapidamente rammentare tutto un passato sfavorevole alla donna, senza rilevare le eccezioni — vengano esse dai lontani pellirossi, dalla famosa civiltà egiziana, dalle più vicine Americhe, o da isolati spiriti di ogni tempo — per poter meglio dimostrare come, malgrado le opposizioni della tradizione e le ineguaglianze della giustizia, nella storia di queste tradizioni e di queste ineguaglianze stiano precisamente le affermazioni più vive di un progresso lento ma costante che ci conduce alla donna di oggi.

Attraverso le secolari violenze di fatti e di leggi, la forza della verità eterna fu più potente di tutti i despotismi, di tutti i codici del mondo. La donna, senza armi, con la sola difesa della sua miseria, per la potenza nativa della sua personalità commovente, per la suprema sofferenza della sua anima chiusa ma tesa perennemente all’aspirazione degna, potè sola sconvolgere tutte le leggi. Creatura debole e tenera, abbandonata dagli uomini e gettata senza difesa all’ultimo gradino dei valori umani, ella potè salire passo per passo, a forza di virtù, dolori su dolori, fino al grado che ella occupa oggi nella famiglia e nella società sconvolgendo la legge, vincendone le resistenze nemiche, forzando i padri (come nelle leggi romane) a divenire padri, la legge a divenire protettrice, e [p. 34 modifica] invadendo dolcemente ma irresistibilmente tutti i posti dai quali i legislatori avevano voluto escluderla.

Il nuovo insorgere della donna contro certo passato non è, come può sembrare nel primo suo impeto, una ribellione contro l’uomo, ma una ribellione contro sè stessa. La donna si ribella contro i difetti nati e cresciuti in lei per la sua forzata incapacità, la sua sottomissione all’uomo. Per questa sottomissione, per il bisogno di piacergli e di parere umile, ella ha sopratutto sviluppato la sua frivolezza, la sua sottile e ambigua diplomazia, che è spesso dissimulazione, la sua civetteria, restringendo alle cose più vane e meno elevate il suo campo di attività e di competizione.

La celebre cortigiana Ninon de Lenclos confessa di aver foggiato la propria vita secondo ciò che la società offriva alla donna, perché nessun valore avevano per la sua felicità le qualità sue migliori le quali servivano solo a farla vittima più dolorante. Ella diceva infatti: «Je réfléchis dans mon enfance sur le partage inégale des qualités qu’on exige dans les hommes et dans les femmes. Je vis qu’on nous avait chargées de ce qu’il avait de plus frivole et que les hommes s’étaient reservé le droit aux qualités essentielles: dès ce moment je me fis homme». E Madame de Lambert, che si può considerare come la prima scrittrice ed educatrice veramente femminista, scriveva: «Lorsque les femmes se sont vues attaquées sur des amusements innocents, elles ont compris que, honte pour honte, il fallait choisir celle qui leur rendait davantage; et elle se sont livrées au plaisir».

Potrei continuare negli esempi che proverebbero come, attraverso il corso della vita morale della donna, tutte le convenzioni del passato a suo riguardo si siano sommate per reprimere in lei quanto vi poteva [p. 35 modifica] essere di più elevato e di più spontaneo e sviluppare invece quei difetti, o qualità inferiori, che la rendono più debole di sensi e di spirito e ancora fasciano, nella realtà meno che nel pregiudizio, la sua anima troppo calunniata.

Certo, come dicevo, in ogni tempo, fin dalle più lontane civiltà sono sorti spiriti lucidi e forti, che in nome di una superiore giustizia umana hanno sentito di dover migliorare le condizioni morali e materiali della donna. Potrei riportarmi, senza contare gli esempi anteriori, da Cristo e S. Paolo fino a Fénélon, a la Bruyère, a Stendhal, a Victor Hugo, a Mazzini, a Tolstoi, a Ibsen. Come furono donne di ampia intelligenza che vollero ribellarsi ai mali che la società imponeva loro: alcune si piegarono è vero cinicamente a compromessi con la loro coscienza, ma altre, di singolare purezza morale, invocarono dalla giustizia degli uomini un più equo trattamento e più di quelle seppero il tormento dello spirito avvinto.

Ma ciò che un tempo era una condizione spirituale d’eccezione, diviene, attraverso le età, la nuova condizione generale dello spirito femminile. Anche la donna comincia lentamente a divenire un’individualità umana. Il pensiero, spiegate le ali, afferma nuove dignità che creano nuovi doveri volontari, una nuova coscienza, e additano un nuovo cammino.

Anche la donna sente di avere diritto al maggiore dono concesso da Dio all’umanità:

Lo maggior don che Dio per sua grandezza
fesse creando ed alla sua bontade
più conformato e quel ch’Ei più apprezza
è della volontà la libertade
di che le creature intelligenti
e sole e tutte furo e son dotate.

[p. 36 modifica]Nel secolo dei diritti dell’uomo s’intravede infatti, come un necessario fenomeno sociale, nel secolo successivo, l’avvento dei diritti della donna. Victor Hugo lo ripeteva solennemente nel suo discorso pronunciato sulla tomba di Louise Julien, proscritta.

Stendhal al principio del 18° secolo si lamentava dello stato della donna e in nome dei vantaggi che ne verrebbero all’uomo stesso, ne invocava l’elevazione. Tolstoi scrive delle pagine indimenticabili sulla responsabilità dell’uomo verso la donna, sulla necessità di trasformare le sue condizioni di coscienza e sociali. E nei doveri degli uomini il nostro Mazzini afferma: «La vostra emancipazione non può fondarsi che sul trionfo di un principio: l’unità della famiglia umana. Oggi la metà della famiglia umana, la metà a cui noi cerchiamo ispirazione e conforti, la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli, è, per singolare contraddizione, dichiarata civilmente, politicamente, socialmente ineguale, esclusa da quella unità. A voi che cercate in nome di una verità religiosa la vostra emancipazione spetta di protestare in ogni modo, in ogni occasione, contro quella negazione dell’unità. L’emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata all’emancipazione dell’operaio, dando cosi al vostro lavoro la consacrazione di una verità universale».

Si trasformavano intanto tutti i sistemi di vita. Questa «verità universale» trovava la sua reale affermazione anche nelle attuali necessità pratiche create dalla diversa vita sociale. Le nuove onde di libertà permettevano un altro rispetto delle volontà femminili così che i conventi non venivano più a rappresentare il rifugio di creature incerte del loro presente e del oro avvenire. Non erano più rare donne a sentire il [p. 37 modifica] contrasto di certe leggi e di certe convenzioni: urgevano nuovi bisogni. La macchina, l’industria trasformavano il lavoro femminile. E nella società si produceva il fatto reale dell’esistenza di una quantità di donne che, nell’impossibilità materiale o morale di far consistere la soluzione del problema della loro vita in un ipotetico matrimonio, per risolvere altrimenti quel problema, in tutti gli ostacoli s’imbattevano, in tutte le contrarietà, create da un passato troppo in opposizione con i nuovi loro bisogni, con le nuove aspirazioni.

Queste speciali condizioni della donna sono venute nei tempi moderni, per forza di eventi, a metterla collettivamente a contatto con nuovi disagi, con nuove lotte che meglio ribadiscono le altre sue più elevate aspirazioni di ordine morale, intellettuale, spirituale sentite da un più ristretto numero di anime d’eccezione.

Si svolgeva così l’ineluttabilità di un destino più forte di ogni ostacolo umano che portava la donna a questa nuova stazione del cammino morale sociale della sua storia.


Lo spirito della donna ha oggi innanzi a sè un vasto orizzonte di elevazione, ma la sua coscienza, se pure aperta a nuovi sensi di responsabilità e di dignità, è ancor troppo aggrovigliata nei reticolati — per usare un paragone di dolorosa attualità — di un passato troppo dissimile che ne intralcia il libero sviluppo verso la sua forma più perfezionata.

Bisogna tenere presente che l’ascensione sociale ed umana si compie attraverso l’educazione questo strumento intellettuale morale spirituale che invigorisce le nostre possibilità, che dell’io esteriore e materiale esercita e suscita gli elementi superiori a foggiare i segni [p. 38 modifica] più nobili della specie per la lenta assimilazione, per il misterioso riconoscimento interiore di verità profonde ed eterne.

Siamo ancora nel periodo di transizione tra il vecchio concetto passatista della donna (ricordate: o «ménagère o cortigiana» di Proudhon) e il nuovo cammino ad essa aperto dall’evoluzione del pensiero moderno, ma io mi permetto di ritenere che ne abbiamo superato la fase più aspra ed ingrata. Oggi è accettato il concetto generale di nuovi diritti, di nuove dignità femminili. Il compito nostro è quello di meritare questi diritti, di dimostrare con le affermazioni fattive tutta la nostra dignità, affinchè possiamo meglio conquistare i mezzi che ci occorrono allo sviluppo intero della nostra personalità umana, affinché non più soltanto la donna d’eccezione sappia, a forza di dolorose tenacie, di sacrifici perseveranti, tenere alto il prestigio femminile, ma tutte le donne possano sollevarsi alla libera esplicazione dei loro valori. Per questo bisogna facilitare la via. Per facilitare la via bisogna educare. La donna, la madre in modo particolare, deve essere all’altezza di questo importantissimo, difficilissimo, nobilissimo compito. La madre dunque bisogna formare, la madre capace d’intendere tutta l’importanza sovrana del suo sacro ufficio.

Se noi volgiamo lo sguardo e al passato e al presente troviamo che la donna in ogni tempo, in ogni paese in ogni classe sociale, ha avuto sempre un riconoscimento: quello che le veniva dalla sua funzione di procreatrice dei figli, per la quale era considerata, rispettata, anche venerata nella tarda vecchiaia esperiente. La conquista di questo superiore rispetto viene raggiunta attraverso tutta una vita di dedizione, di sacrificio, di affermazione, e malgrado ciò, resta sol[p. 39 modifica]tanto uno stato d’animo, una consuetudine morale, cui non ha corrisposto mai la logica delle leggi, fino ai tempi nostri.

La maternità fin dal suo inizio, dovrebbe essere rivestita di alto rispetto, difesa dall’opinione pubblica e dal codice. Allora la donna più facilmente sentirebbe la sua vera responsabilità e si eleverebbe fino alla sua missione.

V’è invece ancora nelle educatrici una insufficienza penosa e nociva che si adatta a un metodo convenzionale, direi fisso, divenuto quasi dogmatico, il quale, per forza di atavismo e per forza d’inerzia morale e intellettuale, è come automatico e non suscita, pare incredibile, in chi lo segue, nessuna osservazione dubbiosa, nessuna titubanza, spesso anzi è accompagnato da una perfetta soddisfazione di sé, da una incoscienza inverosimile delle proprie deficenze in confronto con le nuove esigenze.

Perché, una cosa è molto importante. Affinché la donna possa veramente elevarsi, è necessario che l’uomo la elevi nel suo concetto non soltanto sociale ma particolare, ma individuale, ed è necessario però che l’uomo si elevi. Tanti uomini che affermano pubblicamente la giustezza delle nuove aspirazioni femminili, anche morali, anche spirituali, sono i primi che nella vita privata conservano ancora di fronte alle loro donne la mentalità del passato e non ne rispettano il pensiero ne tanto meno la personalità e sorridono beffardamente, o al più come al capriccio di un bimbo, alla tragedia silenziosa e mortale che ne corrode l’anima soffocata.

Bisogna dunque che questi uomini imparino a rispettare nella donna anche un individuo umano, anima e coscienza femminile e siano più cauti in ferire, [p. 40 modifica] calpestare, vilipendere. La donna non è, no, strumento dell’uomo, ma, al pari di lui, strumento della natura e delle leggi supreme che regolano l’umanità. Innalzarla nel concetto dell’uomo è innalzarla nel suo stesso giudizio, è renderla cosciente e pari alla dignità che le è propria, che dovrà interamente raggiungere.

Qualche osservazione intorno a noi. Io mi riferisco, s’intende, allo stato generale medio del nostro paese, così dissimile per la stessa sua configurazione rispetto al centro del progresso moderno.

Forse mai fu così ampio contrasto come quello tra la nostra generazione — parlo di coloro che nacquero contemporaneamente a me — e i nostri genitori e le nostre madri. Esse avevano ricevuto un’educazione che oggi a noi sembra quasi medioevale e con poca differenza la impartivano ai loro figli. Il soffio dei tempi nuovi annunciava è vero grandi sconvolgimenti in tutti i sistemi di vita; ma i nostri genitori, più intenti alle passioni politiche che a quelle sociali, sembravano ancora armati ferreamente dei loro principi contro ogni libertà individuale che si potesse svolgere nel campo della famiglia e della vita particolare di ognuno. Per essi la trasformazione fatale dell’individuo e però della famiglia pareva significare corruzione non progresso.

Tutte noi ricordiamo più o meno i fremiti della volontà troppo dominata, dello spirito contenuto, spesso anche del corpo esuberante e costretto ad inattività nocive, a volte morbose anche per la mente: quel rispetto ad un’obbedienza illogica che la parola dovere faceva odiosa. Molte di noi forse portiamo ancora oggi il peso di quegli errori: sane gioie impedite e mai più ritrovate, malinconie incancellabili, fantasia malata, tempo perduto irrimediabilmente, forse anche [p. 41 modifica] qualche sordo rancore suscitato e sentito e la disastrosa ignoranza della vita che ci attendeva e che ci ha offeso...

Ricordiamo le nostre pene per evitarle alle figlie nostre. Noi saremmo veramente colpevoli se mancassimo verso di loro. Appunto per il destino che ci è toccato siamo le madri più adatte a sentire l’anima nuova della donna, l’anima delle nostre figlie. E ciò cui dobbiamo attendere con nuova cura, con nuova intelligenza, e di farla comprendere ed amare ai nostri figli che saranno gli uomini, i loro compagni di domani.

Quante madri, ditemi, riflettono su questo nuovo dovere?

Osservate i grandi in confronto coi bambini nella famiglia. I difetti maschili, al loro primo apparire, suscitano un senso vivo di palese compiacenza piuttosto che un rimprovero e una correzione. Al primo atto di prepotenza, di violenza, di ribellione di un piccolo bambino si sussurra con voce, non abbastanza sommessa almeno: «È un maschio!» come a voler immediatamente riconoscere un suo diritto costituzionale ad usare incondizionatamente di quegli elementi brutali.

E la bimba viene considerata come una graziosa bambola inanimata. Si agghinda, s’infiocca, si asseconda nelle sue vanità esteriori, nei suoi gusti più frivoli, spesso nei suoi vani capricci. La natura procede, i piccini diventano adolescenti, i difetti particolari al loro sesso si accentuano, perché mai o male corretti. Si matura l’uomo in queste abitudini morali ed egli, fin dalla propria sorella, impara a considerare la donna nei suoi difetti più che nelle sue qualità. E queste sono se mai unicamente docilità, remissività, obbedienza, oscuro lavoro, silenzio, sacrificio. [p. 42 modifica]La fanciulla non viene però in alcun modo preparata alla vita. Quelle virtù che si coltivano in lei non tendono a formare la donna, individuo umano, rispondente, coscientemente al suo compito futuro, inteso con gravità serena, col senso completo di tutti i doveri che la civiltà impone; ma esse hanno ancora per oggetto, insieme alle occasioni di istruirsi, un unico scopo; il matrimonio. Non si vede e non si educa nella ragazza se non la sposa futura, colei meglio preparata, non già a questo suo grave ufficio, ma ai gusti dell’uomo secondo le convenzioni correnti, non secondo il senso altissimo che quell’ufficio domanda.

Essa non viene affatto seriamente preparata alla sua maternità fisica e meno ancora, se è possibile, alla maternità morale e spirituale. Va al matrimonio senza essere chiamata in alcun modo a soffermarsi in considerarlo con le profonde responsabilità che in esso viene ad assumere, non soltanto di fronte all’uomo che la sposa ma anche e sopratutto di fronte ai figli e, attraverso loro, alla società, alla patria, all’umanità. La sposa futura è la madre futura. Ma le funzioni della sposa e della madre, ripeto, sono le più alte funzioni femminili. Bisogna inchinarsi con rispetto innanzi ai compiti casalinghi, secondari in apparenza, sublimi in realtà, perchè si riassumono nelle parole: dedicarsi agli altri. Ma questi compiti comprendono tutti i doveri della donna? Essere sposa e madre vuol dire soltanto ordinare un pranzo, saper governare dei domestici, vegliare al benessere materiale ed alla salute di tutti, è soltanto amare, pregare, consolare? No. È tutto questo ma è più ancora. È guidare e allevare, per conseguenza conoscere. Senza sapere nessuna madre può essere veramente interamente madre.

Oggi la maternità ha assunto un valore di altissima [p. 43 modifica] responsabilità. Oggi non si afferma più che i figli debbono tutto ai loro genitori soltanto perché questi hanno dato loro la vita, ma si sente che, avendo dato loro la vita, i genitori devono loro molte altre cose ancora; non soltanto le cure materiali, non soltanto l’educazione corrente, ma lo studio individuale indefesso del loro temperamento anche morale, ma la guida attenta, l’educazione, nel senso di «dolce sollecitazione», come la chiama Anatole France, che non trascura fin dai primissimi anni la formazione della coscienza a farla salda e vittoriosa contro le ondate burrascose delle difficoltà e del dolore, per accrescere il valore sociale e nazionale, per una elevazione continua dell’umanità.

Quando la donna, per educazione, per cultura, per la formazione insufficiente della sua personalità, non è all’altezza del suo ufficio, quale esso sia, si daranno due casi: o inadatta, inabile, incosciente essa sarà ancora... quella che sarà, giustificando tutte le accuse e tutte le limitazioni che le vengono fatte, o intenderà la falsità della sua via, la sua immaturità e nell’impossibilità di rimediare, di rifarsi la sua vita, soffrirà atrocemente se sarà sola a sentire il suo male non compreso vicino a lei e diverrà una ribelle o una infelice, anzi tutte e due le cose insieme.

Bisogna che ciò non avvenga più se non per eccezione. I tempi nuovi devono formare la donna in tutto degna e l’uomo che tale la desideri e la ami.

Per questo, nella nuova educazione bisogna portare uno spirito largo se pure attento; fatto di verità, di sincerità, spogliato coraggiosamente di tutti i vecchi pesanti pregiudizi che complicano e oscurano l’alto compito, che impediscono il libero svolgersi delle nuove conquiste, sopratutto spirituali. [p. 44 modifica] Ogni deformazione fisica che per la nostra trascuratezza o per la nostra ignoranza noi procurassimo ai nostri figli ci parrebbe un orrore e perfino il codice ce ne punirebbe. Altrettanto criminale non è forse la deformazione morale, intellettuale, spirituale che una falsa educazione può favorire nei nostri figli?

Ciò interessa tanto più la donna in quanto tutto tende a costringerla ed essa è impedita da ostacoli e da contrasti infiniti. La più fortunata è spesso soltanto una pianta di serra che non conosce gli uragani ma neanche il puro soffio della libera aria.

Bisogna dare vigore morale alla donna, formarne il carattere; essa è ancora troppo abituata a sentire sempre un appoggio, purchè sia, vicino a sè. Gli altri sempre si sovrappongono al suo pensiero, provvedono alle sue necessità, suppliscono alla sua volontà. Essa vive di compromessi con sè stessa, cosciente o no.

Ho nominato prima il lavoro. Anche per la donna è esso il grande moralizzatore. Nell’indipendenza economica è basata l’elevazione morale della donna. Esistono situazioni nelle vite femminili che vengono facilmente considerate soltanto delle spregevoli colpe e non sono che tragedie spasimanti.

Gli uomini che primi inducono a quelle colpe le stigmatizzano poi del loro disprezzo, ma con quale diritto? Si può ritenere che il sacrificio oscuro ed eroico sia la norma comune della donna comune? Aiutiamo dunque ad aprire le vie del lavoro e facciamo che la donna nuova, quella che lotta ed opera, sia la donna della rinnovata coscienza, ma anche dell’eterna poesia.

Nella ribellione contro se stessa, ripeto, nella salvazione dei suoi valori sopraffatti, ch’ella vuole ritrovare, la donna deve essere coraggiosa in considerarsi, [p. 45 modifica] riconoscere, correggere. Nessuna elevazione si raggiunge senza fatica e senza sacrificio. A chi va avanti il primo urto, lo so, forse il più grave anche. Non importa. Esagerazioni? Errori? incomprensioni? Male? Dolore? Non importa ancora. Tutto ci ammonisce intorno e cosi tragicamente nell’ora cruenta. Dobbiamo aver chiaro il fine da raggiungere e dobbiamo avere coraggio morale. Arriveremo.

Intanto non stringiamo la nostra autorità per un’avidità di dominio, facciamo sgombra la via a chi deve procedere: apriamo lo spirito delle nostre figlie, diamo loro un oculato contatto con la vita, che non le corromperà ma le illuminerà oggi in difesa contro le asprezze dell’indomani, quando noi non saremo più forse vicino a loro; diamo loro anche la libera sanità fisica che sarà altrettanta sanità morale. Facciamo che i loro istinti si palesino spontaneamente per indurli in loro vantaggio. Forse l’istinto non è che un’affermazione e una difesa di cui la natura arricchisce il temperamento dell’individuo. Come nessun artificio può deviare dal senso naturale lo sviluppo di una pianta che pur deformandosi vincerà gli ostacoli o perirà, cosi la natura umana o più presto o più tardi si palesa secondo le sue particolari tendenze individuali. Deformarle significherà sempre peggiorarle.

Esprimiamo dalle belle e pure adolescenze la loro iniziale personalità, permettiamo loro di conoscere le loro possibilità, di misurare il loro valore e il loro dovere. Insegniamo loro a conoscere la loro vera anima e la via che ad essa le guida. Bruciamo alla stessa fiamma che abbiamo accesa in loro tutto quanto è meschino e inferiore; facciamole ricche di loro stesse.

Quanto all’uomo, in nome di una bella e dolce poesia, troppo spesso, egli ancora avversa la libertà [p. 46 modifica] di spirito della donna. Dice: «Per dare la coscienza alla donna voi le togliete la sua più delicata femminilità, l’intuito appassionato, la devozione tenera, la grazia istintiva. Voi la deformate e la private dei suoi fascini più cari. Ella non ci sa più amare». E nel nome di amore confondono molte cose lontane e inferiori. Rispondo facilmente con le leggere parole di Stendhal: «Le desir de plaire met à jamais la pudeur, la delicatesse et toutes les graces feminines hors de l’aiteinte de toute éducation quelconque. C’est comme si l’on craignait d’apprendre aux rosignols à ne pas chanter au printemps».

L’uomo sembra non comprendere che spesso nella tenerezza apparente della donna..... di ieri vi sono ancora troppe astuzie sottili, troppe lusinghe abili ed insincere, troppe carezze volute e artificiose: —— non tenerezza autentica ma traffico e menzogna di tenerezza. Bisogna, ripeto, educare l’uomo per la donna nuova. Egli è colui che schiva questa falsa adorazione, che può apprezzare nella donna la compagna degna di ogni sua superiore esigenza, quella che, come già dissi, si è ribellata a sè stessa e ai suoi più particolari difetti e gli offrirà, non più una devozione fatta solo d’istinto e d’istintivo interesse, ma d’istinto e di cosciente amore. Egli si abituerà allora a rispettare la donna, a considerare in ogni donna, perfino in quelle che ebbero la necessità della viltà di fronte alla vita, non più la debole, facile creatura di dominio, di piacere o di disprezzo, ma la sorella umana, colei che, più felice o più infelice, può procedere nel cammino al suo fianco per un eguale intento destinato a lei con la stessa sua vita, per l’ardore morale verso una più alta aspirazione.

Uno scrittore di sottile sensibilità e di spirito [p. 47 modifica] raffinato, Federico Amiel, scriveva con nostalgia: «Quando l’educazione avrà foggiato delle donne forti, nobili e serie in cui la coscienza e la ragione domineranno i bollori della fantasia e della sentimentalità si dirà; Onorare la donna e conquistarla! E la donna sarà veramente un’uguale, una compagna».

Come tale ella avrà il suo posto nella casa, della quale saprà intendere tutta la dolce poesia. In essa ella può imprimere i segni della propria individualità anche la più elevata e la più raffinata. La casa non deve essere soltanto il conforto fisico e il luogo di raccolta degli affetti e delle dolcezze famigliari, ma anche un rifugio di bellezza e di poesia di cui la donna sia l’anima vivificatrice. V’è un’estetica in tutte le cose che può tener spesso luogo di morale. Essa è manifesta superlativamente nella casa: ciò bisogna ripetere alle nostre fanciulle affinché non confondano più un’opera di complessa bellezza con un’operosità materiale. Così come non debbono confondere un’armoniosa eleganza con la superficiale vanità, figlia della fatuità e del capriccio.

Nella nuova evoluzione la famiglia non ne escirà che accresciuta per i nuovi valori che verranno a darle più verità e però più sostanza facendo di essa, non più un’istituzione sociale edificata sull’incerta base di convenzioni, di pregiudizi, di necessari interessi materiali e però spesso sorgente di contrasti, di bassezze, di male, ma una forza morale creata per virtù di volontà spontanea, di autentiche qualità, di comune e pari fede, di comune e pari amore.

Nel concetto tradizionale della donna sono bellezze e verità eterne che compongono la nostra gloria migliore. Da quelle bellezze e da quelle verità di cui l'uomo primamente rivesti la poesia femminile, [p. 48 modifica] vogliamo non allontanare la donna, ma ad essa e avvicinare l’uomo.

Molti dolori e molte umiliazioni la vita fa inevitabili e fatali. Ma vi sono dolori e umiliazioni che si possono, che si devono cancellare per una più alta spiritualità umana.

Alcuni di essi vengono trascurati dalla considerazione maschile e — pour cause — ma costituiscono una ferita aperta nel cuore e nella dignità della donna pura. Essi sono frutto di egoismo e di pregiudizi inveterati ma destinati a perire. Dobbiamo aiutare la forza del progresso in questa salutare distruzione.

Si potrebbe sperare poeticamente con Tennison: «Sarà il ritorno di un paradiso più bello sulla terra, la festa nuziale si avanza casta e calma: e si erge una razza di sovrumani».

La donna nuova, quella che nella famiglia nuova saprà formare nel figlio il suo capolavoro e però affermare la sua benefica indispensabilità, porterà nella società il doveroso e prezioso ausilio della sua intelligenza e della sua coscienza che sono l’intelligenza e la coscienza di una metà del genere umano, provvista di cuore e d’intelletto e messa finalmente nel suo pieno valore, che non è superfluità ma complemento all’uomo e alle sue possibilità, che aumenterà i fattori sociali e la grandezza nazionale.

Non più allora un unico meschino campo di competizione femminile di fronte all’uomo per piacergli e per avvincerlo o l’avversione sessuale per un ristretto spirito di contrasto e di predominio, ma la serena fraterna coscienza dei propri diversi doveri e dei propri diversi valori, ma il rispetto individuale, ma la collaborazione di reciproco bene per un bene più alto.

E se la donna in generale è quello che l’uomo vuole [p. 49 modifica] che sia, essa sarà finalmente, come dice S. Paolo: la gloria dell’uomo.

Come altri ha affermato, è vero, l’uomo in questa terribile prova si è avvicinato alla donna per la sofferenza, si è fatto degno del secolare sacrificio di lei. E la donna, di sorpresa, è uscita dalla sua casa, l'ha seguito col cuore sui campi sanguinosi, ma con le braccia operose, ma con l’intelligenza avida, s’è arrestata nelle case del dolore e del lavoro.

Quando giungerà l’ora gli uomini ritorneranno e si accorgeranno che in questi anni di distruzione materiale ma di edificazione spirituale, con innumerevoli cose sacre e care son pur caduti molti ingombri nocivi, molte barriere inutili. Si ritroveranno vicini, così vicini alle loro donne, non più solo creature di passione e di capriccio, ma compagne, sorelle, amiche comprensive e armoniose; si prenderanno per mano con novella gioia, con novella virtù. Come non sperare ch’essi avanzeranno ancora, stretti e sereni, in una nuova compiacenza?

Roma, 18 febbraio 1918.