L'asino (Guerrazzi, 1858)/Parte III/Qualità intellettuali e morali dell'Asino

Parte III - Qualità intellettuali e morali dell'Asino

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Parte III - Qualità intellettuali e morali dell'Asino
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QUALITÀ INTELLETTUALI E MORALI

DELL'ASINO


§ XIII.

Sapienza umana che sia. Morte, ottimo scudo contro la tirannide. Castricio. Solone. Promesse di vita futura. Come si abbiano a persuadere gli uomini. Persuasori pessimi gli sbirri. Versi di Nerone. Ciuca del Duca di Parma educatrice di civiltà. Pippo da Brozzi e Tonto da Bognone. Re Salomone, il Viessieux, e l'Asino di Beaumarchais. Pippo da Brozzi, e Dolfo di Cosimo e Gino di Coppo. Asino di Messer Farinata degli Uberti. Asino del ponte all'Oca. Ciuco del Dante. Asino di Enrico IV. Asino di Sisto V. Pippo da Brozzi, Poldo pisano, e Bobi del Castrone. Beniamino Franklin. Definizione dell'uomo. Niccolò Macchiavello. Libertà dagli uomini stimata meno delle patate. Modo di castigare la tirannide senza sangue. Filippo II e il suo buffone. Fiasco di vino di Chianti. Asino inventa la potatura delle viti. Proverbi ricavati dall'Asino. Asino suona il violino. Quello accadesse ad un Asino innamorato della voce di una gentil donzella. I fiori di camomilla. Interruzione.

Tutta la sapienza della vita sia nello imparare l'ora del morire ed è ragione; chè soverchia paura della morte come troppo amore del vivere partorirono fra gli uomini la infelice famiglia della infamia e della viltà. I tiranni possono togliere la vita, non già la morte; quegli solo che non [p. 2 modifica]la teme può chiamarsi libero veracemente. Tieni la tua anima in mano e ti sentirai sempre padrone di te; spesso di altrui. La provetta età reputarono gli animosi ottimo scudo ad ogni maniera di tirannide, come quella che serve quasi di pristilio al tempio della Morte. Così Castricio, repugnante ad ordinare che Piacenza rendesse gli ostaggi, essendo stato minacciato da Gneo Carbone con le parole: — bada, io ho molte spade — rispose: — ed io molti anni. — Non diverso il giureconsulto Cascellio, il quale nè per minaccia consentì a dettare le formule delle donazioni dei truculenti triumviri Marcantonio, Lepido ed Ottaviano, volendo egli chiarire come fossero indegni i benefizii loro del pari che la fortuna, ed ammonito più tardi ad astenersi dallo sbottoneggiare contro i nuovi padroni disse: — due cose, che la comune degli uomini paiono amare, me fanno libero: anni molti e figliuoli nessuno. — Ad ambedue uguale Solone, che interrogato chi mai lo rendesse audace tanto contro Pisistrato esclamò: — la mia vecchiezza1. Quindi fondatori di religioni, capi di genti e datori di leggi non cessarono di bandire che la vita era una prova dolente, una battaglia, un esilio, un pellegrinaggio sopra la terra, insomma un gastigo di Dio. Chi levò in alto statue, chi piramidi, chi croci, quasi altrettante colonne migliarie che del continuo additassero agli [p. 3 modifica]uomini la strada della vera loro patria, il cielo; altri nel mondo avvenire pose gli Elisi beati per ombre di laureti e per oblio, altri la procacia eterna delle vergini di cui gli occhi tremolarono voluttà pari alla stella di Venere; altri, e fu Cristo, la gioia ineffabile di contemplare faccia a faccia la Causa prima delle cose, e principio immortale di tutta bontà come di tutta perfezione. Intesi a simile impresa indefessamente non bastò loro bandirla con le sentenze, provocarla con le promesse, che la vollero eziandio raccomandata ai simboli.

Molti fra i popoli vetusti, i Greci, i Romani, e credo ancora gli Etruschi e gli Egizii, a significare la Morte effigiarono presso le tombe un Genio alato che, volta una fiaccola verso terra, china la fronte pensosa. A me e ad altri apparve poco adatto cotesto simbolo, imperciocchè invece di fomentare nello spettatore i casti pensieri del sepolcro, florido come effigiavano il garzone di giovanezza leggiadra tu ti aspettavi di punto in punto che, spiccato il volo dalle dimore lugubri, aliasse colà dove le rose della vita caduche sì ma belle pur mo’ sbocciate dagli aperti calici presentavano la voluttà ai mortali, come i crateri di oro offersero una volta l’ambrosia agli Dei dell’Olimpo.

I Trappisti e gli Eremiti pensarono che, so l’uomo non aveva mai o quasi mai praticato la sapienza in vita, potesse almeno [p. 4 modifica]predicarla in morte, e preso un teschio lo murarono sopra l’uscio del Cenobio con sotto queste parole, come se fosse una sentenza cascata giù dalle sue mascelle ignude:

O tu che guardi in sa
     Io fui come sei tu;
     Tu sarai come son io,
Pensa a questo, e va con Dio.

Questo altro simbolo all’opposto passò il segno, imperciocchè in siffatte materie, più che picchiare sodo, importi picchiare diritto, e spessissimo accade che per il colpo smodato il chiodo sfaldandosi, invece di conficcare, stianti. La Sapienza quando vuole trarre l’uomo per la via della virtù, prega che vadano ad accompagnarla la divina Persuasione, le Grazie e le Muse, e presolo soavemente per la mano di tratto in tratto gli si volge e gli sorride soave. Quell’acciuffare la gente per il collo e, messele le manette ai polsi, strascinarla, non è opera da sapienti, bensì da sbirri. Egli è mestieri insegnare all’uomo i precetti divini come un’armonia già saputa da lui e che adesso abbia dimenticata; però tu fa di sussurrare un suono rotto o due, affinchè l’anima umana ti rispondendo co’ mille suoi echi compisca la cantica. Se vuoi che l’uomo salisca al cielo, dàgli ad intendere ch’egli n’è sceso. Diversamente egli ricalcitra allo sprone; e se talvolta per la soverchia scossa [p. 5 modifica]stupidisce, più spesso inalbera e ribellasi; non ti dimenticare mai che l’uomo e la contradizione nacquero a un parto. Infatti Nerone, invece di ricavare dalla vista dello scheletro argomento di virtù, poichè l’ebbe mostrato ai commensali suoi nel convito descritto da Tito Petronio Arbitro2, ne trasse occasione di spingerli con maggiore efficacia alla intemperanza e alla lussuria prorompendo in questi versi:

«Ahi! miseri, che cosa è l’uomo mai?
     E noi tutti così, poichè siam morti.
     Godiamci dunque e non pensiamo a guai.»

Che se i teschi buttati fuori della fossa dai becchini non eccitarono Amleto allo stravizio e alla lussuria, nemmeno può dirsi che lo avviassero alla contemplazione delle solenni verità le quali hanno valore di sollevare la mente umana alla Patria celeste; anzi dal suo cervello come da boccia di Sciampagna stappata sprillano fuori immagini strane, per giullaresca giocondità non insigni di mesta grandezza, e se io dica il vero il fatto lo dimostri:

AMLETO — «Lo vedi, Orazio, a quali turpi uffici possiamo trovarci destinati? Perchè non ci verrà concesso di tenere dietro con la immaginazione alla nobile polvere di Alessandro Magno, finchè non la troviamo a turare il cocchiume di una botte?» [p. 6 modifica]

ORAZIO — «Oh! la menerebbe troppo per le lunghe la faccenda, la menerebbe.»

AMLETO — «Mainò, in fede mia, nè anco un iota; per me la vo’ seguire, salvo il debito rispetto e con isperanza di venirne a capo. Alessandro morì, Alessandro fu arso, Alessandro tornò in cenere, la cenere è terra; della terra abbiamo fatto argilla. Ora perchè l’argilla, in cui per ultimo fu trasformato, non ha potuto lutare un barlozzo di birra?»

Cesare che vivendo fu sì fiero,
     Morto una volta e ritornato in polvere
     Tapperà un buco donde soffia il vento.
     Oh! quella terra, che tremava il mondo,
     Ficcata nelle crepe avrà potenza
     Di fermare l’inverno a mezzo il muro.
     Ma silenzio! Silenzio!3.

Però con savio accorgimento temperando io il troppo di baldanza del primo simbolo e la soverchia tristezza del secondo, ecco come mezzo termine proposi il mito dell’Asino, che rode la corda a mano a mano, che Ocno la rintreccia4, e ne fui lodato; dacchè pensando l’uomo sopra cotesto simbolo e durando fatica a decifrarlo, decifrato che l’ebbe gli parve che il senso scoperto fosse sentenza sua, nel modo stesso che il padre Venturi per avere commentato la divina Commedia si tenne pari al Dante ed anco un tantinello di più. [p. 7 modifica]

Sopra ogni altro simbolo pertanto l’Asino valse a persuadere l’uomo, che i giorni suoi erano lacrime cascate dagli occhi della Sventura nel seno della Morte.

Né per questo solo, ma per parecchie altre virtù che non si nominano, e per amore sincero della filosofia i dottori Ebrei, secondochè certifica Cornelio Agrippa5, mi salutarono simbolo preclarissimo di sapienza. Giobbe vorrebbe addirittura mandare il genere umano a scuola dell’Asino6 ma io me ne astenni per non far perdere il pane ai professori di Pisa, e nei tuoi Proverbi non dubitasti a consigliarlo ad apprendere da Bestie anco minori, per modo di esempio dalla Formica7. Non per questo io rimasi da sovvenirlo con amorosa sollecitudine, che anzi ordinai, l’Asino formasse scheletro e argomento o, vogliamo dire, anima di ogni cosa presso i mortali. Il telaio del letto, a modo di esempio nella lingua greca come nella latina, si chiama Asino; Asino dicevasi il banco del falegname; e il telaio dove le femmine tessevano, parimente Asino8; Asino l’arnese per appiccarvi lo scudo9; Asino il telaio dei pittori10; Asino l’arnese, sul quale si portavano le vivande al convito11; Asino la pietra del molino12 Asino la pietra, che in fondo alle fosse fognate sostenta le altre pietre che formano la fogna: Asinello la trave, che regge l’altra trave dei tetti, che piovono un’acqua [p. 8 modifica]sola13; così il procuratore generale era, si può dire, l’Asino dei Giudici.

I Francesi, metto tempre in fondo i Francesi, perchè più in su o più in giù, se non si sfonda il cielo o l’inferno, non si può ire, quando accompagnarano in Egitto Napoleone per aiutarlo ad attorcere le funi che dovevano legare per quindici anni la Francia, quante volte vedevano comparire un Asino gli facevano di berretta e ne davano avviso ai compagni gridando: ecco un dotto14!

Non basterebbe proprio mezza la eternità, s’io volessi raccontarti tutte le belle cose che l’Asino seppe suggerire agli uomini, i lepidi tratti che provocò, le generosità, le Arguzie, i motti festosi, i responsi prudenti, le diritte sentenze; un flagello insomma di dolcezze, ch’io ne disgrado la Befana e i suoi confetti: ne bastino alcune a cui tu porgerai come hai fatto fin qui benigne le tue regali orecchie, non fosse altro in premio di averti mostrato come le potessero dirsi parenti delle mie.

Celebrarono Iride e Mercurio messaggieri di pace presso gli antichi Numi; vive eterno nei versi immortali di Omero Taltibio araldo scompartitore dei duellanti feroci, e pochi sanno, che opera punto meno meritoria esercitò l’Asino tra gente truce in tempi trucissimi. Alessandro Farnese duca di Parma correndo l’anno 1585 teneva stretta di [p. 9 modifica]assedio la città di Anversa: coteste guerre di Fiandra procedevano sconciamente spietate, conciossiachè alle consuete cause di rabbia, che spinsero gli uomini a lacerarsi fra loro, si aggiungesse il furore religioso. Adesso accadde come durante cotesto assedio certa giovane gentildonna cascasse inferma di languore; i medici, avuti fra loro non pochi consulti, si appuntarono a dire che se il latte di Ciuca non la guariva, altro rimedio non ci vedevano; tutto questo andava bene, ma Ciuche in Anversa non se ne trovavano; almeno di quelle, che in grazia del latte tanto giovano agl’infermi del male dell’etico. Un virtuoso giovane, o sia che amore della gentildonna il pungesse, o sia che altro motivo a me ignoto lo consigliasse, uscì risoluto dalla città assediata andando al campo nemico in traccia di una Ciuca; preso dagli Spagnuoli e tratto a mo’ di spia alla presenza del Farnese, in parlare breve e succinto lo chiari della cagione per la quale egli si era messo allo sbaraglio in cotesta avventura. Uditolo il duca umanamente, molto commendollo in prima dell’animo egregio e poi gli donò non solo la Ciuca desiderata, ma caricatagliela con quanti poteva portare, Capponi, Pernici e di ogni maniera vivande, gli commise salutasse in suo nome la dama, il municipio e il popolo di Anversa. Il giovine riportò i saluti e, com’è natura di cotesta beata età, che [p. 10 modifica]delle azioni umane vede soltanto l’orpello, aggiunse di suo lodi stupende alla generosità del Farnese. Il popolo non volendo rimanere vinto in cortesia ricambia il dono con un presente di vino prezioso; di qui incominciano ad ammollirsi i cuori da una parte e dall’altra, ricordansi (e pareva che ne fosse tempo) che per credere o non credere nel papa uomini erano tutti e riscattati dal medesimo sangue di Cristo che ha che fare col papa quanto gennaio con le more, e la guerra di ora in poi continuò in termini assai comportabili15.

Re Salomone, se mentre vivesti ti venne fatto visitare Fiorenza la bella, sarai ito a barattare i tuoi sicli (che mi figuro tu, quantunque ebreo, non avrai tosato in viaggio) dai cambiatori di Ponte—vecchio, i quali una volta stanziavano tutti costà, come più tardi gli orafi, ed avrai visto o piuttosto non avrai visto niente nelle botteghe, e ciò perchè oltre tenere la pecunia poco di spazio, i nostri vecchi non reputarono dicevole esporla al cupido sguardo dei passeggeri. Pippo da Brozzi recandosi per sue bisogne a Firenze passò per Ponte—vecchio e considerando le botteghe vuote molinava nel suo cervello, che diavolo si vendesse là dentro; non venendo a capo d’indovinare si struggeva di voglia di saperne il vero. Scorto pertanto un certo cambiatore, che se ne stava scioperato su lo sporto ed aveva nome Tonto [p. 11 modifica]da Bagnone, gli si trasse vicino e salutatolo con bella grazia gli domandò: — la mi farebbe il piacere di dirmi, che cosa ci si vende qua dentro nella sua bottega? — A cui Tonto, squadratolo così di traverso e parutogli terreno da piantare vigna, rispose: — ci si vendono teste di Asino, galantuomo. — Pippo aggrinzò il naso come quando gli si stappa sotto un barattolo di ammoniaca; ma pronto lì, da fiorentino vero replicava: — gua’! ed haccene ad essere spaccio davvero, però ch’io vegga, che la non ci è rimasta altra che la sua. —

Re Salomone, hai tu mai letto le commedie di Monsieur Beaumarchais? Ecco, se non le hai lette merita proprio che tu le le mandi a prendere al gabinetto letterario del Viessux e te le legga a comodo. Monsieur Beaumarchais dunque ebbe arguzia ed anche bontà quanto mai ne possedesse l’Asino più gaio che ragliò nel mondo; ora senti quello che gli avvenne. Sul principio della rivoluzione di Francia (intendo quella rifatta in istufato con capi di aglio e capi di re) una villana menando l’Asino suo carico di legumi per Parigi si accostò al palazzo del Beaumarchais giusto in quel punto ch’ei stava per uscirne. Questo Asino poi così era attrito dal digiuno e stanco dal cammino, che una famiglia di frati avria potuto farlo passare in coscienza per il santo Ilarione dei Somari. Visto che l’ebbe il Beaumarchais, [p. 12 modifica]si sentì commosso da pietà per lui onde, chiamata la Villana, comprò i legumi e gli porse all’Asino, affinchè si riavesse. L’atto amoroso fu come una cambiale a vista tratta sopra l’Angiolo custode, il quale, comechè il Beaumarchais sentisse alquanto dell’eretico, non patì mandarla in protesto, ed in qual modo tu saprai fra poco se mi starai ad udire. La notte, che successe a cotesto giorno, uno scritto breve avvisa il Poeta cercalo a morte la plebe, non si assicurasse sopra la propria innocenza, non correre stagione di gingillarsela adesso, si cansasse subito. Il Beaumarchais non intese a sordo, e quantunque ormai vecchio si metteva la via tra le gambe in mezzo ad una notte da Lupi: gli fu ventura, guadagnata la barriera, scapolarsela all’aperta campagna; ma ahimè! qui lo aspettava fortuna peggiore; i piè per la spessa fanghiglia gl’inciampano, il nevischio lo gela immollandolo fino alle ossa; il buio fitto, il latrare dei Cani, il terrore del pericolo imminente gli empiono l’anima di affanno; già sgomento stava per darsi alla disperazione quando ad un tratto gli apparisce un lume poco lontano ed ei là tosto incamminasi tutto angosciato; il lume esce da un tugurio; picchia, ma nessuno risponde; bussa da capo ed una voce burbera grida per di dentro: — va via, se non ti è venuta in fastidio la vita: — egli però, fatto cuore, con suono flebilissimo si raccomanda: — deh! [p. 13 modifica]apritemi in carità, ch’io vi muoio di sfinimento a piè dell’uscio. — Babbo! Babbo! allora si fece sentire un’altra voce; apri, ch’io riconosco il buon signore, che ha dato da mangiare al nostro Asino. — E gli fu aperto. In questo modo andò salvo il Beaumarchais per intercessione dell’Asino da tale pericolo, dove poco, tu mi puoi credere, gli avrebbero giovato i santi16.

Se un giorno io non andava alla riscossa di Demostene, con tutta la sua eloquenza egli faceva un buco nell’acqua. Non che grave, tremenda compariva la materia davvero, imperciocchè si trattasse niente di meno per gli Ateniesi che perdere la Libertà minacciata da Filippo macedone; ma tutto questo era nulla, che il valoroso Oratore non arrivava ad attutire la insanabile frivolezza loro, la quale su l’orlo stesso del precipizio li persuadeva a folleggiare. Allora, ispirato da me, Demostene prese nuovo partito e, buttata là in un canto ogni trattazione di faccende pubbliche, favellò così; — Uditemi, uomini Ateniesi, ed aguzzate i vostri ferri per isciogliere un punto, ch’io sottometto al vostro giudizio. A questi giorni un certo terrazzano di Asso volendo andare per sue bisogne fino a Megara, tolse un Asino a nolo da un vetturale megarese, il quale, come colui che tornavasene a casa, seguitò pedestre l’uomo di Asso. Arrivato il giorno poc’oltre il mezzo, facendosi il caldo grande [p. 14 modifica]e i raggi cocentissimi del sole rendendo il camminare affannoso, il terrazzano scese e si pose a meriggiare all’ombra dell’Asino; allora salta su il vetturale a contrastarglielo volendo ripararvisi egli: quinci la lite. Diceva il primo, che avendo preso a nolo l’Asino, il corpo e l’ombra di lui erano suoi, finchè durasse il dì; ostava il secondo, allegando che non essendo stato discorso dell’ombra, la si doveva considerare non caduta nelle previsioni dei contraenti; epperò esclusa dal contratto medesimo. E qui dato fine al ragionamento, Demostene fece sembianza di partirsi; allora gli Ateniesi, allungate le mani, lo supplicarono rimanesse a chiarirli del dubbio; ma lo sdegnoso con gran voce proruppe: — Sciagurati! L’ombra dell’Asino vi rende attenti, mentre della salute della Patria e di voi siete incuriosi? — Punti dal motto gli Ateniesi acquietaronsi, porgendo ascolto a Demostene, il quale, senza il mio patrocinio, non avrebbe potuto concludere la orazione17.

Il nostro amico Pippo da Brozzi, certo giorno a vespro, stavasene aiato di mezzo agosto in Arno, temperando con l’acqua corrente l’arsura delle membra, quando due gentiluomini, Dolfo di Cosimo e Gino di Coppo, dopo esserglisi posti a destra e a mancina, giocondamente lo interrogavano: — Pippo, di’ su, se noi fossimo due ceste, che ti parrebb’egli di essere? — E Pippo di [p. 15 modifica]rimando: — Io ve lo dirò, ma prima chiaritemi di questo: che cosa vi parrebbe di essere a voi, se io fossi un aratro?

Farinata degli Uberti nel Concilio di Empoli non seppe adombrare il magnanimo concetto di volere contro tutti preservare incolume la Patria con argomento migliore, che coll’esempio e nome miei. Leggi la Cronaca di Giovanni Villani, ed apprenderai coro’ egli favellasse per lo appunto così: — come Asino sape, così va Capra zoppa, così minuzza rape, se Lupo non la intoppa18, e me auspice, egli poteva vantarsi giù nello inferno:

«Ma fui io sol colà, dove sofferto
Fu per ciascun di torre via Fiorenza,
Colui, che la difesi a viso aperto19

»

Trattando di Asini arguti, tu non ti hai a maravigliare, se io mi soffermi alquanto in Firenze; imperciocchè, se i Fiorentini avessero avuto Asini di fermo ed animoso volere, come gli ebbero arguti, beati loro! — Rubaconte da Mandella, potestà del Comune di Fiorenza, fu tale giudice che poteva farti la barba. Poichè di qua da questo mondo piaggeria non usa, io ti dirò alla spiattellata, che nella fama di sapiente tu avesti più fortuna non più senno di lui, coma conoscerai di te stesso. Piero di Ciacchero, villanaccio da Peretola, traendo l’Asino suo governato da cappuccino e carico da cavaliere per [p. 16 modifica]Fiorenza, di repente con suo inestimabile rovello in piazza Madonna gli stramazzò: chiamava il ghiottone quanti passavano cittadini, affinchè lo aiutassero a rimettere l’Asino in piedi, ma costoro notando, che avrebbe molto bene potuto farlo da sè stesso, solo che si fosse preso il travaglio di scaricarlo, tiravano innanzi senza badargli. Caso volle, che quinci passasse Pippo da Brozzi nostro, il quale tratto dai gridi, come persona servizievole, disse all’altro:

— Compare, scemalo di peso, e il tuo Asino si rizzerà.

— Anzi no, troppo grande fatica è cotesta; per poco che tu mi porga di aiuto mi torrai d’impaccio — risponde Ciacchero il villano.

— Magari! riprende Pippo, che ho io da fare?

— Ecco, agguantalo per la coda e tira su; io da quest’altra parte lo solleverò per la cavezza e tu vedrai.

Pippo chiappa con tutte e due le mani la coda, Ciacchero il villano la cavezza; questi grida: — ci sei? — Quegli risponde: — ci sono. — Su di un tratto. — Su pure. — E Pippo, dato uno strattone che avrebbe schiantato un rocchio da Montemorello, si trova svelta la coda in mano. — Oh! la si è staccata, esclama Pippo; e l’altro: — che cosa? — La coda all’Asino. — Ahi! traditore, tu me l’hai guasto e tu me lo hai da [p. 17 modifica]pagare e pagamelo tosto lire sette di piccioli, che tanto lo comprai uguanno alla fiera di Campi. — Pippo dà a Ciacchero della coda dell’Asino per mezzo la faccia, talchè gli ci rimase la stampa e vassi con Dio. Il Villano porta il piato al banco del Potestà e fallo citare, Pippo si presenta e racconta come la faccenda stava; allora Rubaconte, considerando quanto grande fosse la zotica indiscretezza di Ciacchero, decreta: Pippo da Brozzi piglisi l’Asino e tanto se lo tenga ai suoi servigi finchè non gli torni la coda; appena cresciuta, lo renda al villano.

Udito questo, Ciacchero il villano schiamazza: — Messere io Potestà, tu mi dai nei gerundii: quando ad Asino fu vista rinascere mai coda, una volta che la gli sia stata staccata? —

— Le rinascono, rispose Rubaconte, va franco, le rinascono se non si stiantano bene: io non ho altra sentenza a dare e tu paga le spese del giudicato. — Quindi il proverbio, che non giova tagliare la coda agli Asini, perchè tanto rinasce20. Queste erano le sentenze, che i giudici di Firenze avrebbero dovuto togliersi a modello, non quella del Cremani, però che Rubaconte fosse uomo dabbene e l’altro ribaldo da tre cotte; ma cui non preme andare diritto ha in tasca la riga.

Ed a te pure somministrai materia di consiglio insigne, il quale legalo in oro [p. 18 modifica]dovrebbero appiccare a capo del letto accanto al vasello dell’acqua benedetta tutti coloro, che tolgono donna; e questo fu di mandare Gioseffo al ponte all’Oca per impararvi la medicina delle mogli fastidiose, dove egli vide bastonare gli Asini e se l’ebbe per inteso21.

Io fui quegli, che mossi il massimo Alighieri a chiarire come si dovessero cantare i versi della Divina Commedia quando il villano mesceva nella favella delle Muse la voce Arri, la quale veramente leggiadra apparisce e sonora, ma come propria alla mia lingua deve lasciarsi stare al suo posto22. Per me Filippo Macedonio legò agli uomini certa macchina da abbattere mura, più sicura di quant’ingegni seppe mai immaginare il De—Marchi bolognese, imperciocchè a quel tale che gli aveva magnificato l’Acrocorintio come ròcca inespugnabile, egli domandasse: se la via che vi conduceva desse adito ad un Ciuco, ed essendogli stato risposto: sì; soggiunse; dove non valgono tormenti bellici ed uomini armati, vale un Asino carico d’oro.

Merita grave considerazione questo altro fatto. Ti rammenti, sapientissimo, per quale gesto fu reputato dai cieli degno di corona Saulle: quel fiero persecutore di bàbbito buon’anima, il re David? Nello atto in che cercava le Asine di Chis; e il libro di Samuele è aperto lì per fartene fede23. Donde io intendo cavare due cose ugualmente [p. 19 modifica]buone a sapersi, ed è la prima, che non può farsi opera più meritoria, nè più piacente a Dio, oltre quella di raccogliere gli Asini; la seconda da poi, che la cerca e il ritrovamento degli Asini somministrano prova eccellentissima della molta attitudine a governare; laonde, comechè ai tempi miei non riuscisse malagevole trovare Asini, tuttavolta fra i potenti della terra quelli che sapevano il mestiere davvero fecero loro sempre buon viso promuovendoli sovente a magistrati, più spesso ad accademici, spessissimo a ciambellani; anzi una volta in certa guerra d’Italia crearonli tutti capitani di eserciti italiani. Nè hai da credere che quella di Saulle fosse l’unica prova, perocchè in questa guisa argomentando tu t’inganneresti a partito; la storia abbonda di esempi; quel povero diavolo dell’imperatore Leone l’isaurico, che fu scomunicato per avere voluto osservare i precetti di Dio, ebbe il vaticinio dagli Ebrei di tenere l’impero di Oriente, mentre correva dietro il suo Asino24.

Al maresciallo Bassompierre somministrai argomento del motto arguto col quale trafisse Enrico IV, che pretese mordere lui mostrandogli, che quale Asino dà in parete tal riceve: raccontandogli il maresciallo come avesse fatto il suo ingresso in Madrid su di un Mulo, lo interruppe esclamando: — L’orrevole mostra, in fè di Dio, un Ciuco sopra un Mulo; a cui tosto il Bassompierre [p. 20 modifica]di rimando: Sire, considerate che in quel punto come ambasciatore io rappresentasse vostra maestà25.

Senza di me avrebbe mai quel vicario vero di Gesù, il mansueto Sisto V, potuto palesare i tesori della sua misericordia, quando i suoi Giudici (dacchè coloro che pronunziano sentenze si chiamino giudici) condannarono a morte il garzone fiorentino diciassettenne per essersi opposto alla corte, che pretese sequestrare indebitamente un Asino mio congiunto a certo uomo del contado? Al Governatore di Roma, che gli veniva osservando mancare nel giovane l’età stabilita dalla legge per essere messo a morte, il prete pietoso disse: — Ciò non tenga; che noi gli diamo dieci anni dei nostri, affinchè il boia gli mozzi in buona coscienza la testa26! —

Per ultimo, che i’ la vo’ finire, io inspirai a Pippo da Brozzi il famoso consiglio, che dette a Poldo pisano, e il commento che ci fece sopra, quando Bobi del Castrone ne volle essere chiarito. Pippo dunque andando in compagnia di Bubi per le vie di Fiorenza s’imbattè a vedere Poldo pisano, il quale imbestialito contro l’Asino suo, che non voleva più andargli dietro, lo tirava a strettoni per la cavezza e gli veniva urlando negli orecchi certi Arri da assordare una bombarda; ciò non montando a niente gli si fece dallato col maggiore rovello del mondo [p. 21 modifica]ingegnandosi di tirargli de’ calci nella pancia; ma alla prova si trovava corte le gambe. Pippo gli si accosta e gli dice: — fratellino, pigliansi più mosche con un cucchiaio di mele che con un bigoncio di aceto; non bistrattare l’Asino; parlagli soave, usa con lui da cristiano e l’Asino verrà. —

E Poldo arruffato: — va oltre pei fatti tuoi, che dell’Asino sono padrone io e lo vo’ picchiare quanto mi piace: magari mi trovassi una cannocchia in mano! —

Allora Pippo: — e se in lo vuoi bussare, e tu bussalo: però ti avviso che in cotesta maniera l’Asino nella pancia non giungerai. —

— Oh come non lo giungerò io? disse Poldo.

E Pippo da capo: — tenendo una gamba in terra e l’altra levata, tu non se’ spedito; alzale ad un tempo tutte e due e gli arriverai fino alle orecchie.

Poldo si prova a dare una pedata all’Asino co’ due piedi, e invece dà del sedere in terra per modo ch’ebbe a rompere un lastrone. Pippo ridendo vassi con Dio e Bobi dietro che, svoltato il canto, così gli favellò:

— Pippo, io non l’ho intesa cotesta: chiariscimi. —

Pippo rispose: — ella è lampante come l’ambra; quando incontri un padrone bestiale, che avendo a caso per le mani un Asino lo [p. 22 modifica]batte senza discrezione, tu fa di raumiliarlo; digli che cessi l’izza, ricordagli che per ordinario il torto non istà tutto da una parte, nè dall’altra tutta la ragione; ce n’è pel manico e per la mestola: vivano in pace; che se il padrone non ti dà retta, tu ordinagli il male per medicina; se tira calci all’Asino con un piede, e tu allora consiglialo a tirarglieli con tutte e due; così, come vedi, se ne andrà a gambe per aria con danno suo, consolazione dell’Asino e baldoria grande della brigata. Tutte le strade menano a Roma: hai inteso adesso?

— Io ho inteso, Pippo; e continuarono il cammino. —

Beniamino Franklin ha definito l’uomo animale, che fabbrica arnesi; se così è, per eccellenza uomini saremmo noi altre Bestie, come quelle, che la più parte dei mestieri e perciò degli arnesi inventammo; ma noi non desiderose di miglior pane che di grano, stiamo contente della bestialità nostra; nè a torto, conciossiachè esercitando noi le arti e mestieri dentro i limiti del necessario ci giovarono sempre, mentre gli uomini convertendoli negli usi infami spesso e funesti sempre del vivere pieno di mollezza se ne fecero un patrimonio di miseria. Dossio tiglio di Celo imparò dalle Rondini a fabbricare la calcina27. Il Nautilo istruì gli uomini nell’arte di fabbricare le navi e adoperare le vele. Il Castoro additava a loro sgomenti, come alle piena [p. 23 modifica]delle acque con argini e palafitte si riparasse. Prima delle donne assai il Ragnatelo filò ed ordì tele, e prima assai degli uomini egli tese le reti e fu cacciatore. La Capra a Moka fece conoscere l’uso del caffè dando una affiliatura, secondo l’opinione dello abate Denina, al cervello umano diventato ottuso; in America la china, medicamento specifico alle febbri, e in Candia il dittamo, sollievo alle ferite: i Cani palesarono agli uomini di più maniere semplici; i Serpenti i collirii fregandosi gli occhi col finocchio. Innanzi che fossero corazzieri e corazze l’Icneumone si armò di usbergo per affrontare in battaglia il Coccodrillo. Lo Ippopotamo e l’Elefante fregandosi pei canneti mostrarono come l’uomo si abbia a flebotomare e in che possa giovarsene; sicchè vennero considerati fondatori della Chirurgia. La Tartaruga medica, mangiato ch’ella si abbia per inavvertenza la Vipera, si purga coll’origano. Che più? Gli stessi cristei ebbero mestieri gli uomini imparare dalla Cicogna. Noi non dettiamo le nostre storie; se lo avessimo fatto, come oscurerebbe la fama di Colombo, del Vespuccio, del Cabotto e degli altri illustri scuopritori di contrade sconosciute! I Sermoni, che altri chiamano, come te, Salomoni con manifesta irriverenza, perocchè i re non si conservano in salomonia e loro sì, i Sermoni, dico, rivelarono la corrispondenza che passa fra il mar Caspio, l’Oceano [p. 24 modifica]settentrionale e il Golfo persico28. Le formiche ammaestrarono l’uomo a conservare il grano dentro fosse sotterranee.

La Gru e le Rondini indicarono all’uomo come si abbiano a fuggire gli stridori dello inverno e con partito uguale quelli più rigidi della tirannide; ma pochi furono coloro che appresero quest’arte per amore della Libertà, moltissimi all’opposto si misero in mezzo a contrade sconosciute a perigliare fra le ire della Natura, delle fiere e, le peggiori di tutte, quelle dell’uomo per l’agonia del guadagno. Quindi a ragione Niccolò Macchiavello redarguendo i vanti degli uomini, così fa che parli il suo Asino;

«Noi cangiamo region di riva in riva
     E lasciare un albergo non ci duole,
     Purchè contenti e felici si viva.
L’un fugge il ghiaccio e l’altro fugge il sole,
     Seguendo il tempo al viver nostro amico,
     Come Natura che ne insegna vuole.
Ma misserimi voi più ch’io non dico,
     Gite cercando quel paese e questo,
     Non per aere trovar freddo od aprico,
Ma perchè l’appetito disonesto
     Dello aver non vi tien l’animo fermo
     Nè il viver parco, civile e modesto29

Di vero, guarda un po’ qua: mancano, dopo esserci state, le patate in Irlanda, colpa la crittogama; e manca in Italia, dopo esserci stata, la Libertà, colpa la codardia dei suoi abitatori; dalla Irlanda sciamano in America gli uomini in cerca di patate; dalla [p. 25 modifica]Italia non emigra alcuno in cerca di Libertà; dunque, come due e due fanno quattro, la è manifesta che gli uomini pregiano meno, la Libertà, delle patate; poichè queste gli fanno andare a l’altra no. Ma vi è di più; moltissimi fra coloro che finsero affaticarsi maggiormente per la Libertà, fuorusciti che furono, supplicarono a mani giunte di tornare nel paese dove l’avevano strozzata. Mancava terra al mondo per esserci sepolti? Come vi basta il cuore di andare ad assistere al supplizio quotidiano di vostra madre? Voi foste non amatori della Libertà, bensì giucatori di lotto ed ora che la sorte vi è uscita contraria, bassamente importuni pretendete che vi rendono indietro la messa. Senza congiure, senza sangue, se un popolo travagliato dalla tirannide si togliesse volontario esilio recando seco i padri su le spalle, i figliuoli per la mano, le ossa degli avi ed i penati in seno, l’odiato padrone dove troverebbe i birri, i giudici ed i soldati? Regni sopra la solitudine che ha fatta. Narrasi come certo giorno il buffone di Filippo II, temutissimo fra i re cristiani per modo, che lo appellassero demonio meridiano, così lo interrogasse: — di’, babbo, se i tanti milioni di popoli che adesso ti dicono di sì, ad un tratto tutti d’accordo ti dicessero di no; fra noi due quale sarebbe più buffone, tu od io? — Il [p. 26 modifica]buffone venne cacciato di Corte e la passò liscia; il re disse avere cessato le consuete arguzie il buffone e che non sapeva più farlo ridere, e ci credo.

Chi afferma l’uomo nato sotto il segno della libbra dai gusci pari, non dice il vero. Io fino dal momento nel quale egli aperse gli occhi alla luce vidi dentro al guscio diritto prima il peccato originale, poi la morte, le cure, la povertà, il delitto, il servaggio, la follia, l’ebbrezza, la viltà, i presti pubblici, il vaiolo, il male francese con molte altre cose francesi, il cholèra, il papa, i giornali, il tifo, i preti, i giudici, gli sbirri, il carnefice e, più che tutto, affannosa l’Austria e i suoi tiranni, sicchè cigolando calava verso lo inferno, onde, vinto da pietà, per fare meno dispari i gusci, che equilibrarli non poteva, deposi sul manco un fiasco di vino di Chianti, non però di Broglio, chè cotesto è nero e a cui lo gusta guasta il sangue.

Corre diverso il grido intorno allo inventore del vino, occhio della verità, che taluni ne danno il merito a Noè ed altri a Bacco, ma concorde è l’opinione intorno al merito dell’Asino di avere erudito l’uomo nel segreto della potatura delle viti. Di vero io dissi già come in Nauplia mi levassero statue di pietra, però ne tacqui la causa: adesso la dico, e fu appunto per rimeritarmi della rivelata potatura delle viti30. [p. 27 modifica]Tuttavolta io non taccio, come questa lode mi venisse con la petulanza consueta negata dall’uomo; non importa, che a temperarmi l’angoscia mi sovenne il pensiero non essere vissuta al mondo, Bestia illustre, intorno alla quale la invidia, a mo’ di ellera su la quercia, tenace e verde non si abbarbicasse. Nè l’onore della statua, nè la gratitudine del beneficio valsero a farmi immune dalla censura che cotesta invenzione non dovesse attribuirsi alla virtù, sibbene alla voracità mia, la quale spingendomi a spuntare i tralci della vite, operò sì che senza un merito mio schiudessi un campo all’ingegno umano di osservare gli effetti e cavarne poi quei vantaggi sommi che tutti conoscono: ed in prova del denigrare loro recano che quante volte mi attentai replicare lo insegnamento, altrettante fui rimunerato con le solite bastonate. Cotesta, io te l’ho detto le mille volte, non è ragione, imperciocchè tutto quanto toccò ai benefattori della umanità meno della forca fu bazza: anzi così apparve ordinaria la persecuzione contro i benemeriti di quella stirpe sciagurata, che il fiero frate Campanella durante la ventisettenne sua prigionia tentò investigarne le cause e l’espresse in certo suo libro adesso perduto, il quale s’intitolava così: — perchè gli uomini forniti di sapienza et virtù et benefattori dello humano genere incorrono in morte violenta data loro sotto presto di [p. 28 modifica]lesa maestà divina et humana, e poi dopo morte rivivano nella estimazione et adorazione dello universale31.

Cicerone, se io non erro, negli Offici ricercando la etimologia di proverbio dichiara ch’ella deriva da probatum verbum, vale a dire, parola confermata dalla diuturna esperienza, e deve essere così, imperciocchè per ordinario i proverbii contengano un precetto salutare o di morale, o di politica o di medicina o di altro, e sieno come la moneta spicciola della sapienza ad uso del popolo. A tale intento gli uomini poterono mietere con la falce pei campi dell’Asino od abbine testimone questi proverbii, che nè tutti, nè i più belli raccolti da me, io sottometto alla tua regia considerazione.

Attaccare l’Asino a buona caviglia.
Lega l’Asino dove vuole il padrone.
Quando l’Asino vuole la Miccia non puole.
Quando la Miccia puole l’Asino non vuole.
Aut Rex, aut Asinus.
Asin bianco gli va al molino.
Metter l’Asino a cavallo.
Asinus ad lyram.
Far come l’Asino del pentolaio.
L’orzo non è fatto per l’Asino.
L’Asino non vale la cavezza.
Non si ara bene col bue e coll’Asino.
Messere e l’Asino che va nel mezzo.
Non introdurre l’asino in sala, chè poi ti caccia via di camera e di sala.
All’Asino non istà bene la sella.
Chi mette all’Asino la sella, la cigna va per terra.

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Raglio di Asino non arriva in cielo.
Come Asino sape, così minuzza rape.
Chi Asino nasce, Asino muore.
L’Asino che non ha fatta la casa in 30 anni, non la fa più.
Chi lava il capo all’Asino perde ranno e sapone.
Dall’Asino non cercare lana.
È Asino di natura chi non sa leggere la sua scrittura.
Fra tanti Muli ci può stare un Asino.
Il Re non letterato è un Asino incoronato.
Un Asino di 20 anni è più vecchio di un uomo di 70.
Val più un Asino vivo che un Dottore morto.
L’Asino che ha fame mangia di ogni strame.
Mentre l’erba cresce l’Asino muore.
L’Asino, per tristo che sia, se lo batti più del dovere tira calci.
Chi non può dare all’Asino dà al basto.
In pellicceria ci vanno più pelli di Volpi che di Asino.
Anche il pagliaio è grande e se lo mangia un Asino.
Il buono a qualche cosa è l’Asino del pubblico.
Esser l’Asino di santa Verdiana: tutti lo cavalcano per divozione.
Il più Ciuco è fatto priore.
Ben va al molino chi c’invia l’Asino.
Qual Asino dà in parete, tal riceve.
Donne, Asini e Noci vogliono le mani atroci.
Sette cose pensa l’Asino ed otto l’Asinaio.
L’Asino dov’è cascato una volta non ci casca più.
L’Asino non conosce la coda se non quando l’ha persa.
Viene Asino di monte e caccia via Caval di Corte.
Ognuno a suo modo e gli Asini all’antica.
Tra Asino e Asino non corrono che calci.
I Padovani impiccano l’Asino.
Chi è Asino e Cervo si crede al saltar della fossa se ne avvede.
Trotto di Asino poco dura.

[p. 30 modifica]

E’ va più di un Asino a mercato.
Asino duro, bastone duro.
Asino punto convien che trotti.
Per via si acconciano le some e mal per l’Asino che le porta.
La pazienza e la virtù degli Asini e dei santi.
Chi si mette tra la semola gli Asini se lo mangiano.
Alla prova si scortica l’Asino.
Gli Asini si conoscono al basto.
Carne di Asino vuole bastone.
L’Asino porta il basto e non lo sente,
Ma dove il senta mai egli è valente.
Di coda di Asino non si fa staccio di seta.
Far come l’Asino che porta il vino e bee l’acqua.
E’ vale una ghierabaldana, che ne davano trenta per un pelo di Asino.
Disputare della ombra dell’Asino.

     Chi non ha senso di armonia nel cuore
     Nè il muove accordo di suoni gentili
     Nacque ai corrucci, ai tradimenti e al sangue.
     Cupi come la notte i suoi pensieri,
     E più neri dell’Erebo gli affetti...
     Non fidarti a costei32.

Benedetta la Musica! Orsù via, disse un giorno quel beffardo di Momo alla madre Natura, cha la vide, con le maniche della camicia tirate su fino al gomito, affaccendarsi a fabbricare Bestie pel mondo, miriamo un po’ che cosa saprai farci di galante. E la Natura cortese, tolto alquanto di argilla su la ruota, la mise in giro col piede ed ecco creò l’Usignolo. Appena nato, il musico uccello dimenando la coda e saltellando vispo e irrequieto sciolse un canto, [p. 31 modifica]il quale ebbe virtù di stupire quanti si trovavano a udirlo. Ma il Dio dei brontoloni rispose: — veramente illepido non si può dire l’uccellino, però si poteva far meglio. Allora la Natura come colei che di fatti è vaga assai più che di parole, raccolta di molta creta, diè un’altra volta alla ruota e fece l’Asino e con faccia turbata esclamò: — Or tienti questo per maestro di cappella. — Nè mentì, avvegnadio oltre alle orecchie per comprendere e ritenere i suoni piuttosto uniche che rare, mi fasciasse la gola di note basse e di soprane idonee a volare su e giù per le scale semitonate della musica stupendamente e se la invidia non mi attraversava il cammino qui come altrove, non le dame e damigelle Malibran, Sontag, Litz, e le altre infinite, ma io solo sarei stato condotto con prezzi matti a deliziare le signorili orecchie pei teatri di Londra e di Parigi e forse, chi sa a Madrid, mi avrebbero creato commendatore prima del Ronconi. Qui dove più valgo mi nocque maggiormente l’astio nemico; però al fine tristissimo di screditarmi inventarono il proverbio Asinus ad Lyram. Oh se l’Asino si fosse talentato di suonare la lira, bene altri accordi avria saputo cavarci di Anfione e di Orfeo, ma se non toccai la lira suonai il violino, come ne fa fede il ritratto che per più anni stette sul vecchio campanile della cattedrale di Roano33 ed anche il [p. 32 modifica]flauto, secondo che ne porge testimonianza l’altro ritratto scolpito in pietra nella cattedrale di Amburgo34.

Se le lodi, i conforti e gli ozii studiosi furono reputati necessarii anco ai diligenti affinchè riuscissero nelle arti preclare, giudica tu che cosa dovesse ricavarsi da me ammannito con gli apparecchi che mi accingo a raccontarti. Era di maggio, era di notte, quando il tepido alito secondato dalle ombre feconda le piante, che la mattina, mercé l’aiuto dell’alba levatrice, partoriscono i fiori, e la luna si avvoltola in mezzo al cielo sereno come una gatta in amore per l’erbe del prato. L’ora del tempo e la dolce stagione piovevano sul cuore degli animali una cara mestizia, che gli induceva a sospirare teneramente, ed io con gli altri, attendendo tuttavia a pascere l’erba del parco, sospirava. Ecco di repente un suono scuote le mie orecchie.... come gli angioli cantino veramente io non ho udito fin qui, io lo udirò fra poco, così mi giova sperare, ma faccio conto che o giungano a cotesto segno o lo passino di poco; levo la testa, a passi lenti mi avvio colà donde mi parve si partisse il suono e giungo dopo non molto cammino alla villa in fondo al parco. Oh Numi! Una fanciulla bella come i suoi occhi (e quei suoi occhi sembravano fratelli delle stelle, levati in alto a leggere la musica scritta in cielo) consegnava alle aure [p. 33 modifica]vicine, che lo ricevevano in ginocchioni, un torrente di armonia e queste lo consegnavano alle più lontane, le quali poi lo trasmettevano alle lontanissime, sicchè i silenzii della notte fremevano di piacere.

Gli astanti rapiti in estasi non si accorsero del mio entrare nella sala e nè anche delle mie pedate, un po’ per la diligenza che posi a camminare in punta di piedi, un po’ pei soffici tappeti che gli ammortivano.

Cosa bella mortal passa e non dura.

Epperò anche quella luce di canto ad un tratto tacque: allora le creature melense, che facevano corona alla fanciulla, proruppero in orribile strepito di smanacciate e di urli: brava! ma brava! bravissima! io poi, che mi sentiva rimescolato dentro le viscere e versava dagli occhi lungo il muso lacrime di tenerezza, non sapendo frenarmi, mi levai sopra le zampe di dietro e voglioso di stringermi al seno la sublime fanciulla le posi su gli omeri delicati le mie zampe davanti; aveva fatto anche pensiero di salutarla col verso dolcissimo del Petrarca:

Oh aspettata nel cielo anima eletta!

ma come andasse io non so; nel tumulto degli affetti dimenticai il verso, e non potei [p. 34 modifica]mandare fuori dalla gola altro che un raglio35. Torci, o re, lo sguardo dal diluvio delle bastonate che mi piovve addosso; basti alle mie costole averlo patito. In onta alle dure repulse, non ostante le barbare industrie con le quali gli uomini astiosi della concorrenza tentarono disgustarmi della musica, io vi perseverai con la costanza dei martiri e la fede dei confessori; sicchè giunsi a tale che anco i sordi udirono la voce mia. Gli altri animali senza distinzione urlano, abbaiano, ruggiscono, mugghiano o grugniscono tutto l’anno, ma i giorni da me prescelti a far pompa della mia voce intera sono quelli, che annunziano la stagione, che rinnova i suoi fiori e le sue fronde, sicchè il cavaliere Gozzadini con molto bel garbo mi ebbe a salutare:

Lieta trombetta e cavallar di Maggio,

comecchè a dire rettamente anche a mezzo aprile, attesta Alessandro Tassoni, si ascoltino:

Gli Asini modular versi di amore.

Quando io sciolgo per l’aria la mia voce gloriosa ogni animale si riconsiglia ad amare; la terra tocca nelle secrete viscere sente affetto; la Natura vestita coi suoi abiti da festa pare una sposa sul punto di [p. 35 modifica]rispondere: sì signore, al prete che l’ha interrogata, s’è contenta congiungersi in matrimonio coll’illustrissimo signore o conte o barone o marchese. — Del mio grido precursore dei giorni sereni esulta il ragazzo che si ripromette di correre dopo la scuola sul prato in cerca di farfalle: vaghezza eterna dell’uomo e non cessata da lui, finchè la morte, chiusegli le palpebre, non gli dica: — dormi in pace! — Cupidità, ambizione ed anche affetti, che cosa altro siete mai fuorchè farfalle? E così a Dio piacesse che fosse incolpevole proseguire quelli come queste, ed ottenuti ci apparissero ugualmente leggiadri! Esulta del mio raglio il vecchiarello ansioso di lasciare le fumose cucine e l’acre calore del focone per sedersi sul muricciolo accanto alla porta di casa, infondere nelle vene un raggio vitale di sole e ricevere un’ora, almeno con la memoria, della cara gioventù. O fiati tiepidi di primavera, quanto sarà meno duro esalare l’ultimo fiato, se fia concesso mescolarlo coi vostri! O terra, come inviti a giacere e a dormire quando stendi su i campi l’erbe fatte quasi letto nuziale! O Natura, come aspergendo gli occhi mortali co’ tuoi dolcissimi papaveri gli educhi al sonno! Felice chi presto si sentì stanco e si addormentò, tre volte più felice colui che non si è destato mai! Esulta al mio raglio la giovanetta la quale si riduce negli ombrosi [p. 36 modifica]recessi della foresta per intendere meglio scolpite certe parole, che le furono bisbigliate a strappo in una lunga veglia d’inverno a canto il fuoco, mentre la mamma smoccolava la lucerna; — la giovanetta che pensosa non trova miglior sollievo all’affanno segreto che vagare sul margine del fiume, mentre sotto i piedi le cresce la camomilla, la quale più tardi le blandirà le viscere quando porrà il laus Deo in fondo all’opera, che messa in torchio nel folto della foresta uscirà alla luce riveduta e corretta dalla solenne prota Natura:

«L’acque parlan di amore, e l’òra e i rami
E gli augelletti e i pesci, i fiori e l’erba
Tutti insieme pregando, ch’io sempre ami36


Note

  1. [p. 38 modifica]Valer. Max., l. 6, c. 2, n. 10.
  2. [p. 38 modifica]Tit. Petron. Arbit., Satiric., p. 80.
  3. [p. 38 modifica]Amlet., att. V., s. 2.
  4. [p. 38 modifica]Ampere, Histoire romaine à Rome.
  5. [p. 38 modifica]De vanit. scientiar., c. 102.
  6. [p. 38 modifica]Nimirum interroga jumenta, et docebunt tibi. Job, c. 12, n. 7.
  7. [p. 38 modifica]Vade ad formicam, piger, et considera vias ejus et disce sapientiam.
  8. [p. 38 modifica]Julius Pollux, l. 7, 32.
  9. [p. 38 modifica]Idem, l. 10, 3.
  10. [p. 39 modifica]Idem. l. 10, 37.
  11. [p. 39 modifica]Tit. Petron. Arbitr.,. Satyric., p. 85
  12. [p. 39 modifica]Helladius Chrestomat., §. 53.
  13. [p. 39 modifica]Voc. della Crusca, Asinello.
  14. [p. 39 modifica]Rivist. Britan. Reminis., di L. Holland. p. 143.
  15. [p. 39 modifica]St. Gervais t. 1. p. 20.
  16. [p. 39 modifica]Idem, t. 1. p. 24.
  17. [p. 39 modifica]Manut., l. 7. Apot.
  18. [p. 39 modifica]Villani Gio., l. 6, c. 82.
  19. [p. 39 modifica]Inferno, 10.
  20. [p. 39 modifica]Manni, Veglie piacevoli.
  21. [p. 39 modifica]Decam. Gior. 9, Novel. 9.
  22. [p. 39 modifica]Franco Sacchetti, Novel. 115.
  23. [p. 39 modifica]Samuel, c. 9. n. 10.
  24. [p. 39 modifica]Gibbon., Op. Cit., 48.
  25. [p. 39 modifica]Dumas, Siécle de Luois XIV.
  26. [p. 39 modifica]Leti Gregorio, Vita di Sisto V, p. 2.
  27. [p. 39 modifica]Plin., l. 7. c. 57.
  28. [p. 39 modifica]Prefat. a S. Gervais. Montaigne, Ess. p. 231.
  29. [p. 39 modifica]Asino d’oro
  30. [p. 39 modifica]Pausan., Descriz. della Grecia, l. 2.
  31. [p. 39 modifica]baldacchini, Vita, di Dom. Campanella. Il Campanella stesso lo dice all’art. V. de libris propris; sul quale proposito il dabbene Baldacchini nota: — senonchè la posterità è giudice degl’ingegni dei quali i contemporanei calunniano perfino le intenzioni.
  32. [p. 39 modifica]Mercante di Venezia, At. V.
  33. [p. 39 modifica]Michelet, op.cit. t. 2. p. 657.
  34. [p. 39 modifica]Lambecio, t. 2. De Orig. Hamburgensium.
  35. [p. 39 modifica]Il fatto accade a Oreaville, S. Gervais, t. 1, p. 18.
  36. [p. 39 modifica]Petrarca, Rime.