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uomini la strada della vera loro patria, il cielo; altri nel mondo avvenire pose gli Elisi beati per ombre di laureti e per oblio, altri la procacia eterna delle vergini di cui gli occhi tremolarono voluttà pari alla stella di Venere; altri, e fu Cristo, la gioia ineffabile di contemplare faccia a faccia la Causa prima delle cose, e principio immortale di tutta bontà come di tutta perfezione. Intesi a simile impresa indefessamente non bastò loro bandirla con le sentenze, provocarla con le promesse, che la vollero eziandio raccomandata ai simboli.

Molti fra i popoli vetusti, i Greci, i Romani, e credo ancora gli Etruschi e gli Egizii, a significare la Morte effigiarono presso le tombe un Genio alato che, volta una fiaccola verso terra, china la fronte pensosa. A me e ad altri apparve poco adatto cotesto simbolo, imperciocchè invece di fomentare nello spettatore i casti pensieri del sepolcro, florido come effigiavano il garzone di giovanezza leggiadra tu ti aspettavi di punto in punto che, spiccato il volo dalle dimore lugubri, aliasse colà dove le rose della vita caduche sì ma belle pur mo’ sbocciate dagli aperti calici presentavano la voluttà ai mortali, come i crateri di oro offersero una volta l’ambrosia agli Dei dell’Olimpo.

I Trappisti e gli Eremiti pensarono che, so l’uomo non aveva mai o quasi mai praticato la sapienza in vita, potesse almeno