L'adolescenza/Lo zio ministro

Antonio Caccianiga

Lo zio ministro ../Consigli e auguri al lettore ../L'avvenire della gioventù italiana IncludiIntestazione 16 aprile 2018 75% Da definire

Consigli e auguri al lettore L'avvenire della gioventù italiana
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LO ZIO MINISTRO

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I
l piccolo villaggio di*** nell’alta Lombardia era tutto scombussolato. Avete mai provato a battere le nocche sulle pareti d’un alveare?... Le api fanno un susurrìo che indica la loro agitazione pel rumore straordinario che interrompe le occupazioni laboriose della loro vita. Così in quell’angolo tranquillo del mondo, in quel paesello di semplici coltivatori si vedeva un movimento inusitato, un va e vieni di gente frettolosa e di curiosi, che arrestavano per via i vicini interrogandoli e facendo le meraviglie.

Tutto questo movimento era stato prodotto da una semplice lettera privata d’un ministro a suo fratello. [p. 14 modifica]

Ecco la lettera:

«Carissimo fratello, ti scrivo colla massima segretezza (un’ora dopo tutto il villaggio sapeva a memoria la lettera), desiderando di passare in pace due giorni in seno della famiglia, che non rivedo da tanti anni e respirare un po’ d’aria paesana nel mio caro villaggio nativo. Stanco d’una vita irrequieta e tumultuosa, stomacato delle umane passioni che amareggiano la vita pubblica, vengo a ritemperarmi al patino focolare, che mi rammenta gli anni fidici della prima gioventù. Dopo le Cinque giornate di Milano sono entrato nell’esercito, ho fatto, come sai, una lunga e faticosa carriera nella milizia, poi essendo passato nel corpo diplomatico ho soggiornato in lontani paesi, fino che il voto dei miei elettori mandandomi in Parlamento, un bel giorno, o per meglio dire un brutto giorno, mi sono trovato non so come ministro!... E in tanta baraonda d’affari sono diventato vecchio senza ritornare al paese a respirare un po’ d’aria sana e vitale, della quale ho tanto bisogno. Appena finita la mia corsa turbinosa attraverso i congressi, le feste centenarie, le inaugurazioni di monumenti, le esposizioni e i concorsi agrari, spero di poter sottrarmi un paio di giorni agli affari pubblici, prendere un poco di riposo, rivedere finalmente la casa paterna, e stringervi tutti al mio seno. Come puoi immaginarti, sono ristucco di folle plaudenti, di bandiere spiegate, di musiche tuonanti l’inno nazionale, e specialmente di discorsi dei sindaci. Ne ho una vera indigestione. Mi farai dunque il sommo favore di tener segreto il mio arrivo per evitarmi ogni specie di dimostrazione paesana. Mi raccomando!... [p. 15 modifica]

«Dalla tua ultima lettera ho veduto con piacere che Sandrino ha compiuto lodevolmente il corso degli studi legali, e, per soddisfare il tuo desiderio, acconsento a condurlo a Roma con me, per collocarlo in un posto che gli possa convenire. Frattanto sa lutami la cognata Giulia e gli amici, e a rivederci presto. Ti avvertirò con un telegramma del giorno preciso del mio arrivo. Addio.

«Tuo affezionato fratello.»


I ministri si perdono sempre colla ultime parole!... «Salutami tanto la cognata Giulia e gli amici!...» Il ministro lasciandosi sfuggire queste parole imprudenti aveva distrutto l’effetto delle prime raccomandazioni di segretezza; egli forse ignorava che sua cognata Giulia era la gazzetta del villaggio, e che nel suo piccolo nido tutti gli abitanti gli erano amici. Eseguendo quest’ultimo incarico, il fratello aveva fatta la più estesa pubblicità del suo prossimo arrivo.

C’era dunque una grande aspettativa, tutti si promettevano di avvicinare il proprio compatriota salito al potere, ciascheduno pensava di approfittare delle antiche relazioni per raccomandargli qualche cosa o qualche persona. I più ambiziosi speravano mettersi in vista per ottenere una croce o almeno ima medaglia, il sindaco si proponeva di chiedergli dei sussidii pel Comune, il maestro sperava un avanzamento, il segretario una gratificazione, il medico un aumento di stipendio, il parroco voleva invocare il concorso del Governo nella erezione del nuovo campanile. Le donne apparecchiavano bandiere e tappeti da fornire i balconi, e i candellieri per [p. 16 modifica] l'illuminazione, e si sentiva qua e là uscire dalle case ualche nota isolata di tromba e clarinetto, che minacciava il frastuono della musica paesana.

Invano il fratello del ministro raccomandava a tutti il silenzio e l’astensione d’ogni concorso; dalla stessa sua casa partiva il movimento. Donna Giulia faceva lustrare i mobili delle camere, e i rami della cucina, spazzare i pavimenti, lavare le scale, metteva al bucato le cortine, rinnovava le provvisioni.

E intanto che cosa faceva Sandrino per apparecchiarsi alla prossima partenza per Roma?...

Sandrino erborizzava sulla collina, specialmente in vicinanza d’una casa bianca, che sorgeva in sito aprico davanti d’un bosco. Egli assaporava con delizia la pace e la solitudine dei campi, ascoltava il ronzio degli insetti, lo stormire delle fronde, il canto degli uccelli, osservava attentamente l’aspetto vario e pittoresco dei monti e della sottostante pianura, che si perdeva da lontano nei vapori d’autunno.

Suo padre gli aveva fatto percorrere gli studi legali per farne un avvocato, un procuratore del Re od- un prefetto, forse anche un deputato e un ministro come lo zio. Sandrino, ubbidiente ai paterni voleri, era diventato dottore, malgrado la sua antipatia pei codici e le pandette; ma le sue inclinazioni lo portavano all’amore della natura.

Aveva passata l’infanzia in mezzo a quelle colline, correndo dietro alle farfalle con sua cugina, e quelle [p. 17 modifica] corse vagabonde gli lasciarono nell’animo una soave memoria. La necessità degli studi lo aveva diviso dall’Annina; essa era entrata in un istituto d’educazione, egli era partito pel collegio. Finito il corso legale all’università di Pavia e ritornato a casa colla laurea, aveva ritrovato la cuginetta divenuta grande, bella e modesta, come lui memore del passato, desiderosa di riprendere le corse d’una volta, ritenuta soltanto dalle convenienze sociali, che li obbligava entrambi a trattarsi colle cerimonie.

Appena giunta la lettera dello zio ministro, che annunziava la notizia delle prossima sua partenza per Roma, Sandrino sentì un desiderio irresistibile di erborizzare intorno al muro di cinta della’ casa bianca, e sali sulla collina del bosco. Raccolse per via alcuni fiori, ma giunto al solito sito, abbandonò la ricerca dei semplici, e incominciò a guardare in aria. Certo non pareva più un erborista, ma rassomigliava piuttosto ad un astronomo che cerca il suo astro. Vedendo che l’astro non compariva all’orizzonte.... d’una finestra, si decise di tirare il campanello. Poco dopo la mamma d’Annina gli aperse l’uscio, e lo accolse lietamente, dicendogli:

— Venite avanti, Sandrino ; che nuove ci recate?

— Brutte nuove!...

— Oh, come?...

— Vengo a darvi l'addio della partenza, rispose il giovane con voce commossa.

La signora Matilde senti una stretta al cuore che le impedì di fare nuove domande, lo fece entrare nel salottino a pian terreno, ove si trovava l’Annina col suo lavoro, lo fece sedere, riprese il suo posto, e potè finalmente annunziare la triste novella a sua figlia. [p. 18 modifica]

La fanciulla divenne pallida, pallida come un pannolino lavato.

Dopo breve sosta la signora Matilde riprese ad interrogarlo:

— Volete dunque lasciarci?... e dove andate?...

— Vado a Roma con mio zio....

— Col ministro?

— Col ministro. Lo attendiamo fra pochi giorni al villaggio....

A questa nuova rivelazione lu la signora Matilde che divenne pallida.... e poi rossa come la porpora.

Succedette un lungo silenzio, durante il quale ciascheduno pensando a’ casi suoi, non aveva più nulla da dire agli altri.

Sandrino guardava 1’Annina con un lungo e languido sguardo, che pareva significare: siamo troppo infelici!... la natura ci vorrebbe uniti, la società ci divide!... Essa non potendo frenare una lagrima, cercava invano di nasconderla colla mano; soffocava un sospiro, ma il seno agitato svelava la sua ambascia. La signora Matilde era assorta nell’amara rimembranza di speranze svanite. Nella sua gioventù essa aveva amato lo zio di Sandrino, rapitogli dalle vicende del quarantotto. Dopo quell’epoca non lo aveva più riveduto. Sapendolo arruolato nell’esercito, si fece sposa al notaio del paese, che, appena divenuto padre d’Annina, la lasciò vedova. La madre perspicace aveva indovinata la reciproca simpatia dei due giovani, e n’era contenta; ma ora la vedeva troncarsi d’un tratto, rinnovandosi nella figlia la dolorosa istoria della sua gioventù: il primo amore perduto!...

Finalmente ruppe il silenzio dicendo a Sandrino: [p. 19 modifica]

— A Roma colla protezione di vostro zio farete un rapido cammino, e travolto dalle ebbrezze della vita pubblica, al pari di lui avrete ben presto dimenticato il povero villaggio, che vi vide nascere!...

Annina esalò un profondo sospiro, e il giovane rispose:

— A Roma, lontano dal mio paesello sarò isolato e infelice : voi sapete benissimo che non ho mai aspirato a grandezze; figlio unico, con una sostanza sufficiente per vivere agiato, io non desiderava altro che formare una famiglia tranquilla e contenta del paterno retaggio ma mio padre la pensa diversamente, e mi ripete ogni giorno: — Che cosa vuoi fare in questo misero villaggio? Hai avuto una bella educazione, pensa a trarne partito, non devi sacrificarti al pari di me nell’aridità dei piccoli affari domestici. Io basto a queste cure volgari, tu devi cercare maggiori soddisfazioni, seguendo le pedate di tuo zio; guarda un po’ lui come è giunto in pochi anni al sommo del potere guadagnando onori e denaro, mentre io ho passata la vita come un minchione a far l’agente di campagna senza profitti che mi compensino delle noie. Ascolta i consigli della mia esperienza, lisciati slanciare da tuo zio nella vita pubblica, e un giorno sarai contento.... Ora, vi domando io che cosa posso rispondere?...

La conversazione venne interrotta dall’arrivo del padre di Sandrino, il quale avendo ricevuto un telegramma dal fratello che ne annunziava per l’indomani l’arrivo, era corso subito dalla signora Matilde per pregarla di volersi recare con sua figlia a tener compagnia al ministro. Ringraziandolo di tale onore, essa rifiutò dapprima recisamente l’invito, [p. 20 modifica] ma quando venne assicurata che questo era un desiderio dello stesso ministro, il quale nelle sue lettere chiedeva sempre di lei, non seppe lungamente resistere al desiderio di rivederlo, e diede una cortese adesione. Quantunque avesse oltrepassato i quarant’anni, era ancora una bella donna, e poteva piacere a chiunque, e tanto maggiormente al ministro, il quale, trovandola libera, potrebbe forse risolversi a terminare lodevolmente un romanzo incominciato a vent’anni, sospeso come l’appendice d’un giornale, per motivo della politica, mentre probabilmente dopo l'ultima riga, il desiderio aveva scritto la solita frase: sarà continuato.

Cosi il villaggio si apparecchiava a ricevere Sua Eccellenza, che pretendeva di giungere nel più stretto incognito, mentre a sua insaputa tutti i giornali annunziavano il suo viaggio, che suscitava diverse passioni, facendo sperare impieghi e onorificenze, risvegliando vecchi amori assopiti, minacciando di rompere il filo di nuove affezioni, germogliate sul ceppo delle antiche. Qualche corrispondente dei più accreditati periodici, non avendo niente da raccontare agli ingenui lettori, si era anche immaginato di attribuire un motivo politico al viaggio del ministrò; e l’opposizione faceva degli articoli di fondo, e dava dei consigli al governo sull’argomento.

Intanto il ministro aveva presa una vettura chiusa, e per maggiore precauzione aveva abbassate le [p. 21 modifica]

tendine per giungere segretamente al villaggio, e mentre i cavalli andavano al trotto, egli si era assopito e sognava le delizie del riposo e della solitudine. Tutto a un tratto si risveglia allo scoppio di alcuni mortaretti, che gli ricordarono la macchina infernale di Fieschi e le bombe d’Orsini. Allo scoppio succedette l’inno nazionale con trombe reboanti, striduli clarinetti e il solito accompagnamento di gran cassa e tamburi, e applausi iterati di popolo. Alzò le tendine, sporse la testa dallo sportello della vettura, e vide, orribile aspetto! un arco trionfale vestito di verdi fronde e sormontato da iscrizioni, fiancheggiato da immensa folla e da un codazzo di veicoli paesani, che ambivano l’onore di servirgli di scorta.[p. 6 modifica]Alzò le tendine, sporse la testa dallo sportello della vettura.

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Per merito di suo fratello gli venne risparmiato il discorso del sindaco, e nella sventura questo gli parve un guadagno calcolabile. Entrando nel villaggio non riconobbe più il suo nido tranquillo; non vedeva che tappeti e bandiere. I tre colori pei quali aveva congiurato in gioventù, si era battuto coraggiosamente contro gli austriaci; quei colori tanto desiderati una volta come simbolo di libertà, erano divenuti la sua persecuzione costante, dalla quale non giungeva a liberarsi nemmeno in cima a’suoi monti. Due sogni avevano sorriso alla sua gioventù, l’amore d’una fanciulla, e la speranza della libertà della patria; il più facile era svanito, il più difficile si era mutato in realtà, a tal punto da morirne sotto il peso della dimostrazione continua.

Giunto a casa fra la polvere e il frastuono assordante degli applausi, della musica, dei mortaretti e delle campane, dovette ricevere le. autorità, i [p. 22 modifica] maggiorenti ed il clero, stringere mille mani, sorridere, interrogare, rispondere, mostrarsi lieto e soddisfattissimo di tanta festa, onoratissimo e beato di tante dimostrazioni.

Poi strinse al seno i parenti giovani e vecchi, salutò cordialmente i domestici, i coloni, i loro bambini, le balie e i conoscenti, e finalmente chiese la grazia di ritirarsi nella sua stanza, ove, chiuso l’uscio a doppio giro di chiave, cadde sul canapè, mandò un profondo sospiro, e senti il bisogno di stirarsi e di respirare in libertà, a pieni polmoni.

Poi chiuse gli occhi, e cercò di dormire; ma l’eco dell’inno nazionale gl’intronava sempre gli orecchi, le stonature del clarinetto gli avevano urtati i nervi e gl’impedivano il sonno. Dopo d’aver preso alla meno peggio un qualche riposo, si decise finalmente di aprire la finestra, e quello fu ristante più beato del giorno. Sentì l’aria pura e imbalsamata del paese nativo che gli sbatteva sul viso, ne riconobbe il profumo, gli parve che quegli aliti montani dissipassero la nebbia che gli offuscava la mente. Gli scomparvero come per incanto gli anni trascorsi, perdette la memoria delle lotte sanguinose, dei tumulti del parlamento, del febbrile lavoro del ministero, e li credette un sogno di malato. Difatti le cime de’ suoi monti, i casolari delle colline, le brune chiome del bosco che gli stavano davanti, non avevano punto mutato d’aspetto. Riconobbe la casa bianca sul poggio, respirò con voluttà l’esalazione del fieno recentemente reciso, guardò con affetto l’orto paterno e la vigna che portava ancora i suoi grappoli. Rimase lungamente estatico a quella finestra, contemplando quel panorama cosi eloquente al suo cuore. [p. 23 modifica]

Poi aperse l’uscio, accolse il fratello e il nipote,... e chiese subito della signora Matilde.

— È qui abbasso che ti aspetta, gli disse il fratello, l’ho pregata di pranzare con noi....

— Ah! eccola anzi che ci viene incontro,... disse il ministro, correndo verso l'Annina che saliva le scale, e che, sorpresa all'improvviso, divenne rossa come una bragia.

Il fratello fu pronto a dargli una tirata ai lembi del vestito, dicendogli all’orecchio:

— T'inganni..., questa è sua figlia.

Il ministro si ravvide subito dell’errore, e seppe dissimularlo colla prontezza abituale degli alti magistrati quando s’avvedono d’aver detto una corbelleria. La prese per le mani, la contemplò con emozione dicendo:

— Tal quale sua madre!... alla sua età..

Sbalordito al risvegliarsi di tante memorie, assorto nella contemplazione d’una natura sempre fresca di perenne giovinezza, vedendo che fuori dalla finestra, i monti, le colline, il bosco, le case, Paria, la luce tutto era al suo posto, tutto conservava l’antico carattere, egli si era dimenticato per un’istante che gli uomini e le donne non hanno la stessa fortuna, ed alla apparizione della fanciulla gli parve di vedere la sua Matilde, quando aveva diciott’anni. Scese le scale, la vide finalmente, e gli parve che, quantunque ancora bella, non fosse più dessa. Con isquisita galanteria seppe dissimulare la sua impressione, le prese la mano affettuosamente, gliela tenne stretta a lungo, e guardandola teneramente le andava ripetendo: — Vi ricordate?... vi ricordate?... Oh i begl’anni che non tornano più !... e si passava la mano sulla fronte, [p. 24 modifica] e sul capo divenuto calvo e brizzolato di capelli bianchi. Gli anni erano passati anche per lui!... e le rughe del volto gli marcavano le passioni e le lotte del tempo.

La mensa, composta di pochi amici, fu lieta, espansiva, cordiale. Si parlò dapprima del passato, dei compagni dell’infanzia, poi si passò a ragionare degli avvenimenti politici, delle fortune d’Italia e della grandezza di Roma, e tutti invidiavano la sorte di Sandrino che coll’influenza dello zio avrebbe preso un bel posto nella vita pubblica. A tali discorsi Annina abbassava gli occhi, e soffocava i sospiri.

Il ministro colla sua abitudine d’osservazione sorprese più volte lo scambio degli sguardi fra Sandrino e l’Annina, e non tardò molto a penetrare il mistero del loro amore.

Alla sera fu illuminato il villaggio, e vennero slanciati dei fuochi d’artificio, che a giudizio dei più vecchi non s’erano più veduti.

Finalmente, prima d’andare a letto, il ministro disse al fratello:

— Domani parleremo dell’avvenire di Sandrino; sono deciso di condurlo a Roma, ma prima voglio intendermela con lui. Domattina lo chiamerò per tempo nella mia stanza, voglio dargli una buona lezione! La nostra gioventù perde la bussola, io lo metterò sulla buona strada. Intanto felice notte. I circostanti risposero: — Felice notte, buon riposo, e se ne andarono a letto, tutti contenti e pieni di speranze per l’avvenire,... meno l’Annina. — [p. 25 modifica]

All’indomani per tempo, il ministro, come aveva promesso, fece chiamare Sandrino, e, fattoselo sedere dirimpetto, gli disse:

— Dimmi francamente.... vieni a Roma volentieri?...

— Io, si.... s’immagini!.... rispose freddamente il giovane.

— E che cosa vuoi fare a Roma?... soggiunse lo zio. Credi forse di venir a fumare il sigaro tutto il giorno pel corso, di fare all’amore con tutte le belle.... e di giuocare al bigliardo?...

— Nemmeno per sogno, saltò su a dire il ragazzo; vengo per lavorare sul serio, per farmi una posizione!....

— Una posizione!... ma che posizione vuoi farti?... Tu non vuoi certamente che ti dia un incarico che non meriti, tu non pretendi che io metta alla porta uno de’miei impiegati per farti sedere al suo posto. Tu devi ben sapere che queste cose non si fanno, nè si possono fare.... checché ne dicano i giornali d’opposizione. Ove diavolo intendi dunque di andarti a nicchiare?...

— Mah!.... rispose l’altro, restando colla bocca aperta, e guardando il soffitto. Suo zio lo esaminava attentamente, poi continuò:

— Facciamo una supposizione: supponi di entrare in un ministero come applicato di terza classe, a che hosa speri di pervenire?...

— Che so io!... non me ne intendo. [p. 26 modifica]

— Te lo dirò apertamente. In capo a vent’anni di lavori forzati tu non guadagnerai tanto da mantenere la famiglia. Avrai passato i più begli anni della vita nell’aria viziata d’una camera, seduto ad ore fisse sopra un duro sedile, sotto la sorveglianza d’un usciere. Oh, la bella vita!...

— E il babbo che s’immagina che con la vostra influenza io possa correre una brillante carriera....

— Ebbene, egli ha torto; ma supponiamo per un momento che egli abbia ragione, supponiamo pure che tu sia un ingegno superiore, di quelli che si fanno largo dapertutto, che s’impongono al governo con una attitudine rara, con servigi esuberanti ; supponiamo che la fortuna ti sorrida, e che tu possa diventale Prefetto di Napoli, Senatore e Ministro!... Ebbene, sei contento?... spero che non vorrai ambire un posto più alto!.... ebbene, mio caro amico, io ti compiango in anticipazione,... perchè tu sarai sempre infelice!....

«Ascoltami giovinotto, la vita pubblica è un aspro cammino, pieno di rovi e di sterpi, è una lotta continua che consuma le forze, inaridisce il cuore, distrugge le intime affezioni, condanna all’adulazione degli ingrati, e ci procura l’odio e le maledizioni degli ambiziosi delusi, degli avari disingannati, degl’imbroglioni smascherati ed offesi. Bisogna camminare ogni giorno faticosamente nel fango delle umane passioni, e calpestare dei serpenti!...

«Ah mi dirai che ci sono i gran giorni, i tripudi della gloria, le soddisfazioni del potere, la fama che vola. Ah, amico mio, tutte queste cose non valgono i beni perduti... la libertà... l’amore... la scienza.... la vita insomma colle sue burrasche, ma colle sue [p. 27 modifica] bonaccie, colle sue gioie tranquille, serene, nel seno della famiglia!...

«La mia generazione ha dovuto subir tutto per fare l’Italia; la nostra vita era consacrata a questa idea: si voleva vincere o morire, e ne valeva la pena, perchè un popolo schiavo non è che un vile branco d’animali. Abbiamo vinto, coll’aiuto di Dio, e malgrado tutte le nostre sciocchezze, ora l’Italia è fatta, e voi fortunati che non avete che a conservarla e farla migliore! Ora non è nei banchi dei ministeri che si farà prosperare l’Italia, ma bensì colle cure della vita privata, migliorando l’agricoltura, le industrie, le arti, il commercio, creando delle famiglie oneste, colte, operose, lavorando ciascheduno al proprio posto, pel bene di tutti. Se il dovere ci#chiama a servire pubblicamente il paese, non è lecito rifiutarsi, bisogna concorrere in tutti a sopportare certi incarichi noiosi ma indispensabili, ma bisogna giudicare queste funzioni come uh peso necessario, non come una scala dell’ambizione o dell’interesse. Questo è lo scopo che devono prefìggersi i galantuomini, che non hanno bisognò del pane del governo, e fortunati loro e la patria, se vogliono intenderla. In quanto a te, mio Sandrino, vuoi che ti dica francamente che cosa io farei, se fossi al tuo posto?... Vorrei sposare l’Annina, formare una buona famiglia, migliorare i miei campi, e servire il paese raddoppiando i prodotti del suolo. La vita sociale bene intesa, non deve contrariare gl’istinti, ma secondarli. Nella scelta dello stato non dobbiamo consultare l’ambizione, ma le nostre naturali inclinazioni, che, coltivate a dovere, daranno utili risultati. La tale condotta derivano la fortuna e la felicità. Tu che le [p. 28 modifica] hai sulla porta, non andare a cercarle da lontano... Ami l’Annina; è una buona e bella ragazza, devi sposarla, e sarete felici.

— Ma chi le ha detto, caro zio, che amo 1’Annina?

— Nessuno.... Se me l’avessero detto, potrei dubitarne; ma l’ho veduto co’miei occhi, e m’inganno di raro. Vuoi negare che l’ami?...

— Non posso negarlo.... ma che cosa direbbe mio padre, se rovesciassi tutto il suo piano sul mio avvenire?....

— Come tutti gli uomini semplici, tuo padre è felice senza saperlo; tocca a me illuminarlo, e non mi sarà difficile di convincerlo che fu sempre più felice di suo fratello ministro!...

— Dunque non avete più l’intenzione di condurmi a Roma?...

— Anzi domani partiamo. Anche coloro che servono il paese restando sotto al tetto che li vide nascere, devono visitare l’Italia. È così bella!... e poi conoscere la patria è un dovere per chi può farlo, ed è una scuola che può sempre servire. E poi vedrai quello che non conosci, avrai tempo di meditare la grave questione della scelta dello stato, e fra un mese potrai scegliere fra un impiego, o un bel regalo di nozze per la sposa. Accetti la mia proposta?...

Sandrino gettò le braccia al collo di suo zio.... e all’indomani partirono. Un mese dopo Sandrino ritornava al suo villaggio con un magnifico presente dello zio ministro all’Annina, che col pieno consenso paterno diventava sua sposa. Era beato d’aver veduto Roma.... e d’essere tornato a casa, e si mise sul serio ad utilizzare i suoi studi di naturalista diventando un ottimo agricoltore. [p. 29 modifica]

Lo zio gli scrisse ultimamente da Roma una lunga lettera, che si può compendiare in queste poche parole: «Apparecchiami l’appartamento verso le colline. Finalmente posso anch’io ritirarmi dalla vita pubblica, e voglio finire i miei giorni nella pace del mio villaggio, in seno d’una famiglia felice.»

A. Caccianiga.