L'adolescenza/L'avvenire della gioventù italiana

Giuseppe Somasca

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Lo zio ministro Un'escursione notturna
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L’AVVENIRE DELLA GIOVENTÙ ITALIANA

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Q
uando sarò grande! quante volte l'avete detto, ragazzi carissimi? È l’aspirazione comune, la meta costante e indeterminata della prima età: è un’impazienza, un desiderio e un voto comune ai migliori ed ai da meno; nessuno è fra voi che non l’abbia esclamato, e nessuno che lo abbia detto con intera consapevolezza. Ebbene, facciamoci un po’ insieme e sul serio questa domanda: — Che cosa sarà quando sarete grandi?

In primo luogo, miei giovani amici, voglio che non crediate d’essere voi soli ad averci interesse nel vostro futuro: sappiate che, prima ancoraché voi foste capaci di pensare a un domani qualunque, i vostri genitori ci pensavano per voi, e tutti quelli che non possono più dire per conto proprio «quando sarò [p. 34 modifica] grande.» Vedendo voi altri giovinetti e fanciulli e bambini brulicarci d’intorno, si dice sempre: Quando costoro saranno uomini, ne hanno da vedere anche loro delle cose! beato chi vien tardi nel mondo! Sappiate ancora che i molti che si arrabbattano a far tante belle cose quaggiù, le fanno scientemente per quando sarete grandi voi, ed essi non saranno più. Ma perchè poi questo disinteresse cosi generale? Perchè l’avvenire è la stella dell’umanità.

Alla vostra età per altro, e non alla vostra soltanto, corrono due errori molto gravi circa l’avvenire: l’uno è di quelli che pretendono conoscerlo, e vi corrono come ad un fatto sicuro, preparandosi cosi una vita piena di amare delusioni; l’altro è di coloro che tendono — generosamente, se vuolsi — ad un grande progresso, e lo trattano come un bisogno, una riforma, una necessità, e vogliono affrettarlo; trascurando cosi i fattori naturali e l’ordine di ogni progresso, e invertendo l'azione individuale che lo prepara; od almeno scindendo violentemente l’azione collettiva da cui dipende. Imperocché l’avvenire è progresso, ordinato, necessario, prevedibile entro dati limiti ai più prudenti; ma dopo tutto è nelle mani di Dio, e nessuno proprio può dire di conoscerlo o di determinarne i passi. L’avvenire è l’ignoto, nessuno è certo di conoscerlo prima, e neppure di giungere a vederlo, perchè dal suo stesso nome si conosce che non è il presente, e che il trattarlo come presente è un controsenso. Quegli stessi uomini privilegiati, come Cesare e Napoleone, che seguirono una scala ascendente per la quale giunsero con passo non interrotto e sicuro a quelle altezze che sapete, chi sa quanti,periodi ebbero nelle loro immense [p. 35 modifica] ambizioni! È poco probabile che essi stessi mirassero al principio della loro carriera quel vasto orizzonte che abbracciarono al fine di quella, quando non videro la catastrofe che doveva condurli il primo appiedi della statua di Pompeo, l’altro allo scoglio deserto di Sant’Elena. L’avvenire degli uomini grandi e fortunati ha qualche cosa di fatale; il merito loro per giungervi sta nel vegliare l’occasione, nel prepararvisi coll’operosità dello scopritore, colla pazienza del martire.

Ma quanto diversa sarebbe la sapienza di coloro che, dovendo giungere a una meta molto eccelsa, cominciassero dallo abbattere la scala che vi conduce, perchè è malagevole! Quanto diversa la prudenza di quelli che, formato un concetto di ciò che deve-essere, si governano come già fosse, e non pensano che ad accusare la maggioranza, che non si lascia rimorchiare dalle loro forze ancora impotenti ! Questo, cari giovinetti, avviene un tal poco oggigiorno fra i più arditi del vostro numero, i quali attendono alle arti belle, alle lettere ed alla poesia. Oggidì esiste una poesia, una letteratura, una musica, un’arte dell’avvenire: o perchè non si comincia dallo scriverne la storia? giacché pare che tutto oramai si debba cominciar dalla fine, vi maravigliereste voi di veder comparire una storia profetica degli anni futuri? In fin dei conti non sarebbe nuova neppur questa, perchè di nuovo sotto il sole non v’è nulla.

Nè crediate ch’io voglia ingenerare in voi disistima o diffidenza nei generosi sforzi di belli e vigorosi ingegni che, abbandonate le vecchie tradizioni e la scuola antica, tentano vie nuove e creano, come suol dirsi, dei generi ancora intentati. I radicali della [p. 36 modifica] filosofia e delle lettere hanno sempre esistito, e — quel che è più — hanno sempre vinto. Le scuole si sono succedute, e il trionfo delle nuove forme ammantatrici del vero, più o men rapido, è stato sempre sicuro, perchè naturale.

Il progresso è continuo come la creazione: ma, badate, continuo; perchè anch’esso, come la natura, non fa sbalzi. Interrogate un po’ quei magnanimi, non dico gli arfasatti, ma quei veri magnanimi che scrivono per l’avvenire colla certezza che l’avvenire li ascolterà, e che vanno per sentieri intentati, sdegnosi d’ogni vecchia disciplina e quasi immemori d’ogni antico precetto? Interrogateli un po’ che cosa hanno fatto prima d’ora? Se non hanno studiato assai quei modelli che rigettarono? Gli è che a loro, menti privilegiate, apparvero nuovi orizzonti, a loro fu dato un acume singolare, e miser la prora, come Colombo, per vie che altri credeva chiuse: per loro, come per Colombo, il non plus ultra non fu scritto. Ma per voi, giovinetti, non può essere cosi: voi non potete correre queste vie impensate, perchè non si può supporre in voi la forza di seguirle, come nei primi esploratori di esse non trovasi ancora l’autorità che vi affiderebbe ragionevolmente.

Voi siete tratti, lasciate velo dire in confidenza, siete tratti a queste novità dalla vaghezza giovanile in prima e un cotal poco dalla pigrizia. Perciò non pochi tra voi si addicono alla nuova maniera senza saperne precisamente la ragione, ed affettano di possedere un gusto e un criterio artistico e letterario senza aver fatto nulla di quanto è indispensabile per aquistarlo. Non pochi dividono gratuitamente la noncuranza e il disprezzo per una scuola che non conoscono; molti [p. 37 modifica] finalmente approfittano di questa corrente superficiale della opinione letteraria per dispensarsi dallo studiare quelle fonti e quei precetti da cui sgorgano perennemente i progressi e le stesse riforme dell’arte. La via sicura di promuovere il progresso è lo studio di quello che c’è per migliorarlo ed accrescerlo : bisogna ravvisare l’eccellenza delle, cose fatte in passato per tirarne le conseguenze e sceverarle mano mano di ciò che non ha più rispondenza collo stato attuale della società, delle opinioni e del gusto; perchè il bello e il buono si elevano per una specie di attrazione nelle vene del grande albero del sapere e dell’operare, come i sughi nutritivi dei vegetali che crescono e fruttificano per l’aria, per la luce, per l’inaffiamento esteriore e sia pure per gl’innesti, a patto però di non staccarsi mai dalla viva radice che li tiene congiunti alla indefettibile nutrice, che è la madre terra. D’altra parte, l’imitazione che è l’atto della scuola, quando mai è possibile, se gli esemplari non sono compiuti e dirò anche giudicati universalmente? Il gusto individuale quasi divinatore non è guida sicura all’età vostra, la quale ha bisogno di una autorità da seguire. Ottimamente procedono i vostri maestri, quando vi trattengono sui classici modelli per farveli ammirare, poi quando vi mostrano che nei loro seguaci d’una età essenzialmente imitatrice non restò di quella eccellenza che una parte; e vi conducono mano mano all’età del rinascimento in cui apparvero le nuove creazioni ammantate di quello splendore, che unico era conservabile. Ma non sarebbero egualmente lodati, se vi nutrissero di un genere appena nato più fosforescente che luminoso, più vaporoso che solido, dal quale non è ancora stabilito quello che si debba [p. 38 modifica] tenere, perchè i concetti dell’autore, che forse conterranno tesori di verità e di sentimenti, non sono ancora ben definiti all’autore stesso, e forse non hanno con sè la certezza di continuare ad essere il suo modo ultimo di pensare. Gli scopritori più fortunati non sanno qualche volta quello che hanno scoperto. La novità finché non ha seguaci molti ed autorevoli, non è e non può dirsi scuola, e il cominciare da essa, e non voler sapere del resto, non è ardimento generoso, ma segno di fiacca volontà. Perciò, concludendo questa parte del mio ragionamento, vi assenno che vogliate intendere con tutte le forze a prepararvi per l’avvenire, non vogliate precorrerlo, nè considerarlo presente; ammirate i precursori, ma non crediate cosi acerbi di età, di sapere e di giudizio, potervi ascrivere al loro numero. In questo modo vi vorrei avveniristi, e mi dichiaro avvenirista io stesso.

Perchè mi affretto a dichiarare che l’avvenire è sempre migliore del presente e del passato; e non per timore di sembrare ai miei giovani amici un querulus laudator iemporis acti, ma perchè ho vissuto molto tempo e vedute molte cose, e mi sono convinto, come alla vostra volta vi convincerete voi, che malgrado le apparenze superficiali e le disdette individuali, il mondo, la vita, la società e la scienza migliorano sempre; e fin la natura, che è sempre eguale a sè stessa quando pare turbarsi e farsi restia al bisogno od alla impazienza degli uomini, non è che per migliorare. Inteso cosi colla luce della scienza e della esperienza, l’avvenire deve amarsi, e l’età vostra specialmente, che ha maggiore probabilità di vederne tanto, ha diritto di affrettarlo coi voti, non colla puerile impazienza che rifugge dalla preparazione, e sostituisce [p. 39 modifica] alla cooperazione generosa l’egoistica sete di goderne i vantaggi. Questa impazienza, che pur troppo è di molti, fa gli incontentabili e gli infelici; quella perseverante studiosa insistenza di seguirne gli andamenti, dà essa solo all’uomo il senso, i vantaggi, le gioie ineffabili del progresso. Che dovremo dunque far noi per cooperare a questa grande preparazione di una età più bella, più virtuosa e più felice? L’avvenire migliore degli uomini è quello. in cui tutti faranno bene la loro parte. Ciascuno adunque deve prepararsi a far bene la sua. Eccoci alla preparazione individuale, quella di cui ciascuno ha il dovere e l’assoluta responsabilità.

È un errore molto grave quello in cui cadono alcuni di dover tutti e sempre operare collettivamente a segno di tenersi dispensati da ogni carico o dovere personale. I cosifatti considerano la vita sociale come un ampio torrente, nel quale ogni uomo deve gettarsi e gareggiar di prodezza. Ma bene spesso accade che uno si trova innanzi un compito suo, per adempiere il quale bisogna immolarsi forse e rinunziare alla gloria, fors’anco affrontare la calunnia; ma dall’adempimento di quel dovere si ottiene un’opera perfetta, e chi l’avrà compiuto, potrà dire d’aver fatta bene la parte sua. Io che vi parlo, fui presente a una innondazione. Crollava un cascinale in riva alle onde, una mano di giovani si gettarono in quelle per salvare alcuni travolti, ma sopra un muro vacillante era rimasto un ragazzo che strillava miseramente; uno di quei giovani lascia entrar gli altri nel fiume, e lui con una scala a piuoli va a salvare il meschinello. Intanto il muro crolla; salvatore e salvato ne restano inzuppati e contusi, ma il salvato [p. 40 modifica] era stolido, e l’accusò poi sempre d’aver fatta cadere la muraglia per annegarlo. Che importa al valentuomo? Lui è contento d’aver salvato anche quel povero balordo, e gli altri valentuomini gli davano ragione. Ma torniamo a voialtri, cari lettori.

La parte del cittadino è generica, e non si può farla senza essere qualche altra cosa. V’è il cittadino scienziato, il cittadino mercante, il cittadino soldato, il cittadino artista, il cittadino operaio, contadino e va dicendo. Per essere l’uno o l’altro a modo, bisogna scegliere una, come dicono, carriera, ed averci, come dicono, la vocazione. Pur troppo alcune persone fanno male o di malavoglia l’arte loro, perchè l’hanno abbracciata contro genio o per caso. Non hanno pensato gli sciaurati a quel che le loro spalle potevano portare, e si sobbarcarono per vanità, per leggierezza o per cupidigia ad un peso, che poi non possono portare. S’è mai dato un grand’uomo in questo numero? A voler bene riescire bisogna pensarci a lungo, consigliarsi molto, scegliere prudentemente, e poi dedicarsi alla cosa eletta con tutte le forze dell’anima e del corpo, con tutto il peso irremovibile dell’ostinazione.

La vocazione, sento dirmi, è una bella cosa, chi è sicuro d’averla; ma come si può conoscerla in un ragazzo? Si vedono tante vocazioni andate a male...

Intendiamoci, cari figlioli: questa parola vocazione, confiscata dai religionarii, è diventata mistica o, dirò meglio, ha aquistato un valore soprannaturale. Non parliamo di questa: parliamo delle cose umane, naturali e comuni. I segni di una vocazione sono due: una capacità speciale, un talento dato da natura, e la facilità del profitto nel suo esercizio. Ora i talenti [p. 41 modifica] e le attitudini particolari sono la faccia lucida della capacità generale, e senza aver formata questa, è una corbelleria per la grande maggioranza pretendere la manifestazione di quella. Mi spiego: se non avete ancora il giudizio chiaro e una certa copia di cognizioni, voi non siete idonei a scegliere, nè ad illuminare chi volesse proporvi una scelta. Prima di essere artisti, soldati o qualunque cosa, bisogna essere uomini, e voi che andate a scuola, ci andate per questo; per questo vi si narrano tanti belli esempii, e vi si dipinge quel mondo che non avete veduto, e vi si destano o svolgono quei sentimenti che non avete ancora provati, e vi si costringe saviamente ad essere ora positivi, ora poeti, ora antichi, ora moderni, ora imitatori, ora inventori; e i parenti e i maestri vi osservano e quasi sempre vi indovinano: ma tocca a voi di riflettere su voi stessi, di consultarvi e di comprendervi; perchè tenete ben fermo, non sarete mai uomini, nè cittadini veramente utili alla patria ed ai progresso, se non sarete capaci di far bene qualche cosa nel mondo. È questa la vocazione di tutti, la missione naturale, il grido d’ogni sapienza, il precetto d’ogni religione, il debito d’ogni grande o piccola capacità: lavorare: non c’è libertà che nel modo, ma la libertà dell’ozio e del parassitismo è vietata. Bisogna dunque scegliere maturamente e procurare di non ingannarsi. Guai a voi se, consigliandovi da voi stessi, vi gittaste ad una professione cui non rispondessero poi le vostre forze. E gli inganni sono parecchi, sapete. Taluno si è illuso alla scuola, una prima corona toccatagli per incoraggiamento fu creduta una prova indubitabile di valore; l'esempio di qualche splendida riuscita ha [p. 42 modifica] fatto stimar facile un cammino irto di mille difficoltà; una malintesa emulazione ha lasciato creder lecita qualunque strada. Guai a chi si mette per un cammino difficile spinto dalla sola emulazione! A metà di quel cammino trova la delusione, e perchè sarà troppo tardi, si trascinerà innanzi divorato dall’invidia impotente e dalle crudeli umiliazioni, che forse lo devieranno nei biechi avvolgimenti delle arti più infami, le ipocrisie, i raggiri, le perfide insinuazioni e la calunnia avvelenatrice delle più oneste esistenze. Ma basta, miei giovani, voi non le conoscete ancora queste livide fogne, a me par già troppo avervele additate perchè stiate lontani dai facili sentieri, che potrebbero condurvi ai loro margini fatali.

Pure avrete sentito dire che un po’ d’ambizione è necessaria: e ve lo dico anch’io: ma è infinito il divario fra l’ambizione delle anime bennate, pura e dignitosa, dall’ambizione pura e semplice delle anime abbiette e cupide di salire senza fatica alle vette seducenti del potere. Chi aspira a star sopra gli altri, non per essere utile, ma per godere il fatuo trionfo della superiorità, è uno sciocco od un impudente. Voi dovete essere ambiziosi di cooperare al ben publico, d’essere utili e valorosi, di onorare il nome della vostra famiglia, di portare la pietra maggiore che potete al grande edificio del progresso, di meritarvi non l’applauso fugace, ma l’amore durevole de’ vostri compaesani.

Ah! quella è vera fama
D'uom che lasciar può qui
Lunga ancor di sè brama
Dopo l’ultimo dì.

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Li conoscete, non è vero, i versi del buon Parini?

E il guadagno? chè non s’ha da mettere in conto per l'avvenire delle famiglie?... Perchè no ? Ma il lucro è conseguenza di studi laboriosi e di fatiche onorate. È frutto necessario, ma non il solo, nè il più prezioso delle professioni. Torcete, torcete sdegnosamente lo sguardo da certe fortune, nè lasciate mai che di esse in voi s’accenda la implacabile sete. Lavoro e moderazione vi daranno premii forse piccoli, ma giocondi; gli accorgimenti volpini e le coperte vie sono un’àlea terribile, dove contro la ricchezza si giuoca l’onore spesso, la coscienza sempre. La vostra educazione presente vi deve premunire contro tutti questi pericoli, ognuno dei quali è mascherato da una corrispondente onesta aspirazione del vostro avvenire, che è l’avvenire della patria.

Rimane un ultimo scoglio, a cui rompono spesso anime lungamente avviate pei miti sentieri della virtù. Poiché queste male arti esistono nella società degli uomini, non vi sarebbe egli pericolo di esserne vittime? Tendere virtuosamente al meglio di sè stesso e di tutti; vedere altri cogliere immeritamente il frutto delle nostre fatiche; aver lavorato con amore e disinteresse, per veder torte al peggio le nostre intenzioni; aver compiuti dei sagrifizi ed essere ricambiati colla calunnia; aver beneficato e sentirsi mordere il petto dalla vipera dell’ingratitudine; che fare allora? — Allora non c’ è altro che Cirsi usbergo della propria virtù, chiudersi nella propria dignità, e camminar diritti sulla strada del dovere, memori del grande precetto: «fa quello che devi, avvenga che può.» Per riuscire a questo però bisogna possedere il coraggio e la costanza che l’età [p. 44 modifica] stra, o giovinetti, suole supporsi più spesso che possedere: sono due forme della virtù molto necessarie, perchè all’età vostra tutto sorride e lusinga; ma l’età vostra non è l’avvenire, il quale prepara a tutti l’esperienza di molte delusioni.

Ora, miei giovani lettori, se aveste la pazienza di seguire fin qui la mia paternale, abbiate pure quella di riflettervi su un momento, e vi convincerete da voi stessi che a prepararsi bene per l'avvenire bisogna educar l’animo a sode virtù, bisogna supplire al difetto dell’esperienza con molto studio, bisogna confortare il vostro debole giudizio con molta e fedele reverenza al consiglio dei provetti, bisogna infine rassegnarsi ad essere fanciulli quanto è necessario per poi diventare uomini davvero.

Nel santuario della vostra famiglia e nel tempio del sapere, che è la scuola, cercate avidamente il- bene e la verità; imparate dai genitori e dai maestri ad amare con disinteresse e compatire con generosità, dai compagni a gareggiare nelle oneste ambizioni e fuggire le debolezze che rendono vili o ridicoli, dai libri finalmente a distinguere le strade delibarvenire e della vera gloria.

G. Somasca.