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e sul capo divenuto calvo e brizzolato di capelli bianchi. Gli anni erano passati anche per lui!... e le rughe del volto gli marcavano le passioni e le lotte del tempo.

La mensa, composta di pochi amici, fu lieta, espansiva, cordiale. Si parlò dapprima del passato, dei compagni dell’infanzia, poi si passò a ragionare degli avvenimenti politici, delle fortune d’Italia e della grandezza di Roma, e tutti invidiavano la sorte di Sandrino che coll’influenza dello zio avrebbe preso un bel posto nella vita pubblica. A tali discorsi Annina abbassava gli occhi, e soffocava i sospiri.

Il ministro colla sua abitudine d’osservazione sorprese più volte lo scambio degli sguardi fra Sandrino e l’Annina, e non tardò molto a penetrare il mistero del loro amore.

Alla sera fu illuminato il villaggio, e vennero slanciati dei fuochi d’artificio, che a giudizio dei più vecchi non s’erano più veduti.

Finalmente, prima d’andare a letto, il ministro disse al fratello:

— Domani parleremo dell’avvenire di Sandrino; sono deciso di condurlo a Roma, ma prima voglio intendermela con lui. Domattina lo chiamerò per tempo nella mia stanza, voglio dargli una buona lezione! La nostra gioventù perde la bussola, io lo metterò sulla buona strada. Intanto felice notte. I circostanti risposero: — Felice notte, buon riposo, e se ne andarono a letto, tutti contenti e pieni di speranze per l’avvenire,... meno l’Annina. —