Istoria del Concilio tridentino/Libro primo/Capitolo VI

Libro primo - Capitolo VI (1539 - agosto 1544)

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CAPITOLO VI

(1539-agosto 1544).

[«Interim di Francoforte»: vien decisa una conferenza religiosa a Norimberga. — Il papa corre ai ripari inviando un nunzio all’imperatore. — Enrico VIII condanna le dottrine luterane. — Il papa sospende a beneplacito il concilio giá intimato. — Presso Carlo V, propenso a trattar l’accordo coi protestanti nella dieta, il cardinale Farnese insiste per il concilio e lo esorta ad una lega contro quelli. — Convegno di Hagenau. — Conferenza religiosa di Worms, ostacolata dal papa, sospesa da Carlo V. — Dieta di Ratisbona. — Il cardinale legato Contarini. — L’imperatore deferisce l’esame delle dottrine ai rappresentanti delle due parti. — Il «libro di Ratisbona». — Il legato propone che i punti rimasti controversi vengano discussi nel prossimo concilio: l’imperatore che gli articoli concordati si accettino per validi. — Consentono i principi secolari, s’oppongono i vescovi, volendo sottoporre al concilio anche i punti giá concordati. — Il legato si oppone al concilio nazionale reclamato dalla dieta. — Carlo V la scioglie: incontratosi a Lucca col papa, s’accorda con lui per il concilio a Vicenza. — Venezia contraria a questa sede. — Nella dieta di Spira il nunzio Morone propone concilio a Trento: opposizione dei protestanti. — Bolla di convocazione. — Riarde la guerra tra Carlo V e Francesco I, che combatte in Francia l’eresia per ingraziarsi il papa. — Tentativi papali di pacificazione. — Dieta di Norimberga. — Nuovo rinvio del concilio. — Convegno di Busseto fra il papa e l’imperatore. — Carlo V si unisce a Enrico VIII, e il papa a Francesco I. — Nella dieta di Spira si riparla di concilio: Carlo V decreta la tregua religiosa. — Lettera papale di protesta all’imperatore.]

Nel principio dell’anno 1539, essendo eccitate nove controversie in Germania per le cause della religione, e forse anco da persone mal intenzionate che le adoperavano per pretesto, fu tenuto un convento in Francfort, dove Cesare mandò un commissario. E lá, dopo longa disputa, sotto il dí 19 d’aprile, col consenso di quello fu concluso di far un [p. 141 modifica] colloquio al 1° d’agosto in Noremberga, per trattare quietamente e amorevolmente della religione, dove avessero da intervenire dall’una parte e dall’altra, oltre li dottori, altre persone prudenti, mandate da Cesare e dal re Ferdinando e dalli principi per sopraintendere al colloquio e intromettersi tra le parti; e quello che fosse di comune consenso determinato, fusse significato a tutti gli ordini dell’Imperio, e nella prima dieta confermato da Cesare. Volevano li cattolici che fosse ricercato il pontefice di mandar esso ancora persona a quel colloquio; ma li protestanti riputarono questo essere cosa contraria alla loro protestazione, per il che non fu esequito. Andata a Roma nova di questa convenzione, il pontefice, offeso cosí perché si dovesse far in Germania trattazione della religione, come perché fosse con gran pregiudicio alla riputazione del concilio intimato da lui (sebbene poco si curava che fosse celebrato), e piú particolarmente perché si avesse trattato di ammetterci uno mandato dal pontefice, e fosse poi totalmente esclusa la sua autoritá, spedí subito il vescovo di Montepulciano in Spagna, principalmente acciò facesse opera che Cesare non confirmasse, anzi annichilasse li decreti di quella dieta.

Ebbe il noncio grande e longa instruzione; prima, di dolersi gravemente delli portamenti del commissario suo, che era Giovanni Vessalio arcivescovo di London, il quale, smenticatosi del giuramento prestato a quella Sede e d’infiniti benefici ricevuti dal pontefice, e dell’instruzione datali dall’imperatore, avesse consentito alle dimande de’ luterani con pregiudicio della sede apostolica e disonore di Sua Maestá cesarea; che il London era stato corrotto con doni e promissioni, avendoli la cittá di Augusta donato 250.000 fiorini d’oro, e il re di Dania promesso 4.000 fiorini all’anno sopra i frutti del suo arcivescovato di London occupatogli; che pensava di pigliar moglie e lasciar le cose di Chiesa, non avendo mai voluto ricevere gli ordini sacri. Ebbe anco il noncio ordine di mostrare all’imperatore che le cose concesse dal London, quando fossero confermate da lui, mostreriano che non fosse vero figliuolo della sede apostolica; e che tutti li principi cattolici [p. 142 modifica] di Germania ne facevano querela e tenevano che la Sua Maestá non le confirmarebbe: e di proporli altri suoi interessi toccanti il ducato di Gheldria e la elezione del re de’ romani, per moverlo maggiormente, raccordandoli ancora che per tollerare li luterani nelli loro errori non potrá però disponere la Germania come London ed altri li dipingono, perché è cosa ormai nota che non si può fidare di conservare li imperi dove si perde la religione o dove due religioni sono comportate. Che ciò è accaduto alli imperatori orientali, i quali, abbandonata l’obedienza all’universale pontefice di Roma, persero le forze e i regni. Esser manifeste le fraudi de’ luterani che hanno proceduto sempre malignamente con Sua Maestá, e che, sotto pretesto di rassettar le cose della religione, vanno procurando altro che religione. Esserne esempio la dieta di Spira del ’26, di Noremberg del ’32 e di Cadano del ’34, quando il duca di Virtemberg ripigliò il ducato; il che mostrò che li moti del langravio e luterani non furono per causa di religione, ma per levare quello stato al re de’ romani. Mettesse in considerazione che, quando convenisse con li luterani, li principi cattolici non potrebbono tollerar un tal disordine, che Sua Maestá potesse piú sopra loro che sopra li protestanti, e penserebbono a novi rimedi. Che vi sono molte altre lecite e oneste vie con le quali le cose di Germania si possono sedurre, essendo preparato il papa, secondo la qualitá delle sue forze, di non mancarli mai di tutti li aiuti possibili. E quando Sua Maestá vi metterá pensiero, truoverá non potersi approvare questi capitoli, che tutta Germania non si faccia luterana: il che sarebbe un levar a lei tutta l’autoritá, perché la loro setta esclude ogni superioritá, predicando sopra ogni altra cosa la libertá, anzi licenza. Mettesse in considerazione a Cesare di accrescere la lega cattolica e levar alli luterani li aderenti il piú che si potesse, mandando quella maggior quantitá di denari in Germania che fosse possibile, per prometterne, e darne anco con effetto, a chi seguisse la lega cattolica. Che sarebbe anco bene, sotto il titolo di cose turchesche, mandare qualche numero di gente spagnola o italiana in quelle parti, [p. 143 modifica] trattenendola nelle terre del re de’ romani. Che il pontefice resolveva mandare qualche persona alli principi cattolici con denari, per promettere e per gratificare quelli che saranno a proposito per le cose sue. Confortasse Cesare a far un editto simile a quello che il re d’Inghilterra aveva fatto nel suo regno, facendo seminare anco destramente che Sua Maestá avesse maneggio col detto re per farlo ridurre all’obedienzia pontificia. Diede anco il pontefice commissione allo stesso Montepulciano di dolersi con Cesare che la regina Maria governatrice delli Paesi Bassi, sua sorella, secretamente prestasse favore alla parte luterana; che li mandasse uomini a posta; che quando si era per stabilire la lega cattolica, ella scrisse all’elettor di Treveri che non v’entrasse, e cosí fu impedita quella santa opera; che impedí monsignore di Lavaur, oratore del re di Francia, dall’andar in Germania per consultare col re de’ romani e col legato di Sua Beatitudine sopra le cose della religione; che credeva bene il pontefice questo non venir da mala volontá di lei, ma per conseglio de cattivi ministri.

Ma perché si è fatto menzione di un editto del re d’Inghilterra in materia della religione, non sará fuora di proposito raccontar qui come, in quell’istesso tempo della dieta di Francfort, Enrico VIII, o perché credesse far il servizio di Dio non permettendo rinnovazione di religione nel suo regno, o per mostrare costanza in quello ch’aveva scritto nel libro contra Lutero, o vero per smentir il papa, che nella sua bolla l’imputava di aver pubblicato dottrina eretica nel suo regno, fece pubblicar un editto, dove comandava che per tutta Inghilterra fosse creduta la real presenza del vero e naturai corpo e sangue di Cristo nostro Signore sotto le specie del pane e del vino, non rimanendovi la sustanzia di quelli elementi; che sotto l’una e l’altra delle specie si conteneva Cristo tutto intieramente; che la comunione del calice non era necessaria; che alli sacerdoti non era lecito contraere matrimonio; che li religiosi dopo la professione e voti di castitá erano perpetuamente obbligati a servarla e vivere nelli monasteri; che la confessione secreta e auriculare era non solamente utile, ma [p. 144 modifica] ancora necessaria; che la celebrazione delle messe, eziandio private, era cosa santa, e che comandava fosse continuata nel suo regno. Proibí a tutti l’operare o insegnare contra alcuno di questi articoli, sotto tutte le pene ordinate dalle leggi contra li eretici.

È ben meraviglia come il papa, che pochi giorni prima aveva fulminato contra quel re, fosse costretto lodare le azioni di quello e proporlo all’imperatore per esempio da imitare. Cosí il proprio interesse fa lodar e biasimare l’istessa persona.

Ma il papa, dopo spedito il Montepulciano, avendo veduto che con il convocare il concilio e poi differire il termine assignato, se ben andava trattenendo le persone, nondimeno perdeva assai della reputazione, giudicò necessario lasciar quel proceder ambiguo, il quale se bene per lo passato aveva trattenuto il mondo, in progresso però poteva partorir qualche sinistro effetto, e fece risoluzione in se medesmo di volersi dichiarare e uscire delle ambiguitá; e in consistoro, narrata la serie delle cose successe, e proposto che era necessario far una stabile e ferma risoluzione o in un modo o in un altro, pose la materia in consultazione.

Alcuni delli cardinali, per liberarsi dal timore che ogni altro giorno li metteva in spavento, non approvavano il termine di sospensione, ma averebbono voluto un’espressa dichiarazione che il concilio non si farebbe, per non vedersi come superare li impedimenti prima che fosse conciliata pace tra i prencipi: mezzo necessario, senza il quale non si poteva sperare di celebrarlo. Ma li piú prudenti erano bilanciati tra questo e un altro timore, che non si passasse a’ concili nazionali o ad altri remedi piú nocivi a loro che il concilio generale; e perciò la maggior parte passò nella medesima opinione del sospender a beneplacito, pensando che quando non fosse parso utile per loro il venir all’effetto, con la pretensione della discordia de’ prencipi o con altra s’avesse continuata la sospensione; e se si fosse attraversato pericolo di concilio nazionale o di colloqui o d’altro, con metter inanzi il concilio generale e assignarli luoco e tempo si rimediasse [p. 145 modifica] alli pericoli, per far poi, circa il celebrarlo o no, quello che le opportunitá avessero consegliato. Fu il partito abbracciato, e fu formata una bolla sotto il 13 giugno, per quale il concilio intimato veniva sospeso a beneplacito del papa e della sede apostolica.

Ma il nuncio Montepulciano, andato in Spagna, esequi le commissioni sue con Cesare, il quale, per le cause allegate dal nuncio o per altri suoi rispetti, non si dechiarò se assentisse o dissentisse al colloquio destinato da farsi all’agosto in Noremberg. Poi, succedendo la morte della moglie, e dopo quella ancora la sollevazione di Gant e di parte dei Paesi Bassi, ebbe occasione, pretendendo affari di maggior importanza, lasciare la cosa suspesa; e cosí passò tutto l’anno 1539.

Io, quando mi son posto a scrivere questa istoria, considerando li molti colloqui che sono stati parte solamente intimati e parte anco tenuti per componere le differenze della religione, son stato in dubbio se convenisse fare di tutti menzione, occorrendomi ragioni concludenti per l’una e per l’altra parte. In fine, considerato d’aver proposto di narrare tutte le cause del concilio tridentino, e osservando nessun colloquio esser stato intimato o tenuto, se non per impedire, per divertire, per ritardare, o per incitare o accelerar il concilio, ho risoluto meco stesso di far menzione d’ognuno, massime per il frutto che si può cavare dalla cognizione delli notabili particolari in ciascuno occorsi, come in quello che fu instituito l’anno seguente 1540, il quale cosí ebbe origine.

Cesare passando per Francia andò alli Paesi Bassi per accomodare quelle sedizioni, e Ferdinando andò a ritrovarlo: dove uno delli principali negozi conferiti da ambedue fu il trovare componimento alle cose della religione in Germania. Del che essendosi trattato nel conseglio di Cesare con molta accuratezza, e parendo che tutti inclinassero ad instituire un colloquio sopra questa materia, essendo ciò penetrato all’orecchie del Farnese, che si trovava ivi legato e aveva accompagnato Cesare per il viaggio (il qual cardinale, se ben giovine di sotto li venti anni, aveva però in compagnia molte persone [p. 146 modifica] di maneggio, e tra gli altri Marcello Cervino vescovo di Nicastro, il quale dopo fatto papa fu chiamato Marcello II), si oppose a questa deliberazione, trattando con Cesare e con Ferdinando e con tutti quelli del conseglio, mettendo in considerazione che molte volte era stato trattato con li protestanti di concordia, incominciando giá dieci anni nella dieta d’Augusta, né mai s’aveva potuto concludere cosa alcuna: e quando ben fosse stata trovata e conclusa qualche concordia, sarebbe riuscita vana e senza frutto. Perché li protestanti mutano alla giornata opinione, non seguendo una dottrina certa, avendo sino contravvenuto alla loro propria confessione augustana: che sono lubrici quanto le anguille; si mostravano prima desiderosi che li abusi e vizi fossero levati, ora non vogliono piú il pontificato emendato, ma estinto, ed estirpata la sede apostolica, e abolita ogni giurisdizione ecclesiastica. E se mai furono petulanti, sarebbono allora quando non era ben fermata la pace con Francia, e il Turco soprastava l’Ongheria. Non potersi pensare di rimuoverli, per essere le controversie sopra innumerabili dogmi; e anco, per esser molte le sette tra loro, esser impossibile il concordare con tutti; senzaché la maggior parte di loro non hanno altro fine, se non di occupare quel d’altri e rendere Cesare senza autoritá. Esser vero che la guerra de’ turchi instante conseglia a concordare nella religione; ma questo non era da farsi in diete particolari o nazionali, ma in un concilio generale, il qual si potrebbe intimar immediate; perché, toccando la religione, non è da farsi mutazione senza comun consenso. Non doversi aver respetto alla sola Germania, ma alla Francia, Spagna ed Italia e agli altri popoli, senza conseglio delli quali se la Germania fará mutazione, ne nascerá una divisione pericolosa di quella provincia dalle altre. Esser antichissimo costume sino dagli apostoli che col solo concilio sono state terminate le controversie; e tutti li re, principi e uomini pii desiderarlo ora. Potersi con facilitá concludere ora la pace tra Cesare e il re di Francia, e immediate far il concilio, e fra tanto attender a crescere numero e potenzia alla lega cattolica di Germania; il che fará che li protestanti, intimiditi per ciò, si [p. 147 modifica] sottometteranno al concilio, o vero saranno sforzati dalli cattolici; e quando sará necessario resister al Turco, essendo la lega cattolica potente, si potrá redur anco li protestanti in necessitá di contribuirvi. Il che se non volessero fare, esser necessario di due mali elegger il minore, essendo mal maggiore offender Iddio, abbandonata la causa della religione, che mancar dell’aiuto d’una parte d’una provincia, massime che non è facile da determinare chi siano piú contrari a Cristo, li protestanti o li turchi, poiché questi mirano a metter in servitú li corpi, e quelli li corpi e le anime insieme. Tutti li discorsi e ragionamenti del cardinale avevano per conclusione che conveniva chiamar il concilio e principiarlo quello stesso anno, e non trattar della religione nelle diete di Germania, ma attender ad accrescere la lega cattolica e far la pace col re di Francia.

Cesare, dopo molta deliberazione, concluse di voler tentare la via della concordia, e ordinò di far una dieta in Germania, in quel luoco dove Ferdinando avesse giudicato bene, invitando li principi protestanti a trovarvisi in persona, e promettendo sicurezza pubblica a tutti. E il cardinale Farnese, intesa questa conclusione fatta senza sua saputa, si partí immediate; e passato per Parisi ottenne dal re un severo editto contra li eretici e luterani, che, pubblicato in quella cittá, si eseguí poi per tutta la Francia con molto rigore.

In Germania fu da Ferdinando la dieta congregata in Aganoa, dove con li dottori cattolici intervennero molti delli predicatori e ministri luterani; e furono deputati per mediatori tra le parti li elettori di Treveri e palatino col duca Lodovico di Baviera, e Vieimo vescovo d’Argentina. Li protestanti, ricercati che presentassero li capi della dottrina controversa, risposero che giá dieci anni in Augusta avevano presentato la loro confessione e una apologia in difesa; che perseveravano in quella dottrina, apparecchiati di renderne conto a tutti; e non sapendo che cosa fosse represo dalli avversari, non avevano che dire oltra di quello, ma aspettavano d’intendere da loro ciò che reputassero essere contrario alla veritá; che cosí la cosa venirá a colloquio, ed essi non mancheranno d’aver [p. 148 modifica] innanzi gli occhi la concordia. I cattolici subito presero il punto, e assentendo a quello che gli altri proponevano, inferivano che conveniva avere per approvate tutte le cose in quella dieta passate, e avere per fermo e stabilito il decreto nel recesso promulgato, e portar inanzi la forma di reconciliazione in quella dieta incominciata. Li protestanti, conoscendo il disvantaggio loro proseguendo in quella forma, e il pregiudicio che gli averebbe inferito quel decreto, instavano per una nova forma, rimossi tutti li pregiudici. Dall’altro canto li cattolici, dovendosi rimovere ogni pregiudicio, dimandavano che fossero anco dalli protestanti purgati gli attentati, e fossero restituiti li beni delle chiese occupati. Replicarono li protestanti li beni non essere stati occupati, ma con la rinnovazione della buona dottrina riapplicati a quei usi legittimi e onesti a’ quali furono destinati nella prima instituzione, dalla quale avevano gli ecclesiastici degenerato; e però essere necessario prima decidere li ponti della dottrina, che parlare delli beni. E crescendo le contenzioni, Ferdinando concluse che s’instituisse una nova forma non pregiudiciale ad alcuno, e trattassero dottori d’ambe le parti in numero pari, e fosse lecito al pontefice mandarvi suoi nonci, e il colloquio fosse rimesso a principiarsi in Vormazia il 28 d’ottobre seguente, sotto il beneplacito di Cesare. Accettarono il decreto li protestanti, dechiarando che, quanto all’intervenire nonci, non repugnavano; ma bene non intendevano che fosse perciò attribuito alcuno primato al papa, né autoritá a loro.

Cesare confirinò il decreto e ordinò la reduzione, destinando suo commissario a quel colloquio il Granvella; il quale, andatovi insieme col vescovo d’Arras suo figlio, che fu poi cardinale, e tre teologi spagnoli, diede principio facendo un ragionamento molto pio e molto apposito a componere le differenze. Pochi giorni dopo arrivò Tomaso Campegio, vescovo di Feltre e noncio del pontefice, perché il papa, quantunque vedesse che ogni trattazione di religione in Germania era perniciosa per le cose sue, e perciò avesse fatto ogni diligenza per interrompere quel colloquio, nondimeno reputava minor [p. 149 modifica] male l’acconsentirvi che il lasciarlo fare senza suo volere. Il noncio, seguendo l’instruzione del pontefice, nel suo ingresso fece un ragionamento, dicendo che la quiete della Germania era stata procurata sempre dalli pontefici, e massime da Paulo III, il quale perciò aveva intimato il concilio generale in Vicenza, se ben era stato sforzato differirlo in altro tempo, per non vi esser andato alcuno; e al presente era deliberato di nuovo intimarlo in luoco piú opportuno; nel quale acciò lá fossero trattate con frutto le cose della religione, aveva concesso a Cesare che si potesse tener un colloquio in Germania, che fosse un preludio per disponere alla resoluzione del concilio, e aveva mandato lui per intervenirvi e coadiuvare: però pregava tutti d’inviar ogni cosa alla concordia, promettendo che il pontefice sarebbe per fare tutto quello che si potesse, salva la pietá. Vi arrivò anco il vescovo di Capo d’Istria, di sopra spesso nominato; il quale, se bene mandato dal pontefice come molto versato nell’intendere gli umori di Germania, intervenne però come mandato da Francia, per meglio far il servizio del papa sotto nome alieno. Egli fece stampare un’orazione, che portava per soggetto l’unitá e pace nella Chiesa, la qual aveva per scopo di mostrare che per ottenere questo fine non fosse buon mezzo il concilio nazionale; e questa la distribuí a quante piú persone potè, ad effetto d’interrompere quel colloquio che ne aveva sembianza. Si consumò gran tempo nel dar forma alla conferenza, cosí quanto alla secretezza, come quanto al numero dei dottori che dovessero parlare; e non mancavano quelli che studiosamente protraevano il tempo, cosí per li diligenti uffici fatti dal nuncio Campegio, come per li maneggi segreti del Vergerio. Finalmente fu ordinato che parlassero per la parte dei cattolici Giovanni Ecchio e per li protestanti Filippo Melantone, e la materia fosse del peccato originale.

Mentre che queste cose camminavano in Vormazia, il nuncio pontificio residente appresso Cesare non cessava di persuadere la Maestá sua che quel colloquio era per parturire qualche gran scisma, per far diventare tutta la Germania luterana, e [p. 150 modifica] non solo levare l’obedienzia al pontefice, ma anco indebolire la sua; replicava de quei medesimi concetti usati dal Montepulciano per impedir il colloquio determinato nella dieta di Francfort, e delli usati dal cardinale Farnese per impedire quello d’Aganoa. Finalmente Cesare, considerate quelle ragioni e li avvisi datigli dal Granvella delle difficoltá che incontrava, e pensando di far meglio l’opera esso in propria persona, risolvè che il colloquio non procedesse piú innanzi. Per il che, avendo parlato tre giorni Ecchio e Melantone, fu interrotto il colloquio, essendo venute lettere da Cesare che richiamavano il Granvella e rimettevano il rimanente alla dieta di Ratisbona.

Quella si cominciò a congregare nel marzo 1541. Si ritrovò Cesare in persona, con speranza grandissima di dover terminare tutte le discordie e unire la Germania in una religione. Per qual effetto aveva anco pregato il pontefice che volesse mandar un legato, persona dotta e discreta, con amplissima autoritá, sí che non fosse stato bisogno mandar a Roma per cosa alcuna, ma s’avesse potuto determinare lá immediate tutto quello che dalla dieta e dal legato fosse stato giudicato conveniente; dicendo che perciò aveva esaudite l’efficaci istanze fattegli dal nuncio residente appresso sé per interrompere il colloquio di Vormazia.

Mandò il pontefice legato Gasparo Cardinal Contarini, uomo stimato di eccellente bontá e dottrina; l’accompagnò anco con persone ben instrutte di tutti li interessi della corte e con notari che dovessero far instrumento di tutte le cose che fossero trattate e dette: li diede in commissione che, se presentisse trattarsi di far cosa in diminuzione dell’autoritá pontificia, interrompesse con propor il concilio generale, unico e vero rimedio; e quando l’imperatore fosse sforzato a condescendere alli protestanti in qualche cosa pregiudiciale, egli dovesse con l’autoritá apostolica proibirla; e se fosse fatta, condannarla e dechiararla irrita, e partirsi dal luogo della dieta, ma non dalla compagnia di Cesare.

Gionto il legato a Ratisbona, la prima cosa che ebbe a fare con l’imperatore fu scusar il pontefice che non li avesse [p. 151 modifica] data quella amplissima autoritá e assoluta potestá che Sua Maestá desiderava: prima, perché è cosí annessa alle ossa del pontificato che non può essere concessa ad altra persona, poi ancora perché non si trovano parole né clausule con le quali si possi comunicare dal pontefice l’autoritá di determinare le cose controverse della fede, essendo il privilegio di non poter fallare donato alla sola persona del pontefice in quelle parole: Ego rogavi pro te, Petre. Ma ben, che Sua Santitá gli aveva data ogni potestá di concordare con li protestanti, purché essi ammettino li principi, che sono: il primato della sede apostolica instituito da Cristo e li sacramenti sí come sono insegnati nella chiesa romana, e le altre cose determinate nella bolla di Leone; offerendosi nelle altre cose di dare ogni satisfazione alla Germania, ma pregando Sua Maestá che non volesse ascoltare proposta di cosa, la quale non fosse conveniente concedere senza saputa delle altre nazioni, acciò non si facesse nella cristianitá qualche divisione pericolosa.

Delle cose che in quella dieta passarono è necessario far particolare menzione, perché quella fu causa principale che indusse il pontefice non tanto a consentire, come prima, ma anco a metter ogni spirito acciò il concilio si congregasse; e li protestanti a certificarsi che né in concilio, né dove intervenisse ministro del papa potevano sperare di ottenere cosa alcuna.

Si cominciò la prima azione a’ 5 di aprile, dove fu proposto per nome di Cesare come, vedendo la Maestá sua il Turco penetrato nelle viscere di Germania, di che ne era causa la divisione delli stati dell’Imperio per il dissidio della religione, aveva sempre cercato via di pacificarla; ed essendoli parsa comodissima quella del concilio generale, era andato a posta in Italia per trattarne con Clemente; e dopo, non avendo potuto condurlo ad effetto, era tornato e andato in persona a Roma per trattarne con Paulo. Il quale anco si era mostrato pronto; ma non avendosi potuto effettuare per vari impedimenti della guerra, finalmente aveva convocata quella dieta e ricercato il pontefice di mandarci un legato. Ora non desiderar [p. 152 modifica] altro, se non che qualche composizione si mandi ad effetto, e che da ambe le parti siano eletti qualche picciol numero di uomini pii e dotti; e conferito amichevolmente sopra le cose controverse, senza pregiudicio di alcuna delle parti, propongano in dieta li modi della concordia, acciò, deliberato il tutto col legato, si possi venir alla desiderata conclusione. Nel modo di eleggere questi trattatori fu subito controversia tra li cattolici e li protestanti; per il che Cesare, desideroso che qualche ben si facesse, domandò e ottenne dall’una parte e dall’altra che concedessero a lui di nominare le persone e si confidassero che non farebbe se non cosa di beneficio comune. Elesse per li cattolici Giovanni Ecchio, Giulio Flugio e Giovanni Groppero, e per li protestanti Filippo Melantone, Martino Bucero e Giovanni Pistorio: li quali chiamò a sé, e con gravissime parole li ammoní a dar bando alli affetti e aver mira alla gloria di Dio. Prepose al colloquio Federico prencipe palatino e il Granvella, aggiontovi alcuni altri per intervenirvi, acciò il tutto passasse con maggior dignitá.

Congregato il colloquio, Granvella messe fuora un libro, dicendo essere stato dato a Cesare da alcuni uomini pii e dotti come buono per la futura concordia; ed essere volontá di Cesare che lo leggessero ed esaminassero, dovendoli servire come argomento e materia di quello che dovevano trattare; e che quello che piacesse a tutti, fosse confermato; quello che dispiacesse, corretto; e dove non convenissero, si procurasse di redursi a concordia. Conteneva il libro ventidue articoli: della creazione dell’uomo e integritá della natura, del libero arbitrio, della causa del peccato originale, della giustificazione, della Chiesa e suoi segni, delli segni della parola di Dio, della panitenzia dopo il peccato, dell’autoritá della Chiesa, dell’interpretazione della Scrittura, delli sacramenti, del sacramento dell’ordine, del battesimo, della confirmazione, dell’eucaristia, della penitenzia, del matrimonio, dell’estrema unzione, della caritá, della ierarchia ecclesiastica, delli articoli determinati dalla Chiesa, dell’uso e amministrazione e ceremonie de’ sacramenti, della disciplina ecclesiastica, della disciplina del [p. 153 modifica] populo. Fu letto ed esaminato, e alcune cose furono approvate, e altre per comun consenso corrette; in altre non potèro convenire; e queste furono: nel nono della potestá della Chiesa, nel decimoquarto del sacramento della penitenzia, nel diciottesimo della ierarchia, nel diciannovesimo delli articoli determinati dalla Chiesa, nel ventunesimo del celibato. Dove restarono differenti, l’una e l’altra parte scrisse il suo parere.

Il che fatto, nel consesso de tutti li prencipi Cesare portò le cose convenute e li pareri differenti de’ colloquatori, ricercando il parere di tutti e insieme proponendo la emendazione dello stato della repubblica, cosí civile come ecclesiastico. Li vescovi rifiutarono affatto il libro della concordia e tutta l’azione del colloquio; ai quali non consentendo li altri elettori e principi cattolici desiderosi della pace, fu concluso che Cesare, come avvocato della Chiesa, col legato apostolico esaminasse le cose concordate, e se alcuna cosa fosse oscura, la facessero esplicare; e trattasse poi con li protestanti che nelle cose controverse consentissero a qualche cristiana forma di concordia. Cesare comunicò il tutto col legato, e fece instanzia che si dovesse riformare lo stato ecclesiastico. Il legato, considerate tutte le cose, diede una risposta in scritto, non men chiara degli antichi oracoli, in questa forma cioè: che avendo visto il libro presentato all’imperatore e le cose scritte dalli deputati del colloquio, cosí concordemente con le apostille dell’una e l’altra parte, come anco le eccezioni delli protestanti, li pareva che, essendo li protestanti differenti in alcuni articoli dal comune consenso della Chiesa (nei quali però non disperava che, con l’aiuto di Dio, non fossero per consentire), non si dovesse ordinar altro circa il rimanente, ma rimettere al sommo pontefice e alla sede apostolica; il quale, o nel concilio generale che presto si fará, o in altro modo se bisognerá, potrá difinirle secondo la veritá cattolica, e determinare, avuto risguardo ai tempi e a quello che fosse espediente per la repubblica cristiana e per la Germania.

Ma quanto alla riforma dello stato ecclesiastico si offrí prontissimo; e a questo fine congregò in casa sua tutti li [p. 154 modifica] vescovi e fece loro una longhissima esortazione. Prima, quanto al modo del vivere, che si guardassero da ogni scandolo e apparenzia di lusso, avarizia o vero ambizione; quanto alla famiglia loro, sapessero che da quella il populo fa congettura delli costumi del vescovo; che per custodir il loro gregge dimorassero nelli luochi piú abitati della diocesi, e nelli altri luochi avessero fedeli esploratori; visitassero le diocesi, conferissero li benefíci a uomini da bene e idonei, dispensassero le rendite episcopali nei bisogni de’ poveri, fuggendo non solo il lusso, ma il soverchio splendore; provvedessero de predicatori pii, dotti e discreti, e non contenziosi; procurassero che la gioventú fosse ben instituita, vedendosi che li protestanti per questo tirano a sé tutta la nobiltá. Redusse in scritto questa orazione, e la diede a Cesare, alli vescovi e alli principi; il che fu occasione alli protestanti di tassare insieme la risposta data a Cesare e l’esortazione fatta alli prelati, allegando per causa del motivo loro che, essendo pubblicato il scritto, parerebbe, dissimulando, che l’approbassero. Non piacque manco alli cattolici la risposta data a Cesare, parendo che approvasse le cose concordate nel colloquio.

Ma l’imperatore diede parte in pubblica dieta di tutto quello che sino allora era fatto, e comunicò le scritture del legato, e concluse che, avendo usato tutte le diligenzie possibili, non vedeva che altra cosa si potesse fare di piú fuor che deliberare se, salvo il recesso della dieta d’Augusta, si doveva recever gli articoli concordati in questa conferenza come cristiani, né metterli piú in disputa, almeno sino al concilio generale che presto si tenirá, come pareva anco esser opinione del legato; o vero, non facendosi il concilio, sino ad una dieta, dove però siano esattamente trattate tutte le controversie della religione.

Dalli elettori fu risposto, approvando indubitatamente per buono ed utile che li articoli accordati nel colloquio siano ricevuti da tutti sino al tempo del concilio, nel quale si potranno di novo esaminare; o vero, in difetto di quello, in un concilio nazionale o in una dieta, dovendo questo servire ad [p. 155 modifica] introdur una piú perfetta reconciliazione nelli altri articoli non concordati; ma ancora pregar Sua Maestá a voler passar piú inanzi, se vi fosse speranza di concordar altro di piú in quella dieta; e se l’opportunitá nol permetteva, lodavano molto il trattar col pontefice e operar che quanto prima si congregasse in Germania un concilio generale, o vero nazionale, con sua buona grazia, per stabilire totalmente l’unione. L’istessa risposta fecero li protestanti, solo dechiarandosi che, sí come desideravano un libero e cristiano concilio in Germania, cosí non potevano consentire in uno, dove il papa e li suoi avessero la potestá di conoscere e giudicare le cause della religione. Ma li vescovi insieme con alcuni pochi principi cattolici altramente risposero: prima confessando che in Germania e nelle altre nazioni erano molti abusi, sette ed eresie, che non potevano esser estirpate senza un concilio generale; aggiongendo che non potevano acconsentire ad alcuna mutazione di religione, ceremonie e riti, poiché il legato pontificio offerisce il concilio tra breve tempo e Sua Maestá è per trattarne con Sua Santitá. Ma quando il concilio non si potesse celebrare, pregavano che il pontefice e Cesare volessero ordinare un concilio nazionale in Germania; il che se non piacesse loro, di novo si dovesse congregar una dieta per estirpar gli errori, essendo essi determinati d’aderir alla vecchia religione, secondo che è contenuta nella Scrittura, concili, dottrine de’ Padri, ed anco nelli recessi imperiali, e massime in quello d’Augusta. Che non consentiranno mai che siano ricevuti gli articoli concordati nel colloquio, per esser alcuni d’essi superflui, come li quattro primi, e perché vi sono forme di parlar, in quelli, non conformi alla consuetudine della Chiesa, oltre anco alcuni dogmi parte dannabili, parte da essere temperati; ed ancora perché li articoli accordati sono di minor momento e li importanti restano in discordia; e perché li cattolici del colloquio avevano concesso troppo alli protestanti, di onde veniva lesa la riputazione del sommo pontefice e delli stati cattolici. Concludevano essere meglio che li atti del colloquio fossero lasciati al suo luoco, e tutto il pertinente alla religione differito al [p. 156 modifica] concilio generale o nazionale, o alla dieta. A questa risposta de’ cattolici diede occasione non solo il parer a loro che la proposta di Cesare fosse molto avvantaggiosa per li protestanti, ma ancora perché li tre dottori cattolici del colloquio erano entrati in differenzia tra loro.

Ma il legato, inteso come Cesare l’aveva nominato per consenziente allo stabilimento delle cose concordate, cosí per proprio timore come spinto dalle instanzie delli ecclesiastici di dieta, andò a Cesare, e si querelò che fosse stata mal interpretata la sua risposta e che fosse incolpato d’aver consentito che le cose concordate si tollerassero sino al concilio; che la mente sua era stata che non si risolvesse cosa alcuna, ma ogni cosa si mandasse al papa; il quale prometteva, in fede di buon pastore e universale pontefice, di fare che il tutto fosse determinato per un concilio generale o per altra via equivalente, con sinceritá e senza nessun affetto umano, non con precipizio, ma maturamente, avendo sempre mira al servizio di Dio: sí come la Santitá sua nel principio del pontificato per questo medesmo fine aveva mandato lettere e nonci alli principi per celebrar il concilio, e poi intimatolo, e mandato al luoco i suoi legati; e che se aveva sopportato che in Germania tante volte s’avesse parlato delle cose della religione con poca reverenzia dell’autoritá sua, alla qual sola spetta trattarle, l’aveva fatto per esserli dalla Maestá sua data intenzione e promesso che ciò si faceva per bene. Esser cosa contra ogni ragione voler la Germania, con ingiuria della sede apostolica, assumersi quello che è di tutte le nazioni cristiane. Per il che non è d’abusar piú la clemenza del pontefice, concludendo in una dieta imperiale quello che tocca al papa ed alla Chiesa universale; ma mandar il libro e tutta l’azione del colloquio, insieme con li pareri di una parte e l’altra, a Roma, e aspettar dalla Santitá sua la deliberazione. E non sodisfatto di questo, pubblicò una terza scrittura, la quale conteneva che, essendo stata data varia interpretazione alla scrittura sua data alla Maestá cesarea sopra il trattato del colloquio, interpretandola alcuni come se avesse consentito che si dovessero [p. 157 modifica] osservare sino al concilio generale gli articoli concordati, e intendendo altri che egli avesse rimesso al pontefice e quelli e tutte le altre cose, acciò in questa parte non restasse alcuna dubitazione, dechiara non aver avuto intenzione con la scrittura di decidere alcuna cosa in questo negozio, né che alcun articolo fosse ricevuto o tollerato sino al futuro concilio, e che meno allora lo decideva o difiniva, ma che ha rimesso al sommo pontefice tutto il trattato e tutti li articoli di quello, sí come ancora li rimetteva; il che avendo dechiarato alla cesarea Maestá in voce, voleva anco dechiararlo e confirmarlo a tutto il mondo con scrittura.

E non contento di questo, ma considerando che il voto di tutti li principi cattolici, eziandio delli ecclesiastici, concordava in domandar concilio nazionale, e che nella instruzione sua aveva avuta strettissima commissione dal pontefice di opponersi, quando di ciò si trattasse, se ben lo volessero fare con autoritá pontificia e con presenzia di legati apostolici, e che mostrasse quanto sarebbe in pernicie delle anime e con ingiuria dell’autoritá pontificia, alla quale venirebbe levata la potestá che Dio li ha data per concederla ad una nazione; e che raccordasse all’imperatore quanto egli medesmo avesse detestato il concilio nazionale essendo in Bologna, conoscendolo pernicioso all’autoritá imperiale (poiché li sudditi, preso animo dal vedersi concessa potestá di mutar le cose della religione, penserebbono anco a mutar lo stato); e che Sua Maestá dopo il 1532 non volse mai piú celebrar in sua presenza dieta imperiale per non dar occasione di dimandar concilio nazionale; fece il cardinale diligentemente l’ufficio con Cesare e con ciascuno delli principi. E oltre ciò pubblicò un’altra scrittura indrizzata alli cattolici, in quella dicendo: aver considerato diligentemente di quanto pregiudicio fosse se le controversie della fede si rimettessero al concilio d’una nazione, e aver giudicato esser ufficio suo di ammonirli che onninamente dovessero levar via quella clausula, essendo cosa manifestissima che nel concilio nazionale non si può determinare le controversie della fede, concernendo questo lo stato universale della [p. 158 modifica] Chiesa; e se alcuna cosa fosse determinata in quello, sarebbe nulla, irrita e vana. Il che se essi avessero levato, come egli li persuadeva, sí come sarebbe gratissimo alla Santitá del pontefice, che è capo della Chiesa e di tutti i concili, cosí non lo facendo li sarebbe molestissimo: essendo cosa chiara che in questo modo sarebbono per nascere maggiori sedizioni nelle controversie della religione, cosí nelle altre nazioni come in quella nobilissima provincia. Che non aveva voluto tralasciare questo ufficio, per obedir all’instruzione di Sua Santitá e per non mancar al carico della legazione impostagli.

A questa scrittura del legato risposero li principi che era in potestá di esso di remediare e prevenire tutti li inconvenienti che potessero nascere, operando con Sua Santitá che il concilio universale fosse intimato e celebrato senza piú longa procrastinazione; che cosí si leverebbe ogni occasione di concilio nazionale, il che tutti li stati dell’Imperio desiderano e pregano. Ma se il concilio generale, tante volte promesso ed anco finalmente da lui, non si reducesse ad effetto, la manifesta necessitá della Germania ricercava che le controversie fossero determinate in uno concilio nazionale o in una dieta imperiale, con l’assistenza di un legato apostolico. Li teologi protestanti con una longa scrittura risposero essi ancora, dicendo che non poteva nascere né maggiore sedizione né sedizione alcuna, quando le controversie della religione saranno composte secondo la parola di Dio, e che i manifesti vizi saranno corretti secondo la dottrina della Scrittura e li indubitati canoni della Chiesa; che nelli tempi passati mai è stato negato alli concili nazionali il determinare della fede, avendo avuto promessa da Cristo della sua assistenza quando anco fossero due o tre soli congregati nel nome suo. Esservene numero grande de concili, non solo nazionali, ma anco di pochissimi vescovi, che hanno determinato le controversie e fatto instituzioni delli costumi della Chiesa in Sona, Grecia, Africa, Italia, Francia e Spagna, contra li errori di Samosateno, Ario, donatisti, Pelagio e altri eretici; le determinazioni de’ quali non si possono dire nulle, irrite e vane senza [p. 159 modifica] impietá. Essere ben stato concesso alla sede romana che fosse la prima, e al vescovo di Roma che fosse, tra li patriarchi, di prerogativa autoritá; ma che sia stato chiamato capo della Chiesa e del li concili non trovarsi appresso alcun Padre. Cristo solo è capo della Chiesa; Paulo, Apollo e Cefa sono ministri di essa. Che qual cosa possino aspettare da Roma, la disciplina che vi si osserva giá tanti secoli e la tergiversazione al celebrar un legittimo concilio lo mostrano.

Ma Cesare, dopo longa discussione, a’ 28 di luglio fece il recesso della dieta, rimettendo ogni azione del colloquio al concilio generale o alla sinodo nazionale di Germania o vero a una dieta dell’Imperio. Promise d’andare in Italia e di trattare col pontefice del concilio; il quale non potendo ottenere, né generale né nazionale, tra diciotto mesi intimerebbe una dieta dell’Imperio per assettare le cose della religione, operando che il pontefice vi mandi un legato. Comandò alli protestanti di non ricevere nuovi dogmi se non li concordati, e alli vescovi che riformassero le loro chiese. Comandò che non fossero destrutti li monasteri, né occupati li beni delle chiese, né sollicitato alcuno a mutar religione. E per dare maggior sodisfazione a’ protestanti, aggionse che quanto a dogmi non ancora accordati non li prescriveva cosa alcuna: quanto alli monasteri de’ monachi, che non si dovevano destruggere, ma ben redurli ad una emendazione pia e cristiana; che li beni ecclesiastici non si dovessero occupare, ma fossero lasciati alli ministri, senza aver risguardo di diversitá di religione; che non si possi sollecitar alcuno a mutar religione, ma ben potessero essere ricevuti quelli che spontaneamente vorranno mutarla. Sospese ancora il recesso di Augusta, quanto s’aspetta alla religione e alle cose che da quella derivano, sin che nel concilio o in dieta le controversie fossero determinate.

Finita la dieta, Cesare passò in Italia; e in Lucca ebbe ragionamento col pontefice sopra il concilio, e sopra la guerra dei turchi. E restarono in conclusione che la Santitá sua perciò mandasse un nuncio in Germania per prender risoluzione [p. 160 modifica] nell’una e nell’altra materia nella dieta che doveva esser in Spira nel principio dell’anno seguente, e che il concilio si facesse in Vicenza, sí come giá fu appuntato. Significò il papa la risoluzione al senato veneto, al quale non pareva piú per diversi rispetti esser a proposito che concorresse in quella cittá tanta moltitudine, e che si trattasse della guerra de’ turchi, come s’averebbe al sicuro fatto, o con fine di farla in effetto, o per bella apparenza solamente. Laonde rispose che per raccordo fatto da loro nuovamente col Turco, variati li rispetti, non potevano restare nella stessa deliberazione, perché si sarebbe generato nella mente di Solimano sospetto che procurassero di fare congiurar li prencipi cristiani contra lui. Onde convenne al papa far altro disegno. Ma il cardinale Contarini patí molte calonnie nella corte romana, dove era nata opinione che egli avesse qualche affetto alle cose luterane; e quelli che meno mal parlavano di lui, dicevano che non si era opposto quanto conveniva, e che aveva messo in pericolo l’autoritá pontificia. Il papa non si tenne servito da lui, se ben era difeso con tutti li spiriti dal cardinale Fregoso; ma ritornato al pontefice, che si ritrovava in Lucca aspettando quivi l’imperatore, e reso conto della legazione, gli diede sodisfazione pienissima.

In questo stato di cose fini l’anno 1541, e nel seguente mandò il pontefice a Spira (dove in presenza di Ferdinando la dieta si teneva) Giovanni Morone vescovo di Modena. Il quale, seguendo la commissione datagli quanto al concilio, espose: la mente del pontefice essere la medesima che per il passato, cioè che il concilio pur una volta si facesse; che l’aveva sospeso con volontá di Cesare, per aprire inanzi qualche adito di concordia in Germania; la quale vedendo essere stata vanamente tentata, egli ritornava alla deliberazione di prima di non differirne la celebrazione. Ma quanto al congregarlo in Germania, non si poteva compiacerli, perché egli voleva intervenirvi personalmente, e la etá sua, e la longhezza della strada, e la mutazione tanto diversa dell’aria ostaria al transferirsi in quella regione, la quale non pareva manco [p. 161 modifica] comoda alle altre nazioni; senzaché vi era gran probabilitá di temere che in Germania non si potessero trattare le cose senza turbolenzia: per il che li pareva piú a proposito Ferrara o Bologna o Piacenza, cittá tutte grandi ed opportunissime: quali quando non piacessero a loro, si contentava di farlo in Trento, cittá alli confini di Germania. Che averebbe voluto darci principio alla Pentecoste, ma per l’angustia del tempo l’aveva allongato a’ 13 d’agosto. Pregava tutti di voler convenire in questo e, deposti gli odi, trattare la causa di Dio con sinceritá.

Ferdinando e li principi cattolici ringraziarono il pontefice, dicendo che non potendo ottenere un luoco atto in Germania, come sarebbe Ratisbona o Colonia, si contentavano di Trento. Ma li protestanti negarono di consentire né che il concilio fosse intimato dal pontefice, né che il luogo fosse Trento; il che fu causa che in quella dieta, quanto al concilio, non si fece altra determinazione.

Con tutto ciò il pontefice mandò fuora la bolla dell’intimazione sotto li 22 maggio di questo anno. Nella quale, commemorato il desiderio suo di provveder alli mali della cristianitá, diceva avere continuamente pensato alli remedi; né trovandosene piú opportuno che la celebrazione del concilio, venne in ferma resoluzione di congregarlo. E fatta menzione della convocazione mantoana, poi della sospensione, e passato alla convocazione vicentina, e all’altra suspensione fatta in Genoa, finalmente di quella a beneplacito, passò a narrare le ragioni che l’avevano persuaso a continuare la stessa sospensione sino allora. Le quali furono: la guerra di Ferdinando in Ongaria, la rebellione di Fiandra contra Cesare e le cose seguite per la dieta di Ratisbona, aspettando che fosse il tempo destinato da Dio per questa opera. Ma finalmente, considerando che ogni tempo è grato a Dio quando si tratta di cose sante, era risoluto di non aspettar piú altro consenso de prencipi, e non potendo avere piú Vicenza, ma desiderando dare satisfazione, quanto al luoco, alla Germania, intendendo che essi desideravano Trento, quantunque a lui paresse maggiormente comodo [p. 162 modifica] un luoco piú dentro Italia, nondimeno per paterna caritá inchinò la propria volontá alle loro dimande, ed elesse Trento per celebrarvi il concilio ecumenico al primo di novembre prossimo, interponendo quel tempo, acciocché il suo decreto potesse essere pubblicato e i prelati avessero spacio d’arrivare al luoco. Per il che per autoritá del Padre, Figliuolo e Spirito Santo, e degli apostoli Pietro e Paulo, la qual esso esercita in terra, col conseglio e consenso dei cardinali, levata qualunque suspensione, intima il sacro ecumenico e general concilio in quella cittá, luoco comodo e libero ed opportuno a tutte le nazioni, da esser principiato al primo di quel mese, proseguito e terminato: chiamando tutti li patriarchi, arcivescovi, vescovi, abbati e tutti quelli che per legge o privilegio hanno voto nei concili generali, e comandandoli in virtú del giuramento prestato a lui ed alla sede apostolica, e per santa obedienzia, e sotto le pene della legge e consuetudine contra li inobedienti, che debbino ritrovarvisi; e se saranno impediti, far fede dell’impedimento o mandare procuratori; pregando l’imperatore, il re cristianissimo e li altri re, duchi e principi d’intervenirvi, o, essendo impediti, mandar ambasciatori, uomini di gravitá e autoritá, e fare venire dalli suoi regni e provincie li vescovi e prelati: desiderando questo piú dalli prelati e principi di Germania, per causa de’ quali il concilio è intimato nella cittá desiderata da loro, acciocché si possi trattare le cose spettanti alla veritá della cristiana religione, alla correzione de’ costumi e alla pace e concordia dei popoli e principi cristiani, e alla oppressione delli barbari ed infideli.

Fu mandata da Roma immediate la bolla a tutti li principi: la quale poco opportunamente uscí, perché nel mese di luglio il re Francesco di Francia, denonciata la guerra a Cesare con parole atroci, e pubblicata ancora con un libro mandato fuora, la mosse tutt’in un tempo in Brabanzia, Lucemburgo, Ronciglione, Piemonte e in Artois.

Cesare, recevuta la bolla del concilio, rispose al papa non essere sodisfatto del tenore di quella; imperocché, non avendo egli mai ricusato alcuna fatica né pericolo o ver spesa [p. 163 modifica] acciò il concilio si facesse, per il contrario avendosi il re di Francia adoperato sempre per impedirlo, gli pareva cosa strana che in quella bolla li fosse comparato e uguagliato. E narrate tutte le ingiurie che pretendeva avere ricevute dal re, vi aggionse anco che nell’ultima dieta di Spira s’aveva adoperato per mezzo de’ suoi ambasciatori per nutrire le discordie della religione, promettendo separatamente all’una parte e l’altra amicizia e favore. In fine rimesse alla Santitá sua il pensare se le azioni di quel re servivano per rimediar ai mali della repubblica cristiana e per principiar il concilio, il qual sempre aveva attraversato per sua utilitá privata, e aveva costretto esso, che se n’era avveduto, a trovar altra strada per reconciliare le cose della religione. Dover per tanto la Santitá sua imputar a quel re e non a lui se il concilio non si celebrará; e volendo aiutare il pubblico bene, dechiararseli nemico, essendo questo mezzo unico per venir a fine di far il concilio, stabilire le cose della religione e ricuperare la pace.

Il re, come presago delle imputazioni che gli sarebbono date, d’avere mosso una guerra con detrimento della religione e impedimento del divino servizio che si poteva aspettare dal concilio, aveva prevenuto con la pubblicazione d’un editto contra luterani, comandando alli parlamenti l’inviolabile esecuzione, con severi precetti che fossero denonciati quei ch’avessero libri alieni dalla chiesa romana, che si congregassero in secreti conventicoli, li trasgressori dei comandamenti della Chiesa, e specialmente chi non osservasse la dottrina de’ cibi, o vero usasse orazione in altra lingua che latina: commettendo alli sorbonisti di esser, contra tutti questi, diligentissimi esploratori. Poi, fatto conscio dell’artificio di Cesare, che perciò tentava incitarli contra il pontefice, per rimedio sollecitava che con effetti si procedesse contra li luterani, e comandò che in Parigi s’instituisse una formula di scoprirli e accusarli, proposte anco pene a chi non li manifestasse e premi alli denonciatori. Avuto poi piena notizia di quanto Cesare aveva scritto al pontefice, gli scrisse ancora una longa lettera apologetica per sé e invettiva contra Cesare, primieramente rinfacciandoli [p. 164 modifica] la presa e sacco di Roma, e la derisione aggiorna al danno col far processioni in Spagna per la liberazione del papa che egli teneva pregione; discorse per tutte le cause di offese tra sé e Cesare, imputando a lui ogni cosa; concluse non potersi ascrivere a lui che il concilio di Trento fosse impedito o retardato, essendo cosa da che non gli ne veniva alcuna utilitá ed era molto lontana dagli esempi de’ suoi maggiori; li quali imitando, metteva ogni suo spirito a conservare la religione, come ben dimostravano gli editti ed esecuzioni ultimamente fatte in Francia: per il che pregava la Santitá sua di non dare fede alle calunnie e rendersi certa di averlo sempre pronto in tutte le cause sue e della chiesa romana.

Il pontefice, per non pregiudicare all’ufficio di padre comune, dalli precessori suoi sempre ostentato, destinò ad ambidua li principi legati per introdurre trattato di pacificazione: il Cardinal Contarini a Cesare e il Sadoleto al re di Francia, a pregarli di remettere le ingiurie private per rispetto della causa pubblica e pacificarsi insieme, acciò che le loro discordie non impedissero la concordia della religione. Ed essendo quasi immediate passato ad altra vita il Contarini, vi sostituí il Cardinal Viseo, con maraviglia della corte, perché quel cardinale non aveva la grazia di Cesare a cui era mandato. E con tutto che la guerra ardesse in tanti luochi, il pontefice, riputando che se non proseguiva il negozio del concilio interessava molto la sua riputazione, sotto li 26 agosto di questo anno 1542 mandò a Trento per legati suoi alla sinodo intimata li cardinali Pietro Paolo Parisio, Giovanni Morone e Reginaldo Polo: il primo come dotto e pratico canonista, il secondo intendente de maneggi, il terzo a fine di mostrare che sebbene il re d’Inghilterra era alienato dalla soggezione romana, il regno però aveva gran parte in concilio. A questi spedi il mandato della legazione, e commesse che si ritrovassero al tempo determinato, ricevessero e trattenessero li prelati e ambasciatori che vi fossero andati, non facendo però azione alcuna pubblica, sino che non avessero ricevuta l’instruzione che egli li averebbe inviato a tempo opportuno. [p. 165 modifica]

L’imperatore ancora, intesa la deputazione delli legati, non con speranza che in quello stato di cose potesse riuscir alcun bene, ma acciò dal pontefice non fosse operato alcuna cosa in suo pregiudicio, vi mandò ambasciatori don Diego [Mendoza], residente per lui in Venezia, e Nicolò Granvella, insieme con Antonio vescovo d’Arras, suo figlio, e alcuni pochi vescovi del regno di Napoli. Ed il pontefice, oltre li legati, inviò anco alcuni vescovi delli piú fedeli, ordinando però che lentamente vi si incamminassero. Arrivarono cosí li pontifici come li imperiali al tempo determinato. E questi presentarono alli legati il mandato imperiale, fecero instanza che il concilio si aprisse e fosse dato principio alle azioni. Interposero li legati dilazione, con dire che non era degnitá incominciare un concilio con sí poco numero, massime dovendo trattar articoli di tanta importanza, come quelli che da’ luterani erano revocati in dubbio. Li cesarei replicavano che si poteva ben trattare la materia di riforma, che era piú necessaria né soggetta a tante difficoltá; e gli altri allegando che conveniva applicare quella all’uso de diverse regioni, onde era piú necessario in essa l’intervento di tutti. In fine passarono a proteste, alle quali non rispondendo li legati, ma rimettendo la risposta al papa, non si faceva conclusione alcuna.

Approssimandosi il fine dell’anno, ordinò l’imperatore al Granvella di andar alla dieta che nel principio del seguente si doveva tenir in Norimbergo, con ordine a don Diego di restar in Trento e operare che al concilio fosse dato principio, o vero almeno che li congregati non si disunissero, per valersi di quell’ombra di concilio nella dieta. Il Granvella in Norimbergo propose la guerra contra li turchi e di dar aiuti a Cesare contra il re di Francia; e li protestanti replicarono, dimandando che si componessero le differenze della religione e si levassero le oppressioni che li giudici camerali usavano contra di loro sotto altri pretesti, se ben in veritá per quella causa. A che rispondendo Granvella che ciò non si poteva né doveva fare in quel luoco e tempo, essendo giá congregato perciò il concilio in Trento, riusciva l’escusazione vana, non [p. 166 modifica] approvando li protestanti il concilio e dicendo chiaro di non voler intervenirvi. La dieta ebbe fine senza conclusione, e don Diego tornò all’ambasciaria sua a Venezia, quantunque li legati facessero instanzia che, per dare riputazione al negozio, si trattenesse fino che dal pontefice avessero risposta.

Partito l’ambasciator cesareo, seguirono li vescovi imperiali; e licenziati gli altri sotto diversi colori, finalmente li legati, dopo esservi stati sette mesi continui senza alcuna cosa fare, furono dal pontefice richiamati. E fu questo il fine di quella congregazione.

Dovendo essere Cesare di breve in Italia, partito di Spagna per mare a fine di andar in Germania, disegnava il pontefice di abboccarsi con lui in qualche luoco, e desiderava che ciò fosse in Bologna: e a questo effetto mandò Pietro Aloisio suo figliuolo a Genova ad invitarlo. Ma non volendo l’imperator uscire di strada né perder tempo in viaggio, mandò il cardinale Farnese ad incontrarlo e pregarlo di fare la via di Parma, dove il pontefice avesse potuto aspettarlo. Ma poi essendo difficoltá come l’imperatore potesse intrare in quella cittá, il 21 giugno del 1543 si ritrovarono ambidoi in Busseto, castello delli Pallavicini posto sopra la riva del Taro, tra Parma e Piacenza. Li fini dell’uno e dell’altro non comportarono che il negozio del concilio e della religione fosse il principale trattato tra loro; ma l’imperator, essendo tutto volto alli pensieri contra il re di Francia, procurava di concitarli il papa contra e avere da lui denari per la guerra; il pontefice, valendosi dell’occasione, era tutto intento ad ottenere Milano per li nepoti suoi: a che era per proprio interesse aiutato da Margarita, figlia naturale di Cesare, maritata in Ottavio Farnese nipote del papa, e perciò fatta duchessa di Camerino. Prometteva il pontefice a Cesare di collegarsi con lui contra il re di Francia, fare molti cardinali a sua nominazione, pagarli per alcuni anni cento cinquantamila scudi, lasciandoli anco in mano li castelli di Milano e di Cremona. Ma richiedendo gli imperiali un milione di ducati di presente e un altro in termini non molto longhi, non potendosi concluder allora, né potendosi [p. 167 modifica] Cesare trattenere piú lonzamente, fu rimesso di continuare la trattazione per mezzo delli ministri pontifici che seguirebbono l’imperatore. Del concilio Cesare si mostrò sodisfatto che, con la missione delli legati e con l’andata di quei pochi prelati, li cattolici di Germania almeno avessero conosciuto la pronta volontá; e poiché gl’impedimenti si potevano imputare al re di Francia, concluse che non era da pensare che rimedio usare, sin che non fosse veduto l’incamminamento di quella guerra. Si partirono con gran dimostrazioni di scambievole sodisfazione, restando però il pontefice in se medesmo dubbioso se l’imperatore era per darli sodisfazione; onde incominciò a voltare l’animo al re di Francia.

Ma mentre sta in quest’ambiguitá, si pubblicò la lega tra l’imperatore e il re d’Inghilterra contra Francia; la quale necessitò il papa ad alienarsi a fatto dall’imperatore. Imperocché vidde quanto offendesse quella lega l’autoritá sua, essendo contratta con un scomunicato, anatematizzato da lui e maledetto, destinato all’eterna dannazione e scismatico, privato d’ogni regno e dominio, con annullazione d’ogni confederazione con qualsivoglia contratta, contra il quale anco per suo comandamento tutti li principi cristiani erano obbligati movere le armi; e quello che piú di tutto importa, che, restando sempre piú contumace e sprezzando eziandio con aperte parole l’autoritá sua, che questo mostrava evidentemente al mondo: l’imperatore non aver a lui rispetto alcuno, né spirituale né temporale, e dava esempio ad ogn’altro di non tener conto alcuno dell’autoritá sua; e tanto maggiore li pareva l’affronto, quanto per li interessi dell’imperatore e per farli piacere Clemente, che averebbe potuto con gran facilitá temporeggiare in quella causa, aveva proceduto contra quel re, del rimanente ben affetto e benemerito della sede apostolica. A queste offese poneva il papa nell’altra bilancia che il re di Francia aveva fatto tante leggi ed editti di sopra narrati per conservare la religione e la sua autoritá; a’ quali s’aggiongeva che al primo agosto li teologi parisini a suono di tromba, congregato il populo, pubblicarono li capi della dottrina cristiana, venticinque [p. 168 modifica] in numero, proponendo le conclusioni e determinazioni nude, senza aggiongervi ragioni, persuasioni o fondamenti, ma solo prescrivendo, come per imperio, quello che volevano che fosse creduto. Li quali furono stampati e mandati per tutta la Francia, confirmati con lettere del re sotto gravissime pene a chi altramente parlasse o vero insegnasse, con un altro nuovo decreto di inquirire contra li luterani: cose le quali piú piacevano al papa, perché sapeva essere fatte dal re non tanto per la causa detta di sopra, cioè di giustificarsi col mondo che la guerra con Cesare non era presa da lui per favorire la dottrina de’ luterani né per impedire la loro estirpazione, ma ancora, e piú principalmente, per compiacere a lui e per riverenza verso la sede apostolica.

Ma l’imperatore, a cui notizia erano andate le querele del papa, rispondeva che, avendo il re di Francia fatto confederazione col Turco a danno de’ cristiani (come bene mostrava l’assedio posto a Nizza di Provenza dall’armata ottomana, guidata dal Polino ambasciatore del re, e le prede fatte nelle riviere del Regno), a lui era stato lecito per difesa valersi del re d’Inghilterra, cristiano se ben non riconosce il papa; si come anco, con buona grazia del medesimo pontefice, egli e Ferdinando si valevano delli aiuti de’ protestanti, piú alieni dalla sede apostolica che quel re; che averebbe dovuto il papa, intesa la collegazione di Francia col Turco, procedere contra lui; ma vedersi bene la differenza usata: perché l’armata de’ turchi, che tanti danni aveva portati a tutti li cristiani per tutto dove transitato aveva, era passata amichevolmente per le riviere del papa; anzi che, essendo andata ad Ostia a far acqua la notte di san Pietro ed essendo posta tutta Roma in confusione, il cardinale di Carpi, che per nome del papa assente comandava, fece fermare tutti, sicuro per l’intelligenza che aveva con li turchi.

La guerra e queste querele posero in silenzio per questo anno le trattazioni di concilio, le quali però ritornarono in campo il seguente 1544, fatto principio nella dieta di Spira. Dove Cesare, avendo commemorato le fatiche altre volte fatte [p. 169 modifica] da lui per porgere rimedio alle discordie della religione, e finalmente la sollecitudine e diligenzia usata in Ratisbona, raccordò come, non avendosi potuto allora componere le controversie, finalmente la cosa fu rimessa ad un concilio generale o nazionale, o vero ad una dieta; aggiongendo che dopo il pontefice a sua instanza aveva intimato il concilio, al qual egli medesimo aveva determinato di ritrovarsi in persona; e l’averebbe fatto, se non fosse stato impedito dalla guerra di Francia. Ora, restando l’istessa discordia nella religione e portando le medesme incomoditá, non essere piú tempo di differir il rimedio; al quale ordinava che pensassero, e proponessero a lui quella via che giudicassero migliore. Furono sopra il negozio della religione avute molte considerazioni; ma perché le occupazioni della guerra molto piú instavano, fu rimesso questo alla dieta che si doveva celebrar al decembre; e tra tanto fu fatto decreto che Cesare dasse la cura ad alcuni uomini di bontá e dottrina di scrivere una formula di riforma, e l’istesso dovessero fare tutti li prencipi, acciocché nella futura dieta, conferite tutte le cose insieme, si potesse determinare di consenso comune quello che s’avesse da osservare sino al futuro generale concilio, da celebrarsi in Germania, o vero sino al nazionale: tra tanto tutti stessero in pace, né si movesse alcun tumulto per la religione; e le chiese dell’una e l’altra religione godessero i suoi beni. Questo recesso non piacque alli cattolici generalmente; ma perché alcuni di essi s’erano accostati alli protestanti, li altri approvavano questa via di mezzo; quelli che non se ne contentavano, veduto essere pochi, si risolsero di sopportarlo.

Ma seguitando tuttavia la guerra, il pontefice, aggionto allo sdegno concepito per la confederazione con Inghilterra che l’imperatore non aveva mai assentito ad alcun delli molti ed ampli partiti offertigli dal cardinale Farnese, mandato legato con lui in Germania, intorno al concedere a’ Farnesi il ducato di Milano; e che finalmente, dovendo intervenire nella dieta di Spira, non aveva concesso che il cardinale legato lo seguisse a quella per non offendere li protestanti; e finalmente [p. 170 modifica] considerato il decreto fatto nella dieta, tanto a sé e alla sede apostolica pregiudiciale, restò maggiormente offeso, vedendo le speranze perdute e tanto diminuita l’autoritá e riputazione sua; e giudicava necessario risentirsi. E se bene dall’altro canto, considerato che la parte sua in Germania era indebolita, e fosse da’ suoi piú intimi consegnato a dissimulare, nondimeno finalmente essendo certo che, dechiarato apertamente contrario a Cesare, obbligava piú strettamente il re di Francia a sostentare la sua riputazione, si resolse incominciare dalle parole, per pigliar occasione di passar ai fatti che le congionture avessero portato.

E a’ 25 agosto scrisse una grande e longa lettera all’imperatore, il tenor della quale in sostanzia fu: che avendo inteso che decreti erano stati fatti in Spira, per l’ufficio e caritá paterna non poteva restare di dirli il suo senso, per non imitare l’esempio di Eli sacerdote, gravemente punito da Dio per la indulgenzia usata verso li figliuoli. Li decreti fatti in Spira essere con pericolo dell’anima di esso Cesare ed estrema perturbazione della Chiesa; non dovere lui partirsi dalli ordini cristiani, li quali, quando si tratta della religione, comandano che tutto debbia essere riferito alla chiesa romana; e con tutto ciò, senza tenire conto del pontefice, il qual solo per legge divina e umana ha autoritá di congregare concili e decretare sopra le cose sacre, abbia voluto pensare di far concilio generale o nazionale: aggionto a questo, che abbia concesso ad idioti ed eretici giudicare della religione, che abbia fatto decreti sopra i beni sacri e restituito agli onori li rebelli della Chiesa, condannati anco per propri editti. Volere credere che queste cose non siano nate da spontanea volontá di esso Cesare, ma da pernicioso conseglio de’ malevoli alla chiesa romana; e di questo dolersi, che abbia condesceso a loro. Essere piena la Scrittura d’esempi dell’ira di Dio contra li usurpatori dell’ufficio del sommo sacerdote: di Oza, di Datan, Abiron e Core, del re Ozia e d’altri; né essere sufficiente scusa dire che li decreti siano temporari sino al concilio solamente, perché, se bene la cosa fatta fosse pia per ragione della persona [p. 171 modifica] che l’ha fatta, non gli toccando è empia. Dio avere sempre esaltato li prencipi divoti della sede romana, capo di tutte le chiese: Constantino, li Teodosi e Carlo Magno; per il contrario avere punito quelli che non l’hanno rispettata. Ne sono esempi Anastasio, Maurizio, Costante II, Filippo, Leone e altri; ed Enrico IV per questo fu castigato dal proprio figlio, sí come fu anco Federigo II dal suo. E non solo li prencipi, ma le nazioni intiere sono per ciò state punite: li giudei per aver ucciso Cristo figliuolo di Dio, i greci per aver sprezzato in piú modi il suo vicario. Le qual cose egli debbe temere piú, perché ha origine da quelli imperatori li quali hanno recevuto piú onore dalla chiesa romana, che non hanno dato a lei. Lodarlo che desideri l’emendazione della Chiesa, ma avvertirlo anco di lasciare questo carico a chi Dio n’ha dato la cura. L’imperator essere ben ministro, ma non rettor e capo. Aggionse sé essere desideroso della riforma, e averlo dechiarato con l’intimazione del concilio fatta piú volte, e sempre che è comparsa scintilla di speranza che si potesse congregare; e quantunque sino allora senza effetto, nondimeno non aveva mancato del suo debito, desiderando molto, cosí per l’universale beneficio del cristianesimo come speciale della Germania, che ne ha maggior bisogno, il concilio, unico rimedio di provveder al tutto. Essere giá intimato, se ben per causa delle guerre differito a piú comodo tempo; però ad esso imperatore tocca aprire la strada che possi celebrarsi, col fare la pace, o differire la guerra mentre si trattano le cose della religione in concilio. Obedisca donque a’ comandamenti paterni, escluda dalle diete imperiali tutte le dispute della religione e le rimetti al pontefice, non faccia ordinazione de’ beni ecclesiastici, revochi le cose concesse alli rebelli della sede romana; altrimenti egli, per non mancar all’ufficio suo, sará sforzato usare maggiore severitá con lui che non vorrebbe.