Iride/Sopra un tetto
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Sopra un tetto
Fra gli amici di suo cugino il più antipatico era proprio quello lì.
A farlo apposta non potevano scegliere meglio per assicurarla contro le tentazioni; ma vi sono donne di tempra battagliera che le amano, invece, le tentazioni. — Cosa volete farci?
Urania era così per l’appunto.
Ella rifiutò la mano del suo cavaliere e saltò leggera nella barca, senza darsi cura di nascondere un grosso dispetto e neppure un piccolo piede con stivalini di pelle di daino a dodici bottoni. Romeo li vide tutti e dodici, dispiacente che non vi fosse il tredicesimo.
E sedettero nella barca.
Vi ricordate, lettori, quella terribile inondazione del mille e ottocento...? Ma no, non mettiamo date. Quando c’entrano delle signore in un racconto le date è meglio sopprimerle.
Vi basti sapere che il Po ne aveva fatte delle sue, straripando e allagando la campagna sulla riva destra fino a Parma. Era uscito anche a Cremona; da quelle parti la strada ferrata era stata coperta in varii punti. Chi da Casalmaggiore voleva recarsi a Milano era costretto a traversare il fiume e portarsi in barca dentro i campi innondati fino a Parma per prendere la linea d’Alessandria. Precisamente quello che faceva Urania dopo essere stata a villeggiare dalle sue cugine.
Il paesaggio era strano. Le viti e tutte le piantagioni basse scomparivano sotto l’acqua al di sopra della quale emergeva tratto tratto la cima altera di un olmo o di un pioppo, pari ad una grande ninfea galleggiante. C’era qualche cosa della maestà biblica in quelle acque, che salivano, salivano sempre, atterrando, distruggendo, recandosi dietro il terrore e la morte.
Giù per la corrente passavano oggetti singolari e spesso irriconoscibili: pezzi di travi delle capanne cadute; frammenti di mobili, vesti, attrezzi, vasi, cenci; perfino una gabbia dove alcune galline impazzavano ben persuase che fosse giunto il finimondo.
La navigazione riusciva tutt’altro che facile in quel lago improvvisato di cui si ignoravano i tradimenti; era d’uopo procedere a tentoni, scandagliando i fondi e puntando il remo sui tronchi d’albero che ingombravano il cammino.
Urania si divertiva immensamente. Spirito forte, amava il pericolo, e solo rammaricavasi perchè invece di quel bellimbusto di Romeo non l’avesse accompagnata il cugino. Lui era un uomo!
Senza fare sospetti temerari si può arrischiare la supposizione che il cugino la preoccupava molto. I modi soldateschi, le opinioni avanzate, i gusti marziali, i lunghi baffi e i tacchi sonori ornati di sproni l’avevano impressionata. Nel suo disprezzo per gli uomini effeminati era giunta perfino a farsi piacere le mani ruvide di suo cugino. Oh! con lui si sarebbe divertita — così...
Romeo, seduto a prora (ella era a poppa), sembrava prendere poco interesse alla scena pittoresca che lo circondava; il suo profilo delicato e freddo si staccava netto come un cammeo antico sullo specchio lucente dell’acqua; con una mano arricciava i baffi piccoli e biondi, l’altra pendeva fuori dalla barca. — Era insopportabile.
Urania voltò la testa dall’altra parte.
È certo — pensava — che costui non ha sangue nelle vene; deve essere cresciuto a olio di merluzzo. Questa idea le rimase così persistente nel cervello che le parve di vedere il suo cavaliere a cinque anni, con una bavettina davanti, colla bocca aperta per ingollare il cucchiaio d’olio.
In quel momento il barcaiolo ritirò i remi e guardandosi attorno pensieroso:
— Ho paura — disse — di non aver preso la strada migliore.
— Perchè? — domandò Urania.
— Perchè gli alberi crescono a tutto crescere e invece di trovarci al di sopra di un sentiero siamo entrati in un bosco o poco meno.
Romeo si alzò.
— Forse... raddoppiando il vigore dei remi...
— Sa maneggiarli lei?
— Proviamo.
Il giovinotto prese un remo e con grande meraviglia del barcaiolo gli diede dei punti.
— Oh! oh! — fece l’uomo — ella mi ruba il mestiere.
— Credi? Allora ascolta un consiglio. Di qui colla forza non s’esce; conviene serbarla e manovrare con prudenza al solo scopo di evitare gli ostacoli; questa barca non deve resistere a un urto un po’ forte.
Il barcaiolo strinse le labbra senza rispondere.
Urania incominciò a pensare se non fosse stata per caso un’imprudenza quella di scegliere la corsa della sera; per evitare il sole e la polvere s’era messa a un brutto rischio davvero. La presenza di suo cugino le sembrava più che mai desiderabile; si immaginava che bell’effetto farebbe la sua grossa voce tuonante in mezzo all’acqua, le sue braccia d’atleta ai remi, la sua fronte abbronzata coperta del sudore dei forti!
Con lui almeno il pericolo aveva un lato eroico, poetico; si poteva affrontarlo con un certo gusto!
Gettò uno sguardo di compassione e di disprezzo sul biondo cavaliere che le avevano dato e si adagiò comoda, colle braccia conserte, rassegnata a subire gli avvenimenti, poichè non le era dato cambiarli.
La barca intanto urtava a destra e a sinistra, ora trattenuta da un fascio di erbaccie, ora spinta da un tronco d’albero, minacciando ad ogni istante di capovolgersi.
La faccia del barcaiolo si faceva sempre più scura.
Romeo, tranquillo, si abbassò sul fondo della navicella, e rimovendo un asse fece osservare che l’acqua incominciava a penetrare nell’interno.
Urania, con tutto il suo coraggio, impallidì.
— Ma come andremo a finire? domandò rivolgendosi per la prima volta all’amico di suo cugino.
— Si rassicuri — disse Romeo — il pericolo di annegare non c’è.
— E non ve ne sono altri?
Il giovane la guardò un momento, incerto; poi disse, senza abbandonare il suo piglio indifferente:
— Speriamo di no.
Il malessere di Urania cresceva di minuto in minuto: l’aveva anzitutto con Romeo, questo si sa; ma l’aveva anche con sè stessa, colla barca, col barcaiolo, col Po, colle pioggie d’autunno e quanto — oh! quanto! — coi cugini negligenti che si fanno rappresentare dagli amici.
— Temo — disse ancora Romeo con una placidezza da far disperare i santi — che l’opportunità della corsa per quest’oggi sia perduta.
— Bella notizia! — esclamò Urania. — Fallire lo scopo è proprio quello che ci voleva per coronare una gita così piacevole!
Era dura, sarcastica.
Ma il destino le preparava ben altre cause di malumore e di dispetto. Tutt’a un tratto la barca si fermò impigliata in una specie di pantano formato di sabbia, di paglia e di siepi divelte. Doveva finire così.
Avendo sbagliato strada, la sola praticabile in quell’oceano dell’ieri, erano andati a casaccio sopra i campi ed eccoli arenati in mezzo alle viti ed agli olmi, a due chilometri da Parma. Un’avventura inverosimile, diciamolo, per quanto sia verissima.
Pensate poi, signore mie, che tramontava il sole, e gli ultimi suoi raggi vermigli splendenti sulla cima dei pioppi annunciavano prossima la sera.
Romeo, punto alterato (dopo averne chiesto permesso alla signora), si levò il soprabito, sbottonò i polsini, sciolse la cravatta; pose il tutto delicatamente in un angolo, e fatto padrone di un remo si diede, insieme al barcaiolo, al difficile còmpito di smuovere la barca.
Io non ho, come Urania, cattiva prevenzione contro gli uomini biondi: posso dunque rendere giustizia a quel giovinotto, e dire che stava molto bene colle guancie colorite dalla fatica, coi bei capelli scomposti svolazzanti sulla fronte candida. Le sue braccia bianche e forti si alzavano e si abbassavano regolarmente, disegnando sotto la battista i muscoli vigorosi. C’era in lui dell’Ercole e dell’Apollo.
Per disgrazia Urania non lo guardava.
Quando, dopo un’ora di lavoro, uscirono a mettera la barca fuori dagli impacci scintillava già qualche rara stella.
— Uff! — fece il barcaiolo tergendosi il sudore.
— Ti credi in porto, brav’uomo? — domandò Romeo, appoggiando un piede sulla sponda, che si pose a scricchiolare. — Al primo urto questa povera carcassa volerà in una dozzina di frantumi. Ne farei giuramento.
— Ma lei è proprio l’uccello del malaugurio! — disse Urania inasprita. — Se fossi niente superstiziosa ci sarebbe da credere che la sua presenza è infausta al mio viaggio.
— Vuole che mi getti nell’acqua per liberarla? Io sono pronto.
L’accento di Romeo era calmo, freddo, ed aveva qualche cosa di amaro; la giovane donna ebbe vergogna di essersi mostrata fino allora inesorabilmente sgarbata. Sorrise, e prendendo un’aria scherzosa:
— O Dio, signore, come è suscettibile! Le chiedo scusa del mio cattivo umore; convenga però che sono da compatire...
Romeo s’inchinò.
— Dunque che cosa facciamo — interruppe il barcaiolo. Pur troppo questo legno non regge dopo le scosse ricevute al peso di tre persone.
A un tiro di schioppo si vedeva il tetto di una casa rimasto fuori dell’acqua che aveva coperto il resto del meschino edificio. Gli abitatori di quel tugurio erano fuggiti abbandonandolo e la piccola isola formata dal tetto parve a Romeo un punto da potervi far sosta.
— Propongo — diss’egli — che uno di noi due approdi colla signora a quel tetto e l’altro se ne vada il più prontamente possibile a Parma per prendere una barca in migliore stato. Non vi è altro a fare; che ne pensa la signora?
Il progetto parve a Urania un tantino ipotetico e non del tutto rassicurante; molto più quando Romeo soggiunse col suo più bel sangue freddo:
— Quest’uomo io lo conosco e mi rendo garante che saprà proteggerla contro ogni eventuale pericolo.
Dunque era lui che voleva andarsene?
— Ma — chiese Urania turbata — non sarebbe più naturale che il barcaiolo conducesse la sua barca?
(Restava sottinteso: e che lei mi tenesse compagnia?)
Era un arrendersi con armi e bagagli, tuttavia Romeo non mostrò alcun sintomo di fatuità; rispose tranquillo:
— Come crede.
(Restava sottinteso: mi fa lo stesso.)
Or bene, questo impertinente mi fa lo stesso punse sul vivo l’amor proprio della bella donnina. Chi sa quanti sarebbero stati felici dell’occasione... Suo cugino per esempio!
Era strano. O per un verso o per l’altro, quel signor Romeo l’occupava costantemente; prima lo detestava appena — adesso lo avrebbe strozzato.
Fu sul punto di gridare: No, vada lei. Ma che figura avrebbe fatta? Non era un dare troppa importanza a quel bellimbusto? E poi, francamente, la prospettiva di rimanere qualche ora sopra un tetto con un barcaiolo...
Non furono dunque scambiate altre parole.
I due naufraghi approdarono al novissimo isolotto e la barchetta seguitò tutta sciancata e zoppicante la sua strada per Parma.
— Presto, neh? — gridò Romeo improvvisando colle mani un portavoce.
— Prestissimo! — appoggiò Urania.
Nessuno dei due aveva speranza di divertirsi lassù.
Se le antipatie come le simpatie sono facilmente reciproche, doveva riuscire un bel duetto.
A buon conto (c’era un fumaiolo in mezzo al tetto), visto che Romeo si dirigeva al sud, Urania sedette al nord — il fumaiolo li divideva: — ma il verbo sedere in questo caso è una metafora ardita. Urania si accoccolò alla meglio, tirandosi appresso il vestito, senza riuscire a nascondere i suoi eleganti stivaletti di pelle di daino, molto meravigliati di trovarsi sopra un posapiedi così duro e gelido: anche gelido, perchè ai ventidue d’ottobre, dopo il tramonto, in mezzo all’acqua non fa caldo sicuramente.
Romeo avrebbe passeggiato volontieri, ma come passeggiare sopra un tetto? Prese il partito di sedere dall’altra parte del fumaiolo.
— E pensare che dovremo star qui — incominciò Urania senza voltare la testa — quanto crede, signore, che abbiamo a restar qui?
— Ciò dipende dal barcaiolo e dai contrattempi che possono nascere. Io ne sono dolentissimo per lei.
— Dica pure anche per sè stesso.
— Il caso potrebbe essere diverso.
— Ma non lo è.
— Supponiamo che lo fosse?...
— Allora toccherebbe a me a compiangerla. Improvviso silenzio.
Romeo si pose a picchiare i tegoli col suo bastoncino; Urania a intrecciare la frangia del suo scialle.
E faceva freddo!
Un senso pauroso, una debolezza patetica e mesta invadevano a poco a poco il cuore di Urania. Per forte che fosse, era donna alla fine, e quel trovarsi sola con uno sconosciuto, in circostanze tanto fuori dell’ordinario, le metteva addosso un bisogno di tenerezza, d’affetto; si sentiva piccina piccina. Pensava a’ suoi genitori morti, alle amiche lontane, alle illusioni svanite, alla brevità della vita, a cento cose melanconiche insomma.
E faceva buio! Le poche stelle erano scomparse; un vento gelato addensava grosse nubi in cielo.
— È impossibile — disse Romeo — che ella possa resistere senza soffrire all’umidità della notte; permetta che la copra col mio soprabito: io sono avvezzo a qualunque temperatura. È il vantaggio che ci resta, a noi uomini, dopo le fatiche del campo.
Urania lasciò fare. Poco dopo domandò:
— È stato soldato lei?
— Prima con Garibaldi, poi nell’esercito regolare: mi sono battuto due volte.
Nel fare un movimento Romeo smosse un tegolo che ruzzolò e cadde nell’acqua: questo incidente fortuito gli suggeri un’idea che Urania approvò pienamente.
Si trattava di praticare un buco nel tetto e scendere nella casa per vedere se ci fosse mezzo di acconciarvisi meglio.
Il giovinotto si pose all’opera con disinvoltura, nè Urania temette di aiutarlo colle sue bianche manine.
Aperta la breccia, Romeo vi si calò risolutamente, ma Urania con uno slancio istintivo e grazioso lo trattenne per la mano.
— Badi — esclamò — se avesse a cadere?
— Faccia voti per me e uscirò illeso.
Non so se Urania facesse voti, ma so che il tempo le parve molto lungo e che ad ogni istante si affacciava al pertugio gridando:
— Signor Romeo! signor Romeo!
E quando il giovinotto risali, tutto bagnato, con un materasso sulle spalle, la donna forte si sentì sollevata da una gran paura. Ella aveva paventato per un istante di non vederlo più comparire.
— La casa è inabitabile — disse Romeo buttando giù il materasso — l’acqua è penetrata in ogni buco; i mobili sono fracidi; non si sa dove metter piede. La Provvidenza che protegge, dicono, gli ubbriachi e gli innamorati, ha voluto usarci misericordia.
— Quantunque — interruppe subito Urania — non possiamo pretenderla nè coll’uno nè coll’altro titolo.
— E — continuò Romeo senza avvertire l’interruzione — fece galleggiare al disopra di un cavalletto questo gramo materasso. Non le pare che giunga a proposito sull’ascetica nudità di questi tegoli?
Steso il materasso, Urania volle per cortesia che il suo cavaliere vi prendesse posto; egli lo prese.
Nell’occasione di tale ravvicinamento Urania pensò che se invece di Romeo vi fosse stato il cugino non avrebbe potuto evitare un forte odore di pipa e d’olio di pesce col quale soleva ungere i pesanti stivali da cacciatore.
Positivamente, come vicino di materasso, questo signorino era preferibile. Però non poteva darsi pace dei trovarsi con lui sopra un tetto. Che ne avrebbero detto, sapendolo, le sue amiche di Milano? In altre circostanze (non confessava apertamente quali) l’avvenimento poteva riuscire gradevole, così era una cosa ridicola, oh! assai ridicola.
E poichè l’ultima parola le era sfuggita a voce alta, Romeo soggiunse:
— Il ridicolo confina col sublime. Mai fantasia di poeta accarezzando i balconi dorati e i terrazzi di granito seppe riunire attorno ai suoi personaggi ideali tanta poesia come l’abbiamo noi sopra questo miserabile tetto. Qui, nessuna cornice, nè zeffiro tra i fiori, nè raggio di luna (ella vede quanto è buio), nè bianche nuvolette, nè gondole molli, nè usignoli, nè liuti, nè canti d’amore — null’altro che un punto fermo su questo lago fatale. Intorno a noi girano i frammenti di case distrutte, di focolari dispersi; il guanciale di una culla ci porta attraverso all’acqua i pianti di una madre. Ascolti. Laggiù, dove abbiamo urtato contro il muro di una cascina sommersa, non ode le grida dei poveri lavoratori? non vede la miseria stendersi insieme all’onde sui campi devastati?
Romeo parlava senza enfasi, tranquillo; tutta via sembrandogli che la sua compagna rabbrividisse alquanto, le prese la mano e continuò:
— Quante famiglie rimaste prive di tetto! Quante persone prive di pane! Intere vite di abnegazione e di lavoro giacciono sepolte sotto queste acque immobili; tante speranze deluse, tanti inutili sacrifici. Essi dormivano sereni tra le loro messi raccolte, nella pace delle loro semplici esistenze e il terribile flagello li colpì disarmati. Che scena! Gli urli della disperazione destarono echi non mai tentati prima; fiaccole accese erravano come anime in pena sui ponti crollanti, sulle barche sfracellate. Donne discinte, fanciulli nudi, uomini pazzi di dolore e di paura. Ad ogni oggetto che scompariva si alzava un grido, ad ogni sfasciarsi di dighe rispondeva un gemito. Anche in quella notte tremenda non c’erano stelle, non c’era luna — il pianto dei disgraziati saliva dalle acque al cielo invisibile, forse inascoltato. Grandiosa e commovente poesia, non è vero, signora?
Era ironica la domanda? Quale profonda amarezza gli velava il timbro della voce?
Urania sentiva quella mano forte e fredda stringere la sua; il giovane effeminato spariva; in quella persona elegante si nascondeva un cuore virile, un nobile e buon cuore.
— Lei parla — disse la signora — come se avesse assistito alla scena dell’inondazione.
— Vi ero.
— Sì? Nel numero di quei generosi che si affidarono con poche barche sul fiume irritato per portare soccorso agli inondati?... Ma non ne disse nulla; nessuno lo seppe.
— Non mi parve necessario.
— Mio cugino le tenne compagnia?
— No. Doveva andare a caccia.
Un rimorso cocente, una vergogna di essersi così grossolanamente ingannata, tinse le guancie di Urania nella cupa oscurità.
Il suo rossore non fu visto, ma qualcuno senti certamente la stretta entusiastica della sua manina mentre diceva:
— Ammiro gli uomini coraggiosi e forti. Quanto li invidio per il bene che possono fare!
— Anche le donne tenere e gentili possono fare molto bene. L’uomo dà il soccorso materiale ma la donna consola l’anima.
— Crede proprio che la donna abbia tanto potere?
— E come dubitarne se un solo sguardo di lei ci solleva e ci fa migliori, se una parola dolce, se una stretta di mano, se un moto spontaneo e innocente del suo cuore amoroso ci compensano di lunghi dispregi?
Tremava proprio la sua voce? Ad Urania parve di sì.
— C’è un comitato, una sottoscrizione, s’è fatto insomma qualche cosa per le vittime?
— Me ne sto occupando.
— Sarei indiscreta pregandola di associarmi a quest’opera buona?
— L’indiscrezione è mia accettando subito... per non darle il tempo di pentirsi.
Ancora un po’ d’amarezza! Urania la sentì, ma se l’era meritata e tacque. Solo dopo un silenzio molto lungo e molto interessante ella esclamò per sottrarsi al fascino:
— Chi sa quante saranno l’ore! Il barcaiolo tarda di molto; ho freddo.
Romeo le si avvicinò. Santo Dio, che poteva mai fare? Abbracciandosi, certo, sarebbero stati più caldi. Lo ebbe, lui, questo pensiero? Ad ogni modo non lo si poteva esprimere nè in greco nè in latino. S’accontentò di rispondere:
— Mi dia tutte e due le mani. Così!
E se le pose sul cuore.
La donna forte si trovava più che mai debole e piccina.
— Dica, se l’uomo non venisse più?
— Fabbricheremo, come Robinson, la nostra capanna aspettando l’opportunità di tornare in patria.
Nel pronunciare queste parole, ridendo, il giovinotto si strinse contro il petto le due manine che vi avevano chiesto un rifugio, e poichè le braccia sono tanto vicine alle mani, le belle braccia di Urania vi trovarono posto anch’esse.
Fu in quel momento che Urania mormorò:
— Mi perdoni, sa? L’avevo giudicata male.
Romeo, commosso e grave, rispose:
— Grazie. Ora sono felice.
Il barcaiolo poteva fare i suoi comodi; nessuno dei due pensava più a lagnarsi. Difatti quando arrivò, verso le dieci, e tutto confuso tentò scusarsi dell’involontario ritardo, Romeo lo interruppe:
— Ma no, caro, hai fatto anche troppo presto.
Tò! — pensò il barcaiolo — che brava gente sono questi signori. Avvezzi alle ottomane elastiche conoscono il modo di passare due ore sopra un tetto senza nemmeno aver l’aria di essersi trovati male.
L’anno dopo, al tempo che Urania faceva la sua solita visita alle cugine, propose a Romeo una passeggiata sui terreni dell’inondazione.
Le case erano risorte, le viti rialzate, le siepi a lor posto. Nei campi coperti di messi spirava l’abbondanza di un raccolto fortunato; i prati erano verdi, il cielo sereno, e sotto i pioppi giganteschi il povero contadino riposava stanco ma lieto.
I due giovani si fermarono davanti a una cascina; riparati dall’ombra che il tetto rifatto a nuovo proiettava sul sentiero, si strinsero con moto simultaneo cuore contro cuore, e, senza pronunciar parola, si baciarono.
Una lettrice scandalizzata: Oooh!...
L’autore: Erano fidanzati!