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battista i muscoli vigorosi. C’era in lui dell’Ercole e dell’Apollo.

Per disgrazia Urania non lo guardava.

Quando, dopo un’ora di lavoro, uscirono a mettera la barca fuori dagli impacci scintillava già qualche rara stella.

— Uff! — fece il barcaiolo tergendosi il sudore.

— Ti credi in porto, brav’uomo? — domandò Romeo, appoggiando un piede sulla sponda, che si pose a scricchiolare. — Al primo urto questa povera carcassa volerà in una dozzina di frantumi. Ne farei giuramento.

— Ma lei è proprio l’uccello del malaugurio! — disse Urania inasprita. — Se fossi niente superstiziosa ci sarebbe da credere che la sua presenza è infausta al mio viaggio.

— Vuole che mi getti nell’acqua per liberarla? Io sono pronto.

L’accento di Romeo era calmo, freddo, ed aveva qualche cosa di amaro; la giovane donna ebbe vergogna di essersi mostrata fino allora inesorabilmente sgarbata. Sorrise, e prendendo un’aria scherzosa:

— O Dio, signore, come è suscettibile! Le chiedo scusa del mio cattivo umore; convenga però che sono da compatire...