In morte di Ugo Bassville/Canto I
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CANTO PRIMO
Contenuto: L’anima del Bassville, appena uscita del corpo, ode dall’angelo, che l’ha tolta all’inferno, la pena che dovrà sostenere prima di poter salire al cielo; di assistere, cioè, agl’infiniti mali causati dalla rivoluzione di Francia (1-36). Riconosciuto giusto il decreto divino e augurata pace al corpo, l’anima si leva nell’aria accompagnata da esso l’angelo (37-57); e mentre stanno, nella notte, per abbandonar Roma, veggono sul tempio di s. Pietro un cherubino di aspetto minaccioso, cui s’inchinano (58-84). Indi passano sovra il mare di Sardegna, pieno di cadaveri e di bandiere disperse, e giungono a Marsiglia, dove assistono a una scena di stolta e nefanda empietà (85-171). Visitano poscia varie città e regioni della Francia, e per tutto veggono sangue e pianto e ingiustizie, frutti di una turpe licenza (172-246). A tali dolorosi spettacoli freme d’orrore l’anima d’Ugo; ma l’angelo le dice di por freno alla pietà, che dovrà veder cose ben piú di queste orribili (247-271). — Nicola Giuseppe Hugon, soprannominato Bassville, nacque in Abbeville (Somma) il 7 febbr. 1753 da Giacomo Giuseppe e da Maria Franc. Champion. Studiò teologia e lettere, quella per desiderio del padre, queste per inclinazione sua. Prima insegnò scienze ecclesiastiche nella città di Abbeville, poi, circa nel 1781, si recò a Parigi. Dopo avervi dimorato alcun tempo facendo il letterato, visitò, come istitutore dei figliuoli d’un sig. Morris di Filadelfia, il resto della Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania e la Svizzera. In Amsterdam compose i canti, ora forse perduti, Sul Commercio; nell’84 pubblicò lodati Elementi di mitologia e Mescolanze erotiche ed istoriche; nell’85 la Biografia di Franc. Le-Fort e nell’86 le Memorie di mad. di Warens in continuazione delle Confessioni del Rousseau. Ne’ primordi della rivoluzione fu del partito regio: ciò provano le Memorie istorico critico-politiche della rivol. di Francia che stampò nel ’90, e l’essere egli stato uno de’ collaboratori del Mercurio nazionale, gazzetta che aveva per motto: il faut un roi aux Francais, e che fu pubblicata dal 31 dic. ’89 al 21 marzo ’91. Vi scrissero alcuni che furono poi fieri giacobini. Durante il ministero Demouriez fu nominato segretario di legazione a Napoli, ove andò nell’estate del 1792. Su i primi di novembre dello stesso anno si recò a Roma, senza alcun incarico ufficiale, per farvi propaganda di idee repubblicane, ove, nell’11 genn. del ’93, lo raggiunsero la moglie Elisabetta Colson e il figlio Orlando (cfr. la nota al v. 73 del c. III), accompagnati dal vice maggiore di vascello Carlo La Flotte, che recava tre lettere del barone Luigi Armando di Mackau, ministro di Francia a Napoli, dirette l’una al card. segretario di stato Franc. Saverio Zelada, l’altra al console Digne, la terza allo stesso Bassville. Il 12, che era domenica, l’Hugou e il La Flotte si presentarono, con detta lettera, al Zelada, per imporgli a nome del Mackau, di mutare su gli edifizi della nazione francese in Roma gli stemmi reali in quelli repubblicani: che fu loro assolutamente negato. I due minacciarono, e alle minacce, nel giorno veniente, tentarono di far seguire i fatti, uscendo in carrozza sul Corso colla Colson, il segretario Amaury Duval e due cocchieri, portando ciascuno un nastro tricolore al cappello. Ma furono inseguiti dalla folla arrabbiata. Il La Flotte e gli altri riuscirono a fuggire; il Bassville riparò nella casa del banchiere Stefano Moutte, in via Frattina: ma nulla gli valse. La casa fu presa d’assedio, e nel trambusto egli s’ebbe un colpo di pugnale al basso ventre, che lo condusse a morte (Cfr. la nota al v. 66 del c. III). D’ordine di Pio VI fu provvisto alla salvezza della moglie e del figlio (furono inviati a Napoli con iscorta armata e settanta scudi); e il Bassville, fatto testamento, nel quale manifestò sentimenti cristiani, e chiesti e ricevuti i sacramenti dal curato Carlo Fischer, cessò di vivere a due ore di notte del 14, dicendo ch’egli moriva vittima di un pazzo (o il Mackau o il La Flotte). Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, ove s’ebbe, a spese del papa, esequie solenni. Cfr. Vicchi VII, p. 63 e segg.; Masson, p. 5-10, 15-145 e 251-282, e Sforza, p. 260 e segg. In quest’ultimo scritto è pubblicata una lettera molto importante del padre Vincenzo Fortini da Serravezza (cfr. la nota al v. 62 del canto III) sulla morte dell’Hugou, e data notizia di tutti i lavori italiani e francesi intorno al nostro personaggio, che furono riassunti nell’articolo di Giovanni Boglietti: Ugo Bassville In Roma: Nuova Antologia fasc. 1 luglio 1883, p. 35 e segg. — Tali i fatti presi dal M. a soggetto della sua cantica, che compose subito e pubblicò con questo titolo: «In morte di Ugo Bassv. seguita in Roma il dí xiv Gennaro mdccxciii - Cantica -» (Roma, Salvioni). I primi due canti furono editi nel maggio; il terzo, nel giugno; il quarto, nell’agosto. Sempre nel ’93 fu dal Salvioni pubblicata la prima ediz. intera, con note ammesse dall’autore. Per altre ediz. contemporanee e posteriori e per traduzioni in distici e in esametri latini fatte in diversi tempi e da diversi autori, cfr. Vicchi VII, p. 127 e segg., in nota. — «Tutti i piú grandi avvenimenti della rivol. franc., scrive lo Zumb. (p. 21), sono la sostanza originale del poema. E qui si pare la nobiltà e l’alto valore del M., disposto da natura a ritrarre le forti impressioni che gli venivano dal presente.... Dotato di un’immaginazione vivacissima e mobilissima ad ogni impulso che le venisse dal mondo esterno, nulla doveva poter tanto su lui, quanto il presente e un presente come quello, ch’era per sé medesimo una maravigliosa epopea. E veramente egli n’ebbe tanti impulsi e ne trasse tanta materia, che tutte le sue cose di argomento storico (e sono la massima parte delle sue produzioni poetiche) fanno la piú ricca, la piú varia, la piú lunga descrizione, che della storia contemporanea abbia forse fatto alcun altro poeta moderno. Prima e piú bella parte di quella descrizione è la Bassvilliana». Cfr. anche le note a’ vv. 22 del c. I e 208 del c. II. — Al cittadino Francesco Salfi, cosentino (1759-1832), ardente d’amor di patria e d’ira contro la Chiesa, direttore in Milano del giornale Il termometro politico, che compianse il Bass. «in versi di idee diametralmente opposte a quelle del M.», descrivendo «quell’eccidio non come un risentimento popolare, ma come un’orditura dei cardinali Zelada e Albani, del procuratore fiscale Barbèri e simili; accompagnata da brutali insulti alla moglie, al figlio, al cittadino La Flotte, all’ospite Moutte, al moribondo; il quale esclama di cader vittima d’un’infame cabala pretina» (Cantù, p. 18); al cittadino Salfi, dico, il cittadino Monti, per ingraziarselo, scrisse da Bologna nel 18 giugno, anno I repubblicano (1797), la famosa lettera d’abiura dei sentimenti esposti nella Bassvilliana (vedila in Vicchi VIII, p. 327), che lo stesso Cantú giudica, e molto bene, «d’inescusabile bassezza», perché egli, il p., «sperando quell’amnistia che la sovrana mediocrità non concede mai al talento, ai suoi avversari apprestò il trionfo maggiore, col rinnegare la propria gloria, i propri sentimenti, e mancare cosí a quella unità, che forma il bello della vita come delle produzioni»; e perché di scuse non aveva bisogno, se la Bassvill. rappresenta il terrore che aveva invaso gli animi di tutti gli onesti italiani, al primo sentire delle sanguinose scene della rivoluzione. Chi volesse saperne di piú su’ versi sciolti del Salfi (che prima erano soltanto 91, poi s’accrebbero a 103 e finalmente giunsero fino a 691), e specialmente sul loro autore, cfr., meglio che il Cantú (loc. cit.) e lo Zan. (p. 178), lo Zumb. p. 305 e segg. — La Bassvilliana, sconfessata dallo stesso autore, fu il 16 ottobre 1797, anniversario della decapitazione di Maria Antonietta, bruciata sotto l’albero della libertà in Milano, con altri libri, a detta de’ giornali, infamissimi (erano: una Storia della guerra d’Italia, stamp. dal Bolzani; il Corpo del Diritto Canonico; le bolle Unigenitus e Auctorem Fidei ecc. ecc.), per opera, in gran parte, del Gianni e del Lattanzi. Cfr. le note a’ vv. 196 e 199 del c. I della Mascher. — Il metro è la terza rima: cfr. la nota d’intr. a p. 10.
Già vinta dell’inferno era la pugna,
E lo spirto d’abisso si partía1
Vòta stringendo la terribil ugna2.
Come lion3 per fame egli ruggía
5Bestemmiando l’Eterno, e le commosse4
Idre del capo sibilâr per via.
Allor timide l’ali aperse e scosse
L’anima d’Ugo alla seconda vita
Fuor delle membra del suo sangue rosse;
10E la mortal prigione5 ond’era uscita
Subito indietro a riguardar si volse
Tutta ancor sospettosa e sbigottita6.
Ma dolce7 con un riso la raccolse
E confortolla l’angelo beato
15Che contro Dite8 a conquistarla tolse.
E, Salve, disse, o spirto fortunato,
Salve, sorella del bel numer una9,
Cui rimesso è dal cielo ogni peccato.
Non paventar: tu non berai10 la bruna
20Onda d’Averno, da cui volta è in fuga
Tutta speranza di miglior fortuna.
Ma la giustizia11 di lassú, che fruga
Severa, e in un pietosa in suo diritto12,
Ogni labe13 dell’alma ed ogni ruga,
25Nel suo registro adamantino14 ha scritto,
Che all’amplesso di Dio non salirai
Finché non sia di Francia ulto15 il delitto.
Le piaghe16 intanto e gl’infiniti guai,
Di che fosti gran parte17, or per emenda
30Piangendo in terra e contemplando andrai.
E supplicio ti fia la vista orrenda
Dell’empia patria tua, la cui lordura
Par che del puzzo i firmamenti offenda;
Sí che l’alta vendetta è già matura18,
35Che19 fa dolce di Dio nel suo segreto
L’ira ond’è colma la fatal misura.
Cosí parlava; e riverente e cheto
Abbassò l’altro le pupille, e disse:
Giusto20 e mite, o Signor, è il tuo decreto.
40Poscia21 l’ultimo sguardo al corpo affisse
Già suo consorte in vita, a cui le vene
Sdegno di zelo e di ragion trafisse22;
Dormi in pace23, dicendo, o di mie pene
Caro compagno, infin che del gran die24
45L’orrido squillo a risvegliar ti viene.
Lieve intanto la terra25 e dolci e pie
Ti sian l’aure e le piogge, e a te non dica
Parole il passeggier26 scortesi e rie.
Oltra il rogo27 non vive ira nemica,
50E nell’ospite suolo28, ov’io ti lasso,
Giuste son l’alme, e la pietade è antica29.
Torse, ciò detto, sospirando il passo
Quella mest’ombra, e alla sua scorta dietro
Con volto s’avviò pensoso e basso30;
55Di ritroso fanciul tenendo il metro31,
Quando la madre a’ suoi trastulli il fura,
Che il piè va lento innanzi e l’occhio indietro32.
Già33 di sua veste rugiadosa e scura
la notte il mondo, allor che diero
60Quei duo le spalle alle romulee mura.
E nel levarsi a volo ecco di Piero
Sull’altissimo tempio alla lor vista
Un cherubino34 minaccioso e fiero;
Un di quei sette35 che in argentea lista
65Mirò fra i sette candelabri ardenti
Il rapito di Patmo evangelista36.
Rote di fiamme gli occhi rilucenti37
E cometa che morbi e sangue adduce38
Parean le chiome abbandonate ai venti.
70Di lugubre vermiglia orrida luce
Una spada brandía, che da lontano
Rompea la notte e la rendea piú truce;
E scudo sostenea la manca mano
Grande cosí, che da nemica offesa
75Tutto copría coll’ombra il Vaticano39;
Com’aquila40 che sotto alla difesa
Di sue grand’ali rassicura i figli
Che non han l’arte delle penne appresa,
E, mentre la bufera entro i covigli
80Tremar fa gli altri augei, questi a riposo
Stansi allo schermo41 de’ materni artigli.
Chinârsi in gentil atto ossequïoso,
Oltre volando i due minori42 spirti
Dell’alme chiavi al difensor sdegnoso.
85Indi veloci in men che nol so dirti
Giunsero dove gemebondo e roco
Il mar si frange tra le sarde sirti.
Ed al raggio di luna incerto e fioco
Vider spezzate antenne, infrante vele43,
90Del regnator libecchio orrendo gioco44,
E sbattuti dall’aspra onda crudele
Cadaveri e bandiere; e disperdea45
L’ira del vento i gridi e le querele.
Sul lido intanto il dito si mordea46
95La temeraria Libertà di Francia,
Che il cielo e l’acque disfidar parea.
Poi del suo ardire si battea la guancia47,
Venir mirando la rival Brettagna
A fulminarle dritta al cor48 la lancia,
100E dal silenzio49 suo scossa la Spagna
Tirar50 la spada anch’essa e la vendetta
Accelerar d’Italia e di Lamagna51:
Mentre il Tirren che la gran preda52 aspetta
Già mormora e si duol che la sua spuma
105Ancor non va di franco sangue infetta,
E l’ira nelle53 sponde invan consuma,
Di Nizza inulto rimirando il lutto54
Ed Oneglia a che ancor combatte e fuma55.
Allor che vide la ruina e il brutto
110Oltraggio la francese anima schiva56,
Non tenne il ciglio per pietade asciutto:
Ed il suo fido condottier seguiva
Vergognando e tacendo, infin che sopra
Fur di Marsiglia57 alla spietata riva.
115Di ferità58, di rabbia orribil opra
Ei vider quivi, e Libertà che stolta
In59 Dio medesmo l’empie mani adopra.
Videro, ahi vista!, in mezzo della folta60
Starsi una croce col divin suo peso
120Bestemmiato61 e deriso un’altra volta,
E a piè del legno redentor disteso
Uom coperto di sangue tuttoquanto,
Da cento punte in cento parti offeso.
Ruppe a tal vista in un piú largo pianto
125L’eterea pellegrina62; ed una vaga
Ombra cortese le si trasse a canto.
Oh tu cui sí gran doglia il ciglio allaga,
Pietosa anima, disse, che qui giunta
Se’ dove di virtude il fio si paga,
130Sòstati63 e m’odi. In quella spoglia emunta
D’alma e di sangue (e l’accennò), per cui
Sí dolce in petto la pietà ti spunta,
Albergo io m’ebbi: manigoldo fui
E peccator; ma l’infinito amore
135Di quei mi valse che morí per nui.
Perocché dal costoro empio furore
A gittar strascinato (ahi! parlo o taccio?)64
De’ ribaldi il capestro al mio Signore,
Di man mi cadde l’esecrato laccio,
140E rizzârsi65 le chiome, e via per l’ossa
correr m’intesi e per le gote il ghiaccio.
Di crudi colpi allor rotta e percossa
Mi sentii la persona, e quella croce
Fei del mio sangue anch’io66 fumante e rossa:
145Mentre67 a Lui che quaggiú manda veloce
Al par de’ sospir nostri il suo perdono
Il mio cor si volgea piú che la voce.
Quind’ei m’accolse Iddio clemente e buono68,
Quindi un desir mi valse il paradiso,
150Quindi beata eternamente io sono.
Mentre l’un sí parlò, l’altro in lui fiso69
Tenea lo sguardo, e sí piangea70, che un velo
Le lagrime gli fean per tutto il viso;
Simigliante ad un fior che in su lo stelo71
155Di rugiada si copre in pria che il sole
Co’ raggi il venga a colorar dal cielo.
Poi, gli amplessi mescendo e le parole,
De’ propri casi il satisfece anch’esso72,
Siccome fra cortesi alme si suole.
160E questi, e l’altro, e il cherubino appresso,
Adorando la croce e nella polve
In devoto cadendo atto sommesso,
Di Dio cantaro la bontà che solve73
Le rupi in fonte ed ha sí larghe braccia74
165Che tutto prende ciò che a lei si volve.
Sollecitando poscia la sua traccia75
L’alato duca, l’ombre benedette
si disser vale e si baciaro in faccia.
Ed una si rimase alle vedette76,
170Ad aspettar che su la rea Marsiglia
Sfreni77 l’arco di Dio le sue saette.
Sovra il Rodano78 l’altra il vol ripiglia,
E via trapassa d’Avignon la valle
Già di sangue civil fatta vermiglia:
175D’Avignon, che, smarrito il miglior calle79,
Alla pastura intemerata e fresca
Dell’ovile roman volse le spalle,
Per gir co’ ciacchi80 di Parigi in tresca
A cibarsi di ghiande, onde la Senna81,
180Novella Circe82, gli amatori adesca.
Lasciò Garonna83 addietro, e di Gebenna
Le cave rupi e la pianura immonda
Che ancor la strage camisarda accenna.
Lasciò l’irresoluta e stupid’onda
185D’Arari84 a dritta, e Ligeri a mancina,
Disdegnoso del ponte e della sponda85.
Indi varca la falda tigurina86,
a cui fe’ Giulio dell’augel di Giove87
Sentir la prima88 il morso e la rapina.
190Poi Niverno89 trascorre, ed oltre move
Fino alla riva u’90 d’Arco la donzella
Fe’ contra gli Angli le famose prove.
Di là ripiega inverso la Rocella91
Il remeggio dell’ali92, e tutto mira
195Il suol93 che l’aquitana onda flagella.
Quindi ai celtici boschi si rigira
Pieni del canto che il chiomato bardo94
Sposava al suon di bellicosa lira.
Traversa Normandia, traversa il tardo95
200Sbocco di Senna e il lido che si fiede96
Dal mar britanno infino al mar piccardo.
Poi si converte ai gioghi97 onde procede
La Mosa e al piano98 che la Marna lava,
E orror per tutto, e sangue e pianto vede.
205Libera vede andar la colpa, e schiava
La virtú, la giustizia, e sue bilance
In man del ladro e di vil ciurma prava,
A cui le membra grave-olenti99 e rance
Traspaiono da’ sai100 sdruciti e sozzi,
210Né fur mai tinte per pudor le guance.
Vede luride forche e capi mozzi,
Vede piene le piazze e le contrade
Di fiamme, d’ululati101 e di singhiozzi.
Vede in preda al furor d’ingorde spade
215Le caste chiese, e Cristo in sacramento
Fuggir ramingo per deserte strade,
E i sacri bronzi in flebile lamento
Giú calar dalle torri e liquefarsi
In rie bocche102 di morte e di spavento.
220Squallide vede le campagne ed arsi
I pingui cólti103, e le falci e le stive
In duri stocchi e in lance trasmutarsi104.
Odi frattanto risonar le rive
Non di giocondi pastorali accenti,
225Non d’avene, di zuffoli e di pive,
Ma di tamburi e trombe e di tormenti105:
E il barbaro soldato al villanello106
Le mèssi invola e i lagrimati107 armenti.
E invan si batte l’anca108 il meschinello,
230Invan si straccia il crin disperso e bianco
In su la soglia del deserto ostello109:
Ché non pago d’avergli il ladron franco
Rotta del caro pecoril110 la sbarra,
I figli, i figli strappagli111 dal fianco;
235E del pungolo invece e della marra
D’armi li cinge dispietate e strane,
E la ronca converte in scimitarra.
All’orbo padre intanto ahi! non rimane
Chi la cadente vita gli sostegna,
240Chi112 sovra il desco gli divida il pane.
Quindi lasso la luce egli disdegna,
E brancolando113 per dolor già cieco
Si querela che morte ancor non vegna.
Né pietà di lui sente altri che l’eco,
245Che cupa ne ripete e lamentosa
Le querimonie114 dall’opposto speco.
Fremé d’orror, di doglia generosa
Allo spettacol fero e miserando
La conversa d’Ugon alma sdegnosa,
250E si fe’ del color115 ch’il cielo è quando
Le nubi immote e rubiconde a sera
Par che piangano il dí che va mancando116.
E tutta pinta di rossor com’era
Parlar, dolersi, dimandar volea117,
255Ma non usciva la parola intera:
Ché la piena del cor lo contendea:
E tuttavolta il suo diverso affetto
Palesemente col tacer dicea118.
Ma la scorta fedel, che dall’aspetto
260Del pensier s’avvisò119, dolce alla sua
Dolorosa seguace ebbe sí detto:
Sospendi il tuo terror, frena la tua
Indignata pietà, ché ancor non hai
Nell’immenso suo120 mar volta la prua.
265S’or sí forte ti duoli, oh! che farai,
Quando l’orrido palco e la bipenne121...
Quando il colpo fatal..., quando vedrai?...
E non finí; ché tal gli sopravvenne
Per le membra immortali un brividío,
Che a quel truce pensier troncò le penne122;
Sí che la voce in un sospir morío.
Varianti
N. B. Queste varianti sono state ricavate dalla prima edizione romana citata.
99. A ferirla nel fianco e nella pancia
103. che l’empia preda aspetta
173-4. E via sovr’esso d’Avignon la valle Passa di sangue cittadin vermiglia.
184. Restò l’irresoluta
231. del tradito ostello.
261. Magnanima seguace
Note
- ↑ Già vinta ecc.: La lotta fra uno spirito celeste o uno infernale per il possesso dell’anima del morto, che dà materia a due delle piú belle e drammatiche scene della D. Commedia (Cfr. Inf. xxvii, 112-129 e Purg. v, 103-129), è qui solamente accennata.
- ↑ vòta ecc.: Su la morte del Bass. il M. compose anche due sonetti (ed. Card., 288 e seg.), nel secondo de’ quali fa che Plutone risponda a Minosse: «Roma che incrudelí su la sua salma, Roma nemica a noi la rese (l’anima) a Cristo».
- ↑ Come lion ecc.: Ariosto, XVIII, 178: «Como impasto leone.... Che lunga fame abbia smacrato e asciutto».
- ↑ e le commosse ecc.: «Tot Erynnis sibilat hydris, disse Virgilio [En. VII, 447], da cui sembra che il nostro poeta abbia preso il sibilo dei serpenti che attribuisce al demonio in luogo di crini, nel modo appunto che si dipingono le Furie. Il movimento di questo serpi non è che la poetica espressione dello sdegno di Satana nel vedersi tolta la preda; ed è imitazione d’Ovidio, che nel quarto delle Metam. [v. 491] cosí descrisse il moversi di Tisifone:.... motae sonuere colubrae: Parsque iacent humeris, pars circum tempora lapsae Sibila dant, saniemque vomunt, linguasque coruscant». Mt. Cfr. anche Dante Inf. ix, 41.
- ↑ mortal prigione: Il corpo è dotto anche dal Petrarca terreno carcere (P. II, son. 77), bella prigione (P. II, canz. IV, 9), prigion (P. I, canz. VII, 20) ecc. ecc.
- ↑ Subito ecc.: Dante Inf. i, 22: «E come quei, che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva, Si volge all’acqua perigliosa e guata...».
- ↑ dolce: in forza avverb.
- ↑ Dite: cfr. la nota al v. 44 p. 38.
- ↑ del bel numer una: una delle salvate. La medesima locuzione, ma con altro senso, è nel Petrarca P. II, canz. VIII, 14: «Vergine saggia, e del bel numer una...».
- ↑ tu non berai ecc.: tu non anderai all’inferno, da cui ogni speranza di miglior condizione fugge. Dante Inf. iii, 9: «Lasciate ogni speranza, voi che entrate»: v, 44: «Il Nulla speranza gli conforta mai, Non che di posa, ma di minor pena».
- ↑ Ma la giustizia ecc.: «L’idea fondamentale di questo poema è la condanna del protagonista. Or codesta pena, veramente singolare, è una parte della condanna che nel «Messia» fu decretata a Giuda. A lui grida Obbadone, l’angelo della morte: «Colui che nella formidabil destra ha la bilancia e nella sinistra la morte, ha detto: Non c’è misura, né numero ai tormenti che saranno accumulati sul capo del traditore. Ma, prima, tu gli mostrerai il Redentore che pende tutto sangue dalla croce; poi, di lontano, il regno della beatitudine, e in ultimo lo menerai nell’abisso» (Messia, VII, 236). Come dicevo, la condanna di Bassville è simile, anzi identica all’ultima parte della condanna di Giuda; cosí questi, come quegli, dovrà patire un supplizio morale, che consisterà nella vista degli effetti del proprio delitto; e cosí questi, come quegli, udita la sentenza, si muoverà dietro all’angelo a cui n’è commessa l’esecuzione (Messia, VII, 244). Che se per Giuda il viaggio è principio di nuove e maggiori pene, e per Bassvillo è pena unica, alla quale seguirà la beatitudine; codeste sono differenze che non riguardano ciò che di piú essenziale è nelle due finzioni». Zumb., p. 11. — fruga: punisce. Dante Inf. xxx, 70: «La rigida giustizia che mi fruga». Purg. iii, 3: «Rivolti al monte, ove ragion ne fruga».
- ↑ Severa, per il gastigo; pietosa, per la beatitudine che al gastigo del purgatorio fa seguire.
- ↑ labe: macchia (lat.). — ruga: Ariosto XII, 82: «Virtude andava intorno con lo speglio, Che fa veder nell’anima ogni ruga».
- ↑ adamantino: di diamante, eterno, e quindi ne’ suoi decreti immutabile.
- ↑ ulto: vendicato (lat.). Ariosto XLI, 62: «Per questo tardi vendicato od ulto Fia dalla moglie....»
- ↑ Le piaghe: gli effetti delle cattive opere de’ malvagi. Dante Purg. vii, 93: «le piaghe c’hanno Italia morta».
- ↑ Di che ecc.: «Enea, raccontando i mali della sua patria, disse, Quorum pars magna fui [En. II, 6]; e avea ben ragione di dirlo. Ma che ha egli fatto questo Bassv. per meritare l’onore di un dotto cosi magnifico? perchè ingrandirlo a spese del vero?» È il Monti stesso che nota il difetto.
- ↑ matura: vicina a scoppiare.
- ↑ Che ecc.: la quale, nascosta nel segreto de’ giudizi di Dio, raddolcisce la giusta ira di lui colla certezza che il peccato verrà punito. Dante Purg. xx, 94: «O Signor mio, quando sarò io lieto A veder la vendetta, che nascosa Fa dolce l’ira tua nel tuo segreto?»
- ↑ Giusto ecc.: Salmi CXVIII, 137: «Giusto se’ tu, o Signore, e retti sono i tuoi giudizi».
- ↑ Poscia ecc.: Varano Vis. V, 541: «La sciolta accompagnaro (gli Angeli) alma immortale, Che dall’aurata nube, in cui si chiuse, Diè un guardo e dir addio parve al suo frale».
- ↑ di zelo ecc.: mosso da fervore religioso e da ragione. Ma fu tutt’altro, ché l’assassinio è sempre cosa brutale. Cfr. la nota al v. 62 del c. III.
- ↑ Dormi ecc.: Salmi IV, 8: «In pace io dormirò e mi riposerò».
- ↑ gran die: Anche Dante (Purg. I, 75) chiama cosí il giorno del giudizio universale.
- ↑ Lieve... la terra: Sit tibi terra levis, deprecazione classica, che s’assomiglia alle altre, pur usate, del sit humus cineri non onerosa tuo = molliter ossa cubent ecc. Cfr. Tibullo II, iv, 49; Ovidio Trist. III, iii, 71 ecc. Cfr. anche Parini Od. XVII, 120.
- ↑ il passeggier: perché de’ tumoli, in antico, se ne ponevano anche lungo le vie.
- ↑ rogo: morte, riferendosi all’uso classico della cremazione. Ariosto Sat. VII, 235: «Che dalla creazione in fino al rogo Di Giulio, e poi sett’anni anco di Leo Non mi lasciò fermar molto in un luogo». — non vive ira nemica: Quinto Calabro Paralip. I, 806: Mortuis non est irascendum, immo misericordia digni sunt.
- ↑ nell’ospite suolo ecc.: in Roma.
- ↑ la pietade è antica: Properzio III, xxii, 21: Pietate potentes stamus. Cfr. anche Virgilio En. VI, 854.
- ↑ basso: è effetto del pensoso. Cfr. Dante Purg., xix, 40.
- ↑ il metro: il modo.
- ↑ Che il piè ecc.: Petrarca Trionf. d’Am. IV, 166: «Che ’l piè va innanzi, e l’occhio torna indietro». Tasso IV, 55: «Fea l’istesso cammin (di rivolgersi indietro) l’occhio e ’l pensiero, E mal suo grado il piede innanzi giva».
- ↑ Già ecc.: «Fra i molti luoghi di Omero tradotti da Virgilio annovera Macrobio nel cap. V dei Saturnali questi due versi dell’Eneide [II, 250]: Vertitur interea coelum, et ruit oceano nox Involvens umbra magna terramque polumque; al qual concetto fa eco quest’altro pure dell’Eneide [IV, 351]: ...humentibus umbris Nox operit terras». Mt.
- ↑ cherubino: angelo della ottava gerarchia. Cfr. Dante Par. xxviii, 98 e segg.
- ↑ Un di quei sette ecc.: Apocalisse I, 12 e segg.: «E rivolto che fui, vidi sette candellieri d’oro: e in mezzo ai sette candellieri uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: ed avea nella destra sette stelle: ....le sette stelle sono i sette angeli delle chiese: e i sette candellieri sono le sette chiese». (Accenna alle sette prime chiese dell’Asia Minore, cioè a quello di Efeso, Smirne, Pergamo ecc.).
- ↑ Il rapito ecc.: Giovanni evangelista, che fu da Domiziano relegato nell’isola di Patmos, una delle Sporadi nel mar Egeo, come sedizioso «a causa della parola di Dio, e della testimonianza renduta a Gesú». Apocalisse I, 9.
- ↑ Rote ecc.: Solo questo verso è imitato dall’Apoc. (I, 14), ove del simbolo di Gesú è detto che aveva gli «occhi come fuoco fiammante» (Cfr. anche Virgilio En. VI, 300 e Dante Inf. iii, 99): il resto della bellissima descrizione è del M.
- ↑ E cometa ecc.: cfr. la nota al v. 45, p. 11.
- ↑ E scudo ecc.: «Questo scudo veramente è un po’ piú grande di quello d’Aiace, che l’avea piú grande ancora d’Achille; ma è ben piccolo a paragone di quello dell’angelo protettore di Raimondo nel canto VII della Gerusalemme, st. 82: «Grande che può coprir genti e paesi, Quanti ve n’ha fra ’l Caucaso e l’Atlante». Che diremo dell’elmo di Pallade nel quinto dell’Iliade, sufficiente a coprire un esercito tratto da cento città? La poesia ama molto di vestire le idee astratte d’immagini allegoriche o sensibili». Mt.
- ↑ Com’aquila ecc.: «Questa similitudine scritturale allude all’imperturbabile tranquillità della Chiesa romana nel tempo che altrove si tremava tanto al romore dell’armi francesi». Mt. Cfr. Deuteronomio XXX, 11.
- ↑ schermo: riparo.
- ↑ Minori del cherubino.
- ↑ Poco prima della morte del Bassville, la flotta francese, mandata da Nizza (presso cui scorre il Varo: cfr. il v. 53 del c. III) a impadronirsi della Sardegna, ebbe a sostenere replicate e fiere tempeste, che la danneggiarono grandemente e la respinsero dall’isola.
- ↑ Del regnator ecc.: «Anche l’Ariosto [XIX, 51] disse: «E sol del mar tiran libecchio resta.» Il che vale lo stesso che regnatore, per denotare il predominio di questo vento sopra quel mare. Nell’istesso senso Orazio [Od. II, xvii, 19], tyrannus hesperiae Capricornus undae, e altrove [Od. I, iii, 15] parlando del vento Noto, quo non arbiter Adriae maior». Mt. Cfr. anche Od. III, iii, 4.
- ↑ e disperdea ecc.: per compiere la scena il p. fa che i gridi e le querele de’ naufraghi si sentissero ancora: ma in fatto si doverono sentir solo nel momento del naufragio, cioè prima. Cfr. Della V. p. 99.
- ↑ si mordea, per rabbia delle sventure toccatele. Cfr. Dante Inf. xxxiii, 58 e Tasso IV, 1.
- ↑ si battea la guancia: si doleva di aver provocata l’Inghilterra. Ariosto I, 6: «Per fare al re Marsilio e al re Agramante Battersi ancor del folle ardir la guancia».
- ↑ A fulminarle.... al cor: A dirizzarle come fulmine al cuore ecc.
- ↑ silenzio: inerzia.
- ↑ Tirar: cavar dal fodero.
- ↑ Lamagna: Alemagna. Qui, per gli stati tedeschi.
- ↑ la gran preda: tutta la flotta francese da disperdere.
- ↑ nelle: contro.
- ↑ Di Nizza ecc.: Il generale Anselme nel ’92 aveva conquistata la città o contea di Nizza, commettendo crudeltà inaudite. — inulto: invendicato.
- ↑ Ed Oneglia ecc.: Sempre nel ’92 l’ammiraglio Truguet bombardò Oneglia, che non volle arrendersi se non quando fu sopraffatta dalla forza. Fu poi ceduta alla repub. di Genova nel 1 giugno 1801.
- ↑ schiva: pudica.
- ↑ Marsiglia: città marittima nel mezzodí di Francia.
- ↑ Di ferità ecc.: «Tra le molte scelleraggini nella Francia commesse prima della morte di Bassville, quella per private lettere e pubblici avvisi fu divulgata, che nel Marsigliese una turba di miscredenti spingesse tant’oltre l’odio suo contro la cattolica religione, che volle costringere il carnefice ad impiccare l’immagine di Gesú Cristo, e che, inorridendo egli di prostarsi a tanta empietà, fosse da coloro barbaramente trucidato». Mt.
- ↑ In: contro.
- ↑ folta: folla. Ariosto XVI, 49: «E dove la piú stretta e maggior folta Stiparsi vedo, impetuoso assale».
- ↑ Bestemmiato ecc.: Dante Purg. xx, 88: «Veggiolo (Cristo nella persona del pontefice) un’altra volta esser deriso; Veggio rinnovellar l’aceto e il fiele, E tra nuovi ladroni esser anciso».
- ↑ L’eterea pellegrina: l’anima di Bassv.
- ↑ Sòstati: fermati. Cfr. Dante Inf. xvi, 8. — spoglia: ciò di che altri è spogliato, e quindi anche il corpo. Petrarca P. II, son. 33: «al ciel nuda è gita, Lasciando in terra la sua bella spoglia». — emunta ecc.: priva di vita.
- ↑ ahi! parlo o taccio?: Virgilio En. III, 39: Eloquar, an sileam?
- ↑ E rizzârsi ecc.: Virgilio En. III, 48: steteruntque comae. Cfr. anche Dante Inf. xxiii, 19. — e via per l’ossa ecc.: Virgilio En. II, 120: gelidusque per ima cucurrit Ossa tremor. Cfr. anche En. VII, 446 e XI, 424.
- ↑ anch'io: come già una volta Cristo. Il concetto non è vero se si badi al determinativo quella: ma non bisogna esser troppo sottili. Cfr. Della V., p. 100.
- ↑ Mentre ecc.: Dante Purg. iii, 118: «Poscia ch’i’ ebbi rotta la persona Di due punte mortali, io mi rendei Piangendo a quei che volentier perdona».
- ↑ «Nota in questa terzina la progressione dell’idea, avvalorata dalla ripetizione; e come anche i versi esprimono la gioia che dovea sentire quell’anima, a cui il desiderio del perdono avea procacciato immediato perdono e beatitudine eterna». Pierg.
- ↑ Mentre ecc.: Dante Inf. v, 139: «Mentre che l’uno spirto questo disse, L’altro piangeva, sí che…».
- ↑ piangea: «di dolore cioè e di piacere: di dolore Dell’ascoltare l’oltraggio fatto a Dio, e la crudeltà praticata su la persona di quel cristiano carnefice: di piacere poi nell’intendere la misericordia che gli aveva usata il Signore in quel punto». Mt.
- ↑ Simigliante ecc.: Tasso IV, 75: «Parean... fiori, Se pur gl’irriga un rugiadoso nembo, Quando su l’apparir de’ primi albori Spiegano a l’aure liete il chiuso grembo».
- ↑ anch’esso: il Bassv.
- ↑ che solve ecc.: allude al miracolo di Mosè, che con una verga fece scaturire dalla pietra del monte Horeb l’acqua per dar bere agli ebrei assetati in Raphidim (Cfr. Esodo XVII, 1-7): ciò che simboleggia il potere della grazia divina nel trar lagrime di pentimento dal cuore indurito del peccatore.
- ↑ ed ha ecc.: Dante Purg. iii, 122: «Ma la bontà infinita ha sí gran braccia, Che prende ciò, che si rivolge a lei». Ecclesiastico XVII, 28: «Quanto è mai grande la misericordia del Signore e la benignità di lui con quelli, che a lui si convertono!» Cfr. anche Salmi, XXXI, 10.
- ↑ traccia: cammino. Dante Par. viii, 148: «Onde la traccia vostra è fuor di strada».
- ↑ Ed una: l’anima del manigoldo. — alle vedette: in osservazione.
- ↑ Sfreni: liberi dal freno, cioè scocchi.
- ↑ Rodano: gran fiume ad occidente di Marsiglia, nelle pianure bagnate dal quale sorge Avignone, che fu già sede del pontefice (1309-1378), e poi venne amministrata da un legato fino al 1791, in cui, dopo sanguinose guerre civili fra conservatori e repubblicani, fu annessa alla repub. francese.
- ↑ il miglior calle: la retta via, quella della soggezione alla Chiesa.
- ↑ ciacchi: porci. — in tresca: La tresca è propriamente danza fatta di mani e di piedi: ma qui deve intendersi per malvagia compagnia, come in quel del Petrarca (Trionf. Fam. II, 107): «e vidi in quella tresca Zenobia, del suo onor assai piú scarsa».
- ↑ la Senna: Parigi. Cfr. la nota al v. 39, p. 4.
- ↑ Circe: Cfr. la nota al v. 278, p. 19. Cfr. anche Dante Purg. xiv, 40 e segg.
- ↑ Garonna: oggi Gironda, gran fiume che nasce nella Catalogna, passa per la Linguadoca e la Guienna e si getta nell’oceano non molto lungi da Bordeaux. — di Gebenna ecc.: gli alti monti della Linguadoca inferiore (Cévennes), ove, sul principio del sec. xviii, i Camisardi (specie di Calvinisti detti cosí o da camisade, termine guerresco che vuol dire sortita improvvisa, o dalla veste che portavano a guisa di camicia), profittando della guerra tra la Francia e la Spagna per una parte e l’Austria per l’altra, commisero grandi crudeltà contro i cattolici, e dove furono sconfitti interamente dal maresciallo di Villars nel 1703.
- ↑ Arari: la Saona. Cfr. la nota al v. 25 del Congr. Cis. in Lione. — Ligeri: la Loira (lat. Liger), il maggior fiume della Francia, navigabile per 835 ch. e piú, che bagna le città di Nevers, Orléans ecc., riceve molti affluenti e si getta nell’Atlantico non lungi da Nantes.
- ↑ Disdegnoso ecc.: Esprime la pienezza e rapidità del fiume con frase virgiliana. En. VIII, 728: pontem indignatus Araxes.
- ↑ la falda tigurina ecc.: «Giulio Cesare racconta che, mentre l’esercito degli Elvezii aveva già con tre delle quattro sue parti tragittato l’Arari, sorprese egli la quarta parte, prima che questa pure tragittasse, e la disfece. Indi soggiunge che il luogo di quella battaglia pagus appellabatur Tigurinus. Il poeta nostro adunque, ragionevolmente supponendo che fosse l’Arari medesimo il termine di quel territorio, appella il campo di battaglia falda tigurina, che è quanto dire, lembo, estremità del tigurino distretto». Mt. Cfr. De Bello Gall. I, 12.
- ↑ dell’augel di Giove: dell’aquila (insegna, com’è noto, dell’esercito romano), che Virgilio (En. I, 394) chiama Iovis ales. Cfr. anche Dante Par. vi, 4.
- ↑ la prima: per la prima volta.
- ↑ Niverno: la città di Nevers (lat. Nivernum), al confluente della Loira e della Nièvre.
- ↑ u': ove (lat. ubi). — d’Arco la donzella: Giovanna (la Pulcella d’Orléans), contadina di Domremy, tra la Lorena e la Sciampagna, nata nel 1410 da Giacomo d’Arc e da Isabella Romei. Vestito l’abito guerriero, per ispirazione, com’ella disse, del cielo, l’8 maggio 1429 liberò Orléans dall’assedio degl’Inglesi e il 17 luglio fece incoronare re di Francia Carlo VII nella cattedrale di Reims. Caduta in mano degl’Inglesi, fu, sotto l’ingiusta accusa d’eresia, bruciata nella piazza di Rouen il 31 maggio 1431.
- ↑ Rocella: città, con porto sull’Atlantico, ad occidente della Francia.
- ↑ Il remeggio dell’ali: Virgilio En. I, 300: Volat ille per aera magnum Remigio alarum. Le ali servono come di remi nel mare dell’aria.
- ↑ Il suol ecc.: il sinus Aquitanus de’ Latini, cioè quella parte della Francia occidentale ch’è tra la Brettagna e la Biscaglia.
- ↑ bardi: «Pochi sono gli antichi storici che non parlino di questi Celti, e di questi Bardi abitatori della Gallia Celtica, cosí chiamati, secondo alcuni, da un certo Bardo, figliuolo di Dionisio, che vi regnò; ma secondo altri, dall’arte che professavano, volendo Bardi in lingua celtica significar cantori. La loro professione adunque era la poesia. Scrivevano in versi le azioni degli uomini grandi, e le cantavano al suono d’un istrumento, simile molto alla lira. Quindi Lucano [I, 447]: Vos quoque, qui fortes animas belloque peremtas Laudibus in longum vates dimittitis aevum, Plurima securi fudistis carmina, Bardi… L’epiteto poi di chiomato è proprio di loro per due ragioni, e perché abitavano quella parte della Gallia che appellavasi comata e perché, scrive Burmanno, praecipue alebant comam». Mt.
- ↑ il tardo ecc.: la Senna sbocca lentamente nel mare, per mezzo di una larghissima foce, a cagione della poca pendenza del suolo.
- ↑ il lido che si fiede ecc.: quella parte della Francia settentrionale, ch’è percossa (propriam. ferita) dall’acqua del mare.
- ↑ ai gioghi ecc.: La Mosa, l’origine della quale Cesare suppose erroneamente fosse il monte Vogeso nella Lorena (De Bello Gall. IV, 10), nasce noi monti Faucilles, che congiungono la Costa d’oro ai Vosgi. Dei 700 ch. del suo corso, 400 appartengono alla Francia; gli altri, al Belgio e all’Olanda.
- ↑ al piano ecc.: alla Sciampagna, bagnata dal fiume Marna, che sbocca nella Senna poco sopra Parigi.
- ↑ grave-olenti: «Vocabolo latino, fratello del bene-olenti, che con tanta grazia adoperò l’Ariosto in quel verso: «Sparge per l’aria i bene-olenti spirti», per aliti odorosi e soavi, ad imitazione del lucreziano [III, 223]: Spiritus unguenti suavis diffugit in auras». Mt.
- ↑ sai: calzoni.
- ↑ d’ululati ecc.: «Gli ululati e i singhiozzi non si vedono, ma si odono, si sentono... Come i gridi e le parole, possono soltanto essere veduti negli uomini, da cui vengono, deducendoli in certi casi dai moti della bocca, ma non mai nelle piazze e nelle contrade». Della V., p. 102.
- ↑ In rie bocche ecc.: in cannoni.
- ↑ cólti: campi coltivati. — stive: i manichi degli aratri. Qui, tutte le parti di essi aratri fatte di ferro.
- ↑ In duri ecc.: Virgilio Georg. I, 508: Et curvae rigidum, falces conflantur in ensem. Cfr. anche En. VII, 635; Stazio Teb. III, 588; Prometeo I, 490 ecc.
- ↑ tormenti: cannoni (lat.).
- ↑ Villanello «viene qui usato non in senso diminutivo, ma in senso assoluto, come sarebbe poverello, vecchierello, ladroncello, invece di povero, vecchio, ladro. Cosí Dante nel xxiv [7] dell’Inferno: «Lo villanello a cui la roba manca»; e nel xii [131] del Paradiso, parlando de’ santi anacoreti, li chiamò scalzi poverelli» . Mt.
- ↑ lagrimati: perché ad allevarli costan fatiche e sacrifizi.
- ↑ Si batte l’anca, per dolore. Dante Inf. xxiv, 9: «ond’ei si batte l’anca».
- ↑ ostello: casa, abituro.
- ↑ pecoril: ovile.
- ↑ Strappagli, per la coscrizione militare: perciò l’ostello è deserto e il padre orbo, cioè privo di sostegno.
- ↑ Chi ecc.: Geremia IV, 4: «I fanciulli domandavan del pane, e non era chi loro lo spezzasse».
- ↑ E brancolando ecc.: Dante Inf. xxxiii, 117: «ond’io mi diedi Già cieco a brancolar sovra ciascuno».
- ↑ Le querimonie ecc.: cfr. Feron. c. I, v. 469 e Ariosto XXVII, 117.
- ↑ E si fe’del color ecc.: Dante Par. xxvii, 28: «Di quel color, che, per lo sole avverso, Nube dipinge da sera e da mane». — Parche ecc.: Dante Purg. viii, 6: «se ode squilla di lontano, Che paia il giorno pianger che si muore».
- ↑ Parlar ecc.: Amplificazione di quel di Virgilio (En. II, 790): lacrimantem et multa volentem Dicere deseruit.
- ↑ Palesemente, giacché, per dirla con Dante (Par. iv. 10), «il suo desir dipinto Gli era nel viso, e ’l dimandar con ello Piú caldo assai che per parlar distinto».
- ↑ s’avvisò: s’accorse.
- ↑ suo: della pietà.
- ↑ la bipenne: la scure a due tagli. Qui, la ghigliottina, ove fu decapitato Luigi XVI.
- ↑ Quando ecc.: «Reticenze che preparano l’animo dell’
- ↑ troncò le penne: Il pensiero è qui personificato. Cfr. la nota al v. 4, Sopra sé stesso.