Il vero amico/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Camera in casa di Lelio.
Florindo solo passeggia e pensa, poi dice:
Sì, vi vuol coraggio: bisogna fare un’eroica risoluzione. L’amicizia ha da prevalere, e alla vera amicizia bisogna sagrificare le proprie passioni, le proprie soddisfazioni, e ancora la vita stessa, se è necessario. Ehi, Trivella. (chiama)
SCENA II.
Trivella e detto.
Trivella. Signore.
Florindo. Presto, metti insieme la mia roba, va alla posta, e ordina un calesse per mezzogiorno.
Trivella. Per dove? se la domanda è lecita.
Florindo. Voglio tornare a Venezia.
Trivella. Così improvvisamente? L’è successo qualche disgrazia? Ha ella avuto qualche cattivo incontro?
Florindo. Per adesso non ti dico altro. Per viaggio ti conterò tutto.
Trivella. Caro signor padrone, perdoni se un servitore a troppo si avanza; ma ella sa la mia fedeltà, e si ricordi che il suo signore zio, in questo viaggio che le ha accordato di fare, mi ha dato l’onore di servirla, come antico di casa, ed ha avuto la bontà di dire che si fidava unicamente di me, e che alla mia fedel servitù appoggiava le sue speranze. La supplico per amor del cielo di farmi partecipe del motivo della sua risoluzione, acciò possa assicurare il suo signore zio, che una giusta ragione l’ha indotto a partire in una maniera, che darà certamente da mormorare.
Florindo. Caro Trivella, il tempo passa, e non lo posso perdere in farti un lungo discorso, per parteciparti i motivi della mia partenza. Questa volta contentati di fare a modo mio. Va a ordinare questo calesse1.
Trivella. Sanno questi signori, dei quali è ospite, che vuol andar via?
Florindo. Non lo sanno; ma in due parole glielo dico, mi licenzio, li ringrazio e parto.
Trivella. Che vuol ella che dicano di questa improvvisa risoluzione?
Florindo. Dirò che una lettera di mio zio mi obbliga a partire subito.
Trivella. Dispiacerà alla signora Beatrice che V. S. vada via2.
Florindo. La signora Beatrice merita ogni rispetto, ed io la venero come zia di Lelio, ma nell’età sua avanzata la sua passione è ridicola e m’incomoda infinitamente.
Trivella. Ma dispiacerà più al signor Lelio...
Florindo. Sì, Lelio è il più caro amico ch’io m’abbia. Per amor suo son venuto a Bologna. A Venezia l’ho tenuto e l’ho trattato in casa mia3 come un fratello, ed a lui ho giurato una perfetta amicizia. Adesso sono in casa sua, vi sono stato quasi un mese e vorrebbe che vi stessi ancora, ma non mi posso più trattenere. Presto, Trivella4, va a ordinare il calesse.
Trivella. Ma aspetti almeno che il signor Lelio ritorni a casa.
Florindo. Non vi è in casa presentemente?5
Trivella. Non vi è.
Florindo. Dove mai sarà?
Trivella. Ho sentito dire che sia andato a far vedere un anello alla signora Rosaura, che ha da essere la sua sposa.
Florindo. (Ah pazienza!) (da sè) Via, non perdiamo tempo. Presto, va alla posta; mezzogiorno sarà poco distante.
Trivella. Oh! vi mancheranno più di tre ore. Se vuole, può andare a trovare6 il signor Lelio in casa della signora Rosaura.
Florindo. Non ho tempo, non mi posso fermare.
Trivella. Per dirla, quella signora le ha fatto delle gran finezze; in verità sembrava innamorata di vossignoria.
Florindo. Oh cielo! Trivella, oh cielo! non mi tormentar d’avvantaggio.
Trivella. Come? Che vuol ella dire?
Florindo. Questo calesse, per carità. (smaniando)
Trivella. Che cosa son queste smanie? Diventa di cento colori. La signora Rosaura le fa risentire i vermini?
Florindo. Via, via, meno ciarle. Quando il padrone comanda, si ha da obbedire7.
Trivella. Perdoni. (con serietà, in atto di partire)
Florindo. Dove vai?
Trivella. A ordinare il calesse. (come sopra)
Florindo. Vieni qui.
Trivella. Eccomi.
Florindo. Ti raccomando una buona sedia.
Trivella. Se la vi sarà.
Florindo. Se vedi8 il signor Lelio, digli che vado via.
Trivella. Sarà servita.
Florindo. Dove lo cercherai?
Trivella. Dalla sua sposa.
Florindo. Dalla signora Rosaura?
Trivella. Dalla signora Rosaura.
Florindo. Se la vedi, dille ch’io la riverisco. (patetico)
Trivella. Le ho da dir9 che va via?
Florindo. No.
Trivella. No?
Florindo. Sì, sì...
Trivella. Come vuole che dica?
Florindo. Dille... No, no, non le dir niente.
Trivella. Dunque vuol partire senza che lo sappia?
Florindo. Bisognerebbe... Vien la signora Beatrice10.
Trivella. Come m’ho da contenere?
Florindo. Fermati; non andare in nessun luogo.
Trivella. Non lo vuol più il calesse?
Florindo. Il calesse sì, subito.
Trivella. Ma dunque...
Florindo. Via, non mi tormentare.
Trivella. (Ho paura che il mio padrone sia innamorato della signora Rosaura, e che per non far torto all’amico, si risolva di andarsene).11 (parte)
SCENA III.
Florindo solo.
Non partirò senza veder l’amico. Aspetterò che torni e l’abbraccerò. Ma anderò via senza veder Rosaura? senza darle un addio? Sì, queste due diverse passioni bisogna trattarle diversamente. L’amicizia va coltivata con tutta la possibile delicatezza. L’amore va superato colla forza e colla violenza. Ecco la signora Beatrice; voglio dissimular la mia pena, mostrarmi allegro per non far sospettare.
SCENA IV.
Beatrice e detto.
Beatrice. Ben levato il signor Florindo.
Florindo. Servitore umilissimo, signora Beatrice; appunto desiderava di riverirla.
Beatrice. Che cosa avete da comandarmi?
Florindo. Ho da supplicarla di condonare il lungo incomodo che le ho recato, ringraziarla di tutte le finezze che ella s’è degnata di farmi, e pregarla di darmi qualche comando12 per Venezia.
Beatrice. Come? A Venezia? Quando?
Florindo. A momenti; ho mandato a ordinare la posta.
Beatrice. Voi scherzate.
Florindo. In verità ella è così, signora.
Beatrice. Ma perchè questa repentina risoluzione?
Florindo. Una lettera di mio zio mi obbliga a partir immediatamente.
Beatrice. Lo sa mio nipote13?
Florindo. Non gliel’ho detto ancora.
Beatrice. Egli non vi lascerà partire.
Florindo. Spero che non m’impedirà il farlo.14
Beatrice. Se mio nipote15 vi lascia andare, farò io ogni sforzo per trattenervi.
Florindo. Non so che dire. Ella parla in una maniera che non capisco. Per qual ragione mi vuol trattenere?16
Beatrice. Ah! Signor Florindo, non è più tempo di dissimulare. Voi conoscete il mio cuore, voi sapete la mia passione.
Florindo. Ella mi fa una finezza che io non merito.
Beatrice. E siete in obbligo di corrispondere all’amor mio.
Florindo. Questo è quello che mi pare un poco diffìcile.
Beatrice. Sì, siete in obbligo di corrispondermi.17 Una donna che ha superato il rossore, ed ha svelato l’arcano dell’amor suo, non merita di essere villanamente trattata18.
Florindo. Io non l’ho obbligata a parlare.
Beatrice. Ho taciuto un mese19, ora non posso più.
Florindo. Se ella taceva un mese e un giorno, non era niente.
Beatrice. Io non mi pento di aver parlato.
Florindo. No? Perchè?
Beatrice. Perchè mi lusingo che mi amerete ancor voi.20
Florindo. Signora, sono in necessità di partire.
Beatrice. Ecco mio nipote.
Florindo. Arriva in tempo. Più presto mi licenzio, più presto parto.
SCENA V.
Lelio e detti.
Lelio. Amico, ho inteso dal vostro servo una nuova che mi sorprende. Voi volete partire? Voi volete lasciarmi?
Florindo. Caro signor Lelio, se mi amate, lasciatemi andare.21
Lelio. Non so che dire, mi converrà lasciarvi partire.
Beatrice. E avrete voi la debolezza di lasciarlo andare? Sapete perchè ci lascia? Per una vana delicatezza. Diss’egli a me: è un mese ch’io son ospite in casa vostra, è tempo che vi levi l’incomodo. Eh! che fra gli amici non si tratta così. Due mesi, quattro mesi, un anno, siete padrone di casa nostra, non è egli vero? (a Lelio)
Lelio. Sì, il mio caro Florindo, questa è casa vostra. Restatevi, ve ne prego. Non mi fate questo torto di credere d’incomodarmi. Di voi, lo vedete, non prendomi soggezione.
Florindo. Lo vedo, lo so benissimo; ma compatitemi, bisogna che vada via.
Lelio. Non so che dire.
Beatrice. Fate che egli dica il perchè. (a Lelio)
Lelio. Perchè, caro amico, volete voi andar via?
Florindo. Perchè mio zio sta male assai, e voglio andare a Venezia, avanti che muoia.
Lelio. Non vi so dar il torto.
Beatrice. Oh vedete! Ecco una bugia. Ha detto a me che lo chiamava a Venezia una lettera di suo zio, ed ora dice che suo zio sta per morire.
Florindo. Avrò detto che ho d’andare per una lettera, che tratta di mio zio.
Beatrice. Non mi cambiate le carte in mano.
Florindo. È così, l’assicuro22.
Beatrice. Mostrate questa lettera, e vedremo la verità.
Florindo. Il signor Lelio mi crede senza mostrare le lettere, senza addur testimoni.
Beatrice. Lo vedete il bugiardo? Lo vedete? Vuol andar via, perchè è annoiato di star con noi.
Lelio. Possibile che la mia amicizia vi arrechi noia? (a Florindo)
Florindo. Caro amico, mi fate torto a parlare così.
Beatrice. Signor Florindo, prima di partire spero almeno che vi lascerete da me vedere.
Florindo. Ha ella da comandarmi qualche cosa?
Beatrice. Sì, ho da pregarvi d’un affar per Venezia.
Florindo. Avanti di partire riceverò i suoi comandi.
Beatrice. (Se mi riesce di parlar seco un’altra volta con libertà, spero che si arrenderà all’amor mio, e non mi saprà dire di no). (da sè, parte)
SCENA VI.
Florindo e Lelio.
Florindo. Caro signor Lelio, è necessario, come io vi diceva, che vada via, e sarà un segno di vera amicizia, se mi lascerete partire senza farmi maggior violenza.
Lelio. Non so che dire; andate dunque, se così vi aggrada. Ma di una grazia volea23 pregarvi.
Florindo. Ed io prometto24 di compiacervi.
Lelio. Aspettate a partire fino a domani.
Florindo. Non posso dirvi di no. Ma certo mi saria più caro partir adesso.
Lelio. No, partirete dimani. Oggi ho bisogno di voi.
Florindo. Comandatemi. In che vi posso servire?
Lelio. Sapete ch’io devo sposare la signora Rosaura.
Florindo. (Ah, lo so pur troppo!)25 (da sé)
Lelio. A voi son note le indigenze della mia casa, spero di accomodarmi colla sua dote26. Ma oltre l’interesse, mi piace, perchè è una giovine molto bella e graziosa.
Florindo. (Mi fa morire). (da sè)
Lelio. Che dite, non è egli vero? Non è una bellezza particolare? Non è uno spirito peregrino?
Florindo. (Ah me infelice!) (da sé)
Lelio. Come! Non l’approvate? Non è ella bella27?
Florindo. Sì, è bella.
Lelio. Ella mostrò d’amarmi, e per qualche tempo pareva che fosse di me contenta. Ma sono parecchi giorni che cambiatasi meco, più non mi dice le solite amorose parole,28 e mi tratta assai freddamente.
Florindo. (Ah! temo d’essere io la causa di questo male). (da sè)
Lelio. Io ho procurato destramente rilevar da’ suoi labbri la verità, ma non mi è stato possibile.29
Florindo. Eh via, caro amico; parrà a voi che non vi voglia bene. Le donne son soggette anch’esse a qualche piccola stravaganza. Hanno dell’ore, in cui tutto viene loro in fastidio. Bisogna conoscerle, bisogna sapersi regolare; secondarle, quando sono di buona voglia, e non inquietarle30, quando sono di cattivo umore.
Lelio. Dite bene. Le donne sono volubili.
Florindo. Le donne sono volubili? E noi altri che cosa siamo? Ditemi, caro amico, vi siete mai trovato in faccia dell’amorosa senza volontà di parlare? Perchè volete che la ragazza sia sempre di un umore? Perchè volete che rida, mentre avrà qualche cosa che la disturba?
Lelio. Orsù, fatemi un piacere, andate voi dalla signora Rosaura; procurate che cada il discorso sulla persona mia...
Florindo. Caro Lelio, vi supplico a dispensarmi; dalla31 signora Rosaura non ho piacere d’andarvi.
Lelio. Come! Partirete voi senza congedarvi da una casa, in cui siete stato quasi ogni giorno in conversazione? Il padre di Rosaura è pur vostro amico.
Florindo. La mia premura di partire è grande, onde prego voi di far le mie parti.
Lelio. Ma se partite dimani, avete tempo di farlo da voi medesimo.
Florindo. Bisognerebbe che partissi ora.
Lelio. Mi avete promesso d’aspettare a domani.
Florindo. Sì, starò qui con voi, ma non ho voglia di complimentare.
Lelio. Voi mi fate pensare che per qualche mistero non vogliate riveder Rosaura.
Florindo. Che cosa potete voi pensare? Sono un uomo d’onore, son vostro amico, e mi fate torto, giudicando sinistramente di me.
Lelio. Dubito che qualche dispiacere abbiate ricevuto dal di lei padre.
Florindo. Basta, non so niente. Dimani vado via, e la serata la passeremo qui fra di noi.
Lelio. Il signor Ottavio, padre di Rosaura, è un uomo sordido, un avaro indiscreto, un uomo che per qualche massima storta d’economia non ha riguardo a disgustare gli amici.
Florindo. Sia com’esser si voglia, egli è vecchio, non ha altro che quell’unica figlia, e se risparmia, risparmia per voi.
Lelio. Ma se egli ha fatto a voi qualche torto, voglio che mi senta. Chi offende il mio amico, offende me medesimo.
Florindo. Via, non mi ha fatto niente.
Lelio. Se così è, andiamo a ritrovarlo.
Florindo. Fatemi questo piacere, se mi volete bene, dispensatemi.
Lelio. Dunque vi avrà fatto qualche dispiacere32 la signora Rosaura.
Florindo. Quella fanciulla non è capace di far dispiacere33 a nessuno.
Lelio. Se così è, non vi è ragione in contrario. Andiamo in questo punto a vederla.
Florindo. Ma no, caro Lelio...
Lelio. Amico, se più ricusate, mi farete sospettare qualche cosa di peggio.
Florindo. (Non34 vi è rimedio: bisogna andare). (da sé)
Lelio. Che cosa mi rispondete?
Florindo. Che ho la testa confusa, che adesso non ho voglia di discorrere, ma che per compiacervi, verrò dove voi volete.
Lelio. Andiamo dunque; ma prima sentite che cosa voglio da voi.
Florindo. Dite dunque, che cosa volete?
Lelio. Voglio che destramente rileviate l’animo della signora Rosaura, che facciate cadere il discorso sopra di me, che se ha qualche mala impressione de’ fatti miei, cerchiate disingannarla; ma se avesse fissato di non volermi amare, voglio che le diciate per parte mia, che chi non mi vuol, non mi merita.
Florindo. Io per questa sorta di cose non sono buono.
Lelio. Ah! so quanto siete franco e brillante in simili congiunture. Io non ho altro amico più fidato di voi. Prima di partire da me, dovete farmi questa finezza. Ve la dimando per quell’amicizia che a me professate; ne posso credere che vogliate lasciarmi col dispiacere di credere che non mi siate più amico35.
Florindo. Andiamo dove vi aggrada, farò tutto ciò che volete. (Qui bisogna crepare, non vi è rimedio). (da sè)
Lelio. Andiamo, vi farò scorta sino alla casa, poi vi lascerò in libertà di discorrere.
Florindo. (Misero me! Come farò io a resistere?) (da sè)
Lelio. Da voi aspetto la quiete dell’animo mio. Le vostre parole mi daranno consiglio. A norma delle vostre insinuazioni, o lascerò d’amare Rosaura, o procurerò d’accelerare le di lei nozze. (parte)
Florindo. Le mie parole, le mie insinuazioni saranno sempre da uomo onesto. Sagrificherò il cuore, trionferà l’amicizia. (parte)
SCENA VII.
Camera in casa di Ottavio.
Ottavio, poi Trappola.
Ottavio. (Va raccogliendo da terra tutte le minute cose che trova) Questo pezzo di carta sarà buono per involgervi qualche cosa. Questo spago servirà per legare un sacchetto. In questa casa tutto si lascia andar a male. Se non fossi io che abbadassi a tutto, povero me!
Trappola. (Camminando forte, con una sporta in mano.)
Ottavio. Va piano, va piano, bestia, che tu non rompi l’uova.
Trappola. Lasci ch’io vada36 a fare il desinare, acciò non si consumi il fuoco.
Ottavio. Asinaccio, chi t’ha insegnato accendere il fuoco così per tempo? Io l’ho spento, ed ora lo tornerai ad accendere.
Trappola. Sia maladetta l’avarizia!
Ottavio. Sì, sì, avarizia! Se non avessi un poco d’economia, non si mangerebbe, come si fa. Vien qui, hai fatto buona spesa?
Trappola. Ho girato tutta Bologna per aver l’uova a mezzo baiocco l’uno.
Ottavio. Gran cosa! Tutto caro, tutto caro. Non si può più vivere. Quante ne hai prese?
Trappola. Quattro baiocchi.
Ottavio. Quattro baiocchi? Che diavolo abbiamo a fare d’otto uova?
Trappola. In quattro persone37 è veramente troppo.
Ottavio. Un uovo per uno si mangia, e non più.
Trappola. E se ne avanza, vanno a male?
Ottavio. Possono cadere, si possono rompere. Quel maladetto gatto me ne ha rotte dell’altre.
Trappola. Le metteremo in una pentola.
Ottavio. E se si rompe la pentola, si rompono tutte. No, no, le metterò io nella cassa della farina, dove non correranno pericolo. Lasciami veder quelle uova.
Trappola. Eccole qua.
Ottavio. Uh ignorante! Non sai spendere. Sono piccole, non le voglio assolutamente; portale indietro, ch’io non le voglio.
Trappola. Sono delle più grosse che si trovino.
Ottavio. Delle più grosse? Sei un balordo. Osserva38; questa è la misura dell’uova. Quelle che passano per quest’anello, son piccole e non le voglio.
Trappola. (Oh avaro maladetto! Anche la misura dell’uova?) (da sè)
Ottavio. Questo passa, questo non passa, questo non passa, questo passa, questo passa, questo non passa, questo passa e questo non passa. Quattro passano e quattro non passano. Queste le tengo, e queste portale indietro. (se le pone nella veste da camera)
Trappola. Ma come ho da fare a trovar i contadini che me le hanno vendute?
Ottavio. Pensaci tu, ch’io non le voglio. Ma come le porterai? Se le porti in mano, le romperai. Mettile nella sporta.
Trappola. Nella sporta vi è l’altra roba.
Ottavio. Altra roba? Che cosa c’è?
Trappola. L’insalata.
Ottavio. Oh! sì sì, l’insalata; quanta ne hai presa?
Trappola. Un baiocco.
Ottavio. Basta mezzo. Dà qui la metà, e l’altra portala indietro.
Trappola. Non la vorranno più indietro.
Ottavio. Portala, che ti venga la rabbia.
Trappola. Ma come ho da fare?
Ottavio. Dà qui la metà nel mio fazzoletto, (cava il fazzoletto, e gli cadono l’uova, e si rompono) Oimè, oimè! (Trappola ride) Tu ridi eh, mascalzone? Ridi delle disgrazie del tuo padrone? Quell’uova valevano due baiocchi. Sai tu che cosa sieno due baiocchi? Il denaro si semina, come la biada, e all’uomo di giudizio un baiocco frutta tanti baiocchi, quanti granelli in una spiga produce un grano. Povere quattro uova! Poveri due baiocchi!39
Trappola. Queste quattro le ho io da riportare indietro?
Ottavio. Ah! bisognerà tenerle per mia disgrazia.
Trappola. Vado ad accendere il fuoco.
Ottavio. Avverti, non consumar troppe legna.
Trappola. Per quattro uova poco fuoco vi vuole.
Ottavio. Quattro e quattro otto. (osservando quelle di terra)
Trappola. (Povero sciocco! Dopo che abbiamo fatto far quella chiave del granaio, si vende grano, e si sta da principi). (da sè, parte)
SCENA VIII.
Ottavio solo.
Gran disgrazia è la mia! In casa non ho nessuno che mi consoli. Mia figlia è innamorata, non pensa che a maritarsi, e mi converrà maritarla, e mi converrà strapparmi un pezzo di cuore, e darle in dote una parte di quei denari che mi costano tanti sudori. Povero me! Come potrà mai essere che io ardisca diminuire il mio scrigno per maritare una figlia? Oh! dove sono quei tempi antichi, ne’ quali i padri vendevano le figliuole, e quanto erano più belle, gli sposi40 le pagavano più care. In quest’unico caso potrei chiamarmi felice, e dire che la bellezza di Rosaura fosse una fortuna per me; ma ora è la mia fatale disgrazia. Se non la marito presto, vi saranno de’ guai. E poi mi voglio levare questa spesa dintorno. Tante mode, tanti abiti, non si può durare. Farò uno sforzo, la mariterò. Povero scrigno, ti castrerò, sì, ti castrerò. Oh! avessero fatto così di me, che ora non piangerei per dar la dote alla figlia. Eccola41. Aspetto qualche stoccata al povero mio borsellino.
SCENA IX.
Rosaura e detto.
Rosaura. Signor padre, il cielo vi dia il buon giorno.
Ottavio. Oh! figliuola, i giorni buoni sono per me finiti.
Rosaura. Per qual ragione?
Ottavio. Perchè non si guadagna più un soldo. Ogni giorno si spende, e si va in rovina.
Rosaura. Ma perdonatemi, tutta Bologna vi decanta per uomo ricco.
Ottavio. Io ricco? Io ricco? Il cielo te lo perdoni; il cielo faccia cader la lingua a chi dice male di me.
Rosaura. A dir che siete ricco, non dicono male di voi.
Ottavio. Anzi non possono dir peggio. Se mi credono ricco, m’insidieranno la vita, non sarò sicuro in casa. La notte i ladri mi apriranno le porte. Oh cielo! Mi converrà duplicare le serrature, accrescere i chiavistelli, metterci delle stanghe.
Rosaura. Piuttosto, se avete timore, prendete in casa un altro Servitore.
Ottavio. Un altro servitore? Un altro ladro, un altro traditore, volete dire; non abbiamo appena da viver per noi.
Rosaura. Per quel ch’io sento, voi siete miserabile.
Ottavio. Pur troppo è la verità.
Rosaura. Dunque come farete a maritarmi e darmi la dote?
Ottavio. Questo è quello che non mi lascia dormir la notte.
Rosaura. Come! Mi porrete voi in disperazione?
Ottavio. No, il caso non è disperato.
Rosaura. Ma la mia dote vi sarà, o non vi sarà?
Ottavio. Ah! vi sarà. (sospirando)
Rosaura. Devono essere ventimila42 scudi.
Ottavio. Taci, non me lo rammentare, che mi sento morire.
Rosaura. Il cielo vi faccia vivere lungo tempo; ma dopo la vostra morte io sarò la vostra unica erede.
Ottavio. Erede di che? Che cosa speri ereditare? Per mettere insieme ventimila scudi, mi converrà vendere tutto quello che ho al mondo; resterò miserabile, anderò a domandar l’elemosina. Ereditare? Da me ereditare? Via, disgraziata, per la speranza di ereditare, prega il cielo che muora presto tuo padre; ammazzalo tu stessa per la speranza di ereditare. Infelicissimi padri! Se sono poveri, i figliuoli non vedono l’ora che crepino per liberarsi dall’obbligo di mantenerli; se sono ricchi, bramano la loro morte pel desiderio di ereditare. Io son povero, non ho danari. Rosaura mia, non isperar niente dopo la mia morte; sono miserabile, te lo giuro.
Rosaura. Ma ditemi, in grazia, che cosa vi è in quello scrigno incassato nel muro, che tenete serrato con tre chiavi e lo visitate due volte il giorno?
Ottavio. Io scrigno?... Che scrigno?... E una cassaccia di ferro antica di casa... Tre chiavi? Se è sempre aperta... La visito due volte al giorno? Oh malizia umana! Oh donne, che sempre pensate al male! Vi tengo dentro i miei fazzoletti, le poche mie camicie, e altre cose che non mi è lecito dire; cose che mi abbisognano in questa mia vecchia età. Io scrigno? Io danari? Per amor del cielo, non lo dire a nessuno. Povero me! Tutti mi augureranno la morte. Non è vero, non è vero, non ho scrigno, non ho danari. (Manco male che non sa nulla dello scrigno dell’oro, che tengo sotto il mio letto43). (da sè) Non ho scrigno, non ho danari. (parte)
SCENA X.
Rosaura sola.
Povero vecchio! Si crede ch’io non sappia tutto. Nello scrigno vi è del danaro in gran copia, e questo44 ha da essere tutto mio. Ma quando sarò padrona, quando sarò ricca, sarò io contenta? Oimè! che la mia contentezza non dipende dall’abbondanza dell’oro, ma dalla pace del cuore! Questa pace l’avrò io con Lelio? No certamente; un tempo mi compiacqui d’amarlo, ora mi trovo quasi astretta a doverlo odiare45. Ma perchè? Perchè mai tal cambiamento nel mio cuore? Ah Florindo! ah graziosissimo Veneziano! tu hai prodotta in me quest’ammirabile mutazione. Da che ti ho veduto, mi sentii ardere al tuo bel fuoco. In un mese ch’io ti tratto, ogni di più mi accendesti. A te ho donato il cuor mio, e ogni altro oggetto mi sembra odioso, e odioso più di tutti mi è quello che tenta violentare l’affetto mio. Quel46 Lelio che era una volta la mia speranza, ora è divenuto il mio tormento, la mia crudele disperazione.
SCENA XI.
Colombina e detta.
Colombina. Signora padrona.
Rosaura. Che cosa vuoi?
Colombina. È qui il signor Florindo.
Rosaura. È solo?
Colombina. Lo ha accompagnato sino alla scala il signor Lelio, il quale poi se n’è andato, ed il Veneziano è rimasto solo.
Rosaura. Presto, fallo passare.
Colombina. Egli è in sala, che parla con vostro padre.
Rosaura. Sì, mio padre lo vede volentieri, perchè gli fa dei regaletti.
Colombina. Sentiva che ora lo pregava mandargli da Venezia due para d’occhiali e un vaso di mostarda.
Rosaura. Ma che? Parte forse il signor Florindo?
Colombina. Mi pare certamente che abbia preso congedo47.
Rosaura. (Oh me infelice! Questo sarebbe per me un colpo mortale). (da sè)
Colombina. Che c’è, signora padrona, vi siete molto turbata a queste parole? Sentite, io già me ne sono accorta. Il signor Florindo vi piace.
Rosaura. Cara Colombina, non mi tormentare.
Colombina. Vi compatisco: è un giovine di buonissima grazia, e mostra essere molto amoroso. Il signor Lelio ha una certa maniera sprezzante che non mi piace punto, e poi basta dire che il signor Lelio, in sei mesi e più che pratica in casa vostra, non mi ha mai donato niente, e il signor Florindo ogni giorno mi dona qualche cosetta.
Rosaura. Certamente il signor Florindo ha delle maniere adorabili.
Colombina. Dite il vero, siete innamorata di lui?
Rosaura. Ah, pur troppo! A te, cara Colombina, non posso occultare il vero.
Colombina. Gliel’avete mai fatto conoscere?
Rosaura. No, ho procurato sempre occultare la mia passione.
Colombina. Ed egli credete voi che vi ami?
Rosaura. Non lo so; mi fa delle finezze, ma posso crederle prodotte da mera galanteria.
Colombina. Prima ch’egli parta, fategli capir48 qualche cosa.
Rosaura. È troppo tardi.
Colombina. Siete ancora in tempo.
Rosaura. Se parte, il tempo è perduto.
Colombina. Può essere49 che egli non parta.
Rosaura. Oh Dio!
Colombina. Vi vuol coraggio.
Rosaura. Eccolo.
Colombina. Via, portatevi bene, e se non avete coraggio voi, lasciate far a me. (parte)
SCENA XII.
Rosaura, poi Florindo.
Rosaura. No, no, senti. Costei è troppo ardita, non sa che una figlia onorata deve reprimere50 le sue passioni. Io le reprimerò?51 Farò degli sforzi.
Florindo. Faccio umilissima riverenza alla signora Rosaura.
Rosaura. Serva, signor Florindo; s’accomodi.
Florindo. Obbedisco. (Oimè! in qual impegno m’ha posto l’amico Lelio). (da sè)
Rosaura. (Mi par confuso). (da sè, e siedono)
Florindo. (Orsù, vi vuol coraggio. Bisogna passarsela con disinvoltura), (da sè)
Rosaura. Che avete, signor Florindo, che mi parete sospeso?
Florindo. Una lettera che ho avuto da Venezia, mi ha un poco sconcertato; mio zio è moribondo, e domattina mi conviene partire.
Rosaura. Domattina?
Florindo. Senz’altro.
Rosaura. (Oh Dio!) (da sè) Domattina?
Florindo. Domattina.52
Rosaura. Vostro zio è moribondo? Povero vecchio, mi fa compassione. Anche mio padre è avanzato assai nell’età, e quando sento vecchi che muoiono, mi sento intenerire, non posso far a meno di piangere. (piangendo)
Florindo. Ella ha un cuore assai tenero.53
Rosaura. Partirete voi da Bologna, senza sentire veruna pena?
Florindo. Ah! pur troppo partirò di Bologna col cuore afflitto54.
Rosaura. Dunque il vostro cuore ha degli attacchi in questa città, che vi faranno sembrar amara la vostra partenza?
Florindo. E in che maniera! Non avrò mai penato tanto in vita mia, quanto prevedo di dover penar domattina.
Rosaura. Caro signor Florindo, per quelle finezze che vi siete compiaciuto di farmi nel tempo della vostra dimora, fatemi una grazia prima della vostra partenza.
Florindo. Eccomi a’ suoi comandi, farò tutto per obbedirla.
Rosaura. Ditemi, a chi partendo lascerete voi il vostro cuore?
Florindo. Lascio il mio cuore ad un caro e fedele amico. Lo lascio a Lelio, ch’amo quanto me stesso.
Rosaura. (Ah, son deluse le mie speranze!) (da sè)
Florindo. Adesso è ella contenta?
Rosaura. Voi amate molto questo vostro amico.
Florindo. Così vuol la legge della buona amicizia.
Rosaura. E non amate altri che lui?
Florindo. Amo tutti quelli che amano Lelio e che da lui sono amati. Per questa ragione posso ancora amare la signora Rosaura.
Rosaura. Voi mi amate?55
Florindo. Certamente.
Rosaura. (Oimè!) Voi mi amate?
Florindo. L’amo, perchè è amata da Lelio; l’amo, perchè vuol bene a Lelio, che è un altro me stesso.
Rosaura. Come potete voi assicurarvi ch’io ami Lelio?
Florindo. Non deve essere la sua sposa?
Rosaura. Tale ancora non sono.
Florindo. Ma lo sarà.
Rosaura. E se non avessi da essere la sposa di Lelio, non mi amereste più?
Florindo. Non avrei più la ragione dell’amicizia, che mi obbligasse a volerle bene.
Rosaura. E se Lelio mi odiasse, mi odiereste anche voi?
Florindo. Odiarla?
Rosaura. Sì, questa grande amicizia che avete pel vostro Lelio, vi obbligherebbe a odiarmi?
Florindo. Odiarla non potrei.
Rosaura. Se per l’amicizia di Lelio non mi odiereste, non sarà vero che per una tal amicizia mi amiate; dunque concludo, o che voi mentite, quando dite di amarmi, o che mi amate per qualche altra ragione.
Florindo. Confesso il vero, che una donna di spirito, quale ella è, può confondere un uomo con facilità; ma se mi permette, risponderò che la legge56 dell’amicizia obbliga l’uomo a secondar l’amico nelle virtù, e non nei vizi, nel bene, e non nel male. Fino che Lelio ama57, come amico sono obbligato a secondare il suo amore; se Lelio odia, non ho da fomentare il suo odio. Se58 Lelio ama la signora Rosaura, l’amo ancora io; ma se l’odiasse, procurerei disingannarlo, fargli conoscere il merito, e far che tutto il suo sdegno si convertisse in amore.
Rosaura. Voi mi vorreste di Lelio in ogni maniera.
Florindo. Desiderando questa cosa, non faccio che secondar la sua inclinazione.
Rosaura. Le mie inclinazioni a voi non sono ben note.
Florindo. Dal primo giorno che ho avuto l’onore di riverirla, ella mi ha detto che era innamorata di Lelio.
Rosaura. È passato un mese, da che vi ho detto così.
Florindo. E per questo? Per esser passato un mese, si è cambiata già d’opinione? Perdoni, signora. Per coronar le sue belle virtù, le manca quella della costanza.
Rosaura. Ah! signor Florindo, non sempre siamo padroni di noi medesimi.59
Florindo. Signora Rosaura, domani io parto.
Rosaura. (Aimè!) Domani?
Florindo. Domani senz’altro. La ringrazio delle finezze ch’ella si è degnata di farmi, e giacchè ha tanta bontà per me, la supplico di una grazia.
Rosaura. Voglia il cielo ch’io sia in grado di potervi servire.
Florindo. La supplico di esser grata verso il povero Lelio.
Rosaura. Credevami che voi domandaste qualche cosa per voi.
Florindo. Via; la pregherò di una grazia per me.
Rosaura. Vi servirò con più giubbilo.60
Florindo. Sì, la prego voler bene a Lelio, che è l’istesso che voler bene a me. Le raccomando il mio cuore, che resta a Bologna con Lelio, e se il mio caro amico s’è demeritato in qualche maniera la sua grazia, la supplico di compatirlo e volergli bene.61 (Non posso più. Ah! che or ora l’amicizia resta al dì sotto e l’amor mi precipita). (da sè)
SCENA XIII62.
Colombina e detti.
Colombina. Signora, ecco il signor Lelio. (parte)
Florindo. (Oh bravo! è arrivato a tempo). (da sè)
Rosaura. Ecco il vostro cuore; fategli voi quelle accoglienze che merita, io mi ritiro. (parte)
SCENA XIV.
Florindo, poi Lelio.
Florindo. Favorisca, senta, venga qui...63 S’è mai più veduto un caso simile al mio! Sono innamorato, e non lo posso dire. La donna mi vuol bene, e non ardisce di palesarlo; c’intendiamo, ed abbiamo a fingere di non capirci; si muore di pena, e non ci possiam consolare.
Lelio. Ebbene, amico, come andò la faccenda?
Florindo. Non lo so neppur io.
Lelio. Non avete fatto nulla per me?
Florindo. Per questa sorta di cose, vi dico che non son buono.
Lelio. Vi vuol tanto a parlare a una donna, a rilevare il suo sentimento? Io mi sono valso di voi, perchè vi stimo e v’amo; per altro poteva raccomandare quest’affare o al contino Ridolfo, al cavalier Ernesto, che sono egualmente amici miei, che frequentano la nostra conversazione, e se fossero in città, non esiterebbero un momento a favorirmi.
Florindo. Amico, permettetemi ch’io vi dica quel che mi detta il mio cuore. In questa sorta di cose non vi servite di gioventù per capitolare colla vostra sposa, e non siate cotanto facile ad ammettere ogni sorta di gente alla sua conversazione. Le donne sono di carne, come siamo noi, e da loro non bisogna sperare più di quello che siamo noi capaci di fare. Se a voi capitasse l’incontro di essere da solo a sola con una giovane, che cosa pensate voi che in quel caso vi potesse suggerire il cuore? Che cosa potrebbe far l’occasione,64 la gioventù? Lo stesso e forse peggio, per ragion della debolezza, s’ha da dubitar della donna, e non si deve porla accanto alla tentazione, e poi pretendere che resista.65 La paglia accanto al fuoco si accende, e quando è accesa, non si spegne sì facilmente. Gli amici sono pochi, e anche i pochi si possono contaminare. La donna è delicata, l’amore accieca, l’occasione stimola, l’umanità trasporta. Amico, chi ha orecchio, intenda, chi ha giudizio, l’adoperi, (parte)
SCENA XV66.
Lelio solo.
Chi ha orecchio, intenda, chi ha giudizio, l’adoperi? Io l’ho inteso, e tocca a me ad operar con giudizio. Mi valerò de’ consigli di un vero amico. Di lui mi posso fidare, di lui non posso prendere gelosia; so che mi ama, e che morrebbe piuttosto che commettere un’azione indegna. (parte)
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ L’ed. Paperini aggiunge: che per viaggio ti conterò tutto.
- ↑ Pap.: che vada via, perchè la vedeva molto volentieri. Poi segue: «Flor. La signora Beatrice ha il suo merito, non è fanciulla da disprezzarsi, ma non ha forza da trattenermi. Triv. Forse dispiacerà più al signor Lelio suo fratello. Fior. Il signor Lelio è il più caro amico ch’io abbia al mondo. Dispiace ancora a me di lasciarlo, ma non posso fare a meno. Per amor suo son partito da Venezia, e son venuto a Bologna. A Venezia l’ho tenuto ecc.».
- ↑ Pap.: seco.
- ↑ Pap. aggiunge: fammi questo piacere.
- ↑ Pap.: Non vi è in casa?
- ↑ Zatta: ritrovare.
- ↑ Pap. aggiunge: e non si fanno tante scene.
- ↑ Pap.: Osserva se vedi ecc.
- ↑ Pap.: da dir niente.
- ↑ Pap. aggiunge: parti.
- ↑ Pap. aggiunge: Se è così, si può ben dire che il signor Florindo sia un vero amico.
- ↑ Pap.: ordine.
- ↑ Pap.: mio fratello?
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. L’impedirà assolutamente. Fior. Un buon amico, come e il signor Lelio, si appagherà della ragione, e non vorrà che per istare a Bologna, precipiti i miei interessi a Venezia.
- ↑ Pap.: fratello.
- ↑ Ciò che segue nell’ed. Pap., vedasi in Appendice.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Fior. Cara ella, mi dica il perchè. Beatr. Una donna ecc.».
- ↑ Pap.: scacciata.
- ↑ Pap.: un intero mese.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Flor. Dimani parto, signora mia. Beatr. Ecco mio fratello ecc.».
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Vi amerei poco, se preferir volessi il piacer di godervi alle vostre premure. Non so che dire, mi converrà lasciarvi partire; spero però che non mi negherete una grazia. Fior. Comandatemi; che non farei per un amico di cuore? Beatr. Caro fratello, e avrete voi la debolezza ecc.».
- ↑ Pap.: È così, nuovamente le dico.
- ↑ Pap.: fin da principio volea.
- ↑ Pap.: Ed io ho promesso e prometto.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Ditemi, non lo sapete? Fior. Sì, lo so. dissimulando la pena».
- ↑ Pap.: con seimila scudi di dote promessi dal di lei padre.
- ↑ Pap.: non è bella?
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: mi tratta assai freddamente, e sembra che il di lei amore siasi in odio convertito.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Mi sono avanzato a dirle che, se mai fosse pentita delle mie nozze, siamo ancora in tempo di sciogliere ogni trattato. Fior. Ed ella che cosa ha risposto? con allegria. Lel. Che il partito è stato stabilito da suo padre; che ella non ha autorità di scioglierlo; e che se io non sono contento, mi faccia intendere. Fior. Una risposta da fanciulla savia e prudente. Lel. Sì, da fanciulla savia e prudente, ma da fanciulla che non mi ama. Fior. Eh via, caro amico ecc.».
- ↑ Paper.: seccarle.
- ↑ Paper.: poichè dalla.
- ↑ Pap.: mala creanza.
- ↑ Pap.: male creanze.
- ↑ Pap.: Orsù, non.
- ↑ La fine di questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.
- ↑ Pap. aggiunge: signor padrone.
- ↑ Pap. aggiunge: ott’uova, un par d’uova per uno.
- ↑ Pap.: Osserva, asinaccio.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Trapp. Signor padrone, non pianga per la perdita di quattro uova. Ott. Perchè mi dici questo? Trapp. Perchè ne avete tante dell’uova nella testa, che fanno paura. Ott. Temerario ecc.».
- ↑ Pap.: che le volevano.
- ↑ Pap.: Eccola che a me sen viene.
- ↑ Pap., qui e più sotto: seimila.
- ↑ Paper. aggiunge: In quel grande non v’è che l’argento, ma pure non vo’ che sì sappia; se lo sanno, misero me!
- ↑ Paper. aggiunge: morendo mio padre.
- ↑ Paper.: obliare.
- ↑ Pap.: onde quel.
- ↑ Pap. aggiunge: dal signor padrone.
- ↑ Pap.: ditegli.
- ↑ Pap. aggiunge: se parlate.
- ↑ Pap.: reprimere virtuosamente.
- ↑ Zatta ha il punto fermo.
- ↑ Pap. aggiunge: Sospira? La mia partenza non è una cosa che a lei possa recar dispiacere.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.; «Ros. E voi come l’avete? Fior. Così, così; bazzotto».
- ↑ Pap.: ferito.
- ↑ Pap.: Voi amate me?
- ↑ Pap.: risponderò al suo argomento. La legge ecc.
- ↑ Pap.; ama onestamente.
- ↑ Pap.: Onde se.
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Fior. (Ah, l’ho detto; io sono la causa di questo male, ma io vi rimedierò.) da sè. Ros. (Cielo, aiutami, ch’io non parli scverchiamente). da sè. Fior. Signora Rosaura ecc.».
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Fior. La prego volermi bene. Le raccomando il mio cuore. Ros. Oh cieli! Dite il vero?. Fior. Sì, la prego ecc.»
- ↑ Segue nell’ed. Pap.: «Ros. piange e non risponde. Fior. (Piange? Oimè, non posso più. Vera amicizia, dammi aita, dammi consiglio. Ah, che or ora l’amicizia ecc.)».
- ↑ Vedasi in Appendice questa scena, com’è nell’ed. Paperini.
- ↑ Pap. aggiunge: Oh, non vado a Venezia vivo; crepo senz’altro.
- ↑ Pap. aggiunge: la vicinanza.
- ↑ Altro qui segue nell’ed. Paperini, come si vede nell’Appendice.
- ↑ Questa scena, com’è nell’ed. Paparini, vedasi in Appendice.