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IL VERO AMICO 319


qualche mala impressione de’ fatti miei, cerchiate disingannarla; ma se avesse fissato di non volermi amare, voglio che le diciate per parte mia, che chi non mi vuol, non mi merita.

Florindo. Io per questa sorta di cose non sono buono.

Lelio. Ah! so quanto siete franco e brillante in simili congiunture. Io non ho altro amico più fidato di voi. Prima di partire da me, dovete farmi questa finezza. Ve la dimando per quell’amicizia che a me professate; ne posso credere che vogliate lasciarmi col dispiacere di credere che non mi siate più amico1.

Florindo. Andiamo dove vi aggrada, farò tutto ciò che volete. (Qui bisogna crepare, non vi è rimedio). (da sè)

Lelio. Andiamo, vi farò scorta sino alla casa, poi vi lascerò in libertà di discorrere.

Florindo. (Misero me! Come farò io a resistere?) (da sè)

Lelio. Da voi aspetto la quiete dell’animo mio. Le vostre parole mi daranno consiglio. A norma delle vostre insinuazioni, o lascerò d’amare Rosaura, o procurerò d’accelerare le di lei nozze. (parte)

Florindo. Le mie parole, le mie insinuazioni saranno sempre da uomo onesto. Sagrificherò il cuore, trionferà l’amicizia. (parte)

SCENA VII.

Camera in casa di Ottavio.

Ottavio, poi Trappola.

Ottavio. (Va raccogliendo da terra tutte le minute cose che trova) Questo pezzo di carta sarà buono per involgervi qualche cosa. Questo spago servirà per legare un sacchetto. In questa casa tutto si lascia andar a male. Se non fossi io che abbadassi a tutto, povero me!

Trappola. (Camminando forte, con una sporta in mano.)

Ottavio. Va piano, va piano, bestia, che tu non rompi l’uova.

  1. La fine di questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.