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IL VERO AMICO 315

Lelio. Sì, il mio caro Florindo, questa è casa vostra. Restatevi, ve ne prego. Non mi fate questo torto di credere d’incomodarmi. Di voi, lo vedete, non prendomi soggezione.

Florindo. Lo vedo, lo so benissimo; ma compatitemi, bisogna che vada via.

Lelio. Non so che dire.

Beatrice. Fate che egli dica il perchè. (a Lelio)

Lelio. Perchè, caro amico, volete voi andar via?

Florindo. Perchè mio zio sta male assai, e voglio andare a Venezia, avanti che muoia.

Lelio. Non vi so dar il torto.

Beatrice. Oh vedete! Ecco una bugia. Ha detto a me che lo chiamava a Venezia una lettera di suo zio, ed ora dice che suo zio sta per morire.

Florindo. Avrò detto che ho d’andare per una lettera, che tratta di mio zio.

Beatrice. Non mi cambiate le carte in mano.

Florindo. È così, l’assicuro1.

Beatrice. Mostrate questa lettera, e vedremo la verità.

Florindo. Il signor Lelio mi crede senza mostrare le lettere, senza addur testimoni.

Beatrice. Lo vedete il bugiardo? Lo vedete? Vuol andar via, perchè è annoiato di star con noi.

Lelio. Possibile che la mia amicizia vi arrechi noia? (a Florindo)

Florindo. Caro amico, mi fate torto a parlare così.

Beatrice. Signor Florindo, prima di partire spero almeno che vi lascerete da me vedere.

Florindo. Ha ella da comandarmi qualche cosa?

Beatrice. Sì, ho da pregarvi d’un affar per Venezia.

Florindo. Avanti di partire riceverò i suoi comandi.

Beatrice. (Se mi riesce di parlar seco un’altra volta con libertà, spero che si arrenderà all’amor mio, e non mi saprà dire di no). (da sè, parte)

  1. Pap.: È così, nuovamente le dico.