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330 | ATTO PRIMO |
SCENA XIV.
Florindo, poi Lelio.
Florindo. Favorisca, senta, venga qui...1 S’è mai più veduto un caso simile al mio! Sono innamorato, e non lo posso dire. La donna mi vuol bene, e non ardisce di palesarlo; c’intendiamo, ed abbiamo a fingere di non capirci; si muore di pena, e non ci possiam consolare.
Lelio. Ebbene, amico, come andò la faccenda?
Florindo. Non lo so neppur io.
Lelio. Non avete fatto nulla per me?
Florindo. Per questa sorta di cose, vi dico che non son buono.
Lelio. Vi vuol tanto a parlare a una donna, a rilevare il suo sentimento? Io mi sono valso di voi, perchè vi stimo e v’amo; per altro poteva raccomandare quest’affare o al contino Ridolfo, al cavalier Ernesto, che sono egualmente amici miei, che frequentano la nostra conversazione, e se fossero in città, non esiterebbero un momento a favorirmi.
Florindo. Amico, permettetemi ch’io vi dica quel che mi detta il mio cuore. In questa sorta di cose non vi servite di gioventù per capitolare colla vostra sposa, e non siate cotanto facile ad ammettere ogni sorta di gente alla sua conversazione. Le donne sono di carne, come siamo noi, e da loro non bisogna sperare più di quello che siamo noi capaci di fare. Se a voi capitasse l’incontro di essere da solo a sola con una giovane, che cosa pensate voi che in quel caso vi potesse suggerire il cuore? Che cosa potrebbe far l’occasione,2 la gioventù? Lo stesso e forse peggio, per ragion della debolezza, s’ha da dubitar della donna, e non si deve porla accanto alla tentazione, e poi pretendere che resista.3 La paglia accanto al fuoco si accende, e quando è accesa, non si spegne sì facilmente. Gli amici sono pochi, e anche i pochi si possono contaminare. La donna è