Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
318 | ATTO PRIMO |
Florindo. Che cosa potete voi pensare? Sono un uomo d’onore, son vostro amico, e mi fate torto, giudicando sinistramente di me.
Lelio. Dubito che qualche dispiacere abbiate ricevuto dal di lei padre.
Florindo. Basta, non so niente. Dimani vado via, e la serata la passeremo qui fra di noi.
Lelio. Il signor Ottavio, padre di Rosaura, è un uomo sordido, un avaro indiscreto, un uomo che per qualche massima storta d’economia non ha riguardo a disgustare gli amici.
Florindo. Sia com’esser si voglia, egli è vecchio, non ha altro che quell’unica figlia, e se risparmia, risparmia per voi.
Lelio. Ma se egli ha fatto a voi qualche torto, voglio che mi senta. Chi offende il mio amico, offende me medesimo.
Florindo. Via, non mi ha fatto niente.
Lelio. Se così è, andiamo a ritrovarlo.
Florindo. Fatemi questo piacere, se mi volete bene, dispensatemi.
Lelio. Dunque vi avrà fatto qualche dispiacere1 la signora Rosaura.
Florindo. Quella fanciulla non è capace di far dispiacere2 a nessuno.
Lelio. Se così è, non vi è ragione in contrario. Andiamo in questo punto a vederla.
Florindo. Ma no, caro Lelio...
Lelio. Amico, se più ricusate, mi farete sospettare qualche cosa di peggio.
Florindo. (Non3 vi è rimedio: bisogna andare). (da sé)
Lelio. Che cosa mi rispondete?
Florindo. Che ho la testa confusa, che adesso non ho voglia di discorrere, ma che per compiacervi, verrò dove voi volete.
Lelio. Andiamo dunque; ma prima sentite che cosa voglio da voi.
Florindo. Dite dunque, che cosa volete?
Lelio. Voglio che destramente rileviate l’animo della signora Rosaura, che facciate cadere il discorso sopra di me, che se ha