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La figlia dell'orco

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LA FIGLIA DELL'ORCO


C’
era una volta un Re che aveva due figli, uno buono e l’altro cattivo. Quello buono era il Reuccio, e alla morte del padre doveva essere Re.

La cosa non garbava al cattivo, e pensò di disfarsi del fratello per diventare Re lui. Un giorno gli disse:

— Andiamo a caccia? —

E andarono. Giunti in mezzo a un bosco, lontani dalle persone del sèguito, cava fuori la spada e dà addosso al fratello, che non si aspettava quel tradimento. Credette di averlo ucciso. Coprì con erbacce e rami di albero il corpo insanguinato, e tornò addietro.

A palazzo, il Re domandò:

— E tuo fratello?

— Maestà, che disgrazia! Fu sbranato dalle fiere! — [p. 140 modifica]

Il povero padre ne fece un gran pianto. Dal dolore si ammalò, e dopo pochi giorni morì.

Il Reuccio, sotto le erbe e i rami, rinvenne; e cominciò a lamentarsi, a chiamare soccorso:

— Aiuto, buoni cristiani, aiuto! —

Era già buio. Udendo rumore lì accosto, il poverino gridò più forte che poté:

— Aiuto, buoni cristiani, aiuto! —

Sentì frugare tra l’erbe e i rami; poi, due manacce con tanto di ugne lo ghermiscono, lo levano di peso quasi fosse un fuscellino, e una lingua ruvida come una raspa gli lecca il sangue addosso:

— Oh che buon sapore! Oh che buon sapore! —

Il Reuccio, a quel vocione cupo cupo, rabbrividì:

— Povero a me! Son capitato alle mani dell’Orco! —

L’Orco, era proprio lui! se lo mise sotto braccio come un fardelletto, e si avviò per tornare alla sua grotta. Di tratto in tratto, si fermava, leccava il sangue delle ferite:

— Oh che buon sapore! Oh che buon sapore! [p. 141 modifica]

Alto, grosso, quasi un gigante, faceva certe sgambate così larghe e leste, che non lo avrebbe raggiunto neppure il vento. In pochi minuti fu alla porta della grotta e picchiò: [p. 142 modifica]

— Apri, apri, figliuola; il babbo ti porta roba buona!

Il Reuccio si era svenuto di nuovo e pareva proprio morto. La figlia dell’Orco, vedendo quel bel giovane tutto insanguinato, n’ebbe pietà:

— Che roba buona dite mai! È morto; non vedete? Lo butto nel carnaio. —

L’Orco leccò un’ultima volta il sangue, e disse:

— Hai ragione. Bùttalo nel carnaio. Io torno fuori.

— Buon’andata e buon ritorno. Non venite prima di giorno. —

Appena l’Orco fu partito, la figlia corse a un armadio, prese il barattolo dov’era l’unguento che sana le ferite, e ne unse quelle del Reuccio.

Il Reuccio aprì gli occhi, quasi si svegliasse da una gran dormita.

— Chi siete, bella figliuola?

— Sono la figlia dell’Orco; non abbiate paura. Voi chi siete?

— Il Reuccio. —

E le raccontò il tradimento del fratello.

— Lasciatemi andare; mio padre dev’essere in pena a quest’ora. [p. 143 modifica]

— C’è monti, valli e foreste; non trovereste la via. Mio padre v’incontrerebbe e ne farebbe due bocconi. Bisogna avere il suo anello per non smarrirsi; ma egli lo porta sempre in dito. Glielo leverò, mentre dorme se voi mi aiutate.

— E dopo?... Mi sbranerebbe.

— Vi porto via con me. Ci sposeremo. —

S’intese il grido dell’Orco, che tornava inferocito per non aver fatto preda alla caccia:

— Uhii! Uhii!

— Ecco mio padre. Entrate in quella grotta; c’è da mangiare, da bere e un buon pagliericcio per dormire. Non fiatate fino a questa sera;... se no, mio padre... fa due bocconi di voi! —

L’Orco, appena entrato, cominciò a fiutare attorno:

— Uh! Uh! Che odore di carne cristiana! Uh! Uh!

— È la fantasia che ve lo fa sentire. Siete stanco; desinate e andate subito a letto.-Fonte/commento: ec

L’Orco, brontolando, si spolpò mezzo bue arrosto, e si mise a letto:

— Grattami la testa, figliuola. —

Non poteva addormentarsi, se sua figlia [p. 144 modifica] non gli grattava la testa. Con una mano ella grattava, e con l’altra tentava di cavargli l’anello dal dito.

— Che tenti, figliolaccia? — urlò l’Orco mezz’addormentato.

La figlia, impaurita, ritirò la mano e lasciò stare.

Verso sera, l’Orco si preparava a uscire per la sua caccia.

— Uh! Uh! Che odore di carne cristiana! Uh! Uh! —

Fiutava attorno, sgranando gli occhi, con l’acquolina in bocca.

— È la fantasia che ve lo fa sentire. Buona andata e buon ritorno; non venite prima di giorno. —

L’Orco, brontolando, tirò la porta dietro a sè.

— Uhii! Uhii! —

Si sentiva da lontano un miglio.

La figlia dell’Orco chiamò fuori il Reuccio.

— Ho tentato di cavargli l’anello; non mi è riuscito. Ritenterò domani.

— Fatemi vedere tutta la casa, intanto che vostro padre non c’è.

— Giuratemi prima che voi mi sposerete, se andremo insieme via di qui.

— Ve lo giuro. — [p. 145 modifica]

La figlia dell’Orco aperse un uscio, e il Reuccio rimase a bocca aperta vedendo una stanza tutta tempestata di oro e diamanti, con mobili di marmo, di argento, di legni preziosi. Per terra però qua e là ossa spolpate, macchiate di sangue.

— Che ossa son queste?

— Non ci badate. —

E aperse un altr’uscio. Il Reuccio rimase a bocca aperta. Pareti di lamine di argento lucide come specchi; cornici d’oro e di perle; pavimento di marmi rarissimi; e mobili fastosi, cortinaggi di stoffe non mai viste, con ricami d’oro e frange d’oro... Una magnificenza. Per terra però qua e là ossa spolpate, macchiate di sangue.

— Che ossa son queste?

— Non ci badate. —

Il Reuccio capì che erano ossa umane; tutte quelle povere creature se le era divorate l’Orco. E si sentì correre brividi da capo ai piedi, pensando che forse anche colei ne aveva mangiate la sua parte.

— E lì dentro che c’è? —

Accennava all’uscio tutto d’acciaio, con congegni complicati e due mostri di bronzo; uno a destra, l’altro a sinistra, che mettevano paura. [p. 146 modifica]

— Lì dentro c’è il tesoro. Ma non vi si entra; bisogna avere in mano l’anello, per non esser mangiato vivo da questi mostri. —

S’intese il grido dell’Orco che ritornava dalla caccia:

— Uhii! Uhii!

— Lesto, nella vostra grotta, e non fiatate fino a sera; se no, mio padre fa due bocconi di voi. —

Il Reuccio ebbe appena il tempo di nascondersi, che l’Orco picchiava alla porta:

— Apri, apri, figliuola! Il babbo ti porta roba buona. —

Il Reuccio di là sentiva urli e pianti, e ganasce che maciullavano; e poi soltanto quel maciullare di ganasce.

La figlia diceva al padre:

— Siete stanco; andate a letto. —

L’Orco si spogliava:

— Grattami la testa, figliuola.

— Ora gli leva l’anello — pensò il Reuccio.

Infatti, la sera dopo, appena l’Orco fu andato via per la caccia, la ragazza chiamò:

— Reuccio, Reuccio, ecco l’anello! Mio padre, poverino, ora si sperderà in mezzo al bosco. Per amor vostro, io l’ho tradito. —

Andarono nella stanza del tesoro, presero [p. 147 modifica] oro e diamanti in quantità, e uscirono fuori. L’anello lo teneva in dito la figlia dell’Orco.

Passando pel bosco, sentivano da lontano:

— Uhii! Uhii!

— È mio padre che non trova la via. L’ho tradito per amor vostro, povero babbo! —

Il Reuccio la guardò in faccia e vide che aveva le labbra sporche di sangue.

— Che hai mangiato con tuo padre?

— Agnellini, caprettini che parevano bambini. Non mi son pulita la bocca. —

Nella prima città dove arrivarono, il Reuccio mantenne la sua parola e sposò la figlia dell’Orco. Lì seppe che suo padre era morto, che il fratello traditore era già Re. Ma che poteva farci? E rimase in quella città, godendosi i tesori portati via all’Orco.

Sua moglie a tavola non mangiava, o assaggiava appena le pietanze.

— Perchè non mangi?

— Non ho appetito.

— O che campi d’aria?

— Non ci badare. —

Una notte, il Reuccio si sveglia e non trova sua moglie nel letto. La cerca per tutta la casa, [p. 148 modifica] e non la trova neppure. Era in gran pensiero. Verso l’alba, eccola che rientra.

— Dove sei stata?

— A prendere un po’ d’aria. —

La guardò in faccia; aveva le labbra sporche di sangue:

— Che hai mangiato?

— Agnellini, caprettini che parevano bambini. Non mi son pulita la bocca. —

Per quella volta non ci fece caso. Intanto sua moglie lo aizzava sempre contro il fratello traditore.

— Se tu fossi Re, io sarei Regina!

— Sei meglio che Regina. Non ti manca nulla.

— Se tu fossi Re, io sarei Regina! Dovresti andare a ammazzare tuo fratello com’egli tentò di ammazzar te.

— E se non riesco?

— Con l’anello di mio padre si riesce a tutto! Dovresti vendicarti. Se tu fossi Re, io sarei Regina!

Picchia oggi, picchia domani, il Reuccio cominciò a pensare sul serio alla vendetta contro il fratello. Lo tratteneva soltanto l’amore dei figliuoli. Ne aveva già cinque e un altro era per la via. Se lui moriva in quell’impresa, [p. 149 modifica] come sarebbero rimasti quei poverini? Ma sua moglie ripicchiava:

— Se tu fossi Re, io sarei Regina! —

Si sgravò del sesto figliuolo. Ora erano tre maschi e tre femmine.

Una notte il Reuccio si sveglia e non trova sua moglie nel letto. La cerca per tutta la casa, e non la trova neppure. Era in gran pensiero. Verso l’alba, eccola che rientra.

— Dove sei stata?

— A prendere un po’ d’aria. —

La guardò in faccia; aveva le labbra sporche di sangue:

— Che hai mangiato?

— Agnellini, caprettini che parevano bambini. Non mi son pulita la bocca. —

Questa volta però il Reuccio entrò in sospetto e inorridì pensando che pasto aveva forse fatto sua moglie.

— Non è figlia d’Orco per niente! —

E l’odio contro il fratello e il desiderio di vendetta gli riavvampò in cuore.

— Se non fosse stato per il suo tradimento, non avrei sposato la figlia d’un Orco. — [p. 150 modifica]

L’odiava di più per questo. Il sangue che lordava le labbra di sua moglie doveva essere di creature umane. Oh, che orrore!

Un giorno disse a sua moglie:

— Porto i bambini a spasso. —

Prese in collo l’ultimo, che ancora non si era staccato ed era spoppato di fresco, e uscì fuori città. Cammina, cammina, la notte lo sorprese in una pianura deserta. Non c’era casolare dove rifugiarsi; non si vedeva anima viva.

— Ah, fratello scellerato, dove mi trovo per te! Voglio ammazzarti! —

Coricò su la terra nuda i bambini che già cascavano dal sonno, e si sedette in un canto per vegliarli.

Tutt’a un tratto vede davanti a sè due occhi di bragia, e una forma nera di animalaccio che si accostava adagino adagino.

Gli si agghiacciò il sangue. Non aveva la forza di cavar la spada e difendersi. E sentiva brontolare:

— Ah! Che buon odore di carne piccina! Che buon odore! —

Quella voce non gli giungeva nuova, ma non gli riusciva di riconoscerla. L’amore dei figli però gl’infuse coraggio. Cavò la spada e [p. 151 modifica] si slanciò contro l’animalaccio dagli occhi di bragia, che già aveva addentato i bambini.

— Ahi! Ahi! Muoio! Muoio! —

Era sua moglie, la figlia dell’Orco; stava per divorarsi le proprie creature. Non era figlia d’Orco per niente.

I bambini erano tutti lacerati, insanguinati, e il povero Reuccio non sapeva come medicarli. Il giorno era alto, e per la campagna deserta non si scorgeva anima viva.

Ed egli piangeva strappandosi i capelli, con quell’orrido spettacolo sotto gli occhi: la moglie morta da un canto e i bambini lacerati, insanguinati e morenti dall’altro.

— Fratello scellerato! Senza il tuo tradimento, non sarei a questo punto!

— Che hai? Perchè piangi? —

Si voltò e si vide dinanzi una bellissima donna tutta vestita di bianco con in mano una verga d’oro.

— Ah, buona signora, aiutatemi voi! I miei bambini!... I miei bambini!

— Posso aiutarti, ma a un patto.

— A qualunque patto, buona signora!

— Ascolta bene: io so tutto. Il tradimento di tuo fratello, l’Orco, la tua fuga con la figlia di lui, il tuo matrimonio, tutto. Se [p. 152 modifica] vuoi però che io ti aiuti, devi perdonare a tuo fratello.

— A quell’infame? No, mai! —

La bellissima signora, turbata in viso, gli voltò le spalle e stava per andarsene.

— Sì, sì, gli perdono! — gridò il Reuccio. — Pei miei figliuoli! —

La signora gli si accostò sorridente e gli disse:

— Ascolta bene. Dei tuoi figliuoli, dopo parecchi anni, uno solo sopravviverà; questo, il minore. E sai perchè? Perchè egli soltanto non è nutrito di carne umana. Tua moglie, per virtù dell’anello, ti assopiva profondamente e usciva la notte a caccia di bambini: non era figlia d’Orco per niente. Gli altri cinque, ove campassero, diventerebbero Orchi anche loro! —

Il Reuccio piangeva.

— Se tu perdoni al fratello, il tuo figliolino sarà Re.

— Sì, sì, gli perdono! Gli perdono di tutto cuore!

— Ora, guarda! —

Stese la verga d’oro e cominciò a toccare ad uno ad uno i bambini; e di mano in mano che li andava toccando, accadeva un portento. Questi diventava un martello, quegli [p. 153 modifica] uno scalpello, chi una tenaglia, chi una pialla, chi una sega. Toccato il minore, diventò un succhiello.

Il Reuccio allibì: si sentì drizzare i capelli in testa.

La signora gli fece un cenno con la mano:

— Non disperarti: non è niente. Tu sarai falegname e questi i tuoi arnesi. Di giorno, ti serviranno per il tuo mestiere; la notte, tóccali con l’anello dell’Orco; ridiventeranno bambini. [p. 154 modifica]

— E voi chi siete?

— Sono una Fata. —

Il Reuccio si rincorò:

— Fata, buona Fata, suggeritemi voi che debbo fare.

— Raccogli questi arnesi e va’ nella città dov’è il Re tuo fratello. Prenderai a pigione una botteguccia, e lavorerai di falegname. La colla e i chiodi devono comprarli gli avventori. I chiodi che avanzeranno, li renderai; la colla, no; mettila da parte. Sarà buona da mangiare; vedrai. —

E gli spiegò tutto quel che doveva accadere.

Il Reuccio raccolse gli arnesi:

— I miei figli ora si chiamano: Piallina, Scalpellino, Tanaglina, Martellino, Seghina e Succhiellino! —

Piangeva e rideva consolato.

— E il cadavere di tua moglie? Lo lasci così, in preda alle bestie feroci e agli uccelli di rapina?

— È giusto! Poveretta, Orco il padre, Orca lei: non ci aveva colpa.

Le tolse dal dito l’anello, scavò una fossa e la seppellì.

— Che nome prenderò, buona Fata?

— Il nome te lo appiccicherà la gente; ti [p. 155 modifica] chiameranno: Mastro Acconcia‐e—guasta. Parrai un vecchio; ma parrai soltanto.

— Grazie, grazie, buona Fata! —

Guardò attorno, vicino, lontano; la Fata era sparita.

Il resto, bambini miei, già lo sapete. E la fiaba della Figlia dell’Orco è bell’e finita.