Il negligente/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA
Camera come prima.
Aurelia e Cornelio.
Con quattro paroline io l’ho incantato.
È di me innamorato,
La dote mi farà.
Cornelio. Come facesti
A tirarlo in la rete?
Aurelia. Io? Tu lo sai,
Ho un certo che nel volto,
Ho un certo che nel tratto,
Misto così tra il furbo e il sempliciotto,
Che ogni uno che mi parla, resta cotto.
Cornelio. Non vorrei che allorquando
Moglie mia tu sarai,
Altri si cucinasse al tuo bel foco.
Aurelia. Se geloso sarai, goderai poco.
Cornelio. Basta; ne parleremo. Ma io penso
Se il signor Filiberto
Ti ha promesso la dote,
Sarà sì generoso
Sol coll’idea di divenir tuo sposo.
Aurelia. Così sarà, ma io
So fare il fatto mio.
Della sua negligenza
Profittarmi saprò.
Forse gli rapirò,
Col pretesto di far la soscrizione
Al contratto nuzial, la donazione.
Io col tuo esempio
Propor vuò a Filiberto
L’aggiustamento della lite. A lui
Chiederò la sua firma,
Per chiudere il contratto,
E quand’egli mi creda, il colpo è fatto.
Aurelia. Con ragion ci ha congiunti
Amor sagace e scaltro;
Nati siam veramente uno per l’altro.
Cornelio. Ah, ch’io non vedo l’ora.
Cara, che tu sii mia.
Aurelia. Tua sarò, ma non voglio gelosia.
Cornelio. Dammi la bella man. Lascia che almeno
Io me la stringa al seno.
Aurelia. Sì, caro, ecco la man, se tu la vuoi;
Del mio core e di me dispor tu puoi.
SCENA II.
Filiberto in disparte, e detti.
Aver sì bella sposa!
Aurelia. Oh che felice sorte,
Aver sì buon consorte!
Cornelio. Marito fortunato,
Aurelia. Quando, quando verrà quel dì beato?
Filiberto. Bravi. Buon pro vi faccia.
Cornelio. (Oh maledetto!)
Aurelia. Vi giuro, e vi prometto, (a Filiberto
Caro il mio ben, che sempre parlerei
Del nostro matrimonio,
E ne chiamo Cornelio in testimonio.
Cornelio. (Oh brava!) Sì, davvero,
Filiberto. Mi vuol gran bene?
Parmi ch’ella dicesse:
Oh che felice sorte,
Aver sì buon consorte! (accennando Cornelio
Aurelia. M’intendevo di voi.
Filiberto. E voi diceste poi: (a Cornelio
Marito fortunato!
E lei: quando verrà quel dì beato?
Cornelio. Marito fortunato
Filiberto chiamai.
Aurelia. Ed io di Filiberto sol parlai.
Filiberto. E parlando di me,
Si tenevan le man sì bene unite?
Buona gente, che dite?
Cornelio. Io lo facea senza pensare a niente.
Aurelia. Era1 una cerimonia indifferente.
Filiberto. Che cerimonia? Andate via di qua.
Aurelia. Oimè, mi discacciate?
Più ben non mi volete?
Filiberto. Una mendace siete.
Cornelio. Credetemi, signor.
Filiberto. Non mi parlate.
Aurelia. Se voi m’abbandonate,
Morirò disperata.
Filiberto. Vostro danno.
Aurelia. Ahi che dolor! che affanno!
Chi mi porge ristoro?
Filiberto crudele, io manco, io moro.
(finge svenire sopra una sedia
Cornelio. Povera sventurata,
Per voi quasi è spirata.
Filiberto. Poverina! davvero?
Ha il naso freddo freddo.
Cornelio. Aiutatela almeno.
Un qualche spirto vi vorrebbe al naso.
Filiberto. Acqua della Regina. Oh che gran caso! (parte
Aurelia. È andato? (s’alza
Cornelio. È andato a prendere
L’acqua della Regina.
Aurelia. Oh che bel pazzo!
Per far lieto il cor mio,
Vi vuol altro che odori!
Cornelio. Il so ancor io.
Eccolo, che ritorna.
Aurelia. Alla lezione.
(torna in atto di svenuta
Cornelio. (Chi alla femmina crede è un gran minchione).
Filiberto. Eccomi, come va? (con boccetta
Cornelio. Misera! fa pietà.
Filiberto. Adesso, adesso. (la bagna
Cornelio. Dubito sia morta.
Filiberto. E pur non è venuta niente smorta.
Zitto, zitto, rinviene.
Aurelia. Ah traditor! (a Filiberto
Filiberto. Mio bene,
Son qui tutto per voi.
Aurelia. Mi crederete poi?
Filiberto. Sì, sì, vi crederò.
Aurelia. Se voi non mi credete, io morirò.
Crudelaccio, crudelaccio,
Non mi fate sospirar.
Filiberto. Non mi fate lacrimar.
Aurelia. Io son tutta tutta vostra.
(tocca per di dietro la mano a Cornelio
Questa mano è tutta mia,
Quel visetto voglio amar.
Filiberto. Voi mi fate giubilar.
Che vi pare? non fo bene?
Or si ride, ed or si sviene.
Un la mano, e l’altro il cor.
Cornelio. (E quel pazzo se lo crede,
Non s’avvede dell’inganno.
Queste donne, affé, ne sanno
Di bugie più d’un dottor).
SCENA III.
Filiberto e Cornelio.
Aurelia è offesa, e sono offeso anch’io.
Filiberto. Io credea... Compatite.
Cornelio. Orsù, perchè non dite
Ch’io venga in casa vostra a far l’amore,
Io vi son servitore. (vuol partire
Filiberto. No, sentite.
Cornelio. Io della vostra lite
Avevo poste ben le cose a segno,
Ma vado adesso a rinunziar l’impegno.
Filiberto. Ah per amor del Ciel, non vi stancate
Di essermi protettor.
Cornelio. Già l’avversario
Si era posto in spavento,
E trattava con me l’aggiustamento.
Filiberto. Volesse il Ciel che fossimo aggiustati;
Palazzisti, avvocati
Mai più trattar vorrei;
E goder la mia pace anch’io potrei.
Cornelio. Andate voi dal Conte
La cosa a terminar.
Filiberto. Ma non potreste
Consumare l’affar tra voi e lui?
Di prenderlo in parola,
L’autorità non tengo
Di stringere il contratto.
Venite meco.
Filiberto. No, Cornelio caro,
Non fate che il piacer mi riesca amaro.
Fate voi, fate voi.
Cornelio. Datemi almanco,
Sottoscritto da voi, un foglio bianco.
Filiberto. Fin questo si può fare;
Del resto tutto a voi lascio l’imbroglio.
Cornelio. Eccovi il calamar, la penna e il foglio.
(tira fuori tutto di tasca
Filiberto. Filiberto Tacconi: (scrive
Affermo quanto sopra si contiene.
Basta così?
Cornelio. Va bene. (prende il foglio
Filiberto. S’io presto non finiva,
Di testa mi veniva un giramento.
Cornelio. Davvero?
Filiberto. La fatica è un gran tormento.
Cornelio. Or via, siete spicciato;
Domani voi sarete consolato.
Con questo foglio in mano
Farò l’aggiustamento.
(Ma lo farò per me).
Vedrete chi son io;
D’un galantuom par mio
Non s’ha da dubitar.
La vostra ricca entrata,
La vostra sposa bella
Difendervi saprò.
(Ma presto questa e quella
Gli voglio sgraffignar).
SCENA IV.
Filiberto, poi Porporina e Pasquino.
Mi ama Aurelia; Cornelio è tutto fede.
Porporina. (Ecco il padron.)
(parlano in disparte fra di loro, non sentiti da Filiberto
Pasquino. (Chiediamogli perdono).
Porporina. (Se vogliamo ottenerlo,
Fingiam d’esser nemici).
Pasquino. (E poi2 in cucina torneremo amici).
Filiberto. Io far l’aggiustamento?
Non lo faccio in due anni. Oh che tormento!
Porporina. Signor padron.
Pasquino. Signor padrone mio.
Porporina. Io vi chiedo perdono.
Pasquino. Pietà Pasquin vi chiede.
Porporina. Io vi bacio la man.
Pasquino. Vi bacio il piede.
Filiberto. Temerari, bricconi.
Porporina. Signore, io non volevo.
È stato lui.
Pasquino. È stata lei che ha detto:
Piglia, piglia, Pasquino.
Porporina. Non è ver, malandrino.
Sei stato tu. Colui è un disgraziato, (a Filiberto
Mezzo il vin della botte ha tracannato.
Pasquino. Lei fa l’amor con tutti;
E giù per i balcon cala i presciutti.
Porporina. Chi ha venduta la legna?
Pasquino. E la farina
Chi l’ha mandata via?
Porporina. Vi vuò scoprir.
Pasquino. Ti voglio far la spia.
E si suona alle spalle del padrone.
Porporina. Io sono fidatissima.
Pasquino. lo sono onoratissimo.
Porporina. Caro il mio padroncin.
Pasquino. Padron carissimo.
Filiberto. Orsù, per non far torto all’uno o all’altro,
Giacchè ha fatto ciascun le parti sue,
Vi licenzio di casa tutti e due.
Pasquino. Senti? per causa tua. (a Porporina
Porporina. Per te, briccone. (a Pasquino
(Senta, signor padrone. (piano a Filiberto
Per sgravio di coscienza,
Il povero Pasquin, sappia, è innocente;
E quel che ho detto, non è vero niente).
Filiberto. Buono!
Pasquino. (Signor padrone, una parola, (piano a Filiberto
Per rabbia ho detto mal di Porporina,
Per altro ella è innocente, poverina.)
Filiberto. Meglio 1 Ma io vi credo
Due furbi belli e buoni.
Pasquino. Uh cosa dite!
Porporina. Il Ciel ve lo perdoni.
Filiberto. Io non mi fido più.
Pasquino. Sarò fedele.
Porporina. Fedel sarò, sull’onor mio lo giuro.
Pasquino. Sulla mia pudicizia io v’assicuro.
Filiberto. (Se mando via costoro,
A trovarne altri due sarò impicciato.)
Orsù, v’ho perdonato
Per questa volta, ma se un’altra arriva....
Porporina. Oh caro!
(L ’accarezzano, e accarezzandolo con caricatura, l’infastidiscono
Pasquino. Oh benedetto!
a due Evviva, evviva.
Maledetti, mi stroppiate.
Tocca, tocca, se tu vuoi. (a Porporina
Va a scherzar co’ pari tuoi. (a Pasquino
SCENA V.
Porporina e Pasquino.
Porporina. In grazia
Del mio giudizio.
Pasquino. Sì, gioia mia bella.
Tu sei una ragazza
Che può star, per dottrina, in paragone
D Ovidio, Quinto Curzio e Cicerone.
Porporina. Tutto ho fatto per te.
Per altro in vita mia
Io non so d’aver detto una bugia.
Pasquino. Dunque mi porti amore?
Porporina. T’amo con tutto il cuore.
Pasquino. Dunque tu mia sarai?
Porporina. Sì, Pasquin, sarò tua, se mi vorrai.
Pasquino. Se ti vorrò? Cospetto!
Non bramo altri che te.
Per quel tuo bel visino
Lascierei la minestra, il pane e il vino.
Porporina. Ma quando mi darai...
Pasquino. Cosa?
Porporina. La mano?
Pasquino. Eccola, se la vuoi.
Porporina. La prenderei, ma poi...
Pasquino. Ma poi, di che hai paura?
Porporina. Che tu mi dica il ver non son sicura.
Pasquino. Vuoi che ti mostri il cor? dammi un coltello.
Voglio mostrarti il cor.
Porporina. No, poveretto,
Lo so che mi vuoi bene;
Ma un po’ di gelosia mi dà martello
Pasquino. Maledetta disgrazia è l’esser bello!
Porporina. Quei cari e belli occhietti
Saranno tutti miei?
Pasquino. Sì.
Porporina. Quel bocchino
Sarà tutto per me?
Pasquino. Sì.
Porporina. Quel visetto
È tutto, tutto mio?
Pasquino. Sì, tutto, tutto.
Porporina. Io mi sento morire.
Pasquino. Io son distrutto...
Porporina. Stassera...
Pasquino. Che?
Porporina. Faremo...
Pasquino. Che cosa?
Porporina. Il matrimonio.
Pasquino. Non potressimo...
Porporina. Cosa?
Pasquino. Farlo adesso?...
Porporina. Così non è permesso.
Pasquino. Ma io non posso più.
Porporina. Ma io già peno.
Pasquino. Vado tutto in sudore.
Porporina. Io vengo meno.
Ohimè, che fuor del petto
Mi vien sul labbro il cor;
Ma su quel bel labbretto
Veggo il tuo core ancor.
Dammi il tuo core, oh Dio!
Piglialo, che tei dono,
Dammelo, per pietà.
Cosa farai del mio?
Del tuo cosa farò?
Perchè fedel son io,
1l tuo lo serberò.
Tu, che pietà non hai,
Me lo strapazzerai?
No, no, per carità.
SCENA VI
Pasquino e Dorindo, il quale vorrebbe trattenere
Porporina che parte.
Pasquino. Signor, cosa comanda
Da Porporina?
Dorindo. Che vuoi tu sapere?
Va via, brutto villano.
Pasquino. Cos’è questo villano?
Cos’è questo va via?
Cosa pretende lei?
Dorindo. Quel che mi pare.
(vuol seguire Porporina
Pasquino. Con grazia, padron mio:(lo trattiene
Lo vuò sapere anch’io.
Dorindo. Tu non devi saper quello che passa
Fra Porporina e me.
(Non vuò ch’ei sappia,
Che qui Lisaura aspetto.)
Pasquino. Porporina dev’esser moglie mia.
Mi meraviglio di vussignoria.
Dorindo. (Mi voglio divertir con questo sciocco).
Credimi, l’hai sbagliata;
È la mia innamorata.
Pasquino. Come! oh diavolo!
Non può star, non sarà, nol posso credere.
Mi vuol ben, me l’ha detto, e l’ha giurato.
Dorindo. Di te gioco si prende, ed ha scherzato.
Pasquino. Ah bugiarda! ah maliarda!
Adesso, adesso intendo,
Perchè quando le ho detto
Di far il matrimonio di nascosto,
La furba m’ha risposto:
Così non è permesso.
Femmine traditore! ingrato sesso!
Dunque è vostra innamorata? (a Dorindo
(Maledetta disgraziata,
Crepa, schiatta, va in malora,
Aver ben non posso un’ora.)
Dunque è ver, che vi vuol bene?
Dunque ecc.
SCENA VII.
Dorindo, poi Lisaura.
Aver dato al meschin sì gran cordoglio.
So per prova qual sia
Il tormento crudel di gelosia.
Ma ecco la mia bella,
Che a beare mi vien cogli occhi suoi.
Lisaura. Dorindo, eccomi a voi.
Dorindo. Cara Lisaura,
Tutti siamo traditi. Ho discoperta
Una barbara trama:
Cornelio, il Conte e ser Imbroglio uniti,
Al vostro genitor fanno la lite.
Dimani si farà l’aggiustamento,
E il caro negligente
A Cornelio cornuto3
Ch’è l’impostor più franco,
Ha dato un foglio sottoscritto in bianco.
Lisaura. Donde sapeste ciò?
Dorindo. Da uno scrivano
Di ser Imbroglio, che a pietà s’è mosso,
E di voi e di me. Quello che stese
La scrittura per noi del matrimonio.
Lisaura. Adunque, che sarà?
Dorindo. Già ho rimediato.
Vuò che l’ingannator resti ingannato.
Lisaura. Come mai?
Dorindo. Sol mi basta
Che al vostro genitore
Sottoscriver facciate questa carta.
(cava dalla tasca un foglio
S’egli, ch’è negligente,
Senza leggerlo prima.
Oggi soscrive il foglio,
Scherniremo Cornelio e ser Imbroglio.
Lisaura. Tutto per voi farò. Già il padre mio
Si contenta che io
Vi prenda per mio sposo.
Dorindo. E questo è bene.
Profittarsi conviene
Della sua negligenza.
Ditegli che la carta
Contien di nostre nozze il sol contratto.
Ei vi metta il suo nome, e il colpo è fatto.
Esser tacciata poi.
Dorindo. Non dubitate.
Questa è l’ultima moda:
L’inganno, se va bene, ancor si loda.
* Pria ritornare al fonte
Vedrai torrente altero,
Che all’amor mio sincero,
Che alla mia fè costante,
Tempre vedrai cangiar.
Nè per ingiurie ed onte
D’avversa iniqua stella,
Questo mio core amante
Della sua fiamma bella
Mai si potrà scordar4.
SCENA VIII.
Lisaura sola.
Cotanta iniquità? V’è su la terra
Chi temerario ardisce
Rapir l’altrui con esecrando eccesso?
E lo soffrono i Numi? E stride invano
Il folgore di Giove?
Dove si cela, dove,
L’empio che il genitor tradire aspira?
Seco voglio sfogar lo sdegno e l’ira.
Ma no, femmina imbelle
Che dir, che far potrei?
Crudelissimi Dei,
Perchè non mi è concesso
Farei veder ben io,
Che ancor nel petto mio si cela un core,
Di coraggio ripieno, e di valore.
* Tremo fra dubbi miei,
Pavento i rai del giorno;
Anche nel mio soggiorno
Mi turbo e mi confondo.
L’aure che ascolto intorno,
Mi fanno palpitar.
Nascondermi vorrei,
Vorrei scoprir l’errore,
Nè di celarmi ho core,
Nè core ho di parlar5.
SCENA IX.
Aureuli, poi Pasquino.
Sono quasi sicura,
Ma Lisaura, Pasquino e Porporina
Non mi ponno vedere.
La politica vuole
Ch’io me li renda amici,
Perchè i disegni miei riescan felici.
Ecco Pasquin: con questo,
Ch’è alquanto baccellone.
Incomincio a provar la mia lezione.
Pasquino. Ingrata Porporina, (la scena
Ladra, cagna, assassina.
Aurelia. Pasquino, e con chi l’hai?
Aurelia. T’han fatto qualche insulto?
Pasquino. Sì, m’han fatto
Quello che far usate
Voi altre femminacce indiavolate.
Aurelia. Sei forse innamorato?
Pasquino. Così fossi appiccato!
Aurelia. Forse tradito sei?
Pasquino. Così il diavol portasse via colei.
Aurelia. Oh povero Pasquino,
Che sei tanto bellino,
Se tu volessi un po’ di bene a me,
Tutto questo mio cor saria per te.
Pasquino. Eh, mi burlate.
Aurelia. No, credi, mio caro,
Che il mio labbro è sincero.
Pasquino. Se dicesse da vero,
Vendicar mi potrei di Porporina.
Aurelia. Dammi la tua manina.
Pasquino. Se ci vede il padron, cosa dirà?
SCENA X.
Filiberto da una parte, Porporina dall'altra, osservano in disparte.
Fra noi s’ha d’aggiustare,
E si vada il padrone a far squartare.
Filiberto. (Obbligato).
Pasquino. Sì, sì, vada in malora
Lui, la sua casa, e Porporina ancora.
Porporina. (Bravissimo.)
Aurelia. È noioso
Il signor Filiberto agli occhi miei.
Aureila. Tu sì, sei graziosetto.
Pasquino. Sì, quello è un bel visetto.
Se parlassi di cor...
Pasquino. Se vi degnaste...
Sarei per te.
Pasquino. Vostro sarei, m’impegno.
(Femmina indiavolata!)
Porporina. Oh core indegno!
Briccone! (a Pasquino
a due Si tratta così?
Mi voglio sfogar.
Aurelia. Con te, birboncella, (a Porporina
Non voglio gridar.
Filiberto. | a due | Fermate, tacete, | |
Pasquino. | Non state a strillar. |
Ti vuò bastonar.
Pasquino. Non curo il padrone,
Mi vuò vendicar.
Aurelia. | a due | Fermate, tacete, | |
Pasquino. | Non state a strillar. |
Che fiero tormento!
L’affanno, lo sdegno,
Vuol farmi crepar.
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Zatta: È.
- ↑ Zatta: Poi.
- ↑ Forse Cornuto è un buffo cognome.
- ↑ Anche quest’aria, come tutte le altre arie serie, segnate nel libretto con l’astenico, forse non appartiene al Goldoni.
- ↑ È un’aria del Metastasio, nelle Clemenza di Tito, atto II, sc. 16. Il Goldoni vi aggiunse i due versi: Anche nel mio soggiorno — Mi turbo e mi confondo.