Il negligente/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Camera in casa di Filiberto.
Filiberto a sedere, e Lisaura.
Non possa star senza pensare a niente?
Con questo tutto il dì rompermi il capo,
Figlia troppo crudele,
Mi farete morir. Voi lo sapete,
Io bramo la mia pace,
Faticare, pensar m’annoia e spiace.
Lisaura. Ah caro padre, come mai potete
Goder la vostra pace
Che se noi la perdiamo.
Miserabili affatto oggi restiamo?
Filiberto. E ci ho 1 da pensar io?
Vi pensa il mio causidico,
Egli sa il suo mestiere;
Io lo pago, e non voglio altro pensiere.
Lisaura. Quant’è che a ritrovarlo non andate?
Filiberto. Stamattina v’andai.
Lisaura. Lodato il Cielo.
Gli parlaste? Che ha detto?
Filiberto. Era uscito di casa.
Lisaura. Non la finite mai d’uscir dal letto.
Mai ben le cose vostre andar non ponno.
Filiberto. Oh che dolce dormir quando s’ha sonno!
Lisaura. Ho a dirvi un’altra cosa.
Filiberto. Oimè! non m’annoiate.
Lisaura. Voi vi tenete in casa
Quell’impiccio d’Aurelia,
E non si sa perchè.
Filiberto. Morto è suo padre.
Me l’ha raccomandata.
Lisaura. Mi rassembra però sia troppo ingrata.
Eh, mandatela via.
Filiberto. Ci penseremo.
Lisaura. Un’altra cosa sola,
Se mi date licenza,
Vi dico, e me ne vado.
Filiberto. Oh che pazienza!
Lisaura. Io cresco nell’età. Son figlia sola.
Voi siete un po’ avanzato2,
Ed ancor non pensate a darmi stato?
Ci penseremo 3.
Lisaura. (A far lo stato mio,
Se non ci pensa lui, ci penso io). (parte
SCENA II.
Filiberto, poi Porporina.
Di far nascer le figlie ed allevarle,
Pensar anche bisogna a maritarle.
Porporina. Serva, signor padrone.
Filiberto. Oh Porporina,
Come stiamo in cucina?
Porporina. Ho un ambasciata
Di premura da farvi.
Filiberto. Io non ho voglia
Di sentir ambasciate;
Me la farai stassera.
Porporina. Oh non ci è tempo
Da perdere, signor. Sentite...
Filiberto. Oibò.
Che noia!
Porporina. Ha qui mandato
Il causidico vostro...
Filiberto. Oh nome odioso!
Porporina. A dir che tostamente,
Anzi subitamente,
Vi portiate a Palazzo 4.
Filiberto. Eh, io5 non son sì pazzo.
Non mi vuò incomodar.
Esser la vostra causa in spedizione.
Filiberto. Oh che bella ragione!
Si spedisca. La nuova aspetterò.
Porporina. Vi vorrà del denar.
Filiberto. Ne manderò.
Senti, ho un pò’d’appetito;
Fammi una pietanzina,
Cara mia Porporina.
Porporina. Ma spicciatevi prima il palazzista6.
O vestitevi e andate,
O ajmen qualche risposta a lui mandate.
Filiberto. Ehi Pasquino.
SCENA III.
Pasquino e detti.
Filiberto. Vien qui.
Pasquino. Non posso.
Filiberto. Perchè?
Pasquino. Fo colazione.
Filiberto. Poverino, ha ragione.
Finisci, e poi verrai.
Porporina. (Eh, più sciocco padron non vidi mai).
Filiberto. Bisogna compatir la servitù.
Tutto il dì s’affatica,
E vuol la carità
Che un’ora gli si dia di libertà.
Pasquino. Eccomi. Ho fatto presto?
Sentimi, andar dovrai...
Dove ha detto? (a Porporina
Porporina. A Palazzo.
Filiberto. Anderai a Palazzo,
Cercherai conto di messer Imbroglio.
Portagli questa borsa.
Digli che si ricordi
Di sostenere in punto di ragione,
Ch’io son chiamato alla sostituzione.
Digli che il testamento parla chiaro,
Che il testamento io l’ho,
E che, quando bisogni, il cercherò.
Digli...
Pasquino. Basta: ih, ih, che diavol fate?
Tante cose in un fiato?
Voi m’avete imbrogliato.
Filiberto. Te lo tornerò a dir. Oh che fatica!
Anderai a Palazzo.
Pasquino. Ben.
Filiberto. Vedrai 7
Messer Imbroglio.
Pasquino. Si.
Filiberto. E gli darai
Questa borsa.
Pasquino. Fin qua me ne ricordo.
E poi?
Filiberto. E poi, che il testamento io l’ho;
Che non l’ho ancor trovato,
Ma ch’io sono chiamato
Alla sostituzione,
E che sostenga ben la mia ragione.
Quella prostituzion cosa vuol dire?
Filibeto. Sostituzione ho detto.
Pasquino. Ma se poi tutto tutto
Quel non dicessi, che diceste voi?
Filiberto. Oh, son stanco! Di’ tu che diavol vuoi.
Già te l’ho detto
Cos’hai da fare;
Non mi stancare,
Non m’annoiar.
Via, Porporina,
Vanne in cucina,
La pietancina8
Vammi tu a far.
L’ho detto chiaro, (a Pasquino
Tu m’hai capito.
Oh che appetito! (a Porporina
Cara, non farmi
Tanto aspettar. (parte
SCENA IV.
Pasquino e Porporina.
Se mi ricordo più cosa m’ha detto.
Basta, a Palazzo andrò;
Qualche cosa dirò. (vuol partire
Porporina. Ehi, ehi, Pasquino.
Pasquino. Porporina, che vuoi?
Porporina. Così tu parti,
Senza darmi un addio?
Più bene non mi vuoi, Pasquino mio?
Ma per non mi scordar la mia lezione,
Io me n’andavo a dire a ser Imbroglio
Del testamento e la prostituzione.
Porporina. Vorrei ti ricordassi
Della tua Porporina.
Pasquino. La sera e la mattina,
Quando mi levo, e quando vado a Ietto,
Penso sempre, mia cara, a quel visetto.
Porporina. Eh tu burli, lo so.
Pasquino. No, ch’io non burlo,
Te lo dico di core.
Porporina. Eh furbacchiotto,
Mi vorresti far giù.
Pasquino. Per te son cotto.
Porporina. Via, via, vanne, Pasquino;
La cosa preme assai.
Vanne, e ritornerai poscia da me.
Pasquino. Se premesse al padron, v’andria da sè.
Porporina. Sai la sua negligenza.
Pasquino. Vado... ma dove? oh bella!
Non mi ricordo più dov’abbia a andare.
Porporina. A Palazzo.
Pasquino. La borsa l’ho da dare...
A chi?
Porporina. A messer Imbroglio.
Pasquino. Messer Imbroglio amato,
Sta volta più di voi sono imbrogliato.
Ho da dir che il testamento...
Ho da dir... non ne so più.
Porporina... dillo tu...
Zitto, zitto, l’ho trovata.
Ho da dir, ch’è la ragione
Della sua prostituzione,
Che si deve sostener.
Ho da dir, che il padron mio
L’ha cercato, l’ha trovato...
Sì, va bene, lo dirò. (parte
SCENA V.
Porporina, poi Dorindo.
E un poco sempliciotto; ma talvolta
Un mezzo scimunito
Suol esser per la donna un buon marito.
Dorindo. Quella giovine bella.
Porporina. Oh mio padrone,
Chi dimanda?
Dorindo. Trovai la porta aperta.
L’ardir mio condonate.
Porporina. Quando trovate aperto, e voi entrate.
Dorindo. Il signor Filiberto
È in casa?
Porporina. È in casa.
Dorindo. Sì potria vedere?
Porporina. Se avete da parlar di qualche affare,
Difficile sarà.
Dorindo. Per dir la verità,
So che siete una giovine prudente;
Di veder lui non me n’importa niente.
Lisaura bramerei...
Porporina. Ah, ah, v’ho inteso.
Garbato signorino,
Non cercate Marforio, ma Pasquino.
Dorindo. A voi mi raccomando.
Permettete ch’io possa
Dirle almen due parole.
Andate via.
Dorindo. Possibile che siate
Tanto crudele?
Porporina. Andate via, vi dico.
Dorindo. Vi sarò buon amico.
So il mio dover.
Porporina. Come sarebbe a dire?
Dorindo. Io vi regalerò.
Porporina. Questi futuri
Non mi piacciono punto. Andate via.
Dorindo. Vi prego in cortesia.
Porporina. No, no, non posso.
Dorindo. Ma perchè non potete?
Porporina, tenete
Questa picciola borsa
Per caparra di quel ch’io vi darò.
Porporina. Signor no, signor no.
Dorindo. Eh via.
Porporina. La non s’incomodi.
Dorindo. Mi fate torto.
Porporina. Non vorrei...
Dorindo. Prendete.
Porporina. Grazie, grazie. Voi siete (prende la borsa
Veramente garbato.
Dorindo. D’un core innamorato
Movetevi a pietà.
Porporina. Sentite: andate là.
Lisaura è sola sola,
Il padre è negligente,
E alla figlia non pensa niente, niente.
Dorindo. Dunque vado.
Porporina. Sì, andate.
Ma giudizio!
Dorindo. No, no, non dubitate;
Lo stesso naturale;
Tra lei e me non vi puoi esser male.
Porporina. Quand’è così, mi fido;
E poi son di buon core.
Io non posso veder patir nessuno.
Spezialmente quand’uno
È, come siete voi, gentil così,
M’adoprerei per lui la notte e il dì.
Non posso soffrire
Vedervi languire;
Ho un cor troppo tenero
Vi voglio aiutar.
(Perchè non è avaro,
Non prezza il danaro,
Lo vuò consolar).
Ho un cor troppo tenero.
Vi voglio aiutar.
SCENA VI.
Dorindo solo.
Chi vuole esser contento,
Vi vuol l’oro e l’argento.
Chi non ha capitale,
Con le donne oggidì la passa male. (parte
* Senza sentir il danno
Dell’amorose pene,
Esser privo d’affanno
In grazia al caro bene,
Non v’è piacer più amabile,
Dical chi amor provò.
Felice? e chi mel niega?
Che più bramar degg’io,
Più desiar non sonota.
SCENA VII.
Altra camera nella stessa casa.
Aurelia e Cornelio.
Amami di buon cor, che t’amo anch’io.
Cornelio. Circa all’amor, mia cara,
Non v’è niente che dir. Siamo felici.
Io voglio bene a te. Ma il punto sta,
Che tu dote non hai,
Che io poderi non ho, non ho mestiere;
E non vorrei che avesse
Il gusto dell’amor presto a finire,
E ci avessimo poi, cara, a pentire.
Aurelia. Per questo è, ch’io procuro
Allettar co’ miei vezzi
Il signor Filiberto,
Il quale, incatenato
Da quell’arti che a lui poco son note,
Mi vorrà bene, e mi farà la dote.
Cornelio. Io per un’altra strada
Tento la nostra sorte.
Ti è nota quella lite
Che contro Filiberto
Mossa ha il Conte?
Cornelio. Sappi che siamo
Interessati nella lite in terzo,
Io per il primo, il Conte, e ser Imbroglio.
Aurelia. Come! ancor ser Imbroglio?
Di Filiberto istesso
Il causidico ancora?
Cornelio. Sì, ti pare
Cosa strana? È così. Siam tre d’accordo
Per mandarlo in rovina.
Il Conte fa la principal figura;
Imbroglio al precipizio apre la strada;
Io vo tenendo Filiberto a bada.
Aurelia. Dunque si può sperar che vada bene.
Cornelio. Si può sperar, ma dubitar conviene.
Aurelia. Voi tre tesa gli avete
Una terribil rete.
Io un altro laccio ho teso:
Dalla rete o dal laccio ei sarà preso.
Cornelio. E noi contenti allora,
Senza che della fame
V’entri il brutto demonio,
Goderem lietamente il matrimonio.
Bel contento è l’esser sposi
Senza aver da sospirar.
Ma poi tutto si scompiglia
Quando grida la famiglia:
Pane, pane, mamma mia;
Oh che brutta sinfonia,
Quando pane più non c’è.
Dura un giorno, un mese o un anno,
Il piacer d’amor novello.
Da principio tutto è bello,
E poi dopo vien l’affanno;
Meglio è stare ognun da sè.
SCENA VIII.
Aurelia, poi Filiberto.
Quando a noi altre donne
Ci vien quest’appetito,
Senza filosofar pigliam marito.
Ma ecco, che sen viene
Il signor Filiberto.
Filiberto. Bene, bene, (verso la scena
Si farà, si farà, non mi stancate.
Oh Aurelina, che fate?
Aurelia. Benissimo starei,
Se fossi in grazia sua.
Filiberto. La mia grazia, lo sai, che tutta è tua.
Aurelia. S’accomodi un pochino.
Guardate, poverino,
Egli è 10 tutto sudato;
Si sarà affaticato. (lo asciuga col fazzoletto
Filiberto. Se lo dico!
Mi voglion far crepare.
M’hanno fatto cercare
Una scrittura antica.
L’ho cercata mezz’ora. Oh che fatica!
Aurelia. Eh, signor Filiberto,
Io so che vi vorrebbe,
Per sollevarvi da cotanti affanni.
Filiberto. Sì, mia cara Aurelina,
Dite, che vi vorrebbe?
Aurelia. Una sposina.
Filiberto. Una sposina? Sì; ma il matrimonio
Porta seco de’ pesi,
Il marito dev’esser uom valente;
Ed io sono avvezzato a non far niente.
Che sollevar sapesse
Dagli affari il marito.
Un’economa esperta,
Che sapesse di conti e di scrittura;
Una che con bravura
Da sè sapesse spendere,
Comprar, cambiare e vendere;
Che con i palazzisti
Sapesse favellare a tu per tu,
E sapesse frenar la servitù.
Filiberto. Oh il Ciel volesse che una donna tale
Ritrovar io potessi.
Non so dire per lei cosa facessi.
Aurelia. Per vendere e comprar son nata apposta.
Filiberto. Oh brava!
Aurelia. So di conti e di scrittura;
Ed ho l’economia già per natura.
Filiberto. Come sei tu informata
Di Palazzo e di lite?
Aurelia. Oh che cosa mai dite?
So tutte le malizie
Ch’usano i palazzisti,
Per far le cose dritte apparir torte;
E so andar, quando occorre, per le corte.
Filiberto. Tu sei una gran donna!
(Davver, che quasi quasi
Io me la piglierei) 11.
Aurelia. Quanto è baggiano!
Spero che il laccio non sia teso invano.
Filiberto. Dimmi, Aurelia, inclinata
Sei tu pel matrimonio?
Aurelia. Oh signor no.
Aurelia. Quando fosse il marito...
Come sarebbe a dir...
Filiberto. Via, parla schietto.
Aurelia. Mi vergogno davvero.
Filiberto. Qui nessuno ci sente.
Aurelia. Quando fosse il marito come voi...
Filiberto. Tuo marito sarò, se tu mi vuoi.
Aurelia. Ma io povera sono, e non ho dote.
Filiberto. Io, io te la farò.
Aurelia. E poi... signore... io so
Che graziosa non sono, e non son bella.
Filiberto. Cara, tu agli occhi miei sembri una stella.
Aurelia. Oimè, cos’è questo,
Ch’io provo nel core?
Nemica d’amore
Son stata finor.
Adesso per voi
Mi sento languir.
Ma caro, ma poi,
Di me che sarà?
Son troppo innocente
Nell’arte d’amar.
Oimè, non vorrei
Lasciarmi ingannar.
Di me semplicetta,
Di me poveretta,
Abbiate pietà.
SCENA IX.
Filiberto, poi Lisaura.
Aurelia, di buon indole e talento,
Ma quando? Eh, si farà 1 Ma mi potrebbe
Fuggire dalle mani. Andiamo subito,
Pria che qualch’altro amor n’occupi il loco.
N’andrò, ma pria vo’ riposarmi un poco. (siede
Lisaura. Signor padre, un affar di gran premura
Mi conduce da voi.
Filiberto. Di grazia andate, e tornerete poi.
Lisaura. Il Cielo mi presenta
Una buona fortuna.
Filiberto. Me ne rallegro assai.
Lisaura. Dorindo, il figlio
Di quel ricco mercante,
Mi si è scoperto amante.
Filiberto. Benissimo, e così?
Lisaura. Mi brama in moglie.
Filiberto. Ne parleremo poi.
Lisaura. Volea venir da voi,
Ma per non annoiarvi, ei si trattiene.
Filiberto. In questo ha fatto bene.
Io non vuò seccature.
Lisaura. Aspetta la risposta.
Filiberto. Aspetti pure.
Lisaura. Dunque, che gli ho da dire?
Filiberto. Per or se ne può ire;
Ci penseremo, tornerà.
Lisaura. Ma quando?
Filiberto. Oh l’è lunga!
Lisaura. Io stessa
Da lui ritornerò.
Filiberto. Da lui? Signora no.
Lisaura. Dunque anderete voi.
Filiberto. Non posso, non ne ho voglia.
Lisaura. La civiltà lo vuole;
Conosco il dover mio:
Deh non fate ch’io vi chiami
Crudo padre, e dispietato;
Del mio core innamorato
Deh, movetevi a pietà.
Lo sapete s’io fui sempre
Rassegnata ed umil figlia;
Ma l’affetto or mi consiglia,
Nè so dir quel che sarà.
SCENA X.
Filiberto, poi Pasquino.
Risoluta si porta? andar conviene.
Ma se sto tanto bene,
Perchè ho da levarmi?
Eh, per ora non voglio incomodarmi.
Pasquino. Son qui, signor padrone.
Filiberto. Ecco un altro tormento,
Non mi lasciano in pace un sol momento.
E ben, che cosa ha detto?
Pasquino. Chi?
Filiberto. Il causidico mio.
Pasquino. Non l’ho veduto.
Filiberto. Perchè?
Pasquino. Perchè un po’ tardi
A Palazzo, signor, sono arrivato,
E il causidico già se n’era andato.
Filiberto. Non importa, stassera
L’andrai trovar a casa 13.
Pasquino. Signor sì14.
Pasquino. Eccola qui.
Filiberto. Questi pochi denar son risparmiati.
Pasquino. Li volete contar?
Filiberto. Li ho15 già contati.
Li porrò nello scrigno,
Ma incomodar non mi vorrei. Pasquino,
Tieni le chiavi... no... fidarsi troppo
Non istà bene. Adesso. Porporina.
SCENA XI.
Porporina e detti.
Filiberto. Il tavolino
Porta, e lo scrigno. Aiutala16, Pasquino.
Porporina. Subito. (Pesa poco, è ormai finito).
Pasquino. (Volea darmi le chiavi, e si è pentito).
Porporina. (Chi non si fida, merta esser gabbato).
Pasquino. (Di trappolarlo il modo ho già pensato).
Porporina. Ecco lo scrigno.
Filiberto. Tieni, aprilo tosto.
Porporina. L’ho aperto.
Filiberto. Brava.
Porporina. Altro da noi comanda?
Filiberto. Andate pur; da me mi divertisco.
Porporina. Serva, signor padron. (parte
Pasquino. La riverisco. (parte
Filiberto. Scrigno caro, bello, bello,
Te ne vai così pian piano,
Ed ormai non ve n’è più.
Porporina. Ehi, signor, siete chiamato.
E lo scrigno è spalancato, (rubano due borse
Prendi, prendi, piglia, piglia.
Presto, presto, ch’egli è qua. (Filiberto torna
Cosa fate?
| a due Niente, niente.
Cos’è questo? a due Nulla, nulla.
E lo scrigno è spalancato, (rubano due borse
Prendi, prendi, piglia, piglia.
Presto, presto, ch’egli è qua. (Filiberto torna
Cosa fate?
| a due Niente, niente.
Cos’è questo? a due Nulla, nulla.
E lo scrigno è spalancato, (rubano due borse
Prendi, prendi, piglia, piglia.
Presto, presto, ch’egli è qua. (Filiberto torna
Cosa fate?
| a due Niente, niente.
Cos’è questo? a due Nulla, nulla.
Porporina. A una fanciulla?
Filiberto. Vuò toccare. (in tasca
Pasquino. Ad un zitello?
Filiberto. Birboncello,
L’ho trovato. (trova la borsa
Disgraziata,
M’hai rubato. (fa lo stesso
Presto, andate via di qua.
Porporina. Io non sono.
Pasquino. È stata lei.
Filiberto. Sei bugiardo.
Ardita sei.
Porporina. | a due | Perdonate, per pietà. | |
Pasquino. | |||
Filiberto. | Presto, andate via di qua. |
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Così ed. Bologna (1754) e Zatta. Nelle edd. Fenzo (1749), Terernin (1753) e è stampato: E c’ho.
- ↑ Nelle edizioni del Settecento: avvanzato.
- ↑ Ed. Fenzo: peneremo.
- ↑ Edd. Tevernin, Zatta e altre: al Palazzo. Intendesi a Palazzo Ducale, dove discutevansi le cause.
- ↑ Ed. Fenzo: Io, eh ecc.; ed. di Bologna: Io? Eh ecc.
- ↑ “Nome che si dava ai causidici e a tutti quegli altri, i quali avean ministero nel palazzo, cioè presso i tribunali”: Lessico Veneto compilato da Fabio Mutinelli, Venezia. 1851. V. anche Boerio, Diz. del dialetto veneziano, e Ferro, Dizionario del diritto comune e veneto ecc.
- ↑ Nelle edd. Tevernin, Zatta ecc. fu così mutato: "Andrai a Palazzo. Pasq. Bene. Fil. E là vedrai ecc.
- ↑ Zatta: pietanzina.
- ↑ Questa infelice arietta (segnata nel testo con l’asterisco), della quale ho corretto la punteggiatura, si legge nell’ed. Fenzo, ma forse fu attinta da un altro autore, com’era uso. e fu così mutata nell’ed. di Bologna: "Sento l’affanno anch’io. — Che mi trafigge il core. — Ma questo affanno mio — Non so spiegar ancor. — Vado al mio bene accanto — A ragionar d’amore. — E di speranza il vanto — Si desta nel mio cor ". Nella ed. Tevernin e nelle ristampe successive, compresa l’ed. Zatta, l’aria fu soppressa.
- ↑ Nelle stampe del Settecento: egl’è.
- ↑ Fenzo: pigliarei.
- ↑ Nelle edizioni del Settecento: c’andate.
- ↑ Così correggono Tevernin e Zatta. Ed. Fenzo: L’andrai a casa a ritrovar.
- ↑ Così correggono Tevernin e Zatta. Nell’ed. Fenzo e in altre: Gnor sì.
- ↑ Nelle stampe del Settecento: gl’ho, oppure l’ho.
- ↑ Nelle stampe del tempo: Ajutale.